Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24049 - pubb. 11/01/2020

Imputabilità delle cause del dissesto

Cassazione Sez. Un. Civili, 13 Marzo 2001, n. 115. Pres. Cantillo. Est. Marziale.


Stato di impotenza economica astrattamente impeditivo della possibilità di adempiere da parte del debitore - Concreto inadempimento delle proprie obbligazioni e relativa imputabilità - Rilevanza - Esclusione - Conseguenze - Fattispecie in tema di dichiarazione di fallimento conseguente ad inadempimento di obbligazioni tributarie



Lo stato d'insolvenza dell'imprenditore commerciale, quale presupposto per la dichiarazione di fallimento, si realizza in presenza di una situazione d'impotenza, strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività, mentre resta in proposito irrilevante ogni indagine sull'imputabilità o meno all'imprenditore medesimo delle cause del dissesto, ovvero sulla loro riferibilità a rapporti estranei all'impresa, così come sull'effettiva esistenza ed entità dei crediti fatti valere nei suoi confronti. Ne consegue che del tutto legittimamente l'autorità giudiziaria ordinaria adita per la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore insolvente a fronte di un ingente debito tributario provvede a tale dichiarazione, senza entrare nel merito delle pretese impositive (che, nella specie, si assumevano impugnate dinanzi alla competente commissione tributaria da parte del fallito) e senza, pertanto, violare alcun principio in tema di riparto di giurisdizione tra G.O. e Commissioni tributarie. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MICHELE CANTILLO - Primo Presidente f.f. -

Dott. FRANCESCO AMIRANTE - Presidente di sezione -

Dott. VINCENZO CARBONE - Presidente di sezione -

Dott. PAOLO VITTORIA - Consigliere -

Dott. ALESSANDRO CRISCUOLO - Consigliere -

Dott. FABRIZIO MIANI CANEVARI - Consigliere -

Dott. UGO VITRONE - Consigliere -

Dott. MARIO ROSARIO MORELLI - Consigliere -

Dott. GIUSEPPE MARZIALE - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

Svolgimento del processo

1 - L'11 dicembre 1995 il Tribunale di Vicenza, dichiarava, su istanza del Procuratore della Repubblica di quella città, il fallimento della s.r.l. M. Oro, rilevando:

- che risultavano iscritte a ruolo per l'anno 1993, a carico di detta società, le somme di L. 75.677.526.000 e di L. 10.961.519.000 rispettivamente a titolo di IVA e di imposte sui redditi;

- che tali crediti erano liquidi ed esigibili;

- che la sussistenza di crediti insoddisfatti "di così straordinaria rilevanza", a fronte "di non provate capacità economiche" della società, evidenziava l'impossibilità di quest'ultima di far fronte alle proprie obbligazioni.

La società proponeva opposizione, deducendo:

- che l'istanza del P.M. era stata formulata al di fuori delle ipotesi specificamente previste dall'art. 7, l. fall.;

- che i crediti non erano ne' certi, ne' liquidi, ne' esigibili, posto che i rispettivi titoli erano stati impugnati innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Vicenza.

L'opposizione era respinta dal Tribunale, osservando:

- che l'eccepita irritualità dell'istanza del P.M. era priva di rilevanza, dal momento che il fallimento può essere dichiarato da Tribunale anche d'ufficio;

- che i rilievi sulla legittimità delle notifiche degli avvisi di accertamento e della iscrizione a ruolo cartelle erano infondati;

- che, in ogni caso, gli accertamenti di imposte sul reddito e di IVA, ancorché contestati, costituiscono titolo per la riscossione di una parte del tributo accertato e che, quindi, tenuto conto dell'ingente importo dei crediti reclamati dall'Amministrazione finanziaria e della situazione economica della società, le impugnazioni non erano idonee ad eliminare il valore sintomatico di tali atti ai fini della dimostrazione dello stato d'insolvenza. L'appello della società era respinto dalla Corte d'appello di Venezia, sul duplice rilievo:

- che il Tribunale non era entrato nel merito della legittimità delle pretese tributarie, compiendo un accertamento che gli era inibito, ma si era limitato ad affermare che i ricorsi proposti dalla società non consentivano di escludere lo stato d'insolvenza della società;

- che, comunque, il giudice chiamato a verificare la ricorrenza dei presupposti della dichiarazione di fallimento può delibare sommariamente, al fine di accertare la sussistenza dello stato di insolvenza, la fondatezza delle ragioni addotte dal debitore in un separato giudizio a giustificazione del mancato adempimento per contestare la fondatezza della pretesa del creditore;

- che, nel caso, gli argomenti fatti valere dalla società innanzi alle commissioni tributarie erano palesemente infondati. 1.1 - La società chiede la cassazione di tale sentenza con tre motivi di ricorso. La curatela del fallimento resiste. Motivi della decisione

2 - Con il primo motivo, la società assume che la Corte territoriale sarebbe incorsa nel vizio contemplato dall'art. 360, n. 1, c.p.c. poiché la reiezione dell'opposizione alla dichiarazione di fallimento sarebbe fondata "sulla asserita assenza di vizi degli atti impositivi" dell'Amministrazione finanziaria e, quindi, su un accertamento sottratto alla cognizione del giudice ordinario.

3 - La censura, in tali termini prospettata è chiaramente infondata. In base a quanto stabilito dall'art. 5, secondo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, lo stato d'insolvenza "si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni". Esso si risolve, pertanto, in uno stato di impotenza economico- patrimoniale, che priva il debitore della possibilità di adempiere con mezzi "normali", salvaguardando la parità di trattamento dei propri creditori.

L'inadempimento e la sua imputabilità non assumono quindi valore decisivo ai fini della dichiarazione di fallimento, ma rilevano solo quali elementi sintomatici dello stato d'insolvenza, come sopra individuato. E questo spiega perché in tale sede resta irrilevante ogni indagine sull'effettiva esistenza ed entità dei crediti fatti valere nei confronti del debitore (Cass. 21 novembre 1986, n. 6856). 3.1 - Nella sentenza impugnata - pur affermandosi che ai fini dell'accertamento dell'esistenza o meno di tale stato al giudice non è inibita una valutazione sommaria della fondatezza delle contestazioni addotte dal fallendo circa la fondatezza dei crediti fatti valere nei suoi confronti - si precisa che il Tribunale non era entrato nel merito della legittimità delle pretese impositive, compiendo un accertamento che gli era inibito per essere devoluto alla giurisdizione delle Commissioni tributarie, ma si era limitato ad affermare che le impugnazioni proposte dalla società non consentivano di escludere lo stato d'insolvenza, aggiungendo che l'esistenza di un debito di entità così rilevante, come quello in questione, non soddisfatto neppure in parte, era indice sicuro di un patrimonio che non poteva farvi fronte e, quindi, dello stato di insolvenza della debitrice.

Tanto basta ad escludere che la Corte d'Appello di Venezia, così pronunciando, abbia esorbitato dal proprio ambito di cognizione, invadendo quello riservato alle Commissioni tributarie.

4 - Il primo motivo di ricorso deve essere quindi respinto, e deve conseguentemente dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere dell'istanza di fallimento pronunciata nei confronti della società "M. Oro s.r.l.". Gli ulteriori mezzi di gravame attengono alla competenza delle sezioni semplici, alle quali il processo deve essere rimesso per il prosieguo, ai sensi dell'art. 142, d.att. c.p.c..

 

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il primo motivo di ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; in ordine agli altri motivi rimette gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione alle sezioni semplici.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 14 dicembre 2000. Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2001