Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6888 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 04 Febbraio 2009, n. 2706. Est. Panebianco.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Concordato preventivo - Ammissione - Condizioni - Crediti di rimborso dei soci per finanziamento a favore della società - Postergazione rispetto agli altri creditori - Condizioni - Presupposti di cui all'art. 2467 cod. civ. - Conseguenze in materia di suddivisione dei creditori in classi - Collocazione dei soci finanziatori in autonoma classe di creditori chirografari - Ammissibilità - Esclusione - Fondamento - Derogabilità del principio - Condizioni.



In tema di suddivisione dei creditori in classi nell'ambito della domanda di ammissione del debitore alla procedura di concordato preventivo, i crediti di rimborso dei soci per finanziamenti a favore della società - in quanto postergati rispetto al soddisfacimento degli altri creditori, se i finanziamenti sono stati effettuati verso una società in eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto o in una situazione che avrebbe giustificato un conferimento di capitale, e da restituire, se percepiti nell'anno anteriore all'eventuale fallimento, ai sensi dell'art. 2467, primo comma, cod. civ. - non possono essere inseriti in un piano di cui facciano parte anche altri creditori chirografari, violando tale collocazione la necessaria omogeneità degli interessi economici alla cui stregua, ex art. 160, primo comma, lett. c), legge fall., vanno formate le classi. Tuttavia, trattandosi pur sempre di creditori, da soddisfare dopo l'estinzione degli altri crediti, è ammessa la deroga al principio della postergazione, se risulta il consenso della maggioranza di ciascuna classe e non già il solo consenso della maggioranza assoluta del totale dei crediti chirografari. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo - Presidente -
Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo - rel. Consigliere -
Dott. CULTRERA Maria Rosaria - Consigliere -
Dott. DEL CORE Sergio - Consigliere -
Dott. SALVATO Luigi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 15558/2007 proposto da:
BERTUZZI GIANNI, FABBRI ROBERTO, GORDINI GIANCARLO, GESI SCARDOVI CASADIO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA RICCARDIO GRAZIOLI LANTE 76, presso l'Avvocato SCIUBBA Pietro, che li rappresenta e difende unitamente all'Avvocato ARDITO ANNA, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
MONTECHIARO S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, CONCORDATO PREVENTIVO DI MONTECHIARO S.R.L. IN LIQUIDAZIONE;
- intimati -
sul ricorso 18967/2007 proposto da:
MONTECHIARO S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CARDELLI 4, presso l'avvocato AURELI ADRIANO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato MANCINI LUCIANO, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
BERTUZZI GIANNI, FABBRI ROBERTO, GORDINI GIANCARLO, GESI SCARDOVI CASADIO, CONCORDATO PREVENTIVO DI MONTECHIARO S.R.L.;
- intimati -
avverso il decreto della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 15/03/2007;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 04/11/2008 dal Consigliere Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;
preliminarmente la Corte dispone la riunione dei due ricorsi;
udito, per i ricorrenti, l'Avvocato PIETRO SCIUBBA che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale;
uditi, per la controricorrente e ricorrente incidentale, gli Avvocati ADRIANO AURELI e LUCIANO MANCINI che hanno chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento di quello incidentale (depositano note spese);
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo e del secondo motivo, assorbiti gli altri motivi del ricorso principale e per l'assorbimento del ricorso incidentale. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 17.1.2006 la s.r.l. Montichiaro in liquidazione presentava al Tribunale di Bologna domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo ai sensi della L. Fall., art. 160, nel testo modificato dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, convertito dalla L. n. 80 del 2005, secondo un piano accompagnato dalla relazione di un professionista e che prevedeva:
- l'attribuzione delle attività d'impresa alla società CA.RO.MA. s.r.l. con sede in Imola in qualità di assuntrice;
- la limitazione dell'impegno di tale ultima società all'importo di Euro 403.456,26 e comunque alla somma necessaria per il pagamento, nelle percentuali proposte, dei debiti come attualmente risultanti dalla contabilità della Montichiaro oltre alle spese di procedura;
la suddivisione dei creditori in quattro distinte classi sottoposte a trattamento differenziato nei seguenti termini: A) privilegiati pari ad Euro 60.697,54 da pagare al 100%; B) chirografari del ceto bancario e soci fideiussori già escussi dalle banche, pari ad Euro 916.468, da pagare nella misura del 35%, vale a dire di Euro 320.763,80; C) chirografari per crediti diversi da quelli di cui alla classe precedente, pari ad Euro 9.005,03, da pagare nella misura del 50%, vale a dire di Euro 4.502,52; D) crediti chirografari dei soci per finanziamenti alla società, pari ad Euro 583.078,69, da pagare nella misura del 3%, vale a dire di Euro 17.492,40.
Insieme al ricorso venivano depositati, oltre alla documentazione richiesta dalla L. fall., art. 161, una fideiussione bancaria "a prima richiesta" di Euro 400.000,00 rilasciata dalla Banca Popolare dell'Emilia Romagna il 22.12.2005 nell'interesse della CA.RO.MA. ed a favore di Montechiaro nonché libretto di deposito di risparmio di Euro 10.000,00 acceso presso la stessa banca il 23.12.2005 ed intestato alla CA.RO.MA..
