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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22682 - pubb. 13/11/2019.

Concordato in continuità: distinzione tra i flussi di cassa generati dal patrimonio del debitore e quelli generati dalla finanza esterna


Tribunale di Milano, 05 Dicembre 2018. Pres. Alida Paluchowski. Est. Rolfi.

Concordato preventivo – Ammissione – Continuità – Garanzia patrimoniale – Patrimonio del debitore – Flussi generati dalla continuità


Nel concordato preventivo, i flussi di cassa derivanti dalla continuità aziendale sottostanno al principio della garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., diversamente da quelli generati dall’apporto di finanza esterna. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

 

Con ricorso depositato in data 3 aprile 2017 l’impresa A.B. S.p.A. ha proposto domanda per l’ammissione dell’anzidetta impresa alla procedura di concordato preventivo con riserva e successivamente in data 4 agosto 2017 ha depositato domanda completa. (*) A.B. SPA è una holding mista in quanto svolge attività sia diretta sia tramite le controllate.

Le attività svolte direttamente da A.B. S.p.A. - in sintesi e senza pretese di analiticità - consistono in: 1) raccolta dei rifiuti; 2) selezione e trattamento; 3) smaltimento in discarica; 4) produzione di energia elettrica.

(*) La società ricorrente - dopo le articolate modifiche ed integrazioni - ha basato la propria proposta di concordato su un piano di continuità (indiretta) notevolmente complesso - che prevede la prosecuzione delle attività e si impernia anche sulla previsione del conseguimento di autorizzazione all’ampliamento del sito di B. (ove è presente anche un impianto di biogas) - che si caratterizza per alcuni passaggi fondamentali.

a) Il primo è costituito dall’assunzione della presenza di elevatissimi oneri ambientali in prededuzione, relativi anche alla gestione post-operativa degli impianti di B. e A.C.

Quest’ultimo risulterebbe formalmente in capo alla A.A. S.r.l., ma l’originaria domanda di ammissione si dilunga ampiamente sull’intricata vicenda della discarica di A.C., argomentando in ordine alla sussistenza di una responsabilità di tipo ambientale della stessa proponente quale gestore di fatto della discarica.

Tali oneri verrebbero di fatto ad assorbire tutta la disponibilità attuale di risorse interne della proponente - con una ridotta residualità destinata a soddisfare creditori muniti di privilegio speciale ed ai creditori assistiti da privilegio generale ex art. 2751-bis, n. 1) c.c. - rendendo necessario attingere a risorse esterne.

b) Il piano, nella sua versione finale (20 novembre 2017) si articola sulla presenza di ben due assuntori (circostanza assai rilevante anche nel quadro delle opposizioni, come si vedrà) che si distribuiranno attivo e passivo della Procedura in specifiche e distinte porzioni (e non, quindi, pro quota), con effetto liberatorio per la proponente. Si tratta delle società: 1) S.G., società a propria volta neocostituita da S. PLC (attuale socio di Gruppo A.B. S.p.A. per una quota pari al 38%), attraverso la propria società controllata A. S.r.l.; 2) SPC G. S.p.A., società neo costituita da parte della società di diritto lussemburghese SPC L. S. À R.L. e indirettamente partecipata dal fondo di investimento S. P.B. LP (gestito dalla management company SEC-regulated S.P.C. LP).

(*) La durata del piano dovrebbe protrarsi sino al 31 dicembre 2022, quando è previsto il pagamento dei debiti tributari e contributivi.

Sulla base di tale piano, la proposta ha prospettato il soddisfacimento dei creditori secondo le seguenti modalità e tempistiche.

Soddisfacimento integrale: a) delle spese prededucibili e dei relativi crediti ivi compresi i costi di gestione in pendenza della procedura e gli oneri di chiusura e di gestione post mortem delle discariche; nonché pagamento b) entro l’anno dall’omologazione dei creditori muniti di privilegio speciale (nella sostanza, con il privilegio locatizio ex art. 2764 c.c. e con i pegni di cui godono i bondholders e B.P. S.A. ITALIAN BRANCH) e generale (in sostanza con capienza solo parziale - 78% - unicamente del privilegio ex art. 2751-bis n. 1 c.c.), nei limiti della capienza dei beni sui quali insiste la prelazione, in conformità a quanto indicato nella relazione di cui all’art. 160, 2 comma, l.fall.; nonché pagamento del ceto creditorio di rango chirografario (ab origine o declassato) con suddivisione nelle le seguenti classi: c) Classe I (crediti tributari e previdenziali) formata dai crediti vantati dall’Erario (incluse le poste oggetto di p.v.

c) e dai Comuni, integralmente degradati per incapienza del patrimonio della società: percentuale di soddisfacimento nella misura del 15%, da pagarsi in un arco temporale di cinque anni dall’omologazione; d) Classe II (crediti assistiti da privilegio locatizio) formata dai crediti muniti di privilegio locatizio colpiti da falcidia per incapienza dei beni su cui insiste la prelazione: percentuale di soddisfacimento nella misura del 14%, da pagarsi entro ventiquattro mesi dall’omologazione; e) Classe III (banche) crediti chirografari ab origine: percentuale di soddisfacimento nella misura del 10%, da pagarsi entro ventiquattro mesi dall’omologazione; f) Classe IV (professionisti) professionisti titolari di privilegio generale colpito da falcidia per incapienza dell’attivo sociale: percentuale di soddisfacimento nella misura del 14,5%, da pagarsi entro ventiquattro mesi dall’omologazione; g) Classe V (artigiani) artigiani titolari di privilegio generale colpito da falcidia per totale incapienza dell’attivo sociale: percentuale di soddisfacimento nella misura del 7%, da pagarsi entro ventiquattro mesi dall’omologazione; h) Classe VI (altri chirografari): percentuale di soddisfacimento nella misura del 5%, da pagarsi entro quarantotto mesi dall’omologazione; i) Classe VII (creditori pignoratizi destinati a subire la falcidia per parziale incapienza delle azioni e delle quote oggetto di prelazione speciale, coincidenti con i bondholders e con B.P. S.A. Italian Branch): percentuale di soddisfacimento nella misura del 2%, da soddisfarsi (non pagarsi) mediante l’offerta in datio in solutum degli strumenti finanziari partecipativi emessi dalla SPC G. che saranno emessi entro 210 giorni dall’omologazione (ed i cui caratteri salienti sono stati sintetizzati in precedenza), con la precisazione che l’operazione solutoria si estenderà (nella medesima percentuale) anche ad ogni ulteriore pretesa che trovi fonte nell’emissione del prestito obbligazionario (e quindi anche alla pretesa risarcitoria azionata dalla J.I. LIMITED e dalla J. LLC); j) Classe VIII (dipendenti) componente - pari al 22% - del credito privilegiato dei dipendenti esposto a falcidia per incapienza del patrimonio della società: percentuale di soddisfacimento nella misura del 100%, da pagarsi, quanto al 15% (del 22%) nell’ambito del piano di concordato, entro ventiquattro mesi dall’omologazione, e quanto mentre residuo 85% (sempre del suddetto 22% incapiente) al di fuori del concordato ma da parte di S.G. in forza di separato impegno.

