Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 3649 - pubb. 01/08/2010

Istanza di fallimento del concessionario per debiti d'imposta

Cassazione civile, sez. I, 18 Novembre 2010, n. 23338. Est. Ragonesi.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Apertura (dichiarazione) di fallimento - Iniziativa - In genere - Istanza del concessionario per debiti d'imposta - Previsione di cui all'art. 87 del d.P.R. n. 602 del 1973 - Portata derogatoria o speciale rispetto all'art.6 legge fall. - Esclusione - Conseguenze - Accertamento incidentale del credito da parte del tribunale - Questione di illegittimità costituzionale del fallimento per debiti d'imposta - Manifesta infondatezza.



In tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, l'art.87 del d.P.R. n. 602 del 1973, come modificato dall'art. 3 del d.l. n. 138 del 2002, nel prevedere che il concessionario possa, per conto dell'Agenzia delle entrate, presentare il ricorso ai sensi dell'art. 6 legge fall., non introduce alcuna deroga o disciplina speciale rispetto a tale ultima norma, ma si limita ad individuare, con disposizione processuale, il soggetto legittimato ad agire per conto del titolare del credito; nè l'abrogazione dell'art. 4 legge fall. (in cui era previsto il rinvio al cd. fallimento fiscale) da parte del d.lgs. n. 5 del 2006 produce alcuna efficacia sulla descritta disciplina ordinaria, così come integrata, in quanto già l'art. 97 del d.P.R. n. 602 del 1973 (cui rinviava la norma fallimentare) era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della Corte costituzionale 9 marzo 1992, n. 89 e dunque il secondo comma del medesimo art. 4, che faceva salve le disposizioni di legge speciale sul fallimento per debito d'imposta, era già rimasto privo di contenuto. Ne discende che, da un lato, il predetto art. 6 non contiene una esclusione per particolari categorie di creditori, dovendosi l'opposta interpretazione intendere come lesiva del principio di eguaglianza fra i creditori, di cui all'art.3 Cost., poichè ad uno di essi verrebbe riconosciuto un trattamento deteriore, senza giustificazione, rispetto a quello di tutti gli altri e, dall'altro, che la possibilità per l'amministrazione finanziaria di chiedere il fallimento per debito d'imposta non presenta dubbi di manifesta incostituzionalità, ai sensi dell'art. 24 Cost., dovendo anche il credito tributario, come tutti gli altri, essere delibato incidentalmente dal giudice in ordine alla sua fondatezza, ogni volta che vi sia contestazione. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



Massimario, art. 4 l. fall.

Massimario, art. 6 l. fall.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo - Presidente -
Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. RORDORF Renato - Consigliere -
Dott. ZANICHELLI Vittorio - Consigliere -
Dott. RAGONESI Vittorio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA


sul ricorso proposto da:


CONFEZIONI ALESSANDRA DI MARANGIO LUCIA & C. S.N.C. IN LIQUIDAZIONE (c.f. *00519160758*), in persona del legale rappresentante pro tempore, MARANGIO LUCIA (c.f. *MRNLCU49A48B506G*), MARANGIO LAURA (C.F. *MRNLRA53A53B506C*), nella qualita’ di socie illimitatamente responsabili della predetta societa’, elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO RINASCIMENTO 11, presso la LIBERAL S.R.L., rappresentati e difesi dall’avvocato ORLANDINI GIUSEPPE, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente –


contro

EQUITALIA LECCE S.P.A. (p.i. *02340100755*), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GRECO GIOVANNI, giusta procura in calce al controricorso;

- controricorrente –


contro

CURATELA FALLIMENTO CONFEZIONI ALESSANDRA DI MARANGIO LUCIA & C. S.N.C.;

