Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19215 - pubb. 11/01/2018

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Cassazione civile, sez. I, 04 Dicembre 1991, n. 12999. Est. De Musis.


Fallimento - Passività fallimentari (accertamento del passivo) - Ammissione al passivo - Dichiarazioni tardive - Cessione di un credito già ammesso al passivo fallimentare - Notificazione al fallimento dopo la formazione dello Stato passivo e prima della redazione del piano di reparto - Efficacia della cessione nei confronti del fallimento - Condizioni - Insinuazione tardiva - Necessità- Pretesa del creditore cessionario di partecipare alle ripartizioni dell'attivo senza aver effettuato l'insinuazione tardiva - Provvedimento di rigetto del giudice delegato - Decreto confermativo del tribunale - Ricorso per cassazione ex art. 3 Cost. - Inammissibilità



La cessione di un credito già ammesso al passivo fallimentare, notificata al fallimento dopo la formazione dello stato passivo e prima della redazione del piano di riparto, può essere fatta valere nei confronti del fallimento stesso solo attraverso l'insinuazione tardiva, ai sensi dell'art. 101 del R.D. 16 febbraio 1942 n. 267, non essendo sufficiente la mera notificazione e dovendosi provvedere al controllo, da parte del giudice fallimentare, dell'effettività (non della validità) della cessione e dell'insussistenza di cause preclusive del credito, rispetto al fallimento, in relazione al suo nuovo titolare, con la conseguenza - in considerazione dell'esperibilità di questa diversa forma di tutela - che non è ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso il decreto del tribunale confermativo del provvedimento del giudice delegato, con il quale sia stata respinta la pretesa del creditore cessionario di partecipare alle ripartizioni dell'attivo senza avere prima provveduto alla insinuazione suddetta. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I


Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Alessandro FALCONE Presidente

" Alfredo ROCCHI Consigliere

" Rosario DE MUSIS Rel. "

" Ernesto LUPO "

" Giuseppe M. BERRUTI "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

SRL MICO, con sede in Milano, in persona dell'amm.re unico p.t., elett. dom.ta in Roma, Via Ostiense 6-E c-o Avv. Giuseppe Marcone, rappres.ta e difesa dall'Avv. Gianni Masotti, giusta delega in calce al ricorso.

Ricorrente

contro

FALL. ALBERTI ADOLFO E FIGLI, in persona del curatore Renato Silva.

Intimato

Avverso il decreto del Tribunale di Monza - Sez. Fall.ti - emesso il 16.2.87.

Udita nella pubblica udienza, tenutasi il giorno 26.10.90, la relazione della causa, svolta dal Cons. Rel. De Musis. Sono presenti per il ric. l'Avv. D'Innocenzo (delega); per il res. l'Avv. Alberti.

Udito il P.M., nella persona del Sost. Proc. Gen. Dr. Ezio Romagnoli che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 16.2.1987 il Tribunale di Monza confermava il provvedimento, con il quale il giudice delegato al fallimento "Alberti Adolfo e figli s.d.f." aveva respinto il reclamo avverso la nota con cui il curatore aveva comunicato alla s.r.l. "MICO", la quale aveva notificato al fallimento, dopo la formazione dello stato passivo e prima della redazione del piano di riparto, la avvenuta cessione, a di lei favore, di un credito già ammesso al passivo, che tale cessione avrebbe potuto essere fatta valere solo attraverso la insinuazione tardiva di credito, ai sensi dell'art. 101 del R.D. 16.2.1942 n. 267. Affermava il tribunale: che la cessione, importando la sostituzione del creditore, impone una nuova verifica - della titolarità e quindi - del credito poiché, in mancanza di deroga normativa, deve trovare applicazione il principio, fissato nell'art. 52 del citato decreto, secondo il quale "ogni credito...deve essere accertato secondo le norme stabilite nel capo V..."; che l'esclusione della verifica importerebbe - illegittimamente - la inclusione, nel piano di riparto, di un creditore non compreso nello stato passivo, e ciò, peraltro, senza contraddittorio con il creditore (cedente) originario, il quale, inserito nello stato passivo, risulterebbe poi estromesso dal piano di riparto; che la (stessa) cessione del (medesimo) credito non può, solo perché successiva alla formazione dello stato passivo, essere esclusa da quella (stessa) verifica, alla quale essa è invece (certamente) assoggettata allorché è anteriore a quella formazione.

Ha proposto ricorso per cassazione la soccombente; il fallimento si è costituito mediante deposito della (sola) procura.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Pregiudiziale è l'accertamento della ammissibilità del ricorso, che è stato proposto ai sensi dell'art. 111, secondo comma, della costituzione. Costituisce orientamento costante di questa corte che tale ricorso è ammesso allorché il provvedimento impugnato abbia risolto una controversia su diritti soggettivi (o "status") con carattere di decisorietà (e cioè in forma giurisdizionale) e non sia ne' suscettibile di diversa impugnazione ne' modificabile o revocabile. Il provvedimento impugnato ha statuito che il cessionario di un credito già ammesso al passivo può farlo valere non mediante la mera notificazione della cessione al fallimento, ma soltanto mediante la insinuazione tardiva.