In relazione a tutti i crediti erariali la proponente ha presentato domanda di transazione fiscale ex art. 182-ter l.fall., rendendo così inevitabile il classamento dei creditori.

(*) Occorre, a questo punto, procedere all’esame della complessa ed articolata opposizione presentata per conto di Agenzia delle Entrate, la quale contesta la sussistenza dei presupposti giuridici per l’omologazione - ed in particolare del presupposto della fattibilità giuridica - per le ragioni che possono essere sintetizzate come segue.

(*) 2) Il piano non rispetterebbe l’art. 182-ter l.fall. e conseguentemente difetterebbe sia di fattibilità giuridica sia di convenienza economica.

Richiamando il combinato disposto di cui agli artt. 160, co II l.fall.; 186-bis, comma II, lett. b), l.fall. e 182-ter l.fall., Agenzia delle Entrate sottolinea come la relazione ex art. 172 l.fall. abbia proceduto ad una rettifica in aumento dell’attivo rispetto a quanto indicato nella relazione giurata ex art. 160, comma II, l.fall., in particolare con riferimento alla valutazione del c.d. “Ramo B.”, interamente svalutato dalla proponente, e stimato invece dai Commissari in Euro 15.000.000,00.

Quanto alle poste passive - prosegue l’opposizione - la proponente avrebbe ritenuto di operare una valutazione comparativa con la sola prospettiva di una diversa continuità aziendale, e senza invece operare una comparazione con l’alternativa fallimentare, laddove da tale comparazione - ed in particolare dallo scenario di una cessione dell’azienda all’esito della procedura competitiva prevista dall’art. 105 l.fall. - emergerebbe una possibile maggiore soddisfazione dei creditori concorsuali rispetto a quella ricavabile in esecuzione del piano concordatario, con assorbimento da parte dell’Erario di tutto il residuo attivo (Euro 29.041.000,00 contro il minor attivo disponibile in base al piano concordatario, pari ad Euro 9.226.000,00).

Di qui la conclusione per cui la proposta di A.B. S.p.A. verrebbe a violare l’art. 182-ter l.fall., secondo cui la soddisfazione offerta ai creditori tributari erariali non può essere inferiore a quanto è previsto possa essere ottenuto in occasione della liquidazione fallimentare, anche perché le previsioni di realizzo non terrebbero conto dell’eventuale maggior attivo ricavabile dall’esercizio di azioni revocatorie e di responsabilità nei confronti dell’organo amministrativo, nonostante tali profili di responsabilità siano stati valutati come sussistenti da parte dei Commissari.

3) Nella propria Relazione ex art. 172 l.fall. i Commissari hanno rappresentato la possibilità che il Piano generi una redditività maggiore di quella considerata, la quale andrebbe interamente a vantaggio degli assuntori e, dunque, sarebbero sottratti alla massa concorsuale.

Questo profilo, anzi, verrebbe ad integrare - secondo l’opposizione - una ipotesi sia di indicazione di dati non veritieri, sia di occultamento di parte dell’attivo, sia di esposizione di passività insussistenti, con applicazione dell’art. 173 l.fall.

4) Da ultimo, anche Agenzia delle Entrate lamenta il fatto che la percentuale di soddisfacimento offerta dalla proponente risulterebbe “tenue”, “soprattutto se confrontata con la maggior somma disponibile ipotizzata dai Commissari”.

Ciò anche in considerazione del fatto che una quota della somma offerta in pagamento sarebbe costituita da crediti vantati dalla A.B. S.p.A. per i quali viene proposto l’utilizzo in compensazione, laddove tale scenario potrebbe trovare attuazione in sede fallimentare ai sensi dell’art. 56 l.fall.

Ulteriormente, la proposta sarebbe inammissibile nel momento in cui prospetta che l’assunzione dei debiti di A.B. S.p.A. da parte di SPC G. e S.G. SPA, comporterebbe la liberazione della stessa A.B. S.p.A. da ogni passività pregressa., laddove “in ambito fiscale non è prevista la facoltà di prevedere una forma di accollo liberatorio per i pregressi debiti tributari”, con la conseguenza che gli assuntori potrebbero solo affiancarsi - e non sostituirsi - alla A.B. S.p.A. la quale continuerebbe a rispondere per gli oneri economici derivanti dalla transazione fiscale.

(*) Così ricostruite le posizioni delle parti, ritiene il Tribunale di dover definire i motivi di opposizione nei seguenti termini.

(*) 2) Le deduzioni di Agenzia delle Entrate circa la maggior convenienza dello scenario fallimentare sembrano aver trovato una smentita, prima ancora che nelle deduzioni della proponente, nello stesso parere ex art. 180 l.fall. depositato dai Commissari.

Mette, anzi, conto, riportare integralmente e testualmente, il passaggio fondamentale di tale parere in replica alle argomentazioni che Agenzia delle Entrate aveva posto alla base del proprio voto contrario e che sono state riproposte nell’opposizione: Tuttavia pare agli scriventi che l’Agenzia delle Entrate, nel documento che accompagna (e, per quanto non necessario, motiva) il suo voto contrario alla proposta concordataria, abbia dato alle indicazioni degli scriventi un connotato di certezza di risultato che invece quella indicazione non ha, e che può anzi essere fuorviante attribuirgli; sotto questo esclusivo profilo pare agli scriventi necessario riprendere le precisazioni già riportate nella relazione ex art. 172 l.fall.

