Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6922 - pubb. 01/08/2010

.

Cassazione civile, sez. I, 01 Aprile 2005, n. 6911. Est. Rordorf.


Società - Di capitali - Società per azioni - Bilancio - Contenuto - Criteri di valutazione - In genere - Società bancaria - Titoli - Titoli costituenti immobilizzazione finanziaria - Qualificazione - Discrezionalità degli amministratori - Sussistenza - Criterio di valutazione - Modificazione successiva della destinazione - Ammissibilità - Fattispecie sottratta 'ratione temporis' all'applicabilità delle istruzioni emanate dalla Banca d'Italia concernenti la scelta in ordine alla destinazione e la sua successiva modificazione.



In tema di redazione del bilancio di una società bancaria, la qualificazione dei titoli rappresentativi delle partecipazioni in altre società come 'immobilizzazioni finanziariè, in quanto elementi destinati ad essere utilizzati durevolmente nell'impresa, ovvero come facenti parte del capitale circolante, è frutto di una scelta discrezionale degli amministratori -non censurabile in sede di impugnazione del bilancio-, ma, una volta che essa sia stata operata, gli amministratori sono obbligati ad iscrivere detti titoli nel documento contabile, rispettivamente, secondo il criterio del costo (art. 18, D.Lgs. n. 87 del 1992), ovvero sulla base dei più elastici parametri espressamente previsti (art. 20, D.Lgs. n. 87 del 1992), essendo tuttavia ammissibile la successiva modificazione della destinazione e, conseguentemente, del relativo criterio di valutazione. (Principio enunciato in riferimento al bilancio di una società bancaria al quale, 'ratione temporis', non erano applicabili le istruzioni emanate dalla Banca d'Italia, ai sensi dell'art. 5, D.Lgs. n. 87 del 1992 -sostanzialmente coincidenti con la raccomandazione adottata dalla Consob in data 15 febbraio 1995 e rielaborata in data 15 giugno 2001-, nel testo in cui, allo scopo di evitare il rischio di abusi derivanti da un uso strumentale del potere di destinazione dei titoli, hanno fissato le modalità di individuazione preventiva dei parametri di classificazione, disponendo che, nel caso di modificazione della destinazione, i titoli debbano continuare ad essere valutati secondo il criterio previsto per la loro destinazione originaria). (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAGGIO Antonio - Presidente -
Dott. RORDORF Renato - rel. Consigliere -
Dott. GILARDI Gianfranco - Consigliere -
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Dott. MANNI Luciano, elettivamente domiciliato in ROMA, via Festo Avieno 92, presso l'avv. CICIANI Giancarlo, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in margine al ricorso;
- ricorrente -
contro
la BANCA POPOLARE DELL'ETRURIA E DEL LAZIO SOC COOP. A R.L., elettivamente domiciliata in ROMA, via A. Bertoloni 55, presso l'avv. Francesco CEFALY, rappresentata e difesa dall'avv. SCORZA Giuseppe, giusta procura in margine al controricorso;
- controricorrente e ricorrente incidentate -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Firenze, depositata il 21 marzo 2001;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza dal Consigliere Dott. Renato RORDORF;
udito per il ricorrente, l'avv. Giancarlo CICIANI, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale, e per il controricorrente l'avv. Giuseppe SCORZA, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento dell'incidentale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale con assorbimento dell'incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Dr. Luciano Manni, socio della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio soc. coop. a r.l. (che in prosieguo sarà semplicemente indicata come la Banca), con atto notificato il 28 luglio 1995 citò detta società in giudizio dinanzi al Tribunale di Arezzo per far dichiarare nulla la deliberazione con la quale l'assemblea del 30 aprile 1995, previa approvazione del bilancio relativo all'anno 1994, aveva disposto la ripartizione tra i soci degli utili di esercizio. Sostenne infatti l'attore che in quel bilancio alcuni titoli, in precedenza destinati alla negoziazione, erano stati invece appostati tra le immobilizzazioni, con conseguente loro indebita sopravalutazione; e ne dedusse che si era cosi posta in essere una deroga al principio di continuità del bilancio, facendo emergere plusvalenze che, alla stregua delle prescrizioni contenute nel d. lgs. il 87 del 1992, lungi dal consentire la ripartizione di utili, avrebbero dovuto confluire in una riserva non distribuibile. La Banca, costituitasi in giudizio, contestò l'assunto dell'attore ed eccepì che, comunque, ai sensi dell'art. 6 del d.p.r. n. 136 del 1975, il Dr. Manni non era legittimato ad impugnare la deliberazione assembleare approvativa di un bilancio certificato da una società di revisione.
