Persone e Misure di Protezione


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 14165 - pubb. 12/02/2016

Responsabilità civile dell’incapace nel processo penale

Corte Costituzionale, 29 Gennaio 2016, n. 12. Est. Frigo.


Processo penale - Decisione sulle questioni civili - Condanna per la responsabilità civile - Possibilità per il giudice di decidere sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, proposta a norma degli artt. 74 e ss. cod. proc. pen., anche quando pronuncia l'assoluzione dell'imputato in quanto non imputabile per essere, nel momento in cui ha commesso il fatto, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di volere



L’accertamento che l’imputato è persona non imputabile, in quanto incapace di intendere o di volere al momento del fatto per vizio totale di mente, esclude la sua punibilità (artt. 85 e 88 del codice penale) e conseguentemente impone la pronuncia di una sentenza di assoluzione (art. 530, comma 1, cod. proc. pen.). Detta sentenza non si trasforma, eo ipso, in una pronuncia di condanna per il solo fatto che, con essa, sia eventualmente applicata all’imputato una misura di sicurezza personale. Nell’ambito dell’ordinamento penale, il concetto di «condanna» designa, infatti, unicamente il provvedimento che applica una pena, e non anche quello che dispone misure di sicurezza personali, le quali operano su un piano distinto, essendo finalizzate unicamente a contenere la pericolosità sociale dell’interessato. Di conseguenza, resta inibito al giudice penale – in forza della norma censurata – adottare qualsiasi statuizione a carattere civile con la sentenza che qui interessa, compresa quella relativa alla liquidazione dell’equa indennità prevista dall’art. 2047, secondo comma, cod. civ.

Resta, tuttavia, il fondamentale tratto differenziale che, con la sentenza di condanna, la responsabilità penale dell’imputato viene affermata; con la sentenza di assoluzione per vizio totale di mente, viene invece esclusa. Anzi, viene esclusa – in virtù della regola generale dell’art. 2046 cod. civ. – persino la sua responsabilità civile. Il danneggiato potrà conseguire il ristoro del pregiudizio patito unicamente da terzi, ossia dai soggetti tenuti alla sorveglianza dell’incapace, qualora non provino di non aver potuto impedire il fatto (art. 2047, primo comma, cod. civ.). Solo in via sussidiaria – allorché non risulti possibile ottenere il risarcimento in tal modo – il danneggiato sarà abilitato a pretendere dall’incapace, non già il risarcimento, ma la corresponsione di un’«equa indennità», rimessa, peraltro, sia nell’an che nel quantum, all’apprezzamento discrezionale del giudice, sulla base di una comparazione delle condizioni economiche delle parti (art. 2047, secondo comma, cod. civ.). (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


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