- intimata –

avverso la sentenza n. 588/2008 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 23/09/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/10/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;
udito, per i ricorrenti, l’Avvocato G. ORLANDINI che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato G. GRECO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico che ha concluso per il rieletto del ricorso.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Equitalia Lecce S.p.A., con ricorso depositato il 15.1.2008, adiva il Tribunale di Lecce, per sentir dichiarare il fallimento della Confezioni Alessandra di Marangio Lucia & C. s.n.c., esponendo che tale societa’ era debitrice della somma di Euro 922.061,14 per imposte, tasse ed accessori (come risultava dagli allegati estratti di ruolo) e che,sebbene fosse in liquidazione dall’anno 2005, non si era in alcun modo attivata per soddisfare i creditori. La societa’ debitrice e i soci illimitatamente responsabili depositavano memoria difensiva, con la quale deducevano l’intervenuta abrogazione del c.d. fallimento fiscale e contestavano la sussistenza dei requisiti di fallibilita’ previsti dalla L. Fall., art. 1, rilevando, in particolare, che l’esposizione debitoria era inferiore alla soglia di Euro 500.000,00, in quanto le cartelle di pagamento in forza delle quali Equitalia procedeva erano state impugnate davanti alla Commissione Tributaria.
Il Tribunale, con sentenza n. 38/2 del 4.4.2008, dichiarava il fallimento della soc. Confezioni Alessandra, chiarendo in motivazione che l’abrogazione del fallimento fiscale non impediva al concessionario di proporre ordinaria istanza di fallimento e che l’impresa era fallibile, in quanto non risultava che l’efficacia esecutiva delle cartelle di pagamento notificate per un importo superiore a Euro 500.000,00 fosse stata sospesa.
La sentenza veniva impugnata dalla soc. Confezioni Alessandra con ricorso depositato il 2.5.2008.
La curatela fallimentare e il creditore istante, costituitisi in giudizio, resistevano al gravame.
La Corte d’appello di Lecce, con sentenza 588/08, rigettava il reclamo. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione la Confezioni Alessandra snc sulla base di tre motivi cui resiste con controricorso l’Equitalia Lecce spa mentre non hanno svolto attivita’ difensiva gli altri intimati.


MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primi due motivi di ricorso la societa’ ricorrente deduce sotto diversi profili la carenza di legittimazione della Equitalia a proporre istanza di fallimento in quanto il c.d. fallimento fiscale, previsto dal previgente L. Fall., art 4, risulta ormai abrogato dal D.Lgs. n. 5 del 2006, cosi’ come il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 87 dovendosi in caso contrario ritenere la sussistenza della violazione dell’art. 24 Cost..
Con il terzo motivo di ricorso la societa’ ricorrente contesta la sussistenza del requisito di fallibilita’ costituito dalla esistenza di debiti non scaduti superiori a Euro 500mila/00.
I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente e gli stessi si rivelano infondati stante la assoluta correttezza giuridica della motivazione della Corte d’appello.
Mette appena conto ripetere che l’intervenuta abrogazione della L. Fall., art 4 ad opera del D.Lgs. n. 5 del 2006 non investe in alcun modo la questione del c.d. fallimento fiscale.
Quest’ultimo era previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 97, comma 3 che prevedeva che il fallimento potesse essere dichiarato sulla semplice istanza dell’Intendenza di Finanza per la morosita’ di una rata o di piu’ rate d’imposta d’importo superiore a L. 500 mila purche’ iscritte a ruolo e nonostante la pendenza innanzi alle Commissioni tributarie, senza che il tribunale dovesse accertare l’esistenza dello stato d’insolvenza ne’ sentire le parti o accordare dilazioni.
Come e’ noto, tale norma e’ stata dichiarata incostituzionale con sentenza n. 89 del 1992 dal Giudice delle leggi e successivamente espressamente abrogata dal D.Lgs. n. 471 del 1997.
Per effetto dell’abrogazione del D.P.R. n. 602 del 1972, art. 97, comma 3 , era rimasto privo di contenuto anche il comma 2 dell’ora abrogato L. Fall., art. 4 che stabiliva che "sono salve le disposizioni delle leggi speciali circa la dichiarazione di fallimento del contribuente per debito d’imposta" e che era la norma che consentiva l’eccezione di cui all’esaminato art. 97 del citato D.P.R..
Successivamente, il D.L. n. 138 del 2002, art. 3 ha riformulato il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 87 prevedendo che "il concessionario puo’, per conto dell’Agenzia delle entrate presentare il ricorso di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 6".
Tale norma non riveste invero alcun carattere speciale o derogatorio rispetto alla normativa in materia fallimentare in quanto si basa sul presupposto che l’Amministrazione finanziaria possa, come ogni altro soggetto creditore, depositare la propria istanza di fallimento per crediti d’imposta del debitore che puo’ essere dichiarato fallito solo dopo che il credito dell’Amministrazione sia stato vagliato alla stregua di tutti quanti gli altri crediti e sia stato accertato lo stato d’insolvenza del debitore.
In base a detto presupposto , la norma contiene semplicemente una disposizione di carattere processuale con cui individua nel concessionario il soggetto legittimato ad agire per conto dell’Agenzia delle entrate titolare del credito.
Alla luce di tali considerazioni le censure del ricorrente appaiono prive di ogni fondamento.
L. Fall., art. 6 risultante dalla recente novellazione prevede infatti che "il fallimento e’ dichiarato su ricorso del debitore, di uno o piu’ creditori o su richiesta del pubblico ministero". La norma non stabilisce alcuna esclusione per particolari categorie di creditori. Ne consegue che ogni creditore, e, quindi, anche l’Amministrazione finanziaria, in quanto titolare di un credito d’imposta, puo’ presentare istanza di fallimento verso un proprio debitore. Il D.P.R. n. 602 del 1972, art. 87 non costituisce, dunque, nessuna deroga ne’ riveste carattere di specialita’ rispetto alla l. Fall., art 6 ma ne rappresenta piena e rispettosa applicazione limitandosi a determinare il soggetto legittimato a far valere l’istanza per conto dell’Amministrazione. Ne consegue che su di esso nessuna influenza puo’ avere l’abrogazione della L. Fall., art. 4 da parte del D.Lgs. n. 5 del 2006, come e’, del resto, chiarito dalla stessa relazione ministeriale, ove si afferma che l’abrogazione della L. Fall., art. 4, comma 2, e’ conseguenza dell’abrogazione del D.P.R. n. 602 del 1972, art. 97,comma 3, senza, peraltro, che venga fatto riferimento ad altre norme ed in particolare all’art. 87 dello stesso D.P.R. come novellato dal D.L. n. 138 del 2002.
Contrariamente, poi, a quanto sostenuto dal ricorrente la possibilita’ per l’Amministrazione di chiedere il fallimento del debitore d’imposta non presenta alcun manifesto profilo d’incostituzionalita’ perche’ - come correttamente esaminato dalla Corte d’appello - il credito tributario e’ in tutto equiparabile agli altri e nessuna violazione dell’art. 24 Cost. e’, quindi, ipotizzabile, perche’ il credito in questione e’ suscettibile di una delibazione incidentale in ordine alla sua fondatezza, in caso di ricorso alle Commissioni tributarie (la cui decisione rimane impregiudicata), da parte del giudice della procedura prefallimentare alla stregua di tutti gli altri crediti contestati, senza quindi che vi sia una violazione del diritto di difesa.
A tale proposito e’ appena il caso di rammentare che l’accertamento incidentale in sede prefallimentare circa l’esistenza o meno del credito e’ privo di ogni attitudine al giudicato, tanto e’ vero che il creditore istante puo’ chiederne l’ammissione al passivo e questa puo’ essergli rigettata anche nel caso in cui il giudice prefallimentare abbia ritenuto sussistere il credito, ovvero, in caso di rigetto dell’istanza di fallimento perche’ il credito e’ stato ritenuto insussistente, il creditore potra’ farlo valere in giudizio innanzi al giudice ordinario. (arg. ex Cass. 21834/09). Nel caso di specie, va, inoltre osservato che la Corte d’appello ha effettuato una circostanziata delibazione del credito esattoriale tramite un analitico esame delle singole cartelle, in conseguenza della quale e’ stata esclusa una parte del credito fatto valere da Equitalia per un importo pari a Euro 297.159,00.
