Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6834 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 02 Aprile 2004, n. 6510. Est. Rordorf.


Società - Di capitali - Società per azioni - Organi sociali - Amministratri - Responsabilità - In genere - Principio di parità di trattamento - Portata - Regola di comportamento della società nei confronti dei propri soci - Violazione - Responsabilità degli amministratori - Configurabilità - Fattispecie.



Nell'ordinamento delle società cooperative - attesa l'accentuata rilevanza dell'elemento personale che ad esse è propria e stante l'operatività della regola di buona fede nell'esecuzione di ogni rapporto contrattuale (ivi compresi quelli societari)- è da ritenersi vigente (già prima dell'espressa previsione nel testo dell'art. 2516 cod. civ., novellato dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) un generale principio di parità di trattamento dei soci da parte della società, il quale - da intendersi in senso relativo, e cioè come parità di trattamento dei soci che si trovino, rispetto alla società, in eguale posizione - attiene al modo in cui la società, e per essa i suoi amministratori e rappresentanti, è tenuta a comportarsi, definendo una regola di comportamento per gli organi sociale, la cui violazione, ove in fatto accertata, ben può esporre gli amministratori a responsabilità, ai sensi dell'art. 2395 cod. civ., applicabile alle cooperative in virtù dell'art. 2516 (ora art. 2519) cod. civ. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito, la quale, in sede di giudizio di rinvio, aveva affermato la responsabilità degli amministratori di una cooperativa edilizia, per il fatto che essi, a fronte della situazione debitoria di alcuni soci, non avevano attivato contro di essi alcuna iniziativa recuperatoria del credito sociale, ma avevano invece sopperito al fabbisogno finanziario dell'ente accendendo ipoteche su beni destinati ad altri soci, i quali avevano già assolto ogni obbligo di pagamento). (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIORETTI Francesco Maria - Presidente -
Dott. RORDORF Renato - rel. Consigliere -
Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere -
Dott. DI PALMA Salvatore - Consigliere -
Dott. PETITTI Stefano - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COLLO MANLIO, AMANDOLESE AUGUSTO, CORDARA SERGIO, elettivamente domiciliati in ROMA PIAZZA TREVI 86, presso l'avvocato MARIA TERESA BARBANTINI FEDELI, che li rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
CHIOVINO PAGLINO, CALABRÒ ANTONIA, CARTA ROSARIA, CARTA BASILIO, CARTA BARBARA, PELLICANO DOMENICO, tutti nella qualità di eredi di PELLICANO DOMENICO, LETTIERI ROSA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA ANAPO 46, presso l'avvocato MARIO FARINA, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato TERESA MARIA COSTA, giusta delega in calce al controricorso;
- controricorrente -
contro
MARTINA LUIGI, INNOCENTI GABRIELLA, POGGI ALFIO, APA ANGELO;
- intimati -
e sul 2^ ricorso n. 01/01/8575 proposto da:
INNOCENTI GABRIELLA, POGGI ALFIO, APA ANGELO, elettivamente domiciliati in ROMA VIALE G. CESARE N 14, presso l'avvocato ENRICO ROMANELLI, che li rappresenta a difende unitamente all'avvocato LUIGI COCCHI, giusta procura a margine del ricorso;
- controricorrenti e ricorrenti incidentali -
contro
CHIOVINO PAGLINO, CALABRÒ ANTONIA, CARTA ROSARIA, CARTA BASILIO, CARTA BARBARA, PELLICANO DOMENICO, tutti nella qualità di eredi di PELLICANO DOMENICO, LETTIERI ROSA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA ANAPO 46, presso l'avvocato MARIO FARINA, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato TERESA MARIA COSTA, giusta delega in calce al controricorso;
- controricorrente al ricorso incidentale -
avverso la sentenza n. 526/00 della Corte d'Appello di GENOVA, depositata il 14/07/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/12/2003 del Consigliere Dott. Renato RORDORF;
udito per i ricorrenti l'Avvocato BARBANTINI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso 8427/01;
udito por i ricorrenti INNOCENTI + 2 l'Avvocato PAFUNDI, con delega, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso 8575/01;
udito per il resistente l'Avvocato IASIELLO, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso 8427/01 e 8575/01;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARESTIA Antonietta che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I sigg. Paolino Chiovino, Antonia Calabrò, Rosaria, Basilio e Barbara Carta, Domenico Pellicano e Rosa Lettieri, soci della S.r.l. "Risparmio Casa Società cooperativa di abitazione", nel dicembre 1988 si sono rivolti al Tribunale di Genova per denunciare, ai sensi dell'art. 2395 c.c., la responsabilità dei sigg. Alfio Poggi, Luigi Martina, Augusto Amandolese, Gabriella Innocenti, Sergio Cordara, Manlio Collo ed Angelo Apa, componenti del consiglio di amministrazione di detta società, e per chiederne la condanna al risarcimento dei danni. Hanno dedotto che i convenuti, deliberando stipulando nell'aprile 1986 un mutuo bancario, con iscrizione d'ipoteca per L. 183.250.000 su appartamenti in precedenza prenotati da essi soci e poi loro assegnati fra il maggio ed il dicembre 1986, li avevano pregiudicati, perché la cooperativa, pur avendo interamente percepito i pattuiti corrispettivi, non aveva provveduto alla cancellazione della garanzia, violando gli impegni al riguardo assunti con i contratti di trasferimento. Hanno perciò chiesto ed ottenuto dal presidente del tribunale l'autorizzazione al sequestro conservativo, e quindi hanno citato i predetti amministratori per la convalida del sequestro e la loro condanna in solido al pagamento di L. 160.000.000 (ammontare residuo del mutuo ipotecario). Il Tribunale ha respinto le domande, per mancanza di nesso causale fra il comportamento dei convenuti ed il danno, ascrivibile all'inottemperanza della cooperativa ai menzionati obblighi contrattuali.