Esso, pertanto, non sarebbe suscettibile dell'indicato ricorso, secondo il riportato orientamento, poiché la tutelabilità del credito con un'azione diversa da quella invece esperita escluderebbe:

a) che sia stata risolta una controversia: perché il giudice non si è pronunziato sul diritto (nel senso che il mero riscontro di una situazione processuale ostativa dell'esame della pretesa creditoria esclude la ricorribilità in cassazione del relativo provvedimento: cass., 2.6.1989 n. 2681);

b) che sia stato emesso un provvedimento decisorio: perché il giudice ha negato di poterlo emettere (sul punto cass., 28.1.1986 n. 545);

c) che la tutela del credito sia preclusa definitivamente: perché il giudice ha affermato che esso va diversamente azionato.

Se quest'ultima proposizione fosse inesatta giuridicamente, però, il provvedimento, anche se privo del carattere di decisorietà di una controversia, finirebbe con l'incidere, in maniera definitiva, sul diritto, perché precluderebbe la tutela che l'ordinamento ad esso assegna.

L'ammissibilità del proposto ricorso, pertanto, consegue solo all'accertamento dell'insussistenza di altra forma di tutela del diritto, tesi, questa sostenuta dalla ricorrente, la quale, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 14 delle disposizioni sulla legge in generale, 1264 c.c., 52, 95 e 101 del R.D. 16.3.1942 n. 267, con cinque motivi deduce: che l'efficacia della cessione è regolata esaustivamente dalle norme di carattere sostanziale contenute nel codice civile; che pertanto essa efficacia, in difetto di diverse specifiche disposizioni, non rinvenibili, non abbisogna, per essere realizzata, del ricorso alla procedura fallimentare; che il principio della necessarietà della verifica fallimentare si riferisce ai crediti anteriori al fallimento e non a quelli successivi ad esso; che in sede di insinuazione tardiva il giudice non potrebbe mutare lo stato passivo relativamente ad un credito già ammesso e poi ceduto poiché tale provvedimento non è compreso in quelli - ammissione, non ammissione (totale o parziale), ammissione con riserva - che l'art. 95 della legge fallimentare consente di emettere; che, comunque, in sede di verifica non sarebbe consentito esaminare la validità della cessione.

L'efficacia sostanziale di questa, consistente nel trasferimento del credito (art. 1260 c.c.) per effetto del consenso delle parti (art. 1376 c.c.) si realizza anche nei confronti del debitore ceduto quando la cessione è stata da costui accettata o gli è stata notificata (art. 1264 c.c.): da tale momento egli non può opporre al cessionario il pagamento del credito effettuato al cedente, il che importa che il cessionario ha diritto di esigere il credito dal debitore anche se costui lo ha già pagato (dopo l'indicato momento) al cedente.

Ora nella specie non è in discussione l'effetto sostanziale della cessione - e cioè che dopo la notificazione di questa il debitore sia obbligato solo verso il cessionario - ma la azionabilità di quell'effetto in sede fallimentare.

In questa tutti i crediti devono essere fatti valere attraverso le procedure specificamente previste.

Occorre pertanto accertare se a tale disciplina sia sottratta la tutela del credito ceduto sul rilievo che questo era stato già assoggettato a verifica in sede di insinuazione al passivo. Poiché la inserzione del credito nello stato passivo è l'unico titolo che legittimi il creditore a partecipare alla ripartizione (Cass., 29.7.1985 n. 4378) e poiché credito è quello che in concreto spetta ad un determinato soggetto, la individuazione di costui è necessaria per la ammissione del credito al passivo e, conseguentemente, ogni mutamento del titolare del credito impone la modificazione dello stato passivo.

E se, a quest'ultimo fine, non può più essere oggetto di verifica il credito del cedente, poiché la tutela richiesta si basa sulla rilevazione che quel credito, già (e come) accertato con la sua inserzione nello stato passivo, è stato trasferito ad altro soggetto, che ne è quindi divenuto titolare, occorre però il controllo della effettività (non della validità) della cessione e della insussistenza di cause preclusive del credito, nei confronti del fallimento, in relazione al nuovo titolare.

E siffatta verifica non può che essere effettuata dal giudice fallimentare - al quale soltanto spetta il potere di formazione e di modifica dello stato passivo - e quindi nelle apposite forme. Nella specie, pertanto, in cui erano decorsi i termini previsti dagli artt. 98 e 100 della legge fallimentare rispettivamente per la opposizione dei creditori esclusi o ammessi con riserva e per la impugnazione dei crediti ammessi, la tutela del credito, già ammesso al passivo e poi ceduto, poteva essere richiesta dal cessionario non con la mera notificazione al fallimento della cessione, ma mediante la insinuazione tardiva, ai sensi dell'art. 101 della legge fallimentare.

Consegue da quanto sopra la inammissibilità del proposto ricorso. La novità della questione consiglia la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese processuali. Così deciso il 26.10.1990