Alle indicazioni degli scriventi non può, e non deve, essere dato un peso diverso da quello che esse hanno, e cioè del completamento di una informativa destinata ai creditori nelle prescrizioni di cui all’art. 186-bis, co. 2 lett. b), l.fall., affinché costoro possano, unitamente a tutte le altre informazioni disponibili nel fascicolo della procedura, acquisire gli elementi utili all’espressione di un voto “informato”.

Quale potrà essere il risultato della - altrimenti inevitabile, e questo può essere confermato - alternativa della liquidazione fallimentare è soggetto a talmente tante variabili che non può essere considerato quale dato acquisito.

Quale sarà il risultato della liquidazione fallimentare è variabile dipendente dallo stato nel quale l’azienda e le partecipazioni significative si presenteranno all’avvio di una procedura competitiva e dall’interesse che il mercato manifesterà per esse, al di là delle stime, e potrà essere inferiore così come anche superiore all’ipotesi considerata dagli scriventi.

Da segnalare a tale proposito che ad oggi non è pervenuta agli scriventi alcuna richiesta o segnalazione da parte di potenziali soggetti interessati all’acquisto dell’azienda o delle partecipazioni.

Quale sarà il debito concorsuale, nella misura e qualità di esso, è variabile dipendente dal risultato di un procedimento formale di verifica delle singole posizioni creditorie.

Quale sarà il risultato delle azioni di recupero è variabile dipendente dall’approfondimento tecnico-giuridico sulla fondatezza delle stesse che oggi non può essere ritenuto completato, dalle conseguenti autorizzazioni preliminari e dall’esito di uno o più gradi di giudizio.

(*) 3) Per quanto concerne la destinazione dei flussi derivanti dalla continuità - e soprattutto l’eventualità che il loro surplus vada integralmente a beneficio dell’assuntore - va in primo luogo escluso che tale scenario sia stato oggetto di un “occultamento” da parte della proponente, integrando un atto in frode.

Si deve qui concordare con la proponente nel momento in cui essa rammenta che lo schema del concordato per assunzione ha in sé connaturata l’aspettativa dell’assuntore medesimo di riuscire a realizzare l’attivo della procedura in modo più fruttuoso di quanto possa avvenire nell’ambito della procedura medesima. Se si volesse seguire la tesi caldeggiata da Agenzia delle Entrate sino ai suoi estremi esiti, si dovrebbe concludere che il concordato per assuntore integra costantemente atto in frode, nonché violazione dell’ordine delle cause di prelazione.

Escluso concettualmente tale approdo - ed affermata, quindi, la piena ammissibilità dell’appropriazione da parte dell’assuntore del delta da esso ricavato liquidando autonomamente l’attivo della procedura - si deve affrontare il diverso problema (posto, in realtà, in più di un punto dell’opposizione di Agenzia delle Entrate) del rapporto tra i flussi della continuità indiretta e le cause di prelazione.

Nel decreto di ammissione di A.B. S.p.A. alla procedura di concordato questo Tribunale aveva ritenuto di confermare, allora, l’opinione già espressa nel decreto 8 novembre 2016, nel quale si era osservato: Il Collegio (...) ha raggiunto il convincimento che la regola generale del 160 comma 2 del rispetto dell’ordine delle prelazioni, che è indefettibile nel concordato liquidatorio, salvo l’apporto di nuova finanza che può essere utilizzata anche in apparente violazione di tale ordine, proprio perché non promana dal patrimonio del debitore e non è vincolata a garantirne le obbligazioni, debba essere intesa nel concordato in continuità come operativamente limitata, nel tempo, alla data della presentazione della domanda di concordato e nella “dimensione applicativa” al patrimonio della concordataria esistente a quella data. Il parametro che costituisce il limite di riferibilità per appurare se vi sia violazione o meno dell’ordine della prelazione o se la stessa sia degradata e, quindi venuta meno e incorporata nei chirografi, è il momento della presentazione della domanda perché ciò che è valutabile ai fini della capienza in sede di redazione del piano è solo il patrimonio attuale della società e solo esso sarebbe passibile di azioni esecutive o di collocazione sul mercato al cui risultato si dovrebbe comparare l’offerta formulata dalla società per appurare se essa lede il privilegio o meno. È evidente che tale comparazione non può essere condotta con il patrimonio che residuerà al termine di (...) anni di piano caratterizzato da reinvestimenti, eseguiti con finanza esterna, sia perché esso è indeterminato per definizione, sia, soprattutto, perché esso, senza la nuova finanza (...) non potrebbe certo avere quelle dimensioni che presumibilmente avrà, e probabilmente non sussisterebbe per nulla, visto che in assenza di concordato non vi è alcuna alternativa al fallimento. Tale convincimento è sostenuto sotto il profilo letterale anche dalla formulazione del punto c dell’art. 186 bis, là ove afferma che il piano può prevedere, fermo restando quanto disposto dall’art. 160 comma 2, cioè la falcidiabilità del credito privilegiato previo deposito di apposita relazione di valutazione della capienza del patrimonio e della sua destinazione a garanzia dei crediti privilegiati, che attesti che il piano ne prevede la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, una moratoria sino ad un anno dalla omologa per il pagamento. Se infatti il pagamento deve avvenire al più entro un anno, è evidente che il momento di riferimento delle valutazioni non può che essere quello della presentazione della domanda di concordato e non ciò che avverrà al termine del piano (...) anni più tardi.

Nella presente sede tale opinione - peraltro espressa anche in altre sedi (Trib. Monza 22 dicembre 2011) - merita di essere ribadita.

Non ignora, invero, questo Collegio l’esistenza di un precedente difforme di questo stesso Tribunale, costituito dal decreto 15 dicembre 2016, che ha invece affermato l’opposito principio per cui nel concordato con continuità aziendale, il surplus concordatario derivante dalla prosecuzione dell’attività aziendale sarebbe comunque assoggettato al vincolo del rispetto delle cause legittime di prelazione.

