Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6625 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 14 Settembre 1999, n. 9803. Est. Di Amato.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Società e consorzi - Società con soci a responsabilità limitata - Versamenti dei soci - Decreto ingiuntivo del giudice delegato - Emissione in pendenza di giudizio di accertamento negativo del credito - Avanti allo stesso tribunale di appartenenza del giudice delegato - Litispendenza o continenza - Esclusione - Fondamento - Identità dell'ufficio giudiziario - Conseguenze - Riunione dei giudizi dopo la proposizione dell'opposizione - Configurabilità - Sussistenza.

 



Il principio secondo cui, nell'ipotesi di richiesta ad un ufficio giudiziario di un decreto ingiuntivo e di conseguente emissione del decreto, in pendenza di un giudizio di accertamento negativo del credito oggetto del ricorso monitorio, non sussiste ne' relazione di litispendenza ne' relazione di continenza fra i due procedimenti, ma, difettando il presupposto della diversità dei giudici e dovendo i procedimenti reputarsi pendenti innanzi allo stesso ufficio, si determina - una volta proposta l'opposizione - soltanto l'esigenza della loro riunione ai sensi degli artt. 273 e 274 cod. proc. civ., deve ritenersi applicabile anche nel caso in cui un giudice delegato fallimentare emetta un decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 150 della Legge Fallimentare in pendenza, avanti al Tribunale cui egli appartiene, di un giudizio di accertamento negativo in ordine al credito oggetto dell'ingiunzione. Ciò, perché anche in tal caso il giudice delegato rappresenta soltanto un'articolazione del tribunale e, mancando il presupposto della diversità del giudice, non può configurarsi una sua competenza diversa ed autonoma rispetto al quella del tribunale. (massima ufficiale)


Massimario, art. 150 l. fall.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Enrico PAPA - Presidente -
Dott. Ugo VITRONE - Consigliere -
Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI - Consigliere -
Dott. Giuseppe MARZIALE - Consigliere -
Dott. Sergio DI AMATO - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
CAVA FRANCESCA Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA UGO OJETTI 350, presso l'avvocato GIUSEPPE MACCARRONE, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato PIETRO RIVOLTELLA, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO EDILMAC SpA, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA COSSERIA 5, presso l'avvocato ENRICO ROMANELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato VITTORIO DENTI, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 191/97 della Corte d'Appello di BRESCIA, depositata il 02/04/97;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/01/99 dal Consigliere Dott. Sergio DI AMATO;
udito per il resistente, l'Avvocato Pecora, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Aurelio GOLIA che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il giudice delegato al fallimento della Edilmac s.p.a., con decreto emesso ai sensi dell'art. 150 l. fall., ingiungeva alla società Cava Francesca a r.l., già ammessa al passivo del detto fallimento per l'importo di lire 238.504.999 in chirografo, il pagamento dell'importo di lire 301.000.000=; secondo l'assunto della curatela fallimentare, il debito derivava dall'acquisto da tale Giuseppe Quistini di azioni non liberate, derivanti dall'aumento a pagamento (deliberato il 10 luglio 1989), da lire 450.000.000 a lire 900.000.000=, del capitale sociale della Edilmac s.p.a. , successivamente dichiarata fallita dal Tribunale di Crema, con sentenza dell'11 luglio 1990. Il decreto, emesso il 4 aprile 1991, reiterava analogo decreto del 7 dicembre 1990, dichiarato inefficace, ai sensi degli artt. 644 c.p.c. e 188 disp. att. c.p.c., perché notificato oltre il termine di quaranta giorni dalla pronuncia. La società Cava Francesca, già insorta contro il primo decreto ingiuntivo, con ricorso per dichiarazione di inefficacia del 22 gennaio 1991 e con atto di