La domanda fu rigettata dal Tribunale di Arezzo, con sentenza emessa il 21 settembre 1998, poi integralmente confermata dalla Corte d'appello di Firenze con sentenza resa pubblica il 21 marzo 2001. La corte d'appello ha preliminarmente chiarito che la domanda proposta dall'attore appariva volta a contestare non solo la legittimità della deliberazione assembleare avente ad oggetto la distribuzione di utili ai soci, bensì anche la stessa legittimità dei criteri in base ai quali quegli utili erano stati fatti risultare in bilancio, con particolare riguardo alle modalità di appostazione e valutazione dei titoli immobilizzati. Ha poi escluso che potesse invocarsi, nella specie, la disposizione del citato art. 6 del d.p.r. n. 136, perché la limitazione apportata da quella norma al diritto dei soci d'impugnare le deliberazioni approvative dei bilanci si riferisce ai soli bilanci soggetti al regime di certificazione obbligatoria ad opera di società di revisione iscritte nell'albo tenuto dalla Consob, mentre nella specie la certificazione era stata compiuta su base volontaria.
Quanto al merito, la corte d'appello ha reputato che nessuna violazione al principio di continuità del bilancio fosse in concreto riscontrabile, giacché i titoli iscritti tra le immobilizzazioni nel bilancio chiuso al 31 dicembre 1994 in conformità alle regole disciplinanti un tal genere di appostazione e secondo criteri adeguatamente illustrati nella relazione degli amministratori e nella nota integrativa, erano stati acquistati nel corso di quello stesso anno, mentre nel bilancio precedente non esisteva neppure alcun comparto riguardante titoli immobilizzati, di talché nessun rilievo aveva la circostanza che l'appostazione di quei titoli in detto comparto fosse avvenuta non sin dal momento del loro acquisto bensì solo all'atto della redazione del bilancio.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Dr. Manni. La Banca resiste con controricorso proponendo, a propria volta, ricorso incidentale condizionato.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I ricorsi proposti avvero la medesima sentenza debbono preliminarmente essere riuniti, siccome dispone l'art. 335 c.p.c. 2. Il ricorso principale è volto a denunciare la violazione di molteplici norme di legge - gli artt. 2, 5, 7 e 15 del d. lgs. n. 87 del 1992, nonché gli artt. 2423, 2423-bis, 2424 e 2425 c.c. - unitamente a vizi di motivazione della sentenza impugnata. Il ricorrente si duole che la corte d'appello, nell'esaminare il bilancio della Banca relativo all'anno 1994, abbia negato l'intervenuto mutamento dei criteri di valutazione di un cospicuo numero di titoli appartenenti alla Banca medesima. Quel mutamento, conseguente al travaso di detti titoli dal comparto di quelli destinati alla negoziazione (da valutare in base al prezzo di mercato, se inferiore a quello di acquisto) al comparto di quelli immobilizzati (valutati al costo), avrebbe potuto invece essere agevolmente rilevato dal raffronto delle rimanenze del comparto dei titoli non immobilizzati al termine, rispettivamente, degli esercizi 1993 e 1994.
Osserva inoltre il ricorrente che, in ogni caso, se anche i titoli immobilizzati, appostati come tali nel bilancio dell'esercizio 1994, fossero unicamente quelli acquistati nel medesimo anno 1994, un mutamento di destinazione, contrario alle cogenti prescrizioni dettate in materia dalla Banca d'Italia, vi sarebbe ugualmente stato:
perché in corso d'anno, al momento del loro acquisto, quei titoli erano stati collocati in contabilità nel comparto di quelli destinati alla negoziazione e tale indicazione non avrebbe potuto esser modificata all'atto della successiva redazione del bilancio. Le stesse espressioni adoperate dai redattori del bilancio nel descrivere la contestata operazione di riclassificazione dei titoli dimostrerebbe, d'altronde, che di una riclassificazione appunto si è trattato; e poiché, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte territoriale, ciò ha comportato un'assai più favorevole valutazione di detti titoli in bilancio, con conseguente emersione di una rilevante plusvalenza, siffatta plusvalenza non avrebbe potuto essere legittimamente distribuita ai soci sotto forma di dividendi, ostandovi la disposizione dell'art. 2, comma 5, del citato d. lgs. n. 87, che, in caso di deroga ai criteri di redazione del bilancio degli istituti di credito, impone di iscrivere in una riserva non distribuibile le plusvalenze derivanti dall'applicazione di tale deroga.
3. La difesa della Banca controricorrente replica ribadendo, anzitutto, che i valori iscritti nel comparto dei titoli immobilizzati (comparto per la prima volta figurante nel bilancio relativo all'esercizio 1994) si riferiscono tutti a titoli acquistati nello stesso anno 1994: onde nessun trasferimento di detti titoli da un comparto all'altro v'è stato rispetto al bilancio precedente. Insiste, quindi, nel sostenere che è soltanto al momento della redazione del bilancio che si pone una questione di valutazione dei cespiti patrimoniali della società, sicché non è postulabile alcuna discontinuità di valutazione se non per cespiti che già siano stati oggetto di analoga operazione valutativa nel bilancio dell'esercizio precedente.
Rileva poi la medesima controricorrente che, ove anche davvero fosse intervenuto un mutamento nei criteri di valutazione in bilancio dei titoli di cui si tratta, ne conseguirebbe che i redattori del medesimo bilancio avrebbero inteso avvalersi della facoltà di deroga loro accordata al riguardo dall'art. 7, comma 3, e 15, comma 2, del citato d. lgs. n. 87. E però l'esercizio di una tale facoltà (a differenza che nel caso di deroga obbligatoria contemplata dal precedente art. 2, comma 5) implica un obbligo di motivazione - nelle specie compiutamente assolto nella relazione al bilancio e nella nota integrativa - ma non anche un vincolo d'indistribuibilità delle eventuali plusvalenze. Plusvalenze, del resto, neppure configurabili in relazione ad un'operazione di riclassificazione di titoli meramente interna all'azienda bancaria, come tale incapace di generare utili o perdite idonee a riflettersi sul risultato dell'esercizio.
4. La Banca ha altresì proposto ricorso incidentale, ma con carattere dichiaratamente subordinato. Risulta quindi superfluo occuparsene dal momento che il ricorso principale, per le ragioni che saranno di seguito chiarite, non appare meritevole di accoglimento. 5. La corte d'appello, come si è ricordato, ha individuato nell'azione promossa dal Dr. Manni due distinte domande. La prima volta a far accertare l'invalidità della deliberazione di approvazione del bilancio della Banca convenuta relativo all'anno 1994, per violazione dei criteri legali da rispettare nell'iscrizione dei titoli; la seconda diretta ad impugnare la validità della consequenziale deliberazione di distribuzione degli utili di esercizio risultanti da detto bilancio.
Nessuna di tali domande è stata però accolta ed il ricorso per Cassazione investe entrambi i suaccennati profili. 5.1. L'assunto del ricorrente è che la Banca, iscrivendo in bilancio tra le immobilizzazioni un certo numero di titoli detenuti in portafoglio, in precedenza classificati tra quelli destinati alla negoziazione, avrebbe violato il principio di continuità nei criteri di redazione e valutazione di bilancio, espressamente sancito dagli artt. 7, comma 3 e 15, comma 1, lett. a), del d. lgs. n. 87 del 1992 per i bilanci delle società bancarie, oltre che dall'art. 2423-bis, n. 6, c.c. in via generale per tutte le società azionarie. Questo assunto è stato disatteso nella sentenza impugnata anzitutto per il rilievo che quei titoli erano stati acquistati nel corso del medesimo esercizio 1994 e non figuravano quindi nel bilancio dell'esercizio precedente, sicché per essi nessuna variazione del criterio di valutazione da un bilancio all'altro sarebbe neppure astrattamente ipotizzabile.
Il ricorrente contesta ora l'esattezza di tale rilievo, che cioè davvero i titoli iscritti come immobilizzazione nel bilancio 1994 fossero stati acquistati solo nel corso di quell'esercizio. Ma si tratta di una contestazione in questa sede non ammissibile, giacché investe un accertamento di fatto già svolto dalla corte di merito, secondo la quale si tratterebbe anzi addirittura di un "dato pacifico" (sentenza impugnata, pag. 5). Avrebbe dovuto allora il ricorrente almeno indicare se e quando quel "dato pacifico" era stato invece da lui messo in discussione nel corso del giudizio di merito. In difetto di ciò, non può ora sostenersi, in sede di legittimità, che i documenti versati in atti, se meglio o più compiutamente esaminati, avrebbero dimostrato una realtà diversa da quella accertata dalla corte territoriale. La mancata dimostrazione della natura controversa del punto che il giudice di merito ha inteso come pacifico non consente, infatti, di apprezzare l'esistenza di un vizio di legittimità (potendosi tutt'al più configurare in proposito un errore revocatorio) e neppure di un vizio di motivazione, rilevabile solo con riguardo ad una questione decisiva in ordine alla quale, all'atto della decisione di merito, sussista un'effettiva incertezza. L'accertamento di quanto asserito dal ricorrente, del resto, implicherebbe una verifica diretta del materiale istruttorio, che in Cassazione non è consentito compiere.
Fermo, allora, che i titoli della cui iscrizione nel bilancio dell'anno 1994 si discute sono da ritenersi acquistati dalla Banca nel corso del medesimo esercizio, ne consegue che esattamente la corte territoriale ha nella specie escluso a priori ogni possibile violazione dei principi di continuità nell'applicazione dei criteri di redazione e di valutazione in bilancio. Tali principi possono infatti essere invocati solo in relazione all'iscrizione di poste o alla valutazione di beni presenti in almeno due esercizi successivi, perché unicamente in tal caso si pone un problema di continuità o discontinuità dei criteri ai quali la formazione di quei bilanci è ispirata.
5.2. Resta però da stabilire quale giuridico rilievo abbia, ai fini della legittimità dell'appostazione dei titoli in discorso tra le immobilizzazioni (finanziarie) dell'attivo patrimoniale, la circostanza che in un primo momento, all'atto del loro acquisto nel corso del medesimo esercizio, essi fossero stati invece iscritti in contabilità secondo un criterio corrispondente a quello da adottare per titoli destinati alla circolazione.
È appena il caso di ricordare, a questo riguardo, che la differenza tra titoli immobilizzati e non immobilizzati risiede, evidentemente, non già nell'intrinseca natura di tali beni, che resta in ogni caso la medesima, bensì nella loro destinazione. Costituiscono infatti immobilizzazioni finanziarie i titoli destinati ad essere utilizzati durevolmente nell'impresa (art. 2424-bis, comma 1, c.c. e, con specifico riguardo alle imprese bancarie, art. 10, comma 4, del d. lgs n. 87 del 1992), mentre gli altri, per i quali si prevede la possibilità di vendita in tempi brevi, fanno parte del capitale circolante.
Diversi sono anche, nei due casi, i criteri di valutazione in bilancio: perché per le immobilizzazioni vige in linea di massima il principio dell'iscrizione al costo (artt. 18 del d. lgs. n. 87 del 1992 e 2426, n. 1, c.c.), laddove i titoli compresi nel capitale circolante della banca sono da iscrivere sulla base dei più elastici parametri di valutazione fissati dall'art. 20 del citato d. lgs. n. 87 del 1992 (e, quanto alle società azionarie in genere, dall'art. 2426, n. 9, c.c.).
L'anzidetta alternativa tra l'uno e l'altro criterio d'iscrizione non è, dunque, espressione di una discrezionalità nell'applicazione di differenti criteri contabili da cui dipenda un diverso possibile modo di valutare in bilancio i medesimi beni (come può avvenire, ad esempio, per le stesse immobilizzazioni finanziarie, nella situazione prevista dall'art. 2426, n. 4, c.c., che a certe condizioni consente di sostituire al criterio del costo quello del patrimonio netto della società partecipata; oppure per i beni fungibili compresi nel capitale circolante, per i quali il successivo n. 10 del medesimo art. 2426 individua tre possibili modalità differenti di rilevazione del loro costo). Si tratta qui, invece, di una scelta esclusivamente gestionale, che riguarda l'utilizzazione futura dei titoli appartenenti alla società, cioè appunto la loro destinazione, da cui dipende la natura stessa (in senso economico) del bene da iscrivere in bilancio - se immobilizzazione o elemento del capitale circolante - e che, una volta individuata, si riflette sul relativo criterio di valutazione contabile senza che in quest'ultimo passaggio si annidi alcun margine di discrezionalità.
In altri termini, la discrezionalità non è nel modo di rappresentazione in bilancio di una determinata realtà patrimoniale e finanziaria dell'azienda, bensì nelle precedenti scelte amministrative da cui dipende la conformazione stessa della realtà che nel bilancio occorre rappresentare.
Questa necessaria premessa - oltre a confermare la conclusione già prima raggiunta circa la non pertinenza nel caso in esame dell'invocato principio di continuità delle vantazioni di bilancio (giacché tale principio riguarda, appunto, l'eventuale variazione dei criteri di valutazione adoperati per i beni aventi la stessa destinazione, iscritti in bilanci successivi, e non il mutamento di destinazione dei beni medesimi) - apre la strada a due importanti rilievi.
Per un verso, infatti, appare in linea di principio evidente come non sia di per sè censurabile, in sede giudiziaria, la scelta operata dagli amministratori in ordine alla destinazione dei beni dell'impresa; ne' comunque una simile censura potrebbe trovare spazio in sede di impugnazione della deliberazione approvativa di un bilancio che quella scelta si sia limito a rispecchiare. Sotto quest'ultimo profilo rileva solo, ovviamente, il rispetto del principio di chiarezza, ossia che il bilancio nel suo complesso consenta al lettore di comprendere esattamente i criteri adoperati nella redazione e dunque, con particolare riguardo alla situazione in esame, se e quali titoli siano stati destinati ad utilizzazione durevole, siano perciò compresi tra le immobilizzazioni e risultino valutati in conformità a tale destinazione (ma non è della violazione del suindicato principio di chiarezza che il ricorrente si è lamentato nel presente giudizio).
Per altro verso, tuttavia, considerati i riflessi che l'enunciazione dell'una o dell'altra destinazione dei titoli può comunque determinare sul criterio applicabile per la loro valutazione in bilancio, è evidente il rischio di un uso strumentale del potere di destinazione di quei titoli: perché esso potrebbe in certi casi rispondere non tanto ad una preesistente ed effettiva scelta di gestione, quanto piuttosto a contingenti e mutevoli esigenze di "politica del bilancio", in forza delle quali la destinazione dei titoli si presta ad essere di volta in volta piegata all'intento di enfatizzare o di sminuire i risultati del bilancio medesimo. È appunto per contenere questo rischio di abusi che la Consob, con una raccomandazione emanata il 15 febbraio 1995 (n. DAC/RM/95001286), poi rielaborata in data 15 giugno 2001 (n. DEM/1048210), ha formulato precisi suggeriti agli organi di amministrazione delle banche che emettono azioni quotate. Li ha invitati, in primo luogo, ad emanare "delibere quadro" allo scopo d'individuare preventivamente i criteri di classificazione dei titoli da inserire nel comparto di quelli immobilizzati o nel comparto di quelli non immobilizzati o da trasferire dall'uno all'altro comparto; in secondo luogo, in caso di trasferimento di titoli da un comparto all'altro, a tener ferme per la relativa valutazione le "regole del comparto di provenienza". Ma siffatta raccomandazione non può costituire strumento utile per risolvere la vertenza in esame, non solo per ragioni di tempo, ma anche perché essa è priva di carattere vincolante ed e comunque riferita alle sole società (bancarie) quotate; e tale non è la Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio.
Vincolanti per ogni società bancaria sono, invece, le disposizioni che l'art. 5 del più volte citato d. lgs. n. 87 del 1992 delega la Banca d'Italia ad emanare "relativamente alle forme tecniche su base individuale e su base consolidata dei bilanci" di tali società. E proprio siffatte disposizioni il ricorrente invoca per sostenere l'illegittimità dell'iscrizione in bilancio, in guisa di immobilizzazioni, di titoli prima inseriti in contabilità come se fossero destinati invece alla negoziazione.
Erra però il ricorrente nel ritenere che il tema del mutamento di destinazione dei titoli esistenti nel portafoglio della banca fosse già disciplinato dalle istruzioni all'epoca vigenti, emanate dalla Banca d'Italia con provvedimento del 16 gennaio 1995. Quelle istruzioni, nel disporre al punto 2.1. che "I conti dell'attivo relativi ai titoli sono interessati dalle operazioni di acquisto, di sottoscrizione e di vendita dei titoli solo al momento del regolamento di tali operazioni", avevano unicamente lo scopo di stabilire a quale preciso momento riferire dette operazioni, come è reso chiaro dalla lettura dei punti immediatamente successivi delle medesime istruzioni, ove è chiarito cosa debba intendersi per "data di regolamento" ai fini del calcolo dei dietimi relativi alle cedole o agli interessi in corso di maturazione e quando si tratti di titoli quotati. Ne e conferma il fatto che solo in epoca successiva all'emanazione della già ricordata raccomandazione della Consob la stessa Banca d'Italia ha proceduto ad integrare le proprie istruzioni, lasciando intatto il punto 2.1. sopra riportato, ed inserendo un nuovo punto 2.2., nel quale, sotto la rubrica 'Trasferimento dei titoli", è stata dettata una regolamentazione sostanzialmente corrispondente - per ciò che qui interessa - a quella contenuta nella suindicata raccomandazione della Consob. Ma tali ultime disposizioni dell'autorità di vigilanza bancaria (il cui più recente aggiornamento risale al 30 luglio 2002) sono evidentemente inapplicabili, ratione temporis, a situazioni già maturate nell'arco dell'esercizio 1994 e per la prima volta rispecchiate nel bilancio di chiusura di detto esercizio, sicché neppure il richiamo a quanto in esse contenuto fornisce un valido argomento alla tesi difensiva del ricorrente.
Stando cosi le cose, nulla consente di affermare che l'appostazione in bilancio dei titoli dei quali si discute presenti i caratteri di illegittimità denunciati dal ricorrente, il mero fatto che gli amministratori abbiano deciso di destinare ad utilizzazione durevole dei titoli, in precedenza acquistati e contabilizzati in vista della semplice negoziazione, non è sufficiente a far presumere che si sia trattato di un'operazione opportunisticamente volta a mascherare perdite di bilancio o a far apparire utili fittizi. Era un'operazione consentita dalla normativa dell'epoca, da ritenersi perciò legittima; ed altrettanto legittima, di conseguenza, appare l'iscrizione in bilancio di detti titoli in conformità ai criteri legali prescritti per le immobilizzazioni finanziarie. 5.3. Quanto appena osservato è sufficiente per dimostrare l'infondatezza dei rilievi del ricorrente anche per quel che riguarda la deliberazione assembleare di distribuzione degli utili di bilancio.
Non solo, per le ragioni già esposte, deve escludersi che quegli utili fossero frutto di un bilancio non legittimamente formato, ma deve altresì negarsi l'applicabilità nel caso in esame delle disposizioni che impongono di accantonare in una riserva non distribuibile gli utili derivanti dall'applicazione di speciali deroghe ai criteri legali di redazione del bilancio. S'è già spiegato, infatti, come nella specie non vi sia stata, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, alcuna lesione del principio di continuità nei criteri di valutazione da un esercizio all'altro. Tanto meno, dunque, e ipotizzatole che i redattori del bilancio si siano avvalsi della facoltà di derogare a detto principio, accordata in casi eccezionali dall'art. 15, comma 2, del d. lgs. n. 87 del 1992, o di derogare al principio di continuità dei criteri di redazione del bilancio, come sempre in casi eccezionali pure consente l'art. 7, comma 3 del medesimo decreto. E ciò anche a tacere del fatto che nessuna delle citate norme impone, quando ci si avvalga della facoltà di deroga in esse contemplata, di non distribuire gli utili eventualmente derivati dall'esercizio della deroga.
Una limitazione, questa, che figura invece soltanto nella previsione dell'art. 2, comma 5, del citato d. lgs. n. 87 del 1992 (e dell'art. 2423, comma 3, c.c), cioè in caso di deroga resa necessaria, benché pur sempre eccezionale, dal fatto che l'applicazione di una qualsiasi delle successive disposizioni dettate in tema di bilancio si riveli incompatibile con l'esigenza di rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa. Ma neppure quest'ultima previsione si attaglia al caso in esame, in cui - come s'è visto - l'iscrizione in bilancio al valore di costo di titoli (non illegittimamente) immobilizzati è pienamente conforme alle regole dettate in proposito dal legislatore e non implica perciò deroga alcuna all'applicazione di tali regole. 6. L'impugnata sentenza, che nell'essenziale si è attenuta ai principi di diritto sopra esposti (e la cui motivazione in diritto è da considerarsi, per quel che occorre, integrata e rettificata dalle considerazioni che precedono) resiste quindi alle censure formulate dal ricorrente.
Alla conseguente reiezione del ricorso fa seguito la condanna del medesimo ricorrente al rimborso, in favore della controparte, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in euro 12.000, 00 (dodicimila) per onorari e 100, 00 (cento) per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge. P.Q.M.
La corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 12.000,00 (dodicimila) per onorari e 100,00 (cento) per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge. Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2005.
Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2005