Ritiene, tuttavia, il Tribunale che tale precedente - nel quale peraltro il principio è affermato in grandissima parte in forma di esuberante obiter dictum, giacché la fattispecie sottoposta in quella sede al Tribunale era un concordato pacificamente liquidatorio nel quale si poneva unicamente il tema se l’ipotetico surplus derivante dalla miglior liquidazione dei beni ottenuta in sede concordataria potesse ritenersi sottratto al rispetto delle cause di prelazione (tesi da ritenersi infondata) - non possa condividersi integralmente.

Non mette conto di domandarsi se la procedura di concordato preventivo, ed in particolare del concordato in continuità, presenti quelle peculiarità che hanno invece indotto una dottrina ad affermare che “le regole di distribuzione del patrimonio del debitore sancite dall’art. 2741 c.c. e la priorità che esse attribuiscono ai privilegiati rispetto ai chirografari operano nei concordati solo con riferimento al patrimonio esistente al momento della presentazione della domanda, ma non con riferimento al patrimonio posteriore, che comprende anche gli eventuali risultati positivi derivanti dalla prosecuzione dell’attività d’impresa”.

Quel che, invece, il tribunale intende ribadire è il principio per cui i flussi della continuità, allorquando siano generati da una prosecuzione aziendale resa possibile unicamente per effetto dell’apporto di un soggetto terzo, non possono ritenersi assoggettati al rispetto dell’ordine delle cause di prelazione, per la semplice ragione che detti flussi, nella prospettiva fallimentare, semplicemente non esisterebbero.

Un conto è che i flussi della continuità siano comunque generati dalla residua capacità patrimoniale del debitore, giacché in tal caso appare assai complesso condurre i suddetti flussi al di fuori della regola dell’art. 2741 c.c. Un altro - ben diverso - conto è che tali flussi siano resi possibili da una prosecuzione aziendale resa a propria volta possibile unicamente dall’apporto di risorse esterne da parte di un terzo. In tal caso, invero, ben può affermarsi che tali flussi, in quanto generati da una finanza esterna, ne ereditino i caratteri, e risultino, quindi, liberamente distribuibili, sol che si consideri che, in assenza dell’apporto del terzo, detti flussi non esisterebbero, e conseguentemente le cause di prelazione - in primis il privilegio generale mobiliare - non avrebbero oggetto alcuno su cui esercitarsi.

Va, anzi, detto che proprio la presenza nella disciplina del concordato della previsione di cui all’art. 160, comma II, l. fall. - e cioè la valutazione di capienza dei beni gravati dai vari tipi privilegio rispetto ai privilegi medesimi - lascia intendere che: 1) la valutazione comparativa rispetto alla prospettiva fallimentare debba essere ancorata al momento di apertura della procedura, e cioè tenendo conto della massa attiva esistente in quel momento; 2) conseguentemente, anche la verifica del rispetto delle cause di prelazione debba operarsi con riferimento a tale momento, nel senso che debba contemplare il patrimonio esistente, integrato dai flussi attivi che esso sia in grado di generare, restando invece esclusi i flussi che a tale patrimonio non siano riconducibili, derivando invece da risorse esterne.

Questi ultimi flussi resteranno vincolati ad un solo parametro, e cioè quel miglior soddisfacimento dei creditori che l’art. 186-bis pone come condizione di ammissibilità della continuità. Ciò significa che una parte di essi - si ripete per chiarezza: flussi generati esclusivamente per effetto dell’apporto esterno - dovrà indubbiamente essere destinata ai creditori concordatari per assicurare loro il miglior soddisfacimento, ma, una volta rispettato tale parametro, resteranno liberamente distribuibili.

Alla luce di tali considerazioni non si ravvisa nella proposta di A.B. S.p.A. una inammissibile alterazione dell’or- dine delle cause di prelazione. La proposta concordataria ha preso le mosse dalla tesi - che né la relazione ex art. 172 l. fall. dei commissari né le opposizioni delle parti sono riuscite concretamente a confutare - per l’intero attivo della società è destinato ad essere assorbito in prededuzione dagli oneri di gestione e post-gestione delle discariche, pervenendo quindi ad una diagnosi di incapienza persino - seppur parzialmente - del privilegio ex art. 2751-bis n. 1), c.c. È quindi evidente che la prosecuzione dell’attività aziendale è resa possibile solo dall’intervento di ben due assuntori e delle risorse da questi apportate, dovendosi, quindi, concludere nel senso della sottrazione, in questa particolare fattispecie, dei flussi della continuità al rispetto dell’ordine delle cause di prelazione.

Quanto al rispetto del parametro del miglior soddisfacimento dei creditori - la cui violazione non è dedotta direttamente da Agenzia delle Entrate ma emerge indirettamente dalle sue difese - è sufficiente osservare che, nella prospettiva fallimentare: 1) si porrebbe il tema dell’integrale assorbimento dell’attivo da parte degli oneri di gestione e post-gestione delle discariche; 2) l’intero ricavato della partecipazione in E. - quale che sia il suo valore (tema su cui si tornerà) - sarebbe destinato a soddisfare i bondholders e B.P., detentori di garanzia pignoratizia; 3) si potrebbe assistere all’integrale compromissione della prosecuzione dell’attività sul sito di B.; per concludere che la proposta concordataria destina una parte adeguata degli apporti degli assuntori per assicurare alla creditrice un miglior soddisfacimento rispetto alla prospettiva fallimentare.

4) Quanto alle deduzioni circa la “tenuità” del pagamento offerto ad Agenzia delle Entrate, le stesse sembrano contestare non tanto la convenienza della proposta, quanto piuttosto la sussistenza di un profilo di ammissibilità del concordato sotto il profilo della causa in concreto, deducendo, in sostanza, la irrisorietà della percentuale offerta.

Va, allora, rammentato il fondamentale arresto della giurisprudenza di legittimità costituito da Cass. civ. Sez. Unite, 23-01-2013, n. 1521, a mente del quale il controllo di legittimità sulla fattibilità della proposta di concordato attua verificando l’effettiva realizzabilità della causa concreta del concordato il cui fulcro è costituito dal duplice profilo del “superamento della situazione di crisi dell’imprenditore da un lato, e dall’assicurazione del soddisfacimento, sia pure ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori dall’altro”.

Alla luce di tale insegnamento emerge come la percentuale di soddisfacimento offerta ad Agenzia delle Entrate, seppur significativamente ridotta rispetto all’originario ammontare del credito, non ha assolutamente carattere meramente simbolico o apparente, e risulta invece comunque concretamente sussistente, permettendo di ritenere integrata la causa in concreto del concordato.

Per l’effetto, l’opposizione svolta da Agenzia delle Entrate deve ritenersi infondata e va disattesa.

Residua ora da esaminare la più complessa ed articolata delle tre opposizioni, e cioè quella proposta da B.P. Italian Branch, le cui deduzioni necessitano anch’esse di una sintesi ricostruttiva.

1) Le otto classi di creditori del concordato sarebbero state create senza rispettare appieno i criteri previsti dall’art. 160 l.fall.

In particolare, A.B. S.p.A., nel creare la Classe (...) (composta dai bondholders e dalla stessa B.P.) si sarebbe basata unicamente sul fatto che le posizioni creditorie dell’opponente e dei bondholders sono destinate ad essere degradate al chirografo per incapienza degli assets oggetto della security (rectius garanzia pignoratizia costituita dal pegno sulle quote di svariate partecipate, delle quali, peraltro, solo la E. ha conservato valore); e sul fatto che le pretese di entrambi creditori di classe VII troverebbero fonte nell’emissione del prestito obbligazionario.

L’opponente contesta la correttezza di tale operazione negando che i due profili su cui si è basata la proponente siano idonei a porre i componenti della classe in una posizione di omogeneità di posizione giuridica e di interessi economici. In contrario, deduce l’opposizione, la posizione della B.P. quale finanziatore sarebbe ampiamente diversa da quella degli investitori - obbligazionisti, mentre la presenza della garanzia reale sarebbe irrilevante nel momento in cui la posizione delle parti è stata pressoché integralmente (99,43%) degradata al chirografo, assumendo a questo punto rilievo la sola divergenza di interessi delle parti.

Lamenta, in sostanza, l’opponente il fatto che A.B. S.p.A. abbia, non correttamente, separato B.P. dalle altre banche (Classe (...)), accorpandola a creditori aventi interessi difformi se non divergenti - bondholders - al solo scopo di “annegare” il suo dissenso (c.d. gerrymandering) entro una classe che sarebbe indirettamente controllata dalle decisioni della SPC, creditore bondholder che controlla al 50% uno degli assuntori, e che, pertanto, ha interesse all’omologa della Proposta.

La difformità di interessi sarebbe confermata dall’esistenza dell’intercreditor agreement che aveva riconosciuto all’op- ponente, rispetto ai bondholders, una super seniority, e cioè il diritto di soddisfarsi sui beni costituti in pegno a favore sia di B.P. sia dei bondholders con preferenza della prima rispetto ai secondi, con il conseguente crearsi di una posizione di contrapposizione di interessi.

(*) 5) La proposta di A.B. S.p.A. non terrebbe conto della posizione di super seniority di B.P. nei confronti dei Bondholders rispetto alle partecipazioni della proponente costituite in pegno a favore di entrambi i creditori.

Tale posizione di super seniority deriverebbe dall’Intercreditor agreement (doc. 27 prodotto dalla stessa A.B. S.p.A.) concluso tra la stessa proponente, l’opponente ed i bondholders, in virtù del quale sarebbe stato stabilito un preciso ordine di pagamento, che vedrebbe in “posizione antergata” la stessa B.P., laddove i bondholders avrebbero possibilità di soddisfarsi sul ricavato dei pegni solo in via residuale.

L’opponente contesta la tesi di A.B. S.p.A., secondo cui tali accordi avrebbero valenza meramente obbligatoria, e non sarebbero in grado di assicurare alla stessa B.P. la suddetta super seniority nell’ambito della presente procedura.

Per contro essa sostiene che si tratterebbe di un accordo di subordinazione del debito, che non genererebbe alcun rischio di violazione dell’ordine delle cause di prelazione e non sarebbe in alcun modo equiparabile ad un privilegio atipico contrastante con il principio di tipicità enunciato dall’art. 2745 c.c.

6) Il voto espresso dagli obbligazionisti sarebbe viziato dalla situazione di potenziale conflitto di interesse che interessa l’assuntore-creditore SPC, con la conseguenza che tale voto dovrebbe essere integralmente sterilizzato, approdandosi al risultato di ritenere non raggiunte le maggioranze di cui all’art. 177 l.fall.

Osserva l’opponente che tra i creditori della proponente vi è la SPC L. S. À R. L., la quale alla data del voto deteneva una quota, pari al 36,113% delle obbligazioni emesse; e che - secondo le assunzioni del piano - controllerà direttamente il 50% del co-assuntore SPC G. S.p.A., (*) Poiché: a) l’assemblea dei Bondholders tenutasi in data 25 giugno 2018 ha deliberato di votare in favore della Proposta grazie al voto decisivo di la SPC L. S. À R. L., la cui quota del 36,1% è stata fondamentale per il raggiungimento della maggioranza del 50,7%; b) il voto espresso dal rappresentante degli obbligazionisti è stato a propria volta fondamentale per il raggiungimento della maggioranza dei voti e delle classi dei creditori della proponente; la B.P. deduce che, con l’esclusione di tale voto, il concordato dovrebbe ritenersi non approvato.

L’opponente richiama sul punto il recente arresto di Cass. SS.UU., 18 giugno 2018, n. 17186 (a mente del quale devono essere “escluse dal voto sulla proposta di concordato fallimentare e dal calcolo delle maggioranze le società che controllano la società proponente o sono da esse controllate o sono sottoposte a comune controllo”), per sostenere che la Proposta avrebbe dovuto prevedere l’esclusione dal voto della SPC L. S. À R. L, ovvero l’esclusione di quest’ultima dalla Classe (...) e l’inclusione in apposita classe, poiché la SPC L. S. À R. L. - in quanto soggetto che controlla il 50% delle azioni del co-assuntore SPC G. - era evidentemente interessata all’approvazione della Proposta.