Su parere favorevole del Pubblico Ministero il Tribunale con decreto del 26.1.2006 pronunciato ai sensi della L. fall., art. 163, ritenuta la completezza e la regolarità della documentazione nonché la correttezza dei criteri di formazione delle classi, dichiarava aperta la procedura di ammissione al concordato preventivo, nominando il Commissario Giudiziale e disponendo la convocazione dei creditori ed il deposito della somma di Euro 55.000,00 per le spese di procedura. All'esito delle operazioni di voto svoltesi nell'adunanza del 23.5.2006, tenuto conto dei voti pervenuti in precedenza, la proposta risultava approvata dalla maggioranza assoluta del totale dei crediti chirografari ammessi al voto nonché, in considerazione pure di quelli pervenuti nei venti giorni successivi ai sensi della L. Fall., art. 178, anche dalla maggioranza dei creditori chirografari ammessi al voto nelle classi B e D mentre rimaneva contraria la classe C.
Fissata dal Tribunale l'udienza camerale dell'11.10.2006 per l'omologazione del concordato, proponevano opposizione Bertuzzi Gianni, Roberto Fabbri, Giancarlo Gordini e Gesi Scardovi Casadio, soci di minoranza della Montichiaro per la quota complessiva del 37,85% i quali, unitamente alla creditrice s.r.l. Steven e sul totale di 17 creditori ammessi al voto, avevano espresso voto contrario alla proposta.
A seguito del parere favorevole del Commissario Giudiziale il Tribunale con decreto del 17-31.10.2006 omologava il concordato preventivo come proposto dalla s.r.l. Montichiaro, dichiarando compensate le spese.
Proponevano impugnazione gli stessi soci di minoranza che si erano opposti all'omologazione ed all'esito del giudizio in Camera di consiglio la Corte d'Appello di Bologna con decreto del 16.2- 15.3.2007 rigettava il gravame, compensando integralmente le spese processuali.
Dopo aver riaffermato la legittimazione degli appellanti per la loro qualità di creditori ed osservato che in base alla nuova normativa è compito del Tribunale verificare la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi del concordato e la regolarità della procedura con particolare l riguardo all'effettivo e corretto raggiungimento delle maggioranze richieste nonché la reale fattibilità del piano, rimanendo preclusa invece ogni indagine sulla meritevolezza del debitore a seguito dell'abrogazione della precedente L. Fall., art. 181, n. 4, sulla convenienza del concordato per i creditori che la legge di riforma ha inteso lasciare in via esclusiva agli stessi creditori, rilevava la Corte d'Appello, limitatamente alle questioni che sarebbero state poi dedotte in questa sede di legittimità, che nei confronti del Dr. Tiezzi Antonio, il quale aveva redatto la relazione richiesta dalla L. Fall., art. 161, comma 3, sarebbe ipotizzabile una situazione di incompatibilità solo sulla base della L. Fall., art. 28, nella formulazione in vigore fino alla data di presentazione del ricorso per avere in precedenza svolto le mansioni di consulente di parte della Montichiaro nella causa relativa all'impugnazione del bilancio di esercizio 2003 e per aver rappresentato in varie assemblee della società i soci di maggioranza ovvero i soci della assuntrice CA.RO.MA. s.r.l.. Al riguardo precisava che tale divieto non è più contenuto nell'attuale testo dell'art. 28 introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006 ed entrato in vigore in data 16.7.2006 e quindi nel corso della procedura, con la conseguenza che, non risultando il Dr. Tiezzi fra i creditori della Montechiaro, la incompatibilità potrebbe ravviarsi solo con riferimento alla normativa precedente, vigente al momento della presentazione del ricorso, che prevedeva espressamente, a differenza del testo attuale, anche l'ipotesi di coloro che avessero prestato la loro attività professionale a favore del fallito. Sosteneva poi che in ogni caso, per l'eventuale inosservanza, detto art. 28, non prevede alcuna sanzione e pertanto potrebbe assumere rilievo solo in presenza di un'inesatta rappresentazione della realtà economica aziendale ovvero di un'erronea valutazione sulla realizzabilità del piano, idonee in concreto ad alterare la correttezza del procedimento formativo della volontà manifestata con il voto dai creditori. Ma al riguardo richiamava il motivato parere espresso dal Commissario Giudiziale nella relazione di cui alla L. Fall., art. 172, e nella successiva prevista dalla L. Fall., art. 180, nelle quali era stata confermata la sostanziale correttezza della situazione contabile e patrimoniale esposta nel ricorso e nella relazione del professionista circa l'adeguatezza, con riferimento sia al valore degli immobili che al presumibile costo del concordato, della somma complessiva di Euro 465.000,00, pari all'attivo garantito dall'assuntrice (Euro 410.000,00) ed alle spese della procedura. A sostegno della fattibilità del piano evidenziava poi come la società assuntrice avesse prodotto la fideiussione "a prima richiesta" per Euro 400.000,00 e posto a disposizione della procedura l'ulteriore somma di Euro 65.000,00. Disattendeva, quindi i rilievi in ordine alla pretesa sottovalutazione delle poste attive con particolare riferimento agli immobili della partecipata Chiaromonte che anzi da un'apposita consulenza erano stati ritenuti sopravalutati in ricorso (Euro 725.000,00 rispetto al valore attribuito dal consulente di Euro 583.500,00). Escludeva poi come indicativa della lamentata sottovalutazione l'offerta d'acquisto dei medesimi immobili per il prezzo di Euro 1.300.000,00 formulata dagli stessi appellanti con lettera del 12.5.2006, sostenendo che tale offerta ben poteva essere stata determinata da interessi strettamente personali del tutto indipendenti dall'effettivo valore dei beni (pag. 25 e 26). Riteneva poi infondata la doglianza relativa al mancato inserimento, tra le voci attive esposte in ricorso, della somma derivante dall'eventuale esito positivo dell'azione di responsabilità proposta nei confronti degli ex amministratori della Montechiaro in considerazione del suo esito incerto, senza tener conto che gli arbitri avevano limitato l'obbligazione risarcitoria alla complessiva somma di euro 170.000,00 e che in ogni caso tale importo, anche se recuperato, sarebbe stato ininfluente sull'entità dei pagamenti concordatari in quanto la proposta contenuta nell'istanza di ammissione non prevede il trasferimento all'assuntrice ne' delle attività realizzate ne' delle passività insorte dopo il suo deposito.
Priva di autonomo rilievo riteneva altresì l'eventuale falsità dei bilanci della società proponente relativi agli anni 2003 e 2004 sia perché i dati contabili esposti nel ricorso erano risultati corretti e sia perché, a seguito della riforma, la L. Fall., art. 160, non prevede più fra i requisiti per l'ammissione al concordato ne' la meritevolezza del debitore ne' la regolare tenuta della contabilità nel biennio precedente alla proposta.
Escludeva altresì l'illegittimità della inclusione nella classe B, unitamente al ceto bancario, dei soci fideiussori già escussi dalle banche e nella classe D dei crediti per finanziamenti volontari prestati dai soci, non ritenendo risolutivo il contrasto con l'art. 2467 c.c., nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 6 del 2003, che consente il rimborso ai soci dei finanziamenti effettuati alla società solo dopo il soddisfacimento integrale degli altri creditori e la loro restituzione se tale rimborso sia avvenuto nell'anno precedente alla dichiarazione di fallimento. Al riguardo precisava che non si tratta di una norma inderogabile ma dettata solo nell'interesse dei creditori della società che ben avrebbero potuto farla valere in sede di approvazione del concordato, aggiungendo che è erronea la equiparabilità delle restituzioni previste dall'art. 2476 c.c., alle restituzioni conseguenti all'esercizio dell'azione revocatoria prevista dalla L. Fall., art. 67, comma 3, lett. e), nella nuova formulazione, secondo cui non sono soggetti all'azione revocatoria i pagamenti effettuati in esecuzione del concordato preventivo. Sostiene a sostegno di tale tesi che l'apparente contrasto non può che risolversi con l'applicazione della sola norma generale di cui all'art. 2467 c.c., che prevede l'obbligatorietà della restituzione del rimborso, nella specie però derogata. Riteneva legittima poi la limitazione di responsabilità dell'assuntrice CA.RO.MA. all'importo necessario per il pagamento integrale delle spese di procedura e dei crediti privilegiati nonché dei crediti chirografari nella percentuale prevista per ciascuna classe. Precisava al riguardo che tale limitazione, consentita espressamente per il concordato fallimentare dal nuovo testo della L. Fall., art. 124, non solo non contrasta con alcuna norma ma risulta nel caso in esame sostanzialmente ininfluente, avendo il Commissario Giudiziale confermato sia l'idoneità della somma complessiva di Euro 465.000,00 posta dalla CA.RO.MA. a disposizione della procedura a coprire il costo del concordato e sia l'esattezza dei dati contabili. Escludeva ancora la prospettata situazione di conflitto di interessi in relazione alla posizione della società assuntrice per essere i soci ed il legale rappresentante anche soci della Montechiaro, proponente il concordato, stante la distinta soggettività giuridica di CA.RO.MA rispetto a quella delle persone fisiche che ne costituiscono la compagine sociale.
Dopo aver inoltre ribadito la legittimazione dei reclamanti ad opporsi in quanto creditori dissenzienti e dopo aver precisato che compete al Tribunale d'ufficio la verifica di un trattamento non deteriore nei confronti della classe o delle classi dissenzienti, la Corte d'Appello aderiva alle considerazioni espresse dal Commissario Giudiziale nella relazione prevista dalla L. Fall., art. 172, ritenendo che la proposta degli opponenti di acquisto delle proprietà immobiliari per l'importo di Euro 1.300.000,00, subordinata al ritiro della domanda di concordato e da realizzare nell'ambito della procedura di liquidazione volontaria, non apriva alcuna prospettiva reale per la sistemazione della situazione debitoria della Montechiaro sia per il sensibile aumento del passivo per effetto degli interessi nel frattempo maturati, sia per il venir meno della consistente riduzione, prevista nella proposta di concordato, dei debiti verso i soci finanziatori e sia infine perché l'acquisto diretto degli immobili appartenenti alla società controllata di diritto polacco è resa impossibile dal rifiuto espresso da quest'ultima e dalla difficoltà di ottenere un provvedimento immediatamente esecutivo del giudice italiano, senza peraltro considerare che, a seguito delle detrazioni conseguenti alle rilevanti passività ipotecarie ed in considerazione delle imposte gravanti sulle plusvalenze della società venditrice e delle imposte sulle sopravvenienze attive realizzate dalla Montichiaro (tassabilità esclusa per i pagamenti effettuati nell'ambito del concordato), la somma da destinarsi ai creditori sarebbe ridotta e consentirebbe di soddisfare i chirografari della classe C in una percentuale inferiore (41% anziché 50% come prevede il concordato). Del peri preferibile riteneva il trattamento riservato a detti creditori della classe C rispetto alla situazione che si presenterebbe qualora la società fosse dichiarata fallita in quanto in tal caso la maggiore percentuale (60%) assicurata per via della postergazione dei crediti dei soci finanziatori risulterebbe compensata dalla certezza del relativo pagamento da parte dell'assuntrice rispetto all'alea connesa all'imprevedibile decorso della procedura fallimentare.
