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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 04/01/2021 Scarica PDF

La legge di bilancio 2021 non scioglie alcuni dubbi sulla redazione dei bilanci per l'esercizio 2020

Gianfranco Capodaglio, Vanina Stoilova Dangarska, Lauretta Semprini, Gianfranco Capodaglio già professore ordinario di economia aziendale nell'Università di Bologna, dottore commercialista e revisore legale. Vanina Stoilova Dangarska dottore commercialista e revisore legale, phd Università UNWE Sofia


Con l’approvazione della legge di bilancio 2021 è stato prorogato il divieto di licenziamenti collettivi ed individuali, sino a fine marzo 2021, accompagnato dalla corrispondente concessione gratuita della cassa integrazione. L’importanza (ai fini del presente studio) di provvedimenti come questo va osservata nel contesto di tutti quelli in precedenza emanati ed in particolare considerando il contenuto dell’art. 60 del decreto-legge n. 104/2020 convertito dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126. In esso, dopo la disposizione riguardante la possibilità di non iscrivere in bilancio gli ammortamenti, leggiamo che "Tale misura, in relazione all'evoluzione della situazione economica conseguente alla pandemia da SARS-COV-2, può essere estesa agli esercizi successivi con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze". Le due disposizioni hanno in comune il riferimento a periodi successivi al 2020: ciò lascia presumere la volontà del Governo di utilizzare le norme che influenzano, direttamente o indirettamente, la redazione del bilancio come strumento di politica economica, atto a neutralizzare, di volta in volta, gli effetti della crisi su singoli settori economici o categorie di imprese.

Sin dall’inizio i provvedimenti sono stati adottati con la definizione di espressi termini di scadenza, ma successivamente sono stati prorogati, o sostituiti da altri con scadenze protratte.

Indipendentemente da giudizi in merito alle scelte politiche operate in questo periodo di grave crisi, resta il fatto che il bilancio d’esercizio ha subito, temporaneamente, un sostanziale cambiamento di natura e, quindi, di finalità.

Se questo fenomeno si può considerare eccezionale e temporaneo, destinato ad annullarsi in un breve periodo, alla fine del quale il bilancio tornerà ad assumere le funzioni previste dagli articoli 2423 e seguenti del codice civile, occorre, comunque, domandarsi come esso si colloca all’interno della normativa vigente riguardante il bilancio e le interpretazioni fornite dall’Organismo italiano di contabilità. Inoltre, sorge il dubbio che esso possa perdurare almeno sino a che si dovranno subire gli effetti di questa crisi economica mondiale dovuta alla pandemia, la cui durata attualmente non è prevedibile.

Esiste un altro elemento di estrema incertezza: quando finalmente il virus sarà sconfitto – speriamo al più presto possibile – le varie deroghe contenute nei provvedimenti attualmente vigenti potranno essere eliminate? Sembra oggettivamente difficile: le imprese che si saranno avvalse delle nuove disposizioni avranno quasi sicuramente dei bilanci ben lontani dal rappresentare in modo sostanziale la loro situazione patrimoniale e reddituale, a meno che le misure compensative previste nei loro confronti siano effettivamente riuscite a restituire loro l’equilibrio economico. Quest’ultima ipotesi, però, sembra abbastanza remota e probabilmente si verificherà soltanto dopo che il sistema economico generale, sconfitta la pandemia, avrà ripreso, attraverso lo sviluppo del PIL, livelli paragonabili a quelli ante crisi.

Il venir meno delle deroghe alla disciplina del bilancio, quando le condizioni sostanziali di una grande parte delle imprese saranno ancora precarie, potrebbe costituire una catastrofe economica per il sistema Paese, ancor più grave di quella che si sarebbe verificata se tali deroghe non fossero mai state assunte.

Se così sarà, le modifiche alla normativa sui bilanci ora adottate non potranno venir meno nei suddetti termini e, quindi, attualmente non possono considerarsi “di breve periodo”. Infatti, la prassi considera durevoli le condizioni che persistono per oltre 12 mesi[1]. 

Esiste, quindi, la concreta possibilità che la normativa attuale possa considerarsi “durevole”, almeno nel medio periodo[2].

Un’implicita conferma di quanto sopra esposto si può riscontrare nell’art. 1, comma 266 della legge di bilancio 2021. In essa viene sostituito l’art. 6 del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23, convertito, con modificazioni dalla legge 5 giugno 2020, n. 40.