La Corte d'appello di Genova, su gravame delle parti attrici, con sentenza non definitiva del 23 ottobre 1993, ha convalidato il sequestro ed ha pronunciato condanna generica al risarcimento del danno nei confronti degli amministratori in solido, sul rilievo che la loro condotta era stata illecita e produttiva di nocumento agli istanti, i quali avevano ricevuto beni impoveriti dalla persistenza dell'iscrizione ipotecaria.
A seguito di ricorso dai sigg. Collo, Amandolese, Cordara e Martina, detta pronuncia è stata però cassata da questa corte, con sentenza n. 2934 del 4 aprile 1997, per la mancata individuazione da parte del giudice di merito di specifici profili di illegittimità nel comportamento degli amministratori della cooperativa. La causa è stata perciò rinviata ad altra sezione della medesima Corte d'appello di Genova per un riesame su tale punto.
Il giudice di rinvio, con sentenza depositata il 14 luglio 2000, avendo riscontrato elementi di contrarietà ai doveri di diligenza e correttezza nel comportamento degli amministratori della cooperativa - ed in particolare nel fatto che essi avevano gravato di ipoteca gli immobili destinati ad alcuni soci, il cui corrispettivo era stato già in precedenza interamente pagato, senza invece promuovere iniziative di sorta nei confronti di altri soci morosi - ha nuovamente condannato in solido i medesimi amministratori al risarcimento del danno subito dagli attori, da liquidarsi in separato giudizio.
Per la cassazione di questa sentenza hanno proposto separati ricorsi i sigg. Collo, Amandolese e Cordara (ric. n. 8427/01) ed i sigg. Innocenti, Poggi ed Apa (ric. n. 8575/01), i quali hanno poi anche depositato memoria.
Il sig. Chiovino e gli altri soci hanno replicato con controricorsi illustrati da successiva memoria.
Con ordinanza emessa dal collegio all'odierna udienza i due ricorsi proposti avverso la medesima sentenza sono stati riuniti. MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con la precedente sentenza n. 2934 del 1997 questa corte ha affermato i seguenti principi. L'art. 2395 c.c., per la responsabilità dell'amministratore di società verso il socio, non implicando una forma di responsabilità oggettiva, richiede che l'amministratore medesimo abbia commesso con dolo o colpa un fatto illecito e che questo abbia avuto diretta incidenza nel patrimonio del socio. L'illecito presuppone una condotta, commissiva od omissiva, contraria a doveri giuridici, siano quelli specificamente costituiti con rapporto negoziale, ovvero quelli che l'ordinamento stabilisce in via generale a tutela dei diritti altrui (neminem laedere). La responsabilità non può quindi derivare dal rilievo della mera dannosità per il singolo socio dell'atto compiuto dall'amministratore, ma necessariamente postula un quid pluris, consistente in modalità di deliberazione o esecuzione di quell'atto tali da evidenziare inosservanza dei doveri (specifici o generali) insorti con l'incarico gestionale. In carenza di detto ulteriore elemento, la condotta dell'amministratore resta sul piano del doveroso o comunque legittimo esercizio delle funzioni inerenti alla carica e non può essere fonte di responsabilità personale verso il socio, il quale è tenuto a subirne gli eventuali risvolti negativi, quale conseguenza di patti liberamente sottoscritti in sede di costituzione della società o di successive decisioni validamente prese dall'assemblea.