Riteneva infine infondata, in quanto basata sull'erronea premessa dell'applicabilità al presente procedimento della sospensione feriale dei termini, la doglianza in ordine alla dichiarata ritualità del decreto di omologa per essere stato emesso oltre la scadenza del termine previsto dalla L. fall., art. 181, a seguito della proroga concessa dal Tribunale. Al riguardo sosteneva la natura meramente ordinatoria di tale termine.
Avverso tale decreto propongono ricorso per cassazione Bertuzzi Gianni, Roberto Fabbri, Giancarlo Gordini e Gesi Scardovi Casadio, deducendo cinque motivi di censura.
Resiste con controricorso la Montechiaro s.r.l. in liquidazione che eccepisce in via pregiudiziale l'inammissibilità del ricorso sotto vari profili e propone anche ricorso incidentale affidato ad un unico motivo, mentre il Concordato Preventivo di Montechiaro non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Pregiudizialmente deve darsi atto della intervenuta riunione disposta in udienza del ricorso principale con l'incidentale ai sensi dell'art. 335 c.p.c., riguardando la stessa sentenza. Del peri pregiudizialmente devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla controricorrente sotto vari profili.
Con la prima eccezione si sostiene l'avvenuta decadenza dell'impugnazione per l'inosservanza del termine di dieci giorni previsto dall'art. 739 c.p.c., dalla comunicazione del provvedimento ovvero di quello di quindici giorni stabilito dalla L. Fall., art. 183.
Orbene, l'eccezione deve ritenersi in primo luogo mal posta in quanto i termini previsti dalle due norme richiamate riguardano quelli per la proposizione dell'impugnazione avanti alla Corte d'Appello e non già per proporre ricorso per cassazione, alla cui inammissibilità invece i controricorrenti si sono riferiti.
La norma da applicare è comunque quella contenuta nella L. fall., art. 183 - nella formulazione ancora in vigore nel corso della procedura e modificata solo successivamente con il D.Lgs. n. 167 del 2007, entrato in vigore solo in data 1.1.2008 - il quale non prevede alcun termine specifico per il ricorso per cassazione ma solo l'indicazione del "dies a quo" di decorrenza con riferimento, a seguito della lettura datane dalla Corte Costituzionale (225/74), dalla comunicazione del dispositivo, con la conseguenza che non può che applicarsi il termine di sessanta giorni che nel caso in esame risulta rispettato (Cass. 7013/99).
Nè può assumere rilievo che detta norma faccia riferimento alla pronuncia di omologazione con sentenza anziché con decreto, come previsto invece dalla L. fall., art. 180, nella formulazione in vigore dal 16.3.2005, trattandosi unicamente di mancata coordinazione fra le due norme, costituente un aspetto puramente formale, superata comunque dalla successiva formulazione dell'art. 183 L.F. da parte del cosiddetto decreto correttivo (D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 16) che al decreto e non più alla sentenza fa riferimento. Ulteriori problemi che pur pongono le due successive formulazioni della norma non vanno pertanto in questa sede affrontati in considerazione dell'erronea prospettazione dell'eccezione. Con l'ulteriore eccezione di inammissibilità si deduce che sia il decreto di proroga dei termini sino al 31.10.2006 che quello con cui era stata fissata l'udienza in camera di consiglio per l'omologazione del concordato non erano stati oggetto di reclamo avanti alla Corte d'Appello con conseguente formazione del giudicato interno in ordine ai pretesi vizi formali attinenti all'attività procedimentale anteriore alla loro emissione e cioè all'incompatibilità del professionista che ha redatto la relazione L. Fall., ex art. 161, alla violazione dell'art. 2467 c.c., alla limitazione della responsabilità della assuntrice CA.RO.MA. e all'inapplicabilità della sospensione feriale nel procedimento concorsuale, vale a dire su tutti i punti che hanno formato oggetto di censura con il ricorso per cassazione.
Orbene, nonostante non risulti che tale eccezione fosse stata oggetto di impugnazione avanti alla Corte d'Appello, questa Corte non può esimersi dall'esaminarla, risolvendosi, nella prospettiva data dalla controricorrente, nella formazione di un giudicato interno e, come tale, rilevabile d'ufficio.
L'eccezione è però infondata in quanto si riferisce a pretesi vizi del procedimento che, convertendosi in motivi di impugnazione, non possono che essere fatti valere, come è avvenuto nel caso in esame, in sede di appello, senza pertanto che possa ravvisarsi su di essi l'avvenuta formazione del giudicato in primo grado. Superate le eccezioni di inammissibilità, è opportuno osservare in via preliminare, prima dell'esame dei ricorsi, che l'esclusione, da parte della nuova disciplina del concordato preventivo introdotta dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, di molti dei requisiti di natura personale richiesti invece dalla precedente normativa alla L. Fall., art. 160, nonché la maggiore autonomia lasciata ai creditori nell'approvazione del Piano ed il ruolo centrale che essi esercitano a tal fine hanno comportato la riduzione ma non l'esclusione della sfera d'intervento del Tribunale, chiamato pur sempre al controllo di legalità nell'ambito di una più accentuata natura privatistica dell'istituto con poteri che possono estendersi anche, sia pure in un ambito più ristretto, a valutazioni di merito (vedi L. Fall., art. 177, comma 2).