La norma sostituita così disponeva: “1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile”. Essa ha dato origine ad alcune interpretazioni tra loro contrastanti: non è chiaro, infatti, il significato delle parole “le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la […] data” del 31 dicembre 2020. In particolare, sussistono dubbi sul termine “fattispecie”. Il riferimento è ovviamente al dettato degli articoli del codice citati nella norma, che, per quanto riguarda il 2446 e il 2447, così dispongono: art. 2446 “Quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite, gli amministratori o il consiglio di gestione, e nel caso di loro inerzia il collegio sindacale ovvero il consiglio di sorveglianza, devono senza indugio convocare l'assemblea per gli opportuni provvedimenti”. Art. 2447 “Se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce al disotto del minimo stabilito dall'articolo 2327, gli amministratori o il consiglio di gestione e, in caso di loro inerzia, il consiglio di sorveglianza devono senza indugio convocare l'assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo, o la trasformazione della società”. 

Il dubbio riguarda l’aspetto temporale: in particolare, non è chiaro se “la fattispecie” riguarda l’esercizio nel quale la perdita si è prodotta, nel senso dell’esercizio al quale essa si riferisce, oppure la fattispecie è rappresentata dal fatto che gli organi amministrativi della società ne sono venuti a conoscenza.

Un importante contributo ad una corretta interpretazione, che consente di superare l’oggettiva imprecisione riscontrabile nel tenore letterale della norma, è contenuto nella circolare ASSONIME n. 16 del 28 luglio 2020. Essa esamina tre diverse possibili interpretazioni: "La prima è quella secondo cui la fattispecie si verifica alla data cui si riferisce la situazione patrimoniale sottoposta all’assemblea tanto se si identifichi nel bilancio d’esercizio quanto in un bilancio infra-annuale. La seconda è quella secondo cui la fattispecie si verifica alla data in cui l’assemblea è chiamata ad adottare le misure di reazione alla perdita che possono essere la riduzione nominale (ex 2446 c.c.) o la ricapitalizzazione (ex 2447 c.c.). La terza tesi attribuisce alla nozione di fattispecie verificatesi un senso più ampio che comprende entrambi i momenti."

Assonime considera maggiormente fondata l’ultima delle tre tesi, per una serie di motivi, fra i quali emerge quello legato alla ratio della norma, che tende a sterilizzare gli effetti giuridici delle perdite accertate nel periodo in cui si sono manifestati gli effetti economici della pandemia ed intende ovviare alle difficoltà che avrebbero i soci nel reperire i mezzi di finanziamento (in tal senso è molto chiara la relazione illustrativa del decreto). 

Oltre a questa condivisibile motivazione, viene giustamente sottolineato che la disposizione in oggetto appartiene ad un più complesso insieme di misure emergenziali, contenute in più decreti-legge, tutte volte ad assicurare la continuità operativa delle imprese ed a favorire la raccolta di capitali. In questa direzione si muovono le norme in materia concorsuale che mirano a sospendere le dichiarazioni di fallimento ed a rimodulare i termini e le condizioni di esecuzione delle procedure in corso, la sospensione della regola di postergazione del finanziamento soci, la presunzione di continuità aziendale e le misure fiscali per rafforzare la patrimonializzazione delle imprese.

Queste ultime osservazioni confermano la necessità di considerare l’insieme degli interventi normativi emanati in questi ultimi mesi, sia direttamente che indirettamente legati alla redazione del bilancio, in quanto tutti rientranti in un unico obiettivo fissato dal legislatore, che deve essere sempre tenuto presente nell’interpretazione delle singole disposizioni contenute nei vari provvedimenti. Ciò ci consente di meglio interpretare anche le ultime modifiche apportate dalla legge di bilancio 2021, che ha così sostituito l’art. 6 del DL 23/2020:

"266. L'articolo 6 del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23, convertito, con modificazioni dalla legge 5 giugno 2020, n. 40, è sostituito dal seguente:

Art. 6. - (Disposizioni temporanee in materia di riduzione di capitale)

1. Per le perdite emerse nell'esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020 non si applicano gli articoli 2446, secondo e terzo comma, 2447, 2482-bis, quarto, quinto e sesto comma, e 2482-ter del codice civile e non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile.

