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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6616 - pubb. 01/08/2010.

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Cassazione civile, sez. I, 17 Dicembre 1990. Est. Bibolini.

Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Ripartizione dell'attivo - Ordine di distribuzione - Partecipazione dei creditori tardivi - Creditore ammesso tardivamente al passivo del fallimento - Ritardo non imputabile al creditore - Riparto dell'attivo solo nei limiti della quantità disponibile al momento dell'ammissione - Necessità - Riduzione dei reparti ricevuti dagli altri creditori - Esclusione.


Il creditore ammesso tardivamente al passivo del fallimento, (anche) nel caso in cui il ritardo sia dipeso da causa a lui non imputabile, può partecipare, ai sensi dell'art. 112 legge fall., alla ripartizione dell'attivo solo nei limiti della quantità di esso disponibile al momento della sua ammissione, essendo ormai divenuto definitivo il provvedimento mediante il quale è stato reso esecutivo il precedente progetto di riparto (se non impugnato), senza che possa pretendere di incrementare le disponibilità residue all'atto dell'ammissione mediante la riduzione dei riparti ricevuti da altri creditori, dovendosi escludere, in presenza dell'espressa regolamentazione del citato art. 112 legge fall., la possibilità di ricorrere ad una applicazione, in via estensiva, della disciplina contenuta nell'art. 114 stessa legge (che prevede, invece, la restituzione delle somme già riscosse dai creditori, con riferimento ai casi di revocazione di cui al precedente art. 102). (massima ufficiale)

Massimario, art. 114 l. fall.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Alessandro FALCONE Presidente
" Ernesto TILOCCA Consigliere
" Giuseppe CATURANI "
" Michele CANTILLO "
" Giancarlo BIBOLINI Rel. "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
SANTANGELI BERNARDINO ed ANNA LUCCICHENTI rappresentati e difesi dagli Avv.ti Antonio Cavallucci e Luigi Lecrivain con delega a margine del ricorso; il secondo elettiv. domic.ta in Roma, Via Ghirza, 9 presso l'Avv. Antonio Cavallucci; inoltre il primo è rappresentato e difeso anche dall'Avv. Ludovico Pazzaglia con studio in Roma, Largo Generale Gonzaga, 2 presso cui elegge domicilio. Ricorrenti
contro
CINGIA ANNUNCIATA, elettivamente dom.ta in Roma, Piazza Borghese, 3 presso l'Avv. Giuseppe Guarino, che la rappres. e difende, con l'Avv. Domenico Sena, giusta delega in atti.
Controricorrente
e nei confronti
FALL. S.A.S. F.LLI VALSECCHI e dei soci VALSECCHI LUCIO ed ARULANI VITTORIO; CERATO LUDOVICO; BANCO DI MILANO; CASSA RISP. DELLE PROV. LOMBARDE; BANCA AGRICOLA MILANESE; GAMBA GIUSEPPE; GAMBA LUCIA; GAMBA ANTONIO; GAMBA MARIA; BOMBANA MARIA; TRAVAGLIO CARLO; MONTI GIULIA;
LURASCHI RENATA; BARASSI CARLO; FOSOLINI FRANCESCO; ZANUSO MARIO;
GRANDE DELFO; ESATTORIA CIVICA DI MILANO.
Intimati
Avverso la sent. della Corte d'Appello di Milano del 5-6-84. Udita la relaz. svolta dal Cons. Giancarlo Bibolini. Udito per il ric. l'Avv. Pazzaglia.
Udito per il res. l'Avv. Mercuri con delega.
Udito il P.M. Dott. Antonio Martone, che ha concluso chiedendo il rigetto del primo e secondo motivo del ricorso e l'inammissibilità del terzo motivo.
(N.D.R.: La discordanza fra i nomi delle Parti citate nell'intestazione e nel testo della sentenza è nell'originale della sentenza).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Le situazioni oggetto di controversia derivano da vicende processuali parzialmente contemporanee alla pendenza del fallimento di Lucio Valsecchi e Vittorio Arullani, vicende quindi confluite nel procedimento concorsuale stesso.
Ed invero, il 26-8-68 il Tribunale di Milano dichiarava il fallimento della s.a.s. Valsecchi nonché dei soci illimitatamente responsabili Lucio Valsecchi e Vittorio Arullani. Lo stato passivo era dichiarato esecutivo il 21-12-1968.
Dopo la definitività dello stato passivo ed in pendenza del predetto fallimento, il Tribunale di Roma, con sentenza in data 30-6-70, condannava i due soci della s.a.s. Valsecchi per il reato di truffa, nonché in solido al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizi, in favore dell'avv. Bernardino Santangeli e della sig.ra Anna Luccichenti; la pronuncia risarcitoria trovava conferma nella sentenza 6-7-72 della Corte di Appello di Roma (che aveva dichiarato l'improcedibilità per il reato, in virtù di sopravvenuta amnistia), e diveniva definitiva con la pronuncia in data 4-6-73 della Corte di Cassazione.
Nel contempo, nel citato fallimento il 28 luglio 1971 veniva predisposto, e dichiarato esecutivo, un primo progetto di riparto parziale.
Il 20-1-1977 il curatore depositava un secondo progetto di riparto parziale, esaurendo gran parte dell'attivo.
Il 4-2-77 gli attuali ricorrenti depositando domanda di insinuazione al passivo rispettivamente per L. 179.470.929 e 223.528.693 e, nella stessa data, presentavano motivate osservazioni al giudice delegato, chiedendo la sospensione del riparto fino alla pronuncia definitiva sul credito, o comunque l'accantonamento delle somme loro spettanti.
Il 7-2-77 il Giudice Delegato fissava l'udienza di comparazione per le insinuazioni tardive ed il 9-2-77, ritenute inammissibili le osservazioni dei convenuti in quanto provenienti da soggetti non portatori di crediti concorrenti, dichiarava esecutivo il II progetto di riparto, cui il curatore dava attuazione a partire dal 16-2-77.
Il 17-2-77 i ricorrenti proponevano reclamo al Tribunale che, con decreto 3-3-77, lo dichiarava inammissibile. Avverso il decreto del Tribunale, gli attuali ricorrenti proponevano ancora ricorso per Cassazione, ricorso dichiarato inammissibile in quanto il provvedimento impugnato non incideva su situazioni di diritto soggettivo, costituendo il provvedimento del Tribunale in fase di reclamo un atto meramente ordinatorio della procedura fallimentare, volta che i reclamanti non avevano impugnato l'oggetto del provvedimento, ma avevano solo chