Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 74 - pubb. 01/01/2007

Fallimento e azione di responsabilità

Tribunale Mantova, 14 Settembre 2005. Est. Aliprandi.


Riforma del diritto societario – Società a responsabilità limitata – Fallimento – Azione di responsabilità nei confronti degli amministratori – Legittimazione del curatore – Sussistenza.



E’ ammissibile l’azione promossa dal Curatore fallimentare ex art. 146 l.f. nei confronti degli amministratori di società a responsabilità limitata.


 


Il g.d. dott. Vittorio Carlo Aliprandi

- a scioglimento della riserva che precede;

- letto il ricorso depositato in data 18.07.2005 con cui la curatela del Fall. ALFA s.r.l., in persona del curatore dott. ***, assistita e difesa dall’avv. *** ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in yyy, instava per la concessione del sequestro conservativo sino alla concorrenza di € 520.000,00 nei confronti di ***, componenti del C.d.A. della società dichiarata fallita con sentenza n. ** di questo ufficio depositata in data ****;

- esaminata la comparsa di costituzione e di risposta di *** e di **, assistite e difese dall’avv. *** ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in xxx in forza di procure rilasciate a margine della comparsa di costituzione e di risposta, le quali resistevano eccependo che l’amministratore delegato era il solo ***;

premesso:

La curatela del Fallimento ALFA s.r.l. chiedeva che venisse disposto il sequestro conservativo sui beni mobili ed immobili dei componenti del C.d.A. della fallita in previsione dell’instauranda azione di responsabilità verso gli amministratori  ex art. 2447, 2448 n. 4 e 2449 c.c.

Nell’atto introduttivo, parte ricorrente evidenziava che l’esercizio sociale dell’anno 2002 si era chiuso con una perdita di € 288.116, a fronte di un capitale sociale di € 98.000 e di riserve dichiarate di € 74.917, e, in occasione dell’assemblea del 23.06.2003, gli amministratori avevano sollecitato l’adozione dei conseguenti provvedimenti, ma nel corso dell’anno seguente la società aveva registrato nuove perdite dell’importo di € 216.988, e mai era stata deliberata la ricostituzione del capitale sociale.

Asseriva quindi la curatela che, pur in presenza di perdite da almeno tre anni, gli amministratori della società avevano omesso di provvedere a norma degli artt. 2447, 2448 c.c. continuando a gestire la società, compiendo nuove operazioni, quali la cessione o l’affitto dell’azienda.

Altro profilo di illecito, a detta della ricorrente, era rappresentato dal mancato rinvenimento del libro giornale relativo agli anni 2003, 2004 e 2005 di talché l’omessa o incompleta tenuta delle scritture contabili aveva reso impossibile la verifica delle passività e delle attività di bilancio, tanto che le disponibilità di cassa indicate nella situazione patrimoniale erano di fatto insussistenti.

Alla stregua di tali omissioni, la curatela, dopo aver illustrato la natura dell’azione intrapresa ex art. 146 L.F., asseriva che l’omessa tenuta delle scritture contabili, la mancata ricostituzione del capitale sociale, nonostante la sussistenza di perdite tali da aver azzerato in toto il capitale sociale, nonché la violazione del divieto di compiere nuove operazioni rappresentassero elementi particolarmente pregnanti per ravvisare il fumus boni juris della azione di merito.

Quanto al pericolo nel ritardo, la procedura evidenziava che le società *. s.r.l. e *. s.r.l. congiuntamente detenevano il 54% del capitale sociale ed erano anch’esse fallite; *** aveva effettuato delle vendite immobiliari nel luglio 2004 e nel giugno 2005 subendo altresì pignoramenti immobiliari; S. I. aveva acceso ipoteca volontaria sul proprio immobile nel giugno 2004.

Il g.d., con decreto 25.07.2005, autorizzava il sequestro conservativo sino alla concorrenza di € 520.000, pari presuntivamente alla differenza tra attivo e passivo attesa l’impossibilità di ricostruire le operazioni contabili eseguite dalla società.

considerato:

       Il decreto emesso prima della formale instaurazione del contraddittorio va confermato.

E’ noto che nel caso di fallimento di una società di capitali, le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori previste dagli artt. 2393 e 2934 c.c., nella formulazione anteriore alla novella, a favore, rispettivamente, della società e, surrogatoriamente del ceto creditorio, confluiscono nell’unica azione di cui all’art. 146 L.F. di cui è titolare il curatore (cfr. Cass. 28.01.1998 n. 2251).

Tale azione, che si trasmette al curatore in caso di fallimento, è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, visto unitariamente come garanzia sia dei soci che dei creditori sociali, e sorge, ai sensi del secondo capoverso dell’art. 2394 c.c., nel momento in cui il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei creditori della società (cfr. ex plurimis Cass. 7.11.1997 n. 10937, Cass. sez. U. 6.10.1981 n. 5341).

Le azioni di responsabilità sociale e quella dei creditori sociali ex artt. 2393 e 2934 c.c., ove promosse dal curatore, confluiscono in un’unica azione, la quale, pur essendo ontologicamente correlata ad esse - e non sorgendo perciò ex novo in capo alla curatela - assume carattere unitario ed inscindibile, in quanto necessariamente cumula i presupposti e gli scopi di entrambe le azioni indicate ed è sempre finalizzata al risultato di acquisire all’attivo fallimentare ciò che sia stato sottratto al patrimonio sociale per fatti imputabili agli amministratori. Consegue che, quando il curatore agisce in base all’art. 146 L.F. le due azioni ivi previste devono ritenersi contemporaneamente proposte, sicché la responsabilità degli ex amministratori può essere dedotta ed affermata tanto con riferimento ai presupposti dell’azione dei creditori della società (insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi relativi alla conservazione del patrimonio), quanto con riferimento ai presupposti dell’azione sociale (danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione dei doveri imposti dalla legge e dall’atto costituivo, ovvero inerenti all’adempimento delle loro funzioni con la diligenza richiesta).

       Nell’attuale formulazione, non è più espressamente disciplinata per le società a responsabilità limitata una norma di carattere generale corrispondente a quella prevista dall’art. 2394 c.c., prevista solo per la fase di liquidazione o per le società soggette alla direzione o coordinamento (art. 2497 c.c.), ma nonostante tale omissione si deve riconoscere comunque la possibilità per i creditori sociali di esercitare l’azione di responsabilità - trattandosi l’azione de qua una sorta di specificazione del più generale principio del neminem laedere imposto dall’art. 2043 c.c. - allorquando l’inosservanza da parte degli amministratori degli obblighi loro incombenti abbia cagionato l’insufficienza del patrimonio sociale.

Fatte tali premesse di carattere generale, è documentalmente provato che la società ALFA s.r.l., avente ad oggetto attività di ***, già negli anni 1999, 2000 e 2001 riportava consistenti perdite, sempre coperte con riserve di dubbia formazione, ma poi nel 2002 per far fronte al passivo di € 288.166 non era sufficiente né il capitale sociale di € 98.000, né le riserve dichiarate di € 74.917, e nel 2003, il cui esercizio riportava perdite per € 216.998, il dissesto si aggravava ulteriormente poiché l’organo gestionale non aveva attuato la ricostituzione del capitale sociale o la messa in liquidazione della società.

Tale condotta dei consiglieri di amministrazione è certamente suscettibile di essere valutata come fonte di responsabilità: nel caso in cui l’amministratore di una società di capitali, pur essendosi verificate perdite che abbiano assorbito l’intero capitale sociale ometta di adottare le misure previste dall’art. 2447 c.c. ed anzi intraprenda nuove operazioni e successivamente si verifichi il fallimento della società, la prova del nesso causale tra la condotta dell’amministratore e il danno patito è in re ipsa (cfr. Trib. Roma 83.05.2003). In tali casi i singoli amministratori hanno il potere di pretendere che il presidente del C.d.A. provveda alla convocazione dell’assemblea con uno specifico ordine del giorno (cfr. Cass. 23.06.1998 n. 6238) e l’inadempimento agli obblighi imposti dall’art. 2447 c.c. comporta una responsabilità per qualunque decremento del patrimonio verificatosi per nuove operazioni, indipendentemente dal fatto che tale diminuzione derivi da comportamenti conformi agli obblighi delle legge o ad essi contrari (Trib. Massa 9.12.1995). 

        A tale evidente profilo di responsabilità, già bene esplicitato nell’atto introduttivo, va aggiunta l’omessa conservazione dei depositi di cassa, emergenti invece dalla situazione patrimoniale (doc. 8 di parte ricorrente) nonché l’incompleta tenuta delle scritture contabili. Il curatore, nella sua relazione ex art. 33 L.F., attestava che non era stato rinvenuto il libro giornale relativo agli anni 2003, 2004 e 2005 e tale carenza aveva reso impossibile la verifica delle poste di bilancio, risultato, per quanto già esposto, in parte non veritiero.

L’obbligo per ogni imprenditore, non avente i requisiti di cui all’art. 2083 c.c., di tenere le scritture contabili, tra cui il libro giornale, grava sugli amministratori e la tenuta irregolare delle scritture contabili non solo è fonte di responsabilità (cfr. ad es. Cass. 9.07.1979 n. 3925), ma l’impossibilità di determinare in modo specifico il nesso esistente tra le singole violazioni in cui siano incorsi gli amministratori e l’ammontare del danno globalmente accertato, in conseguenza dell’impossibilità di ricostruire a posteriori le vicende societarie, legittima l’ascrivibilità dell’intero danno (cfr. Cass. 4.04.1998 n. 3483).

       Accertato dunque l’estremo del fumus, va detto che il requisito soggettivo del periculum può essere desunto alternativamente da elementi oggettivi attinenti la consistenza qualitativa e quantitativa del patrimonio dei debitori o da elementi soggettivi riguardanti il comportamento del debitore e tali da rendere verosimile l’eventualità della dispersione della garanzia patrimoniale.

Nella fattispecie, basta osservare che *., *. e *. sono rimasti contumaci e che le convenute costituite hanno compiuto, anche in epoca recente, atti di disposizione del proprio patrimonio mediante vendite immobiliari ed iscrizioni di ipoteche volontarie, tanto che un atto di alienazione compiuto da **. è stato trascritto nello stesso giorno della trascrizione del sequestro seppure anteriormente (cfr. doc. 16 di parte ricorrente).

La sistematica violazioni di elementari regole di amministrazione, prima della dichiarazione di fallimento, l’intervenuto fallimento delle società che detenevano la maggioranza del capitale sociale e il rilevante pregiudizio per il ceto creditorio lasciano presumere che, al termine dell’azione di merito, i resistenti non siano in grado di risarcire il danno.

Con riguardo al quantum, i più recenti orientamenti criticano la matematica quantificazione del danno da risarcire con la differenza tra l’attivo e il passivo verificati in sede fallimentare, ma esigono, di converso, la prova del danno causato dalle singole operazioni;  tuttavia nel caso in esame, tenuto conto del principio di solidarietà nella responsabilità degli amministratori e della natura sommaria del presente giudizio, il sequestro può essere concesso per l’importo richiesto, tanto più che, come sopra detto, la mancata tenuta delle scritture contabili ha impedito una puntuale ricostruzione delle vicende societarie.

       Da ultimo, va assegnato il termine per l’instaurazione del giudizio di merito, in quanto l’art. 23 d.lvo 5/2003 prevede una deroga al disposto dell’art. 669 octies c.p.c. solo in caso di provvedimenti d’urgenza o altri provvedimenti idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito, evenienza che non può ricorrere nel caso di concessione del sequestro conservativo la cui finalità è prettamente cautelativa e non anticipatoria.

       Si deve in ogni caso provvedere sulle spese le quali, liquidate in via equitativa, vengono addossate alla parte soccombente.

P. Q .M.

visti gli artt. 669 bis e ss. c.p.c., art. 671 c.p.c.; 

- conferma il decreto emesso inaudita altera parte in data 25.07.2005;

- assegna giorni trenta per l’instaurazione del giudizio di merito;
- condanna i convenuti in solido a rifondere alla procedura attrice le spese di lite, liquidate in complessivi € 3.500,  di cui € 500 per spese ed anticipazioni, € 1.400 per diritti di procuratore ed € 1.600 per onorari di avvocato, oltre rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A.