Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26879 - pubb. 11/01/2021

Comunicazione dell'esecutività del piano finale di riparto

Cassazione civile, sez. I, 15 Febbraio 1996, n. 1140. Pres. Lipari. Est. Bibolini.


Comunicazione di un provvedimento ai fini dell'impugnazione - Fatti equipollenti alla comunicazione - Nozione - Elementi - Fattispecie in tema di fallimento relativa alla comunicazione del piano finale di riporto



La comunicazione degli atti processuali è regolata dall'art. 136 cod. proc. civ. e dall'art. 45 disp. att. stesso codice e non può essere sostituita, ai fini della decorrenza del termine d'impugnazione, dalla conoscenza di fatto del provvedimento; essa, tuttavia, ammette equipollenti in forma diversa dalle modalità disciplinate dal codice di rito, purché pervenga da organo a ciò abilitato ed abbia raggiunto lo scopo di assicurare la certezza in ordine all'informazione della parte circa l'esistenza ed il contenuto del provvedimento ed in ordine alla data di tale conoscenza (riaffermando tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito, che, in materia fallimentare, può considerarsi equipollente alla comunicazione dell'esecutività del piano finale di riparto l'invio al creditore, da parte del curatore, di una raccomandata contenente il progetto finale di riparto e l'assegno di pagamento, con conseguente formazione del giudicato endofallimentare sull'indicata esecutività. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I

 

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Nicola LIPARI Presidente

" Gian Carlo BIBOLINI Rel. Consigliere

" Alberto PIGNATARO "

" Ugo Riccardo PANEBIANCO "

" Luigi ROVELLI "

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA DELLO STATO, in persona del Ministro in carica, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato nei cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata per legge.

Ricorrente

contro

1) CURATELA DEL FALLIMENTO DELLA S.N.C. C.I.M.E.T. di Dallari Laura e di Tozzetti Ugo nonché del FALLIMENTO PERSONALE DEI SOCI, in persona del curatore;

2) DALLARI LAURA;

3) S.N.C. C.I.M.E.T. di Dallari Laura e del fu Tozzetti Ugo;

Intimati

avverso il decreto pronunciato su reclamo ex art. 26 L.F. dalla Corte d'Appello di Bologna in data 6 giugno 1992;

udita la relazione del consigliere Gian Carlo Bibolini;

sentito il P.M. Dott. Vincenzo Maccarone il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;

 

FATTO

Con diverse e successive istanze ex art. 101 L.F., l'Ufficio I.V.A. di Modena aveva chiesto l'ammissione al passivo del fallimento della s.n.c. C.I.M.E.T., e dei soci illimitatamente responsabili, di diversi importi a titolo di imposte e di sanzioni.

Le domande avevano ottenuto un accoglimento solo parziale, per cui l'Amministrazione Pubblica aveva proposto successivi appelli e, contro l'esito negativo dell'azione di gravame, ricorsi per cassazione.

Pendenti i ricorsi in sede di legittinità, l'Amministrazione fallimentare e l'Amministrazione finanziaria, previa autorizzazione del tribunale, addivenivano ad una convenzione per l'ammissione di ulteriori importi in contestazione.

Essendosi verificata la chiusura del fallimento per ripartizione finale dell'attivo con decreto 23-24 febbraio 1992 senza la soddisfazione integrale dei crediti dell'Amministrazione Finanziaria ammessi, il Ministero delle finanze, con atto depositato l'11 febbraio 1992, proponeva reclamo chiedendo la revoca della chiusura del fallimento.

Sosteneva il reclamante che nel progetto di ripartizione finale erano stati evidenziati i crediti derivanti dalla convenzione transattiva cennata, ma non i crediti che erano stati regolarmente ammessi al passivo nei vari parziali accoglimenti delle varie istanze ex art. 101 L.F.; lamentava, inoltre, l'Amministrazione Finanziaria, che ad essa non era stata data comunicazione ne' del deposito del progetto finale di riparto, ai fini delle eventuali osservazioni, ne' dell'esecutività del piano di ripartizione, per cui essa poteva solo rendere oggetto di reclamo il decreto di chiusura del fallimento per potere, riaperta la procedura, fare valere le ragioni pretermesse. Sul reclamo provvedeva la Corte d'Appello di Bologna la quale rilevava che, pur non essendo stata data alla creditrice comunicazione ne' del deposito del progetto di riparto finale, ne' del decreto di esecutività, tuttavia il curatore aveva dato comunicazione a tutti i creditori del progetto di riparto finale, con raccomandata contenente l'assegno di pagamento.