2. Il termine entro il quale la perdita deve risultare diminuita a meno di un terzo stabilito dagli articoli 2446, secondo comma, e 2482-bis, quarto comma, del codice civile, è posticipato al quinto esercizio successivo; l'assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate.

3. Nelle ipotesi previste dagli articoli 2447 o 2482-ter del codice civile l'assemblea convocata senza indugio dagli amministratori, in alternativa all'immediata riduzione del capitale e al contemporaneo aumento del medesimo a una cifra non inferiore al minimo legale, può deliberare di rinviare tali decisioni alla chiusura dell'esercizio di cui al comma 2. L'assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve procedere alle deliberazioni di cui agli articoli 2447 o 2482-ter del codice civile. Fino alla data di tale assemblea non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile.

4. Le perdite di cui ai commi da 1 a 3 devono essere distintamente indicate nella nota integrativa con specificazione, in appositi prospetti, della loro origine nonché delle movimentazioni intervenute nell'esercizio."

La nuova norma spinge ad approfondire l’interpretazione del precedente art. 6: essa considera ora “le perdite emerse nell'esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020”. La relazione illustrativa non fornisce particolari aiuti in proposito[3].

Quindi, anche in questa nuova formulazione rimangono i dubbi precedentemente rappresentati. A questo proposito riportiamo l’analisi delle conseguenze delle diverse interpretazioni fatta da Assonime sulla base della precedente versione dell’articolo 6: “Seguendo la prima tesi, mentre rientrano nell’ambito di applicazione della sospensione le perdite rilevate con situazioni patrimoniali riferite al 2020, a prescindere da quando si tiene l’assemblea chiamata ad adottare le misure, sono escluse quelle rilevate con il bilancio relativo all’esercizio 2019. Con la seconda tesi, sono comprese tutte le perdite per le quali l’assemblea chiamata ad adottare le relative misure si collochi dal 9 aprile al 31 dicembre 2020, con esclusione di quelle perdite rilevate con il bilancio d’esercizio 2020. Con la terza tesi invece sono comprese tutte le perdite, a partire dalle perdite dell’esercizio 2019 per le quali l’assemblea chiamata ad adottare le relative misure si collochi dal 9 aprile 2020, fino alle perdite rilevate con il bilancio d’esercizio che si chiude al 31 dicembre 2020.”

In ogni caso, con la nuova formulazione dell’articolo 6, non v’è dubbio che le perdite relative all’esercizio 2020 possono usufruire della deroga[4] e questo è in linea con tutti gli altri provvedimenti presi in considerazione; inoltre, ora viene fissato un orizzonte temprale di ben cinque anni.

Allo stato attuale della normativa, le imprese che hanno usufruito delle deroghe previste in merito all’applicazione dei criteri di valutazione previsti dall’art. 2426 e dei presupposti per la continuazione dell’attività aziendale di cui all’art. 2423-bis, ma, malgrado ciò, chiudono il bilancio relativo all’esercizio 2020 con perdite che riducono il capitale al disotto dei limiti previsti dalla legge, possono continuare la loro attività, senza dover procedere a ricapitalizzazioni, né deliberare la liquidazione od il cambiamento di tipo di società, per i successivi cinque anni.

Ciò posto, sembra difficile ipotizzare che, a partire dal primo gennaio 2021, le deroghe previste per la redazione dei bilanci possano non essere prorogate almeno per tutto il 2021: una società che si trovasse nelle condizioni prima ipotizzate, dovrebbe redigere il bilancio 2020 in perdita, indicando in nota integrativa quali sarebbero stati gli effetti sul risultato economico e sul patrimonio netto, se non avesse usufruito delle deroghe. Se queste ultime non fossero più in vigore a partire dal primo gennaio 2021, nel corso dell’esercizio gli organi societari non potrebbero fare a meno di rilevare che, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si è ridotto al disotto del minimo stabilito dall'articolo 2327: ci si domanda se, in questa ipotesi, gli organi societari possano continuare a contare sulla deroga prevista dal suddetto comma 266, dato che, nella sostanza, si tratta sempre delle “perdite emerse nell'esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020”, o se, al contrario, la società si trova in presenza di un evento relativo all’esercizio 2021, come tale non coperto dalla deroga.