Limitatamente alla correttezza di detto controllo di legalità, affidato successivamente alla Corte d'Appello per il riesame della sentenza di primo grado, è consentito quindi il sindacato di legittimità di questa Corte in relazione alle censure prospettate. Con il primo motivo di ricorso Gianni Bertuzzi, Roberto Fabbri, Giancarlo Gordini e Gesi Scardovi Casadio denunciano violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 28 e 161, sia nel testo previgente che in quello introdotto dal D.L. n. 35 del 2005, convertito con L. n. 80 del 2005, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Lamentano che la Corte d'Appello non abbia ravvisato lo stato di incompatibilità del professionista che aveva redatto la relazione allegata alla proposta di concordato sei mesi prima dell'entrata in vigore della nuova normativa sebbene fosse il soggetto di riferimento della società proponente, avendo svolto l'incarico di consulente di parte nel giudizio riguardante l'annullabilità della delibera dell'approvazione del bilancio 2003 nonché quello di rappresentante della maggioranza in tre assemblee societarie e configuarandosi in tal modo sia l'ipotesi prevista dalla precedente norma riguardante i precedenti incarichi svolti per conto della stesso soggetto e sia l'ipotesi di conflitto di interessi. Sostengono che la Corte d'Appello, nonostante detto professionista avesse sostanzialmente agito nell'interesse dei propri clienti Casetti e Carletti, proprietari e gestori della società assuntrice CA.RO.MA., avesse escluso senza alcuna motivazione anche la situazione di conflitto di interessi prevista pure dal successivo testo erroneamente ritenuto dalla Corte applicabile nella fattispecie sebbene entrata in vigore solo successivamente all'avvio della procedura. Deducono altresì che tale situazione d'incompatibilità aveva avuto riflessi sul contenuto della relazione in cui era stata omessa ogni valutazione sul valore della partecipazione della controllata Chiaramente e degli immobili di quest'ultima. Sostengono la irrilevanza ai fini in esame della mancata previsione di sanzioni per l'inosservanza di tali obblighi in quanto la relazione, avendo il compito di fornire al giudice ed al commissario giudiziale seri elementi di valutazione, assume una finalità pubblicistica per la quale non deve difettare nell'esperto il requisito della terzietà. La parziale modifica della L. Fall., art. 28, richiamato dalla stessa L. Fall., art. 161, per l'indicazione dei requisiti richiesti nel professionista incaricato della relazione che accompagna il piano contenuto nella domanda di ammissione al concordato preventivo, pone il problema dell'individuazione della disciplina applicabile in quanto, proprio con riguardo al caso come quello in esame del professionista che ha svolto in precedenza degli incarichi per conto della società proponente, la nuova normativa ha innovato, non prevedendo più tra le ipotesi di incompatibilità quella del professionista "che ha prestato comunque la sua attività professionale" a favore di colui nei cui confronti sì è aperta la procedura.
Nel caso in esame la domanda di ammissione al concordato preventivo è stata depositata in data 17.1.2006, il novellato L. Fall., art. 161, che ha richiamato l'art. 28, è stato introdotto con decorrenza 16.3.2005 dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, convertito dalla L. n. 80 del 2005, mentre l'art. 28, nella nuova formulazione prevista dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 25, è entrato in vigore il 16.7.2006. Al momento della proposizione della domanda di ammissione al concordato preventivo, corredata dalla relazione del professionista, l'art. 28 era quindi in vigore nella originaria formulazione che prevedeva, come si è già rilevato, l'incompatibilità per il professionista che avesse svolto la sua attività a favore del richiedente, con la conseguenza che questa dovrebbe ritenersi la norma applicabile, non potendosi attribuire in linea di principio alla nuova normativa efficacia retroattiva.
Tuttavia la soluzione del problema non può prescindere dal contenuto di tale norma la quale, eliminando l'ipotesi di incompatibilità prevista precedentemente, ha legittimato la posizione del professionista nell'ambito della procedura di ammissione al concordato non ancora conclusa. Del resto si è in presenza di un'ipotesi, non già di incapacità, nell'ambito della quale deve escludersi in radice la validità degli atti compiuti, ma di mera incompatibilità la quale ben può essere rimossa con effetti sananti o per il venir meno dei presupposti di fatto che la determinano ovvero in conseguenza di una nuova disposizione normativa che l'ipotesi di incompatibilità non prevede più.