(*) Ritiene il Tribunale, che anche l’opposizione di B.P. debba essere disattesa per le ragioni che ci si appresta ad esporre, questa volta non seguendo l’ordine dei motivi di opposizione, per ragioni di maggiore sintesi e chiarezza.

(*) I motivi 1), 5) 6), invece debbono essere esaminati congiuntamente in quanto gli stessi risultano strettamente interconnessi.

È da ritenersi che il punto di partenza dell’analisi di tali motivi debba essere il dedotto conflitto di interessi che caratterizzerebbe la posizione del creditore-obbligazionista SPC L. S. À R. L., in quanto l’accoglimento integrale delle tesi della B.P. verrebbe a condurre alla sterilizzazione del voto espresso da quest’ultima e, di riflesso, del voto espresso dagli azionisti, con conseguente accertamento del mancato raggiungimento della maggioranza dei crediti, e rigetto dell’omologa.

Anticipando, per maggior chiarezza, le conclusioni cui si perverrà al termine dell’analisi, il tribunale ritiene che detto conflitto di interessi fosse sussistente, ma che detto conflitto non debba condurre alla radicale sterilizzazione del voto degli obbligazionisti, ma solo all’affermazione della necessità di un classamento separato di questi ultimi e di B.P.

Il punto di partenza è, ovviamente, l’arresto di Cass. S.U. 28 giugno 2018, n. 17186, decisione che ha affermato il principio dell’esclusione dal voto nel concordato fallimentare (e quest’ultima puntualizzazione assume notevole rilevanza, come si vedrà) del creditore che abbia presentato una proposta di concordato fallimentare nonché delle società che controllano la proponente o sono da essa controllate o sottoposte a comune controllo.

Va subito evidenziato che, rispetto alla fattispecie esaminata dalle Sezioni Unite, nella vicenda al vaglio del Tribunale emergono almeno tre profili distintivi (valorizzati dalla proponente) di non poco spessore, e cioè: a) la SPC L. S. À R. L. detiene il 50% della proponente SPC G. e quindi non è titolare di una partecipazione di maggioranza assoluta; b) la SPC L. S. À R. L. non ha votato direttamente nell’adunanza dei creditori, ma nell’assemblea degli azionisti che ha stabilito in che modo gli obbligazionisti come gruppo dovessero esprimere il voto in adunanza; c) la presente procedura è un concordato preventivo e non un concordato fallimentare.

Per quanto riguarda il primo profilo, ritiene il Tribunale che non possa assumere rilievo l’eccezione, svolta dalla proponente, per cui, avendo la SPC L. S. À R. L. “solo” il 50% del capitale della proponente SPC G., non potrebbe ravvisarsi una situazione di controllo formale dell’assuntore, risultando in tal modo escluso il conflitto di interessi.

Senza voler qui sintetizzare il fondamentale ed articolato percorso argomentativo seguito dalle Sezioni Unite, è tuttavia da rilevare come dal menzionato arresto emerga una visione, per così dire, sostanziale del conflitto di interessi che, partendo dall’affermazione di fondo della sostanziale atipicità delle situazioni di conflitto di interessi (“i casi di conflitti di interessi ipotizzabili in astratto sono innumerevoli”), afferma di conseguenza la necessità di individuare le ipotesi di rilevanza dei medesimi sulla base di una interpretazione della legge non tassativa, ma basata sulla ratio (“può senz’altro affermarsi che le ipotesi di esclusione dal voto debbano essere previste dalla legge, l’ammissione del creditore essendo la regola, ma non v’è alcuna ragione per ritenere che la previsione dell’esclusione debba necessariamente essere “espressa”“).

In quest’ottica - tenuto conto che a rilevare non è, quindi, un mero dato formale, bensì l’asimmetria che può derivare dal fatto che un soggetto chiamato al voto in adunanza sia massicciamente cointeressato alla posizione del proponente - sembra corretto concludere nel senso che possa ravvisarsi un conflitto di interessi anche quando il creditore chiamato al voto non sia titolare di una posizione di controllo assoluto nel soggetto proponente, ma detenga una partecipazione in quest’ultimo di rilevanza tale da consentire ingerenze massicce nella gestione del proponente medesimo. Significativo, del resto, è il fatto che, nella pronuncia delle Sezioni Unite venga usato frequentemente l’espressione “società correlate”, peraltro giungendo ad una individuazione dell’ambito applicativo del concetto assai ampia (“A ben guardare, inoltre, quella regola vale non soltanto per le società correlate a società creditrici, ma anche per tutte le società creditrici correlate a società che versano in conflitto d’interesse senza essere creditrici”), e tale da valorizzare la situazione concreta.

Alla luce di tali principi, quindi, ben si può ritenere che, al di là del controllo formale, la partecipazione di SPC L. S. À R. L. nella SPC G. fosse idonea a determinare l’insorgenza di un conflitto di interessi.

Per quanto riguarda il secondo profilo, ci si trova indubbiamente di fronte ad una situazione peculiare, nella quale il voto contestato è - come osservato dai Commissari - “di secondo livello”, avendo la SPC L. S. À R. L. votato nell’assemblea degli obbligazionisti - peraltro in modo assolutamente determinante per l’assunzione delle determinazioni della stessa - e non nell’adunanza, ove è stata espressa la volontà degli obbligazionisti in via unitaria.

Risulta difficile contestare che la quota di obbligazioni detenuta da SPC L. S. À R. L. (36,113%) non solo sia stata determinante nell’assunzione della specifica delibera (assunta, ex art. 2415, commi I, n. 2), e III, c.c. con il voto favorevole degli obbligazionisti rappresentanti - sia pure per poco: 50,7% - la metà delle obbligazioni emesse e non estinte), ma anche ponga la stessa SPC L. S. À R. L. in una posizione generale di significativa dominanza nell’assemblea degli obbligazionisti. Ma tale dominanza, si ripete, ha modo di essere esercitata nell’assemblea degli obbligazionisti, mentre nell’adunanza dei creditori la volontà di SPC L. S. À R. L. veniva ad essere comunque espressa secondo un meccanismo indiretto e mediato.

