Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 25938 - pubb. 25/09/2021

Intervenuta la riabilitazione, le condotte per le quali il fallito ha riportato la condanna non possono nuovamente essere tenute in considerazione

Cassazione civile, sez. I, 10 Settembre 2021, n. 24509. Pres. Cristiano. Est. Amatore.


Fallimento – Esdebitazione – Condanna penale – Effetti



In tema di riabilitazione fallimentare, le condizioni per l'ammissione al beneficio previste dall'art. 142, comma 1, n. 5) e 6), l. fall. sono tra loro alternative, cosicché ove il fallito abbia ottenuto la riabilitazione in relazione a uno dei reati previsti dal citato n. 6), la condotta ivi ascritta non può essere riconsiderata dal giudice fallimentare per denegare la riabilitazione ai sensi del precedente n. 5). (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


Fatto

1. La Corte d'appello di Firenze ha respinto il reclamo proposto da X.A. e Y.A. - dichiarati falliti quali soci illimitatamente responsabili della s.n.c. (omissis) , il cui fallimento, apertosi nel (...), era stato chiuso il 16.7.2014 - avverso il decreto del Tribunale di Firenze che aveva rigettato la loro istanza di esdebitazione. La corte del merito ha ritenuto che, benché il reato di bancarotta fraudolenta per il quale i reclamanti avevano patteggiato la pena fosse stato dichiarato estinto ai sensi dell'art. 445 c.p.p., comma 2, con pronuncia in tutto e per tutto equivalente alla riabilitazione (non essendo possibile chiedere la riabilitazione per un reato estinto), le condotte loro ascritte penalmente (omessa o lacunosa tenuta della contabilità, distrazione di beni aziendali, effettuazione di prelievi ingiustificati) costituissero ostacolo all'esdebitazione ai sensi della L.Fall., art. 142, comma 1, n. 5, che richiede fra l'altro, ai fini dell'ammissione al beneficio, che il fallito non abbia distratto l'attivo o cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. A sostegno del proprio convincimento il giudice del reclamo ha rilevato che il fatto che il medesimo articolo stabilisca separatamente, al n. 6, che l'esdebitazione non può essere concessa a chi è stato condannato per il reato di bancarotta fraudolenta, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione, evidenzia che i requisiti di cui al n. 5 sono indipendenti e diversi, devono essere autonomamente valutati e devono sussistere, insieme a tutti gli altri, affinché il fallito possa essere liberato dai debiti concorsuali residui. 2. Il decreto, pubblicato il 23.4.2015, è stato impugnato da X.A. con ricorso per cassazione affidato a due motivi. Y.A. , il curatore del Fallimento (...)(...) e i creditori rimasti insoddisfatti, cui il ricorso è stato ritualmente notificato, su autorizzazione del Presidente di questa Corte, ai sensi dell'art. 150 c.p.c., non hanno svolto difese. Il ricorrente ha depositato memoria.

 