Riteneva la Corte del merito che detta raccomandata costituisse l'equipollente della formale comunicazione dell'esecutività del piano finale di riparto, per cui dalla data di ricezione di detta raccomandata correvano i termini per proporre reclamo. Essendo scaduto inutilmente il termine, era inutile provvedere alla riapertura del fallimento (mancanza di interesse) in quanto sull'esecutività del piano di riparto si era comunque formato un giudicato endofallimentare.

Avverso il decreto ora indicato, proponeva ricorso per cassazione l'Amministrazione Finanziaria dello Stato sulla base di due motivi;

non svolgevano attività processuale gli intimati.

 

DIRITTO

I )

Con il primo mezzo di cassazione la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 739 c.p.c. in relazione all'art. 136 cpc, 110, 26 e 119 L.F., 10 c.p.c.. Richiamata l'evoluzione giurisprudenziale (pronunce sia della Corte Costituzionale sia della Corte di Cassazione), la ricorrente ribadisce il principio che, sia del deposito del progetto di ripartizione finale, sia del decreto di esecutività dello stesso, deve essere data comunicazione ai creditori, nelle forme dell'art.136 c.p.c.; sostiene, inoltre, che detta comunicazione, dalla cui omissione deriva la lesione di diritti soggettivi, non ammette equipollenti.

II )

Con il secondo motivo di ricorso, l'Amministrazione Finanziaria deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 136 c.p.c. in relazione all'art. 10 dello stesso codice, oltre a difetto di motivazione.

Sostiene la ricorrente che, anche anche ammettendo la possibilità di equipollenti per la comunicazione, tale non poteva ritenersi la raccomandata inviata dal curatore per una serie di ragioni e, in particolare:

a) perché l'equipollente può essere solo un atto che veda la partecipazione del cancelliere al suo compimento;

b) perché l'equipollenza non derivava dal contenuto della lettera del curatore, non implicando un'informazione certa dell'esistenza del contenuto del provvedimento comunicato. Infatti nella lettera si faceva riferimento al progetto del piano finale del riparto, ma non alla già avvenuta esecutività dello stesso. Nè può sostenersi che l'avvenuta esecutività derivava dal contestuale pagamento, ben potendovi essere pagamenti parziali prima dell'esecuzione del progetto finale.

È opportuna la trattazione congiunta dei due mezzi di cassazione, che espongono un'unica, ancorché articolata, doglianza. Secondo la traccia logica segnata dalla Corte d'Appello di Bologna, l'interesse della ricorrente a proporre reclamo nel caso di specie avverso il decreto di chiusura del fallimento, sussiste, o non, a seconda che sulla ripartizione finale dell'attivo si sia realizzato una preclusione endofallimentare.

La ricorrente accetta detta impostazione di fondo, e svolge la doglianza nel senso dell'insussistenza della preclusione, per mancato rispetto delle modalità procedurali attinenti all'esecutività del progetto di riparto finale ed alla sua perdurante, o non, impugnabilità con reclamo.

Tanto premesso, si rileva che dopo i vari interventi della Corte Costituzionale in ordine all'art. 26 L.F., sopratutto quando il decreto reclamato incida su diritti soggettivi, quali sono le situazioni inerenti al progetto di ripartizione fallimentare (Corte Cost. sent. 23 marzo 1981 n. 42; 22 novembre 1985 n. 303; 24 giugno 1986 n. 150), e la decisione della Corte di Cassazione a S.U. 9 aprile 1984 n. 2255, cui si sono uniformate le ulteriori pronunce di questa corte Suprema, il procedimento del reclamo rimane regolato dalla disciplina degli artt. 737-742 c.p.c. sui procedimenti camerali, secondo le seguenti cadenze:

a) il termine per proporre reclamo è di dieci giorni;

b) detto termine decorre dalla comunicazione, alle parti direttamente interessate, del decreto oggetto di impugnativa;

c) il giudice del reclamo è tenuto a rispettare il principio del contraddittorio, convocando in camera di consiglio le parti. Puntualizzando il rilievo sulla "comunicazione", essa è regolata, quale "lex generalis" dall'art. 136 C.p.c. e 45 disp. att. c.p.c.;