Quale che sia il ruolo che la legge ha inteso attribuire al professionista nei cui confronti non può non riconoscersi anche una posizione di terzietà pur se connotata da un rapporto di fiducia con l'imprenditore, devesi prendere atto che le esposte conclusioni sono in linea con l'ulteriore evoluzione della disciplina caratterizzata dal mancato richiamo dall'art. 28, u.c. da parte del successivo D.Lgs. n. 169 del 2007 (vedi l'art. 67, comma 3, lett. d) che ha richiamato solo le lett. a) e b) dell'art. 28), con la conseguente necessità di un'interpretazione evolutiva che tenga conto della previsione meno rigorosa successivamente emanata. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell'art. 2467 c.c.,. comma 1 e L. Fall., art. 184, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Lamentano che la Corte d'Appello non abbia considerato che la proposta di concordato, prevedendo nelle classi B e D, rispettivamente, i crediti chirografari dei soci fideiussori escussi dalle banche; ed i crediti chirografari dei finanziamenti dei soci, concreta una palese violazione del regime di postergazione previsto dall'art. 2467 c.c., comma 1, e che quindi erroneamente abbia ritenuto derogabile tale norma, in assenza di espresso divieto, sul rilievo che essa è posta nell'interesse dei creditori. A tal fine sottolineano che la stragrande maggioranza dei soci ammessi al voto (circa 2/3) era rappresentata da soci fideiussori escussi già dalle banche ai quali, se fosse stato applicato correttamente il regime della postergazione, non sarebbe stato consentito di far parte del ceto creditorio votante. Osservano altresì che la restituzione dell'importo versato previsto dall'art. 2467 c.c., comma 1, non sarebbe giuridicamente possibile se effettuato in sede di concordato preventivo, ostandovi la previsione di cui alla L. Fall., art. 67, comma 3, lett. e), che esonera dall'azione revocatoria, in caso di fallimento, i pagamenti effettuati appunto in esecuzione del concordato preventivo. Sostengono altresì che la pretesa derogabilità di detta norma da parte della maggioranza dei creditori urta anche contro la finalità esdebitatoria di massa del concordato preventivo e che in ogni caso si verteva in una situazione di eccessivo squilibrio.
La censura è fondata nei termini che qui di seguito saranno precisati.
La libertà lasciata al debitore nella suddivisione dei creditori in classi nell'ambito della formazione del piano per l'ammissione al concordato preventivo prevista dalla L. Fall., art. 160 - come sostituito con decorrenza 16.3.2005 dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, lett. d), convertito con modifiche dalla L. n. 80 del 2005 - trova un primo limite nella stessa L. Fall., art. 160, comma 1, lett. c), la quale prevede la necessità che detta suddivisione avvenga "secondo posizioni giuridiche e interessi economici omogenei". Quanto al primo profilo che richiama sostanzialmente, secondo un orientamento non del tutto condiviso in dottrina, la distinzione fra crediti privilegiati e crediti chirografari, la questione è irrilevante nel caso in esame, non ponendosi problemi riguardanti la natura dei crediti.
Ruolo centrale esercita invece la locuzione "interessi economici omogenei" nella quale rientra la posizione dei crediti aventi medesime caratteristiche in relazione alla categoria di appartenenza dei creditori.
Orbene, con riferimento a tale ulteriore requisito, deve escludersi che i soci finanziatori possano essere inseriti nel piano di cui facciano parte anche altri creditori chirografari non solo per la loro diversa posizione nei confronti della società rispetto ai terzi ma soprattutto per la previsione di cui all'art. 2467 c.c., comma 1, che ha introdotto il principio della postergazione delle loro ragioni creditorie rispetto a quelle degli altri creditori, con l'obbligo, oltre tutto, di restituzione se il pagamento in loro favore sia avvenuto nell'anno precedente alla dichiarazione di fallimento. Principio questo che comporta necessariamente quale corollario l'inapplicabilità in tal caso della L. Fall., art. 67, comma 3, che prevede, nell'ipotesi di successivo fallimento, l'esclusione dalla revocatoria per gli atti ed i pagamenti posti in essere in esecuzione del concordato preventivo. La finalità della postergazione e l'obbligo della restituzione risulterebbero infatti frustrati qualora si consentisse anche nei loro confronti la esclusione della revocatoria.
In sostanza, in base a tale principio applicabile in presenza di una procedura concorsuale, si è inteso vietare, attraverso il meccanismo della postergazione, il pagamento in pregiudizio degli altri creditori, assimilandosi in tal modo ai fini in esame i finanziamenti ai conferimenti nel capitale di rischio.
In tale contesto normativo non è consentito ritenere quindi che siano portatori di "interessi economici omogenei" i soci finanziatori ed i terzi creditori e non può considerarsi quindi rispondente alla previsione di legge il loro inserimento nel piano.
Trattandosi però pur sempre di creditori, da soddisfare eventualmente dopo l'estinzione degli altri crediti, non si esclude la possibilità di deroga al principio della postergazione, ma ciò può avvenire solo con il consenso della maggioranza di ciascuna classe e non già, come sembra sostenere la Corte d'Appello, con il solo consenso della maggioranza assoluta del totale dei crediti chirografari. La tutela degli interessi delle minoranze, allorché esprimano il loro dissenso ottenendo la maggioranza nell'ambito della loro classe, esige infatti la puntuale applicazione del principio della postergazione e l'impossibilità quindi di inserimento dei soci finanziatori nelle classi medesime.
Le esposte considerazioni, frutto della interpretazione del combinato disposto di cui alla L. Fall., art. 160, comma 1, lett. c), nella nuova formulazione e art. 2467 c.c., comma 1, trovano però un temperamento nello stesso art. 2467 c.c., il quale al secondo comma limita l'applicabilità del l' principio della postergazione a quei finanziamenti effettuati dai soci a favore della società sotto qualsiasi forma "in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio" dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società rispetto alla quale sarebbe stato ragionevole un conferimento".