Al contrario, l’interpretazione normativa proposta dal ricorrente, tendente ad escludere la possibilita’ per l’Amministrazione finanziaria di presentare istanza di fallimento, presenterebbe consistenti sospetti di violazione dell’art. 3 Cost., proprio perche’ ad un creditore verrebbe riconosciuto un trattamento deteriore rispetto a quello di tutti gli altri senza alcuna adeguata giustificazione.
Basti pensare al caso del tutto frequente di un credito d’imposta il cui accertamento sia ormai divenuto definitivo, e quindi non piu’ soggetto a contestazione, che l’Amministrazione finanziaria non potrebbe a differenza di tutti gli altri creditori - azionare per chiedere il fallimento del debitore.
I due motivi vanno pertanto respinti.
Il terzo motivo e’ inammissibile.
Il ricorrente sostiene che nel caso di specie non si sarebbe raggiunto il limite di fallibilita’ costituito da un debito superiore a 500mila/00 Euro. Deduce a tale proposito che le cartelle esattoriali notificate dalla Equitalia recavano l’ammontare complessivo di Euro 723.524,19 mentre la somma richiesta con l’istanza di fallimento era di Euro 922.061,14 con una maggiorazione di Euro 198.536,95 per interessi che non sarebbe dovuta. Pertanto, detratte dalla somma riportata nell’istanza la predetta somma a titolo di interessi e la ulteriore somma di Euro 297.159,00, gia’ esclusa dalla Corte d’appello, il debito risulterebbe inferiore ad Euro 500.000,00 e sarebbe, cioe’, al di sotto della soglia di fallibilita’. Invero nella motivazione della Corte d’appello, che ha esaminato e dato conto di tutte le doglianze avanzate dal ricorrente, non si rinviene alcun riferimento specifico alla questione degli interessi, essendosi la Corte limitata ad affermare che la reclamante, cui incombeva l’onere probatorio, non aveva fornito la prova, tramite la produzione di tutte le cartelle esattoriali menzionate nell’estratto di ruolo, che le stesse ammontavano a Euro 723.525,19, come sostenuto nel reclamo, anziche’ a Euro 922.061,14, come risultante dall’estratto del ruolo.
In particolare, la Corte d’appello ha osservato che la reclamante aveva prodotto solo le 10 cartelle per le quali aveva proposto ricorso innanzi alle Commissioni tributarie e che dette cartelle ammontavano a L. 450.051,00 onde era onere della reclamante provare che l’importo complessivo dovuto non ammontava ad Euro 922.061,14 come documentato dall’Esattoria ma ad un importo inferiore. La societa’ ricorrente non impugna in modo adeguato siffatta "ratio decidendi".
Non contesta, infatti, che non erano state depositate tutte le cartelle elencate nell’estratto di ruolo ma afferma, come risulta dalla sinterizzazione contenuta nel quesito, che la non debenza della somma di Euro 198.536,95 asseritamente dovuta a titolo di interessi risultava dal confronto tra l’estratto di ruolo e le cartelle esattoriali prodotte.
La ricorrente pero’ omette ogni argomentazione esplicativa in proposito non effettuando essa stessa il raffronto ed il calcolo ma demandando siffatto compito a questa Corte alla quale ha chiesto di effettuare il confronto della documentazione in atti, omettendo pero’ di considerare che al giudice di legittimita’ e’ inibito ogni accertamento in fatto e valutazione di merito, essendo tenuto solo a verificare un vizio od un errore motivazionale sulla base di specifiche censure mosse dal chi propone il ricorso che e’ tenuto non solo a censurare i passi della motivazione ma anche ad evidenziare in che cosa consiste l’errore o l’insufficienza della motivazione stessa proponendo quella che - a sua opinione - dovrebbe essere la corretta valutazione. La censura non puo’ pertanto trovare ingresso in questa sede di legittimita’.
Palesemente infondata e’ inoltre la ulteriore doglianza secondo la quale la Corte d’appello avrebbe dovuto avvalersi dei poteri istruttori d’ufficio previsti dalla L. Fall., art. 18. L’esercizio di tale potere, in fatti, stante il suo carattere discrezionale, puo’ essere sindacato in sede di legittimita’ solo sotto il profilo di un vizio di motivazione a condizione che la parte alleghi di avere nel giudizio di merito espressamente e specificamente richiesto l’intervento officioso, posto che, ai fini non sovrapporre la volonta’ del giudicante a quella delle parti in conflitto di interessi e non valicare il limite obbligato della terzieta’, e’ necessario che l’esplicazione dei poteri istruttori del giudice venga specificamente sollecitata dalla parte con riguardo alla richiesta di una integrazione probatoria qualificata. (Cass. 7119/02; Cass. 16507/08).
Tale allegazione manca del tutto nel presente giudizio onde tale censura e’ inammissibile.
Va aggiunto, infine, che l’ulteriore censura relativa alla mancata indicazione del responsabile del procedimento nelle cartelle esattoriali e’ stata correttamente rigettata dalla Corte d’appello essendo tale obbligo espressamente escluso dal D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4 ter, per le cartelle di pagamento, come quelle di specie, relative a ruoli consegnati agli agenti di riscossione antecedentemente al 1 giugno 2008 (v. C. Cost. n. 58/09). Il ricorso va in conclusione respinto.
La peculiarita’ e la novita’ della questione trattata giustificano la compensazione delle spese.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 08 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2010