Proprio in considerazione di tale fattore, tuttavia, ritiene il tribunale che anche in questo caso debba conferirsi rilevanza predominante al dato sostanziale, piuttosto che al dato formale.

Il dato di partenza è che l’odierna opponente in nessun modo avrebbe potuto impugnare la delibera dell’assemblea degli azionisti, essendo del tutto estranea a detta assemblea, e non potendosi ravvisare nella specie alcuna delle ipotesi (artt. 2373, 2379 e 2416 c.c.) che avrebbero legittimato l’impugnazione della delibera da parte di “qualunque interessato” e quindi anche da parte della B.P.

Se ci si arrestasse a tale dato formale, allora, sarebbe giocoforza necessario concludere nel senso della possibilità di schermare i potenziali conflitti di interessi avvalendosi dei meccanismi societari, cosa che avverrebbe anche nel caso delle partecipazioni di controllo a cascata.

Anche in tal caso, tuttavia, la lezione delle Sezioni Unite sembra quella di dare rilevanza alla ratio delle previsioni di legge in materia di conflitto di interessi, evitando interpretazioni letterali restrittive, e dando rilievo alla sostanza della fattispecie, in modo da assicurare massima tutela a quel principio di autonomia privata che le stesse Sezioni Unite pongono a fondamento dell’esigenza di sterilizzazione dei conflitti di interesse.

Se si accede a tale interpretazione, pare corretto concludere nel senso della irrilevanza - fermo ogni necessario adattamento nei singoli casi - di eventuali meccanismi indiretti di intermediazione di cui il soggetto in conflitto di interessi si sia avvalso, fondamentale essendo, invece, che, anche tramite tali meccanismi, il soggetto in conflitto di interessi sia riuscito ad orientare in modo determinante il voto sulla proposta di concordato.

Tale è il caso di specie, nel quale la SPC L. S. À R. L. ha espresso un’adesione determinante nell’assemblea degli obbligazionisti, comportando, di riflesso l’espressione, da parte del rappresentante comune dei medesimi, di un voto in adunanza che è risultato, a propria volta, determinante per il raggiungimento quantomeno della maggioranza numerica dei crediti.

Il terzo profilo, tuttavia, evidenzia una fondamentale differenza tra la decisione delle Sezioni Unite ed il caso in esame, portando in evidenza il problema della individuazione della reazione una volta che il conflitto di interessi venga rilevato ed affermato.

Il punto di partenza è quanto affermato in un passaggio della motivazione della decisione della Cassazione Una indiretta conferma di quanto sin qui osservato può trarsi dall’art. 163, comma sesto, l.fall., aggiunto dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83, conv., con modif., in L. 6 agosto 2015, n. 132. Esso prevede, in tema di proposte concorrenti nel concordato preventivo, che “i creditori che presentano una proposta di concordato concorrente hanno diritto di voto sulla medesima solo se collocati in una autonoma classe”. Viene dunque confermato che i creditori proponenti di regola non hanno diritto di voto sulla loro stessa proposta; dando rilievo, tuttavia, anche al loro ruolo di creditori, come tali interessati alla soddisfazione dei propri crediti, si ammette la loro partecipazione al voto, ma solo a condizione che sia neutralizzato il conflitto d’interesse, in cui versano, mediante la tecnica del classamento.

Nella disciplina del concordato fallimentare non esiste una disposizione analoga all’art. 163, comma sesto, cit., peraltro entrata in vigore in epoca successiva a i fatti per cui è causa, ai quali dunque non resta che applicare la regola del divieto di voto per il creditore proponente.

Sembra lecito concludere, alla luce di tale passaggio, che la soluzione della sterilizzazione integrale del voto sia stata adottata dalle Sezioni Unite unicamente come extrema ratio a fronte dell’assenza di previsioni di legge che consentissero soluzioni diverse, quale quella del classamento obbligatorio.

Nel caso all’esame di questo tribunale, invece, la previsione di legge esiste, e sono le stesse Sezioni Unite a rammentarlo: l’art. 163, comma VI, l.fall. in tema di proposte concorrenti, che prevede l’obbligatorio classamento separato del creditore che voglia votare sulla propria proposta.

Nel caso di specie non ci si trova di fonte ad una proposta concorrente, ma alla proposta di un soggetto che è controllato da un creditore, dal momento che entrambi gli assuntori - ed in particolare SPC G. S.p.A. - hanno aderito alla proposta di concordato della A.B. S.p.A. (SPC G. S.p.

A. in sede di integrazione della proposta originaria), divenendo co-proponenti. Al di là del dato formale, allora, non si vedono ragioni per non applicare al creditore del proponente la medesima regola di neutralizzazione prevista per il creditore autore di una proposta concorrente, e cioè il classamento obbligatorio. La soluzione non è direttamente contemplata dalla legge verosimilmente perché il legislatore del 2015 si basava sulla lettura assai più restrittiva del conflitto di interessi offerta da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3274 del 10/02/2011, e quindi non ha ritenuto di disciplinare il tema specifico, ma la lettura estensiva trae legittimazione dall’identità di ratio.

Una ulteriore suggestione - non argomentazione, non potendosi trarre argomenti da progetti di legge - è data dalla bozza di Decreto Legislativo “Codice della Crisi d’Impresa” in tema di concordato preventivo, che, al proprio art. 109 disciplina in modo radicalmente diverso la posizione del creditore proponente il concordato - per il quale (comma 6) è previsto il classamento obbligatorio - dal creditore in generico conflitto di interessi - per il quale (comma 5) è prevista la radicale esclusione dal voto - a conferma della possibilità, se non necessità, di tenere distinte le due ipotesi. Necessità che si ricollega all’incentivazione all’accesso alle procedure di soluzione alternativa della crisi di impresa ed alla inefficienza economica di una soluzione che - espellendo radicalmente i creditori dalla possibilità di contribuire all’approvazione del concordato - verrebbe a scoraggiare le proposte concordatarie veicolate dai creditori dell’impresa in crisi.