In ordine a tale ulteriore questione, certamente rilevante ai fini della decisione e che richiede in via preventiva un accertamento di fatto, la Corte d'Appello non ha operato alcun richiamo della norma nè, a maggior ragione, ha effettuato alcuna valutazione e tale omissione risulta puntualmente censurata nel motivo di ricorso in esame (vedi pagg. 56 e 67 del ricorso) in cui viene sottolineata la necessità di verificare se i finanziamenti siano stati effettuati nel contesto di una situazione riconducibile al secondo comma dell'art. 2467 c.c., il cui contenuto è stato testè riportato. Si impone pertanto da parte del giudice di rinvio una verifica finalizzata ad accertare la presenza delle condizioni richieste da tale normativa per affermare od escludere la applicabilità del principio della postergazione.
Nè potrebbe tenersi conto, allo stato, anche della l. Fall., art. 177, nella formulazione introdotta con decorrenza 16.3.2005 dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, convertito con modifiche dalla L. n. 80 del 2005, al quale eventualmente dovrebbe farsi riferimento "ratione temporis" in presenza dell'espressa previsione di cui all'art. 22 comma 2 del cosiddetto decreto correttivo (D.Lgs. n. 169 del 2007) che la nuova formulazione adottata con l'art. 15 ha limitato alle procedure concorsuali ed a quelle di concordato fallimentare aperte successivamente alla sua entrata in vigore (1.1.2008). In base alla formulazione introdotta con D.L. n. 35 del 2005, infatti, nell'ipotesi in cui siano previste diverse classi di creditori, è necessaria la maggioranza all'interno di ciascuna classe (vedi comma 1 ultima parte); ma al secondo comma è previsto, per l'ipotesi che tale maggioranza non si raggiunga in una o più classi, un ulteriore intervento del Tribunale il quale, "riscontrata la maggioranza di cui al comma 1", vale a dire quella dei crediti complessivi ammessi al voto di cui alla prima parte, può ugualmente approvare il concordato qualora ritenga che i creditori appartenenti alle classi dissenzienti possano risultare soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.
Ma un tale eccezionale intervento da parte del Tribunale può giustificarsi solo in presenza di una procedura non inficiata da vizi che ne determinano l'invalidità, non potendosi certamente ritenere che essa venga sanata da eventuali valutazioni positive di merito sulla convenienza del concordato. Diversamente il controllo di legalità, cui si è fatto riferimento in premessa ed al quale il giudice non può sottrarsi, sarebbe sostanzialmente vanificato. Orbene, il carattere indisponibile del principio della postergazione di cui all'art. 2467 c.c., non consente, nel caso in cui risulti accertata da parte del giudice di rinvio la sua violazione con riferimento ad entrambi i commi, l'esercizio da parte del Tribunale dei poteri previsti dalla L. Fall., art. 177. Trattasi quindi di un problema successivo che potrà essere affrontato qualora risulti superata la censura sulla postergazione sulla base dell'art. 2467 c.c., comma 2.
L'accoglimento del presente motivo di ricorso e la necessità di un riesame da parte del giudice di rinvio in ordine all'applicabilità del principio della postergazione comportano l'assorbimento del terzo motivo, riguardante la dedotta falsità dei bilanci relativi agli anni 2003 (che sarebbe stata già accertata in altro giudizio) e 2004 (il cui giudizio sarebbe ancora pendente) nonché l'asserita sottovalutazione delle poste attive in conseguenza della loro erronea appostazione in violazione dell'art. 2423 c.c.. Trattasi infatti di valutazione che presuppone un giudizio positivo sulla corretta suddivisione in classi dei creditori con riferimento agli argomenti esaminati in relazione al precedente motivo.
Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 124 e 160; art. 1344 c.c.. Lamentano che la Corte d'Appello abbia ritenuto applicabile al concordato preventivo la limitazione di responsabilità dell'assuntore nonostante la L. Fall., art. 124, la consenta unicamente per il piano di concordato fallimentare proposto dal terzo e malgrado l'impossibilità di un'applicazione analogica in presenza di una norma eccezionale, di una diversità di "ratio" fra le due fattispecie e di una proposta proveniente sostanzialmente dallo stesso imprenditore in crisi e comportante un risanamento soggettivo in quanto la società CA.RO.MA., di recentissima costituzione, è costituita dai soci Carletti e Casetti, quest'ultimo anche amministratore unico, che fanno parte del gruppo di controllo di Montichiaro. Deducono altresì l'insufficienza della motivazione sulla distinta soggettività giuridica della CA.RO.MA. poiché, a seguito della significativa sottovalutazione dell'attivo di Montichiaro, gli amministratori, attraverso CA.RO.MA., riuscirebbero, dopo aver cagionato la crisi della Montechiaro in danno degli altri creditori, ad acquisire le quote della controllata Charomonte. La censura è infondata.
La L. Fall., art. 160, diversamente dalla L. Fall., art. 124, anch'esso novellato dal D.Lgs. n. 5 del 2005 (vedi art. 114), non prevede espressamente che l'assuntore "possa limitare gli impegni assunti ai soli creditori ammessi al passivo, anche provvisoriamente, ed a quelli che hanno proposto opposizione allo stato passivo o domanda di ammissione tardiva al tempo della proposta". Una tale diversità può spiegarsi con l'assenza, nel concordato preventivo, di una verifica giudiziale dei crediti e del conseguente stato passivo.