In altre parole, la società si potrebbe trovare nella condizione per cui, mentre la perdita che risulta dal bilancio 2020 non comporta la necessità di particolari interventi prima di cinque anni, il venir meno delle possibilità di derogare alle norme previste dagli articoli 2423-bis e 2426 dopo il primo gennaio 2021, potrebbe essere considerato un evento che fa “emergere una perdita” al di fuori dell’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020, con l’obbligo, quindi, di ricapitalizzare la società, o metterla in liquidazione, o cambiarne il tipo[5].

Se il legislatore ha ritenuto che possano essere necessari cinque anni per il riequilibrio di un’impresa in un periodo di crisi come l’attuale, appare contraddittoria l’ipotesi che vengano rimosse, già dal primo di tali esercizi le condizioni che hanno consentito all’impresa di sopravvivere sino al dicembre 2020. È probabile, pertanto, che le deroghe ai principi per la redazione dei bilanci debbano considerarsi “durevoli”, almeno per gli esercizi più prossimi, se non addirittura sino al quinto esercizio successivo.

Un fenomeno analogo a quello appena considerato potrebbe verificarsi a seguito delle disposizioni contenute nell'articolo 5 del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 (Differimento dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14), convertito, con modificazioni dalla legge 5 giugno 2020, n. 40. Esso, infatti, dispone il rinvio dell’entrata in vigore del Codice della crisi. In tal modo, tutte le previsioni del Codice della crisi non ancora vigenti entreranno in vigore a partire dal 1° settembre 2021. Secondo la Fondazione nazionale dei commercialisti[6], che cita la relazione illustrativa al decreto-legge, la disposizione è basata sull’ipotesi che, alla data del 1° settembre 2021, la forte crisi dell’economia legata alla pandemia sarà esaurita e che dunque sarà consentito attuare tutte le misure di potenziamento delle imprese che possano evitare di rendere vano il profondo mutamento di prospettiva imposto dal Codice della crisi medesimo circa la salvaguardia e il risanamento delle imprese in crisi, nella proclamata ottica di intervento tempestivo volto a scongiurare l’insolvenza.

Il documento della Fondazione procede spiegando che “In tale ottica, si rende necessario garantire un corretto funzionamento delle procedure di allerta, finalizzate, come è noto, a consentire l’emersione tempestiva degli indizi di crisi in funzione di prevenzione di una futura insolvenza: tali procedure, fondate sulle segnalazioni degli indizi di crisi, se il Codice della crisi entrasse in vigore il 15 agosto 2020, vedrebbero vanificare il proprio ruolo di individuazione della crisi e di anticipazione dei negativi risvolti. In una situazione in cui l’intero tessuto economico mondiale risulta colpito dalla crisi, come chiarisce la relazione illustrativa, gli indicatori non potrebbero svolgere alcun concreto ruolo selettivo, finendo di fatto per mancare quello che è il proprio obiettivo ed anzi generando effetti potenzialmente sfavorevoli.

In definitiva, una proroga generalizzata dei termini e delle scadenze previste nel Codice della crisi, nonché una proroga per l’applicazione dei nuovi istituti, si rendono quanto mai necessarie a seguito dell’emergenza sanitaria e delle misure contenitive adottate dal Governo per farvi fronte, misure che incidono e rallentano sensibilmente sia il sistema produttivo del Paese, sia l’attività dei professionisti direttamente coinvolti nella gestione della crisi e dell’insolvenza.

Occorre mettere in evidenza che l’articolo 1, comma 2, della legge di conversione del Decreto “Cura Italia” ha abrogato il d.l. n. 9 del 2 marzo 2020, facendo salvi gli atti e i provvedimenti adottati e gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base delle disposizioni ivi contenute. Pertanto, risulta abrogato l’articolo 11 del d.l. n. 9/2020 in forza del quale era stato previsto il differimento al 15 febbraio 2021 dell’operatività delle segnalazioni effettuate ai sensi degli articoli 14, comma secondo, e 15 del Codice della crisi.”

Possiamo osservare che la premessa di tutto il ragionamento di questo importante commento è che “alla data del 1° settembre 2021, la forte crisi dell’economia legata alla pandemia sarà esaurita”.

Questa interpretazione, sicuramente più che giustificata nell’aprile 2020, appare superata, purtroppo, dagli eventi: se la norma non venisse prorogata, ma, soprattutto, se non venissero prorogate le deroghe alle valutazioni di bilancio, le imprese che le hanno adottate si troverebbero a dover rilevare indicatori di crisi “tragici”, che comporterebbero una valanga di ricorsi alle procedure previste dalla legge.