citazione del 24 gennaio 1991, inteso (anche) ad ottenere un accertamento negativo di debito in prevenzione, radicava un nuovo giudizio, dopo la notifica del secondo decreto ingiuntivo, con atto di citazione del 26 aprile 1991. La società Cava Francesca contestava la pretesa del fallimento, deducendo che la scheda di conto corrente "di provenienza Edilmac", intestata a Giuseppe Quistini, suo dante causa, presentava in data 10 luglio 1989 1'annotazione dell'importo di lire 450.000.000=, a debito del Quistini, con la causale "finanziamento Quistini G. aum. cap. sociale" e in data 14 giugno 1990 il saldo di lire 129.006.398 a credito del socio; che, pertanto, tutte le azioni di nuova emissione dovevano ritenersi liberate per intero al momento del loro trasferimento dal Quistini (5 dicembre 1989) alla società Cava Francesca. In via subordinata eccepiva la compensazione tra il debito di conferimento ed il credito di complessive lire 1.091.546.215, ammesso al passivo per l'importo di lire 238.504.999 e derivante, per la differenza, da surrogazione nelle posizioni creditorie di alcuni istituti di credito, con un saldo a favore della s.r.l. Cava Francesca di lire 790.546.215. Chiedeva, pertanto, al Tribunale di Crema di dichiarare che la società Cava Francesca nulla doveva per conferimenti alla Edilmac s.p.a., avendo acquistato azioni interamente liberate da Giuseppe Quistini; in subordine, chiedeva di dichiarare la compensazione dei crediti reciproci e di disporre l'ammissione del credito residuo, di lire 790.546.215, al passivo del fallimento della Edilmac s.p.a..
Costituitosi in giudizio, il fallimento osservava che il decreto ingiuntivo del 4 aprile 1991 era stato dichiarato esecutivo, per mancanza di opposizione, con provvedimento del giudice delegato del 23 maggio 1991, in quanto la citazione introduttiva del 26 aprile 1991, priva di espressa domanda di revoca del provvedimento monitorio, non poteva valere quale atto giudiziale di opposizione. Obiettava perciò che la domanda proposta in via principale dalla società attrice, essendo diretta a far accertare l'inesistenza del debito di conferimento, doveva ritenersi preclusa dalla formazione del giudicato. Sosteneva che la domanda era comunque del tutto infondata, in quanto il prospettato finanziamento di lire 450.000.000, utilizzato dal Quistini per sottoscrivere l'aumento del capitale sociale, se veramente concesso dalla Edilmac s.p.a. al socio, sarebbe stato un atto nullo ai sensi dell'art. 2358 c.c., a parte la mancanza di deliberazioni adottate dalla Edilmac s.p.a. sul punto e l'assenza, nelle scritture contabili della medesima società, di riscontri del preteso versamento effettuato dal Quistini nelle casse sociali, in conto dell'operazione sul capitale. Quanto alla eccezione di compensazione dei crediti, per le quantità corrispondenti, e quanto alla domanda di ammissione del credito residuo allo stato passivo, il fallimento osservava che l'accertamento dei crediti poteva avvenire soltanto nella sede e nei modi indicati dall'art. 52 l. fall.; inoltre, deduceva che la compensazione dei crediti non poteva operare sia per difetto degli estremi della surrogazione legale, trattandosi di crediti ceduti da terzi in assenza di rapporto fideiussorio tra cedente e cessionario, sia per l'inapplicabilità della compensazione ai debiti verso la massa.
La s.r.l. Cava Francesca riassumeva anche la causa, cancellata dal ruolo, introdotta con citazione del 24 gennaio 1991, chiedendo di accertare l'inesistenza del debito di conferimento e, in via subordinata, di dichiarare la compensazione dei crediti reciproci;
chiedeva infine di dichiarare apposta illegittimamente la formula esecutiva al decreto ingiuntivo del 4 aprile 1991 e nulla e/o inefficace l'ipoteca giudiziale iscritta in forza del provvedimento monitorio, nonché di revocare il medesimo, di ordinare la cancellazione dell'ipoteca e di condannare la procedura concorsuale al risarcimento dei danni, anche per responsabilità processuale aggravata.
Il fallimento della Edilmac s.p.a. si costituiva contestando la fondatezza delle domande.