Alla stregua di tali principi, questa corte, nell'anzidetta precedente pronuncia, ha stimato esente da vizi la decisione del giudice di merito, nella parte in cui essa aveva ritenuto svantaggiosa per i soci prenotatari di appartamenti l'accensione di mutuo con garanzia ipotecaria sui relativi immobili, dato che ciò li esponeva all'alternativa di rinunciare all'assegnazione o di ottenerla con i rischi connessi alla presenza dell'ipoteca. Nel che è stata ravvisata una potenziale lesione di posizioni di diritto soggettivo, giacché le cooperative cosiddette libere, cioè non fruenti di sovvenzioni pubbliche, operano secondo canoni strettamente privatistici e, quindi, le prenotazioni dei loro alloggi sono riconducibili nello schema del preliminare di vendita, con gli effetti obbligatori di esso propri. La corte ha tuttavia cassato la sentenza d'appello, perché carente in ordine all'affermazione dell'illiceità del fatto, essendosi questa basata solo sul rilievo che il mutuo ipotecario era ingiustificato ed inopportuno alla stregua della situazione economica dell'ente e dei suoi impegni negoziali; ed ha perciò demandato al giudice di rinvio di accertare se l'operato degli amministratoci fosse o meno contrario ai doveri della carica.
2. All'esito della indagine confidatale, la Corte d'appello di Genova, in veste di giudice di rinvio, ha individuato nel materiale probatorio acquisito - ed in particolare nelle ammissioni degli stessi amministratori, sentiti nell'ambito del procedimento cautelare documentato in causa - elementi idonei ad affermare che gli amministratori della cooperativa hanno violato gli obblighi di vigilanza, diligenza, buona amministrazione e trattamento equanime dei soci su di essi incombenti, tenuto anche conto della specificità dello scopo mutualistico da cui quel tipo di società è caratterizzato. Tale violazione, in modo particolare, è stata ravvisata nel fatto che, a fronte della situazione debitoria di alcuni soci, gli amministratori non hanno attivato alcuna iniziativa recuperatola del credito sociale, ma hanno invece sopperito al fabbisogno finanziario dell'ente accendendo le ipoteche di cui si discute su beni destinati ad altri soci (gli odierni
controricorrenti) i quali avevano già assolto ogni loro obbligo di pagamento.
3. I due ricorsi, ancorché formalmente distinti e contrassegnati da un ordine espositivo parzialmente diverso, sostanzialmente prospettano doglianze del tutto analoghe, onde li si può senz'altro esaminare unitariamente.
I ricorrenti, innanzitutto, lamentano che la statuizione della corte ligure ricalchi quella già in precedenza annullata, senza in realtà svolgere il compito assegnato dalla Cassazione al giudice di rinvio. Aggiungono che il ragionamento esposto nell'impugnata sentenza è tautologico e si dolgono, per un verso, che la corte territoriale non abbia tenuto conto del fatto che, al tempo dell'accensione del mutuo ipotecario di cui si discute, necessario per far fronte al debito contratto verso il venditore dell'immobile, la situazione economica della cooperativa non era tale da far ritenere che la medesima società non sarebbe stata poi in grado di adempiere le relative obbligazioni con conseguente pregiudizio per i soci aggiudicatari;
per altro verso, che sia stato attribuito valore confessorio a dichiarazioni rese al giudice dalle parti al di fuori di un interrogatorio formale.
Infine, censurano l'impugnata sentenza por non avere considerato l'assenza di qualsiasi nesso causale tra il danno lamentato dai soci ed il comportamento imputabile ad essi ricorrenti, posto che quando la cooperativa si era resa inadempiente all'obbligo di cancellazione delle ipoteche, assunto in sede di assegnazione dei singoli immobili, essi avevano già dismesso la veste di amministratori della società. Ed aggiungono che l'addebito di non aver proceduto all'escussione di altri soci morosi integrerebbe un'inammissibile mutatio libelli rispetto a quanto dedotto dagli attori in primo grado. 4. I ricorsi appaiono infondati sotto ogni profilo.
4.1. Se è pur vero che alcuni degli elementi di illiceità che la corte territoriale identifica nel descritto comportamento degli amministratori - in particolare il richiamo ai doveri di diligenza e buona fede ed all'obbligo di neminem laedere - appaiono formulati in termini piuttosto generici, è nondimeno evidente che il nucleo argomentativo su cui la decisione si basa è costituito dal rilievo che detti comportamenti hanno ingiustificatamente discriminato la posizione dei soci, favorendo i morosi in danno di quelli che già avevano invece tempestivamente provveduto al pagamento delle somme loro richieste per acquisire la proprietà dell'alloggio. Che in ciò risieda un elemento di illiceità è espressamente affermato dal giudice del rinvio, il quale vi ravvisa la violazione di un "obbligo di equanimità nei confronti dei diversi soci" e sottolinea come tale obbligo sia particolarmente rilevante in una società cooperativa, retta dal principio di mutualità.
Non può quindi certamente affermarsi che il giudice di rinvio si sia sottratto al compito di verifica e di motivazione attribuitogli dalla precedente sentenza di questa corte, ne' che abbia espresso in proposito una valutazione meramente tautologica.