La questione è comunque irrilevante nel caso in esame, rientrando i ricorrenti fra i creditori ammessi alla procedura, il cui soddisfacimento viene assicurato nei limiti della percentuale prevista per la classe in cui sono stati inseriti e subordinatamente all'approvazione del piano da parte dei creditori. Il problema quindi si sposta pur sempre sulla validità di tale approvazione con riferimento ai problemi affrontati in relazione al secondo motivo. Le conseguenze di carattere negativo potrebbero, semmai riflettersi sui creditori che non abbiano preso parte alla procedura, ma in tal caso non v'è motivo perché non possa trovare applicazione l'ultima parte del richiamato L. Fall., art. 124, in base al quale, in deroga alla falcidia operata dalla L. Fall., art. 184, "verso gli altri creditori continua a rispondere il fallito" (nel caso in esame il debitore) nei cui confronti non opera pertanto l'efficacia "erga omnes" prevista da detta L. Fall., art. 184.
Risulta in tal modo superata ed assorbita l'ulteriore questione, prospettata sempre ai fini in esame della supposta illegittimità della limitazione della responsabilità dell'assuntore, riguardante il dedotto conflitto d'interessi che sussisterebbe tra la società ammessa al concordato preventivo e quella propostasi come assuntrice. Con il quinto motivo infine i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 181, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Lamentano che la Corte d'Appello abbia ritenuto di natura ordinatoria il termine di sessanta giorni previsto dalla L. fall., art. 181, e considerato tempestivo il decreto di omologa malgrado fosse stato emesso oltre la scadenza di detto termine sulla base della proroga al 31.10.2006 disposta dal Tribunale sull'erroneo presupposto dell'applicabilità della sospensione feriale dei termini e della loro natura processuale. Anche tale censura è infondata. La novellata L. Fall., art. 181, prevede che l'omologazione del concordato debba intervenire nel termine di mesi sei dalla presentazione del ricorso contenente la proposta (art. 161) e che tale termine possa essere prorogato di sessanta giorni e per una sola volta dal Tribunale.
Nel caso in esame risulta che il ricorso è stato presentato in data 17.1.2006 e la proroga è intervenuta con provvedimento del 25.5.2006, con la conseguenza che gli otto mesi sono scaduti (senza considerare la sospensione del periodo feriale) il 17.9.2006, mentre il decreto di omologazione porta la data del 17-31.10.2006. Mancando un'espressa previsione sulla natura del termine, si pone il problema di valutare se trattasi di termine perentorio od ordinatorio.
Ora, sebbene la finalità della previsione del termine sia da individuare nella necessità di tutelare l'interesse dei creditori alla pronta realizzazione dei loro diritti e che ciò potrebbe far propendere, unitamente alla previsione circa la possibilità di proroga per una sola volta e per un periodo ben definito, per la sua natura perentoria, ritiene il Collegio che non possa prescindersi dal principio espresso dall'art. 152 c.p.c., comma 2, in base al quale i termini devono considerarsi perentori solo se espressamente dichiarati tali dalla legge. Il termine persegue quindi in tal caso solo lo scopo di ribadire il principio di speditezza cui il procedimento deve comunque informarsi.
In ogni caso, premesso che trattasi certamente di termine processuale in quanto volto a contenere la durata del procedimento, milita ai fini della soluzione positiva in ordine alla tempestività del decreto di omologazione l'ulteriore argomento dell'applicabilità alla procedura in esame della sospensione feriale.
Al riguardo, in verità, si è formata una giurisprudenza contrastante (per la tesi affermativa Cass. 8097/92; Cass. 4541/93;
per la tesi opposta. Cass. 2139/04; Cass. 970/95).
Il convincimento circa l'applicabilità della sospensione feriale - basata nelle prime decisioni sulla natura eccezionale della deroga alla regola della sospensione limitata ai procedimenti per la dichiarazione di fallimento e per la relativa revoca e sulla conseguente impossibilità di una interpretazione analogica nonché sul carattere autonomo della procedura di concordato preventivo rispetto al successivo fallimento - trova ora una conferma nella L. Fall., art. 36 bis, introdotto con decorrenza 16.7.2006 dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 33, il quale, stabilendo che non sono soggetti alla sospensione feriale i termini processuali di cui ai precedenti artt. 26 e 36, consente sulla base di un argomento "a contrario" di ritenere applicabile invece la sospensione per tutti gli altri procedimenti, compreso quindi quello per l'omologazione del concordato.
L'accoglimento, sia pure in parte, del ricorso principale ed il rinvio della causa alla Corte d'Appello comportano l'assorbimento del ricorso incidentale relativamente alla questione riguardante la compensazione delle spese disposta dalla sentenza impugnata, mentre per quanto riguarda l'ulteriore specifica doglianza con cui è stato dedotto l'intervenuto giudicato per mancata tempestiva impugnazione del decreto di proroga dei termini e del decreto di fissazione dell'udienza in Camera di consiglio, si è già avuto modo di argomentare in relazione alle eccezioni pregiudiziali di inammissibilità in cui, fra l'altro, sono state prospettate entrambe le questioni finalizzate alla supposta formazione del giudicato. L'impugnato decreto va pertanto cassato in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla stessa Corte d'Appello di Bologna in diversa composizione che si uniformerà al principio accolto in ordine a tale motivo.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il primo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale. Accoglie il secondo. Dichiara assorbito il terzo nonché il ricorso incidentale. Cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Bologna in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 4 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2009