Dopo la riunione delle cause il Tribunale di Crema, con sentenza del 21 maggio 1992, rigettava le domande della società Cava Francesca. In particolare, il Tribunale riteneva che: a) l'atto di citazione del 26 aprile 1991 non poteva qualificarsi come opposizione al decreto ingiuntivo del 4 aprile 1991, con conseguente formazione del giudicato sul credito ingiunto; b) in ogni caso, la domanda di accertamento negativo era infondata poiché la "scheda di conto corrente" prodotta dalla società Cava Francesca non solo non aveva valore di scrittura privata, non essendo sottoscritta, ma secondo l'assunto della predetta società si riferiva ad una anticipazione accordata al socio sulle azioni e perciò ad un negozio nullo; c) il debito di conferimento non era suscettibile di compensazione con il credito verso la società poiché difettava la conforme volontà della società; poiché il debito di conferimento competeva uti socius mentre il credito competeva uti tertius; poiché la compensazione del debito di conferimento era esclusa in sede fallimentare; poiché le fideiussioni, in virtù delle quali la società Cava Francesca aveva effettuato pagamenti in favore di istituti di credito, erano prive di data certa; d) l'accertamento dei crediti concorsuali non era ammissibile con mezzi diversi da quelli apprestati dagli artt. 92 e 101 l. fall..
La Corte di appello di Brescia, a seguito di impugnazione della società Cava Francesca, osservava che: a) l'eccezione di litispendenza in relazione alla domanda di accertamento negativo del debito, pendente al momento della emissione del decreto ingiuntivo, era infondata poiché nella specie mancava il presupposto della diversità dei giudici aditi; egualmente infondata era l'analoga eccezione di continenza poiché il giudice successivamente adito, e cioè il giudice delegato, aveva una competenza funzionale nelle ipotesi previste dall'art. 150 l. fall. e, comunque, non era un giudice appartenente ad un ufficio diverso; b) la citazione del 26 aprile 1991 aveva natura di atto di opposizione al decreto ingiuntivo del 4 aprile 1991 poiché, pur non chiedendone espressamente la revoca, aveva contestato l'esistenza del credito e, in subordine, ne aveva chiesto la dichiarazione di compensazione;
pertanto erroneamente era stato dichiarato esecutivo il decreto ingiuntivo e sulla base di esso era stata iscritta ipoteca giudiziale della quale doveva essere ordinata la cancellazione; c) l'attestazione della liberazione delle azioni, proveniente dal presidente del collegio sindacale ed iscritta nel libro soci, non rendeva certo per i terzi il fatto attestato, ma non rispondente al vero, tenuto conto della "mancanza di tutela cartolare secondo la regola della letteralità, nella circolazione delle azioni, per effetto della disciplina dettata dall'art. 2356 c.c."; d) la scheda contabile prodotta a dimostrazione del preteso versamento a liberazione delle azioni non recava sottoscrizione; non era copia di scritture contabili;
sarebbe stata priva di valore anche se ne fosse stata dimostrata la generica provenienza dagli uffici della società Edilmac;
registrava una pretesa operazione nulla e cioè una anticipazione della società ai soci per l'acquisto delle azioni; e) la sentenza impugnata aveva fondato l'esclusione della compensazione su una pluralità di ragioni non specificamente censurate dalla società appellante, che si era limitata a dedurre la natura pecuniaria dei crediti reciproci, certi, liquidi ed esigibili nonché l'inesistenza di termini o riserve per la formulazione dell'eccezione di compensazione; f) le stesse considerazioni rendevano irrilevante l'eventuale certezza della data delle fideiussioni in virtù delle quali l'appellante aveva effettuato pagamenti dopo la dichiarazione di fallimento per importi che, in parte, opponeva in compensazione e, per il residuo, chiedeva che fossero ammessi al passivo; g) i creditori della fallita, garantiti da fideiussione e soddisfatti dalla s.r.l. Cava Francesca, erano già stati ammessi al passivo con la conseguenza che, per evitare una duplicazione di ammissioni al passivo, il fideiussore che aveva pagato beneficiava della già avvenuta insinuazione; h) non sussistevano gli estremi della responsabilità processuale aggravata, ex art. 962 c.p.c., in quanto il diritto per il quale era stata iscritta ipoteca giudiziale esisteva ed in quanto la natura di atto di opposizione della citazione del 26 aprile 1991 era stata riconosciuta solo in sede interpretativa.