Tale valutazione, peraltro, appare giuridicamente ineccepibile, dovendosi qui riaffermare (nè, del resto, i ricorrenti estesamente lo contestano) la vigenza nell'ordinamento delle società cooperative di un generale principio di parità di trattamento dei soci ad opera della società, cui deve uniformarsi il comportamento di chi la società medesima è chiamato a gestire. Principio che è stato solo di recente espressamente enunciato nel testo dell'art. 2516 c.c., come novellato dal d. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, ma che non per questo può ritenersi fosse estraneo al sistema giuridico preesistente. Vi era invece già insito, se non per ogni tipo di società (come pure da tempo affermato da autorevoli voci di dottrina), quanto meno in quelle cooperative: sia per la più accentuata rilevanza dell'elemento personale che è loro propria e che si esprime anche nelle limitazioni alla possibilità per ciascun socio di possedere oltre un certo numero di azioni e nella connessa regola del voto capitario in assemblea, sia per la connotazione solidaristica di queste forme societarie, cui la stessa mutualità storicamente si riallaccia. Lo si poteva - e lo si può - in definitiva dedurre anche dall'ancor più generale principio di buona fede, cui l'esecuzione di ogni rapporto contrattuale (ivi compresi quelli societari) è soggetta, essendo intuitivo che gli aderenti ad una cooperativa si attendano, a parità di apporti, la possibilità di godere di pari benefici e quindi di fruire in pari misura dei servizi mutualistici che la società è chiamata a rendere loro. Il principio di parità di trattamento (pur sempre da intendersi in senso relativo, e cioè come parità di trattamento dei soci che si trovino, rispetto alla società, in uguale posizione), attiene al modo in cui la società - e per essa i suoi amministratori e rappresentanti - è tenuta a comportarsi nei riguardi dei propri soci. Definisce, cioè, una regola di comportamento (positiva o negativa, a secondo dei casi) per gli organi sociali, la cui violazione, in punto di fatto accertata, ben può esporre gli amministratori a responsabilità, ai sensi del citato art. 2395, applicabile alla cooperativa in virtù del rinvio operato dall'art. 2516 (ora 2519) c.c., come correttamente reputato dalla corte ligure. 4.2. Quanto poi al governo della risultante istruttorie dalle quali la corte territoriale ha desunto la circostanze di fatto che l'hanno indotta a ravvisare la violazione della suindicata regola di parità di trattamento, basta ricordare che le dichiarazioni rese dalle parti in sede di interrogatorio non formale, pur se prive di valore confessorio, in quanto detto mezzo è diretto semplicemente a chiarire i termini della controversia, ben possono nondimeno costituire il fondamento del convincimento del giudice (cfr. Cass. 14 dicembre 2001, n. 15849; 26 maggio 2000, n. 7002; 13 settembre 2000, n. 12125; 22 ottobre 1998, n. 10497, ed altre conformi). 4.3. Nemmeno le considerazioni svolte dai ricorrenti in ordine al difetto di nesso causale tra l'illecito comportamento imputato agli amministratori ed il danno subito dai soci colgono nel segno. Già nel precedente giudizio di merito il danno era stato individuato nel fatto stesso che gli immobili destinati a detti soci fossero stati gravati da ipoteca in base ad atti imputabili agli odierni ricorrenti; e sul punto non è dato ritornare non avendo questa corte, nella sua precedente sentenza, ravvisato alcun vizio logico- giuridico nell'anzidetta affermazione ed avendo invece disposto il giudizio di rinvio solo per un difetto di motivazione concernente l'accertamento dell'illiceità dei comportamenti in questione. In ordine a quest'ultimo aspetto, non è poi ravvisabile alcuna inammissibile esorbitanza dalle ragioni poste a fondamento dell'originaria domanda nel fatto che la violazione del principio di parità di trattamento tra i soci della cooperativa sia stato desunto anche dal non avere gli amministratori proceduto all'escussione di altri soci morosi. Tale circostanza - stando a quel che si evince dalla sentenza impugnata - era stata acquisita in causa sin dalla fase cautelare di primo grado e, per il resto, essa non integra un'autonoma e distinta causa petendi, bensì una della risultanze istruttorie sulle quali il giudice di rinvio era tenuto a soffermare la propria attenzione per adempiere l'incarico affidatogli dalla precedente sentenza di cassazione.
5. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna in solido dei ricorrenti al rimborso, in favore delle controparti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in euro 5.500,00 (cinquemilacinquecento) per onorari e 100,00 (cento) per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori dovuti per legge. P.Q.M.
La corte, dato atto della disposta riunione dei ricorsi, li rigetta e condanna i ricorrenti in solido al pagamento della spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 5.500,00 (cinquemilacinquecento) per onorari e 100,00 (cento) per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori dovuti per legge.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2003.
Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2004