Ciò posto, sembra del tutto improbabile che le deroghe alla normativa del codice sul bilancio possano non essere prorogate almeno per gli esercizi in corso alla data del 31 dicembre 2021.

Se così sarà, occorrerà domandarsi se un bilancio fondato su regole convenzionali d’emergenza potrà continuare ad essere utilizzato come fonte informativa per le varie categorie di utilizzatori, primo fra tutti l’imprenditore.

Possiamo notare un “crescendo” delle deroghe agli articoli del codice civile: possiamo individuare il primo “punto di rottura” nell’art. 7 del decreto 23/2020. Esso, infatti, prevede espressamente la possibilità di valutare comunque nella prospettiva della continuità aziendale le voci dei bilanci degli esercizi 2019 e 2020.

Cosa si debba intendere per tale possibilità è stato tempestivamente chiarito dall’OIC con il documento interpretativo 6: “Se la società si avvale di tale facoltà quel bilancio è redatto applicando tutti i principi contabili in vigore ad eccezione dei paragrafi 23 e 24 dell’OIC 11 e del paragrafo 59 c) dell’OIC 29”.

Per ben comprendere la portata della deroga, è sufficiente notare che il paragrafo 23 prevede che, quando per l’impresa “non vi sono ragionevoli alternative alla cessazione dell’attività […]  la valutazione delle voci di bilancio è pur sempre fatta nella prospettiva della continuazione dell’attività, tenendo peraltro conto, nell’applicazione dei principi di volta in volta rilevanti, del limitato orizzonte temporale residuo”.

Il paragrafo 24 è ancor più esplicito, in quanto precisa che “Quando, ai sensi dell’articolo 2485 del codice civile, viene accertata dagli amministratori una delle cause di scioglimento di cui all’articolo 2484 del codice civile, il bilancio d’esercizio è redatto senza la prospettiva della continuazione dell’attività, e si applicano i criteri di funzionamento, così come previsti al paragrafo 23, tenendo conto dell’ancor più ristretto orizzonte temporale”.

La mancata applicazione dei due paragrafi non può avere altro significato che quello per cui non si deve più fare riferimento al ristretto (o all’ancor più ristretto) orizzonte temporale, anche se a fine esercizio mancano i presupposti per la continuazione dell’attività aziendale; ciò è possibile, addirittura, anche se sono già intervenute le cause di scioglimento della società (che però, come detto, possono essere congelate per i successivi cinque anni).

Non può certamente sfuggire la portata, del tutto innovativa, di quanto sopra, soprattutto con riferimento alla valutazione degli immobilizzi materiali ed immateriali: l’impresa che sa bene di non poter continuare la propria attività oltre un certo limite, può continuare ad ammortizzare le immobilizzazioni secondo i piani costruiti in base alla “residua possibilità di utilizzo” in precedenza stimata; ciò può farlo “comunque”, quindi in deroga a qualsiasi contraria disposizione.

Che questa sia l’unica interpretazione possibile, è confermato dal successivo decreto 34/2020, che, con l’art. 38-quater, meglio spiega la volontà del legislatore, disponendo che “la valutazione delle voci e della prospettiva della continuazione dell'attività di cui all'articolo 2423-bis, primo comma, numero 1), del codice civile è effettuata non tenendo conto delle incertezze e degli effetti derivanti dai fatti successivi alla data di chiusura del bilancio”.

La specificazione “valutazione delle voci e della prospettiva della continuazione”, anziché “la valutazione delle voci nella prospettiva della continuazione”, come previsto nel precedente decreto 23/2020, lascia intendere che la deroga riguarda tutte le valutazioni di bilancio e non soltanto quelle connesse con la previsione della continuità aziendale.

Il legislatore, quindi, già nell’aprile 2020 ha previsto che nei bilanci possano non essere inclusi dei costi effettivamente sostenuti dall’impresa; è chiaro, infatti, che, se non si tiene conto del ridotto orizzonte temporale, si indicheranno in bilancio ammortamenti inferiori a quelli che l’impresa dovrebbe inserire in conto economico, secondo l’effettiva residua possibilità di utilizzazione, come imposto dall’art. 2426. Se così è, siamo sicuri che, a fine esercizio, il valore contabile degl’immobilizzi, per i quali sono stati stanziati ammortamenti ridotti rispetto a quelli calcolati con riferimento alla residua vita utile, è durevolmente inferiore al valore recuperabile tramite l’uso, ma ciò non dovrebbe imporre alcuna svalutazione, in quanto in tal caso la norma non avrebbe alcun effetto, e quindi alcun significato.