Pertanto, la Corte di merito, dichiarava illegittimamente apposta la formula esecutiva al decreto ingiuntivo emesso dal giudice delegato il 4 aprile 1990, dichiarava la nullità della relativa iscrizione di ipoteca giudiziale, della quale ordinava la cancellazione, e rigettava nel resto l'appello.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione la società Cava Francesca a r.l., deducendo cinque motivi. Il fallimento della Edilmac s.p.a. resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 39, 633 e 6433 c.p.c. nonché il vizio di motivazione in relazione all'art. 644 c.p.c.. In particolare, sotto il primo profilo, la ricorrente si duole che il giudice delegato non sia stato considerato, ai fini della continenza delle cause, giudice diverso dal tribunale nel quale è incardinato, tenuto conto della competenza funzionale ed inderogabile a conoscere della opposizione al decreto ingiuntivo emesso ai sensi dell'art. 150 l. fall.; sotto il secondo profilo, si duole che la Corte di appello non abbia preso in considerazione la censura con la quale deduceva che il giudice non poteva limitarsi a dichiarare l'inefficacia del primo decreto ingiuntivo notificato fuori termine, ma doveva esaminarlo nel merito, con la conseguenza che il secondo decreto ingiuntivo era stato illegittimamente richiesto ed emesso.
Entrambi i profili del motivo sono infondati. Quanto al primo, questa Corte ha più volte affermato - in relazione a fattispecie nelle quali era stato richiesto ed ottenuto un decreto ingiuntivo in pendenza, innanzi allo stesso tribunale, di un giudizio di accertamento negativo del credito fatto valere in via d'ingiunzione - che non si determina ne' un rapporto di litispendenza ne' un rapporto di continenza fra due procedimenti quando difetti il presupposto della diversità dei giudici e quindi della pendenza della causa davanti a giudici diversi. Infatti, quando i procedimenti sono pendenti innanzi allo stesso giudice sorge solo l'esigenza di una loro riunione, a norma dell'art. 273 e 274 c.p.c., cui appunto nella specie ha correttamente provveduto il giudice di primo grado (Cass. 28 giugno 1976, n. 2428 e, da ultimo, Cass. 22 dicembre 1993, n. 12707; Cass. 5 marzo 1999, n. 1876). Lo stesso principio deve essere applicato in relazione al decreto ingiuntivo emesso dal giudice delegato al fallimento, quando lo stesso appartenga allo stesso tribunale innanzi al quale pende la causa di accertamento negativo. Invero, in entrambi i casi il giudice competente ad emettere il decreto ingiuntivo rappresenta soltanto una articolazione del tribunale, privo di una competenza diversa ed autonoma, con la conseguenza che deve escludersi la diversità del giudice. In particolare, il giudice delegato, nella emissione del decreto ingiuntivo previsto dall'art. 150 l. fall., ha una competenza che coincide con quella del tribunale, che decide sulla eventuale opposizione, e si caratterizza soltanto per la contrapposizione della cognizione sommaria alla cognizione piena, nell'ambito di uno stesso grado di giudizio.
Quanto al secondo profilo del motivo, si deve osservare che la Corte di merito, benché non abbia specificamente esaminato la doglianza, ha ricostruito le vicende processuali in modo con essa incompatibile. In particolare, la decisione impugnata precisa che, a seguito della notificazione tardiva del primo decreto ingiuntivo, l'odierna ricorrente ha proposto (non una opposizione, che, secondo la giurisprudenza invocata, avrebbe reso comunque necessaria una pronunzia nel merito, ma) un ricorso per dichiarazione di inefficacia del decreto ed una citazione per l'accertamento negativo della pretesa fatta valere con il decreto.