Motivi

1. Con il primo motivo X. denuncia violazione e/o falsa applicazione del disposto della L.Fall., art. 142, comma 1, nn. 5) e 6), lamentando che la corte del merito non ne abbia dato una lettura congiunta, in base alla clausola di salvezza "salvo riabilitazione"; osserva che l'assunto del giudice a quo, alla cui stregua le condizioni indicate nelle due norme sarebbero indipendenti e diverse e dovrebbero congiuntamente sussistere, finisce col privare di significato, e soprattutto della possibilità di sua concreta applicazione, la seconda di esse, nella parte in cui prevede che, in caso di condanna passata in giudicato, l'esdebitazione possa essere concessa ove successivamente per il reato sia intervenuta la riabilitazione. 2. Col secondo motivo il ricorrente pone in evidenza, per tuziorismo difensivo", che nella specie sussistevano tutte le altre condizioni richieste dalla L.Fall., art. 142 per ottenere l'ammissione al beneficio. 3. Premesso che non è in contestazione che il provvedimento di estinzione emesso ai sensi dell'art. 145 c.p.p., comma 2 sia "in tutto e per tutto equiparabile alla riabilitazione", il primo motivo è fondato. 3.1. la L.Fall., art. 142, comma 1, così recita: "Il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti a condizione che:... 5) non abbia distratto l'attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito; 6) non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l'esercizio dell'attività d'impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione...". 3.2. Se si aderisse all'interpretazione della corte territoriale, secondo la quale le due disposizioni in esame attengono a requisiti distinti e non sovrapponibili, e devono perciò sempre ricevere una lettura disgiunta, si perverrebbe al risultato irragionevole, se non paradossale, di rendere inutile l'inciso di cui al n. 6 "salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione": è infatti evidente che, poiché tutte le condotte materiali descritte al n. 5 rientrano astrattamente nella tipologia di reati elencati al successivo art. 142, n. 6 (si legga, in tal senso, anche la clausola di chiusura "e altri delitti compiuti in connessione con l'esercizio dell'attività d'impresa"), il fallito condannato per uno dei reati in questione, pur avendo ottenuto la riabilitazione, non potrebbe mai essere ammesso al beneficio se i medesimi fatti integranti la fattispecie delittuosa per la quale è stato a suo tempo imputato dovessero essere autonomamente valutati, quali condizioni ostative all'esdebitazione, ai sensi del n. 5 cit.. 3.3 Deve al contrario ritenersi, secondo un'interpretazione rispettosa della voluntas legis e che intenda pertanto conservare significato alla clausola di salvezza sopra menzionata, che le norme in esame si pongano fra loro in rapporto di alternatività, con la conseguenza che, una volta che sia intervenuta la riabilitazione, le condotte tipizzanti il reato per il quale il fallito ha riportato la condanna, non più preclusive dell'acceso al beneficio ai sensi del n. 6, non possono nuovamente essere tenute in considerazione, e condurre al rigetto della domanda, sotto il diverso profilo del n. 5. 3.5 Nell'ipotesi in cui siano venuti meno gli effetti penali della condanna riportata dal fallito, il giudice dell'esdebitazione dovrà quindi verificare, caso per caso, se le condotte contemplate alla L.Fall., art. 142, n. 5 da questi poste in essere siano o meno coincidenti con quelle che, a loro tempo, hanno formato oggetto di imputazione e che sono ormai "coperte" dalla riabilitazione, posto che la domanda potrà essere respinta ai sensi della predetta disposizione solo se ne residuano ulteriori, per le quali il fallito non è stato perseguito penalmente.

4. Il secondo motivo è inammissibile, perché non rivolge alcuna critica alla decisione ma si limita a ribadire quanto già rilevato dalla corte territoriale, laddove ha affermato che "l'unico vero ostacolo all'esdebitazione risiede nel disposto della L.Fall., art. 142, comma 1, n. 5".

5. All'accoglimento del primo motivo del ricorso conseguono la cassazione del decreto impugnato e il rinvio del procedimento alla Corte d'appello di Firenze in diversa composizione, che, nel riesaminare la domanda del ricorrente, si atterrà al seguente principio di diritto: "Le disposizioni di cui alla L.Fall., art. 142, comma 1, nn. 5 e 6 si pongono fra loro in rapporto di alternatività; ne consegue che il giudice dell'esdebitazione - qualora il fallito sia stato condannato in via definitiva per uno dei delitti elencati al n. 6 ma abbia poi conseguito la riabilitazione, od altro provvedimento ad essa equiparato - può rigettare la domanda ai sensi del n. 5 solo se taluno dei fatti ivi contemplati, tutti astrattamente configurabili come reato, di cui abbia accertato la commissione da parte dell'istante, non abbia già formato oggetto di imputazione e non sia pertanto compreso fra quelli in ordine ai quali si sono prodotti gli effetti di cui all'art. 178 c.p.". Il giudice del rinvio liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara inammissibile il secondo; cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Dep. il 10 settembre 2021.