La prima conclusione cui si può pervenire, quindi, è che, effettivamente il creditore SPC L. S. À R. L. era portatore di un interesse distonico rispetto alla generalità dei creditori tale da giustificare il classamento separato degli obbligazionisti (non essendo possibile classare a parte la sola SPC L. S. À R. L.); e che, quindi, l’inclusione della B.P. nella medesima classe assieme agli obbligazionisti deve ritenersi non corretta, senza che neppure sia necessario esaminare l’ulteriore profilo dedotto dall’opponente per sostenere la tesi della non correttezza del classamento unitario, e cioè quella super seniority, su cui si avrà modo di tornare a breve per altre ragioni.

La frammentazione in due della Classe (...) - bondholders da una parte; B.P. dall’altra - non vale a precludere il raggiungimento delle maggioranze di legge. Pacifico il raggiungimento della maggioranza dei crediti, la maggioranza delle classi sarebbe stata raggiunta sia che B.P. fosse stata classata a parte (creando una Classe (...)) sia che fosse stata accorpata alle altre banche nella Classe (...). Nel secondo caso, infatti, si sarebbe confermata la maggioranza di 5 classi su 8, mentre nel primo si sarebbe assistito ad una maggioranza di 5 classi su 9.

La collocazione virtuale di B.P. sia in una classe autonoma sia in una classe comunque dissenziente ha, invece, una concreta ricaduta, e cioè quella di consentire all’opponente di invocare, ex art. 180, comma IV, l.fall., il c.d. cram down, e cioè il giudizio comparativo di convenienza rispetto all’ipotesi di liquidazione fallimentare.

Giudizio che, tuttavia, deve ritenersi comunque sfavorevole.

I profili dedotti dall’opponente al fine di sostenere la maggior convenienza dello scenario fallimentare sono sostanzialmente due: prospettive di maggior realizzo complessivo dell’attivo della debitrice e piena operatività della clausola di c.d. super seniority.

Sul primo il tribunale non ritiene di dover replicare considerazioni già svolte. Le deduzioni dell’opponente si basano sulle stime alternative formulate in via ipotetica da quegli stessi Commissari che hanno reiterato anche in sede di relazione ex art. 180 l.fall. un giudizio di maggior convenienza della prospettiva concordataria rispetto a quella concordataria. Gli stessi Commissari, anzi, hanno chiarito - all’odierna udienza - di aver affinato verso il basso le stime operate nella relazione ex art. 172 l.fall., così rafforzando un giudizio complessivo di miglior convenienza del concordato che, del resto, è abbastanza evidente, sol che si consideri la concreta prospettiva che l’intero attivo della debitrice, in caso di fallimento, sia assorbito dagli oneri di post-gestione delle discariche e dalle eventuali pretese in prededuzione che dovessero essere avanzate dagli Enti Territoriali chiamati a surrogare eventuali inerzie della procedura fallimentare. Il che varrebbe ad azzerare qualsivoglia prospettiva di soddisfacimento per i creditori, chirografari in primis.

Quanto al profilo della c.d. super seniority, va subito detto che il Tribunale non condivide la tesi della proponente, secondo la quale tali aspetti sarebbero rimessi alla legge inglese e potrebbero incidere, al più solo sulla fase esecutiva del concordato. La necessità di operare la valutazione comparativa di convenienza, infatti, impone al tribunale di stabilire quale sarebbe il trattamento da riservare alle pretese dell’opponente in caso di fallimento, per verificare se in tale sede la B.P. si troverebbe a godere di un trattamento migliore del proprio credito.

Ritiene il Tribunale che, a ben vedere, nulla osterebbe al riconoscimento dell’efficacia della super seniority anche in sede fallimentare, in quanto la stessa, lungi dal riconoscere alla B.P. un (inammissibile) privilegio convenzionale atipico, si verrebbe a tradurre in un patto di postergazione volontaria dei bondholders. La fonte negoziale della super seniority, invero, ben potrebbe essere interpretata come patto con cui i bondholders venivano ad accettare volontariamente di essere postergati rispetto alla B.P. rispetto al ricavato del realizzo dei bei costituiti in pegno a favore di entrambi i creditori.

Il motivo per cui la super seniority non può, in realtà, essere riconosciuta all’opponente è, in realtà, costituito dal fatto che l’esame dell’Intercreditor Agreement che costituirebbe fonte della super seniority, non vede i bondholders tra le parti contraenti.

All’udienza del 15 novembre il Tribunale ha sollecitato le parti a chiarire in quale modo i bondholders avessero partecipato all’Intercreditor Agreement, senza ricevere alcuna concreta risposta. In altri termini non vi è prova che i bondholders abbiano aderito all’Intercreditor Agreement, accettando la postergazione volontaria. Il suddetto Intercreditor Agreement, invero, presenta il tenore e l’as- setto di un documento ad adesione aperta, nel quale la posizione (e - quel che più conta - la partecipazione) dei bondholders risulta del tutto indeterminata, al punto da generare una concreta incertezza circa l’opponibilità del documento medesimo agli obbligazionisti. Ciò si traduce in un’assoluta incertezza in ordine alla valenza del documento su cui B.P. basa la rivendicata super seniority, senza che tale incertezza sia stata in alcun modo colmata dalla stessa B.P., sebbene su quest’ultima incombesse - alla luce dei principi generali processuali - l’onere di suffragare in modo chiaro ed univoco tale pretesa.

Ne consegue che, nello scenario fallimentare, il credito vantato da B.P. - per la parte capiente rispetto ai beni costituiti in pegno - verrebbe ad essere soddisfatto in posizione del tutto paritaria rispetto a quella dei bondholders e cioè esattamente con le stesse modalità prospettate nella proposta di concordato, senza alcuna concreta prospettiva di trattamento più conveniente.

In conclusione, anche l’opposizione di B.P., sia pure per le complesse ragioni sinora esposte, deve essere respinta.

Ciò premesso, ritiene il Collegio che sussistano le condizioni di legge per l’omologazione del concordato.

(*)


P.Q.M.

omologa il concordato preventivo proposto da A.B. S.p.A.

(*).