Mancavano, quindi, i presupposti per l'esame della doglianza, infondata anche nelle premesse.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce l'insufficienza della motivazione in ordine alla dedotta eccezione di buona fede del terzo nell'acquisto di azioni non liberate. In particolare, la ricorrente si duole che nella controversia tra la società ed il terzo acquirente di azioni dal socio non sia stato dato rilievo a quanto risultava dalle delibere assembleari e dalle attestazioni del presidente del collegio sindacale, eventualmente ai sensi dell'art. 1415 c.c., indipendentemente dalla conoscenza o meno di tali risultanze al momento dell'acquisto. Infine, la ricorrente si duole che il giudice non abbia stabilito la portata probatoria della scheda contabile pacificamente proveniente dalla s.p.a. Edilmac, sia pure senza sottoscrizione.
Il motivo è infondato. Quanto al rilievo della pretesa buona fede della società acquirente delle azioni, anche ai sensi dell'art. 1415 c.c., si tratta di questione nuova proposta per la prima volta in questa sede e, pertanto, inammissibile. Quanto, invece, alla lamentata omessa valutazione della portata probatoria della scheda contabile proveniente dalla s.p.a. Edilmac, e recante l'attestazione del versamento delle somme dovute dal Quistini in relazione all'aumento di capitale sottoscritto, la doglianza è priva di fondamento poiché la Corte di merito, come riferito in narrativa, l'aveva presa specificamente in considerazione per escluderne il valore probatorio, con valutazioni relative alla mancanza di sottoscrizione ed alla estraneità alla contabilità della s.p.a. Edilmac, entrambe qui non censurate, nonché alla documentazione, in ogni caso, di un negozio nullo ai sensi dell'art. 2358 c.c.. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 1823 e 2358 c.c. sotto il profilo che la seconda delle dette disposizioni è diretta esclusivamente agli amministratori per impedire che si eluda il divieto di acquisto di azioni proprie. Il motivo deve ritenersi assorbito dalla pronunzia sul secondo. Infatti, indipendentemente dalla fondatezza o meno della questione, la pretesa validità di un mutuo concesso ai soci, per sottoscrivere un aumento di capitale, in tanto potrebbe avere rilievo nella specie in quanto la Corte di merito avesse accertato la corresponsione del mutuo, confermando la provenienza della scheda dalla s.p.a. Edilmac o, comunque, la sua corrispondenza con la contabilità della detta società; queste circostanze, invece, come riferito a proposito del secondo motivo, sono state escluse senza che la ricorrente abbia formulato doglianze al riguardo.
Con il quarto motivo (terzo in ricorso) la ricorrente deduce la violazione degli artt. 342 c.p.c., 56 l. fall., 1242 e 1243 c.c.;
in particolare, la ricorrente si duole che la Corte di merito abbia ritenuto non censurate alcune delle rationes decidendi poste a base della esclusione della compensazione in sede fallimentare, senza tenere conto che i motivi di appello indicavano positivamente gli elementi che consentivano la compensazione;
pertanto, l'appellante non era tenuto a contestare specificamente le argomentazioni del primo giudice.
Il motivo è fondato per quanto di ragione. L'onere della specificazione dei motivi previsto dall'art. 342 cod. proc. civ. ha la duplice funzione di delimitare l'ambito di esame consentito al giudice di appello, in conformità del principio "tantum devolutum quantum appellatum", e di consentire il puntuale e ragionato esame delle critiche mosse alla decisione impugnata.
Tale onere si può ritenere assolto soltanto quando l'atto di appello esprima articolate ragioni di doglianza su punti specifici della sentenza di primo grado. Non è, pertanto, sufficiente, in relazione ad un autonomo capo della sentenza impugnata, il generico rinvio alle difese svolte in primo grado.: il giudizio di appello, che ha natura di revisio prioris istantiae alla stregua dei motivi di gravame (Cass. 7 novembre 1970, n. 2266; Cass. 13 marzo 1987, n. 2610), non consente la mera richiesta di un iudicium novum. Ciò, tuttavia, non esige l'esplicito esame dei passaggi argomentativi della decisione impugnata quando, come nella specie, l'appellante abbia argomentato la sua doglianza in modo incompatibile con l'argomentazione complessiva; l'esame, infatti, dei singoli passaggi è del tutto inutile una volta che l'appellante abbia esposto argomentazioni incompatibili con le stesse premesse del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata.