Alla luce di quanto sopra, possiamo ritenere che la portata “rivoluzionaria” del decreto 104/2020, che consente di non inserire in bilancio per intero gli ammortamenti di tutti gl’immobilizzi materiali ed immateriali, ha il pregio di eliminare ogni dubbio in merito alla volontà del legislatore, ma non fa altro che ampliare per tutte le fattispecie e per l’intero ammontare il fenomeno (mancata imputazione degli ammortamenti), in parte già stabilito sin dal primo provvedimento di deroga alle norme del codice.

A questo punto, siamo in grado di concludere che il legislatore ha voluto trasformare il bilancio, sinora considerato rappresentativo dei fatti di gestione delle imprese, in uno strumento di politica economica in mano al pubblico potere, atto a modificare le regole del gioco che hanno sinora governato (anche se talvolta molto male) gli equilibri economico finanziari degli operatori.

Sicuramente i fini del legislatore sono buoni ed importanti, dato che mirano alla sopravvivenza delle imprese e delle persone che di esse fanno parte a vario titolo, ma, forse, il mezzo scelto per raggiungere tale obiettivo poteva essere migliore.



[1] Cfr. OIC 11, paragrafo 22.

[2] Gianfranco Capodaglio, Vanina Stoilova Dangarska, Lauretta Semprini, Le norme che regolano il bilancio sono divenute uno strumento di politica economica? Ulteriori considerazioni sul decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni nella legge 13 ottobre 2020, n. 126., IL CASO.it, 4 novembre 2020, Articolo 1011.

[3] (Ulteriori misure a sostegno delle imprese) La disposizione, introdotta alla Camera, sostituisce integralmente l’articolo 6 del decreto-legge n. 23 del 2020, ampliandone l'ambito di applicazione. Il primo comma, che conferma la sostanza del citato articolo 6, disapplica gli obblighi previsti dal codice civile per le società di capitali in relazione alle perdite emerse nell’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020, specificando che non operano le cause di scioglimento delle società di capitali per riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale e delle cooperative per perdita del capitale. Gli ulteriori commi inseriti nell'articolo 6 del decreto-legge n. 23 del 2020 integrano tale previsione specificando che il termine entro il quale la perdita deve risultare diminuita a meno di un terzo non è l’esercizio immediatamente successivo, bensì il quinto esercizio successivo. Inoltre, nelle ipotesi in cui la perdita riduca il capitale sociale al di sotto del minimo legale, l'assemblea è convocata senza indugio dagli amministratori e in alternativa all'immediata riduzione del capitale e al contemporaneo aumento del medesimo a una cifra non inferiore al minimo legale (come previsto ordinariamente), può deliberare di rinviare tali decisioni alla chiusura del quinto esercizio successivo, fino al quale non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale. Le perdite emerse nell'esercizio in corso al 31 dicembre 2020 devono essere distintamente indicate nella nota integrativa con specificazione, in appositi prospetti, della loro origine nonché delle movimentazioni intervenute nell'esercizio.

[4] Una diversa interpretazione, infatti, costringerebbe a considerare la deroga riferita alle perdite relative all’esercizio 2019 “emerse” nel 2020 ed a quelle evidenziate in bilanci infrannuali del 2020, escludendo le perdite sorte nell’esercizio 2020, ma riscontrate successivamente alla chiusura dell’esercizio. Una simile interpretazione non sembra sostenibile.

[5] In realtà, una siffatta ipotesi può verificarsi anche per le società che si sono avvalse della deroga riguardante le valutazioni di bilancio, anche se esso non chiude in perdita: dalla nota integrativa potrebbe risultare che nel caso in cui la deroga non fosse stata adottata, si sarebbe verificata una perdita che avrebbe ridotto il capitale al di sotto dei limiti di legge, con tutte le conseguenze del caso.

[6] Si cfr. Fondazione nazionale dei commercialisti, Documento di ricerca Le disposizioni in materia di società, enti e giustizia secondo aggiornamento, 10 giugno 2020.



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