non può essere sostituita, ai fini della decorrenza del termine, dalla conoscenza di fatto del provvedimento; essa ammette equipollenti in forma diversa dalle modalità disciplinate dal codice di rito, purché la comunicazione, comunque eseguita, provenga da organo a ciò abilitato il cancelliere secondo il codice di rito) ed abbia raggiunto lo scopo di assicurare la certezza in ordine all'informazione della parte circa l'esistenza ed il contenuto del provvedimento ed in ordine alla data di tale conoscenza (Cass. n. 5230- 94; 2389- 80; 19 marzo 1979 n. 1606; 18 marzo 1975 n. 1051). Valutando, pertanto, se l'informazione data dalla curatela all'attuale ricorrente abbia carattere di equipollenza rispetto alla dovuta comunicazione, occorre in primo luogo prendere in esame la funzione dell'organo dal quale essa pervenne.

Ed invero, se nell'ambito del codice di rito l'organo unico delle comunicazioni è il cancelliere, per cui le forme equipollenti a quelle specificamente previste dall'art. 136 c.p.c. e 45 disp. att. c.p.c., debbono pur sempre provenire da detto organo, nell'ambito della procedura fallimentare è individuabile altro organo nella cui competenza rientra la funzione di dare comunicazioni. Si tratta del curatore che è, per espressa enunciazione di legge (art. 30 L.F.) pubblico ufficiale per quanto attiene all'esercizio delle sue funzioni.

Nelle funzioni della curatela, in tale veste qualificata, rientra quella dl dare comunicazioni alle parti interessate, anche ai fini della decorrenza di termini per impugnazioni.

Null'altro che una comunicazione, infatti, è la notizia che, a norma dell'art. 97 comma 3 L.F., il curatore deve dare, secondo il dato testuale originario dell'articolo, ai creditori esclusi o ammessi con riserva; notizia che, secondo la disciplina derivata dalla pronuncia della Corte Costituzionale 2 dicembre 1980 n. 155, deve essere data a tutti i creditori che abbiano proposto domanda di ammissione al passivo e dalla quale decorre il termine per proporre l'opposizione allo stato passivo ex art. 98 lf.

Identicamente, secondo l'interpretazione prevalente e la normale prassi dei giudici delegati, l'"avviso" ai creditori disposto dall'art. 1102 L.F. è fatto ad opera del curatore fallimentare e dall'avviso decorre il termine consentito ai creditori per fare pervenire le osservazioni al piano di riparto.

Se, quindi, il curatore è pubblico ufficiale nella cui competenza rientra anche il potere di dare vere e proprie comunicazioni ai creditori, tra gli equipollenti delle comunicazioni da parte del cancelliere debbono comprendersi atti della stessa natura eseguiti dal curatore fallimentare.

Nè può sostenersi che, nel caso concreto, la notizia data non aveva la caratteristica di portare a conoscenza del creditore il fatto essenziale (il deposito del piano di riparto definitiva). Basti rilevare che, secondo le stesse deduzioni del ricorrente, nella lettera inviata dalla curatela vi era il riferimento al "progetto del piano finale di riparto dell'attivo del 4-12-1991 modificato il 12.12.91" ed alla lettera era allegato l'assegno di pagamento, il cui significato inequivoco di esecuzione del piano di riparto finale escludeva ogni dubbio sul fatto che il pagamento non fosse attinente allo stesso progetto di cui costituiva esecuzione, posto che un diverso pagamento del creditore ammesso al passivo avrebbe potuto essere relativo solo ad un progetto di riparto parziale che esulava dalla fattispecie e dalla comunicazione data.

Appare esatta, in definitiva, la decisione della Corte del merito, secondo cui l'Amministrazione Finanziaria, essendo decaduta dalla possibilità di proporre opposizione al progetto di riparto, era privata dell'interesse ad opporsi alla chiusura del fallimento. Conseguente è il rigetto del ricorso.

La mancanza di attività processuale, in grado di legittimità, da parte della curatela fallimentare, preclude ogni pronuncia sulle spese.

 

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso; nulla per le spese del giudizio di legittimità.

Roma 14 novembre 1995.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 15 FEBBRAIO 1996