Sotto tale profilo si deve ricordare l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui la specificità dei motivi non può essere definita in via generale ed assoluta, ma va correlata con la motivazione della sentenza impugnata e deve ritenersi sussistente quando alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell'appellato, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime (Cass- s.u. 29 settembre 1993, n. 9628). Orbene, le rationes decidendi della non compensabilità individuate dalla Corte di merito e ritenute non censurate sono le seguenti: difetto di consenso della società, non omogeneità delle posizioni alle quali si riferivano il debito ed il credito del socio, non compensabilità in sede fallimentare del debito di conferimento. A fronte di tali rationes decidendi, l'appellante deduce che il debito di conferimento, derivante dalla sottoscrizione dell'aumento di capitale, è una obbligazione pecuniaria che si sottrae a qualsiasi distinzione rispetto ad altre specie di debito, con la conseguenza che rispetto ad essa, ricorrendo una ipotesi di debiti contrapposti e concorrenti, opera la compensazione. Pertanto, sia pure sinteticamente, l'appellante ha contestato il presupposto delle specifiche ragioni poste dal tribunale a fondamento della sua decisione e cioè che il debito di conferimento, sorto con la sottoscrizione dell'aumento del capitale sociale, abbia caratteristiche peculiari che consentano di argomentarne, sotto diversi profili, la non compensabilità. In relazione all'accoglimento di tale motivo, la Corte di merito, in sede di rinvio, dovrà procedere all'esame del motivo di appello, erroneamente ritenuto non specifico.
Con il quinto motivo (quarto in ricorso) la ricorrente deduce la violazione degli artt. 28182 c.c. e 96 c.p.c., lamentando che la Corte di appello non aveva esaminato la domanda di risarcimento dei danni proposta ai sensi dell'art. 2043 c.c. ed aveva rigettato quella proposta ai sensi dell'art. 96 c.p.c., ritenendo erroneamente che l'invalidità del titolo, sulla cui base era stata iscritta ipoteca giudiziale, potesse essere superata con il rilievo che, comunque, sussisteva il diritto accertato con quel titolo. Il motivo è infondato sotto entrambi i profili dedotti. Quanto all'omesso esame della domanda di risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c., secondo la giurisprudenza di questa Corte, la cognizione dei casi di responsabilità risarcitoria per atti o comportamenti processuali della parte, tra i quali l'iscrizione di ipoteca giudiziale, è devoluta in via esclusiva al giudice cui spetta di conoscere il merito della causa dall'art. 96 cod. proc. civ., che fissa una integrale e completa disciplina della responsabilità processuale, esaurendone tutte le ipotesi, con la conseguenza che resta preclusa ogni possibilità di invocare i principi generali della responsabilità per fatto illecito di cui all'art. 2043 cod. civ. (Cass. 12 ottobre 1987, n. 7528; Cass. 23 maggio 1994, n. 5022). Pertanto, l'iscrizione di ipoteca giudiziale è fonte esclusivamente di quella responsabilità processuale ex art. 96 cod. proc. civ. sulla quale la Corte di merito si è pronunciata. Quanto alla rilevanza attribuita alla esistenza del diritto, in contrapposizione alla irrilevanza dell'illegittima formazione del titolo, l'art. 96, 2° co., c.p.c. prevede quale requisito della responsabilità, per il caso, tra gli altri, di iscrizione di ipoteca giudiziale, quello della inesistenza del diritto per il quale l'ipoteca stessa è stata iscritta, attribuendo, pertanto, esclusivo rilievo all'ingiustizia della iscrizione e prescindendo, perciò, dalla sua illegittimità (v. Cass. 634990). Pertanto, la responsabilità processuale aggravata ex art. 96, 2° comma, si deve escludere quando sussista il diritto per il quale è stata iscritta ipoteca giudiziale e ciò anche se il titolo per l'iscrizione sia stato formato illegittimamente.
In relazione al motivo accolto la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P . Q . M .
Accoglie il quarto motivo per quanto di ragione; rigetta gli altri motivi; rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte di appello di Brescia.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 29 gennaio 1999. Depositata in cancelleria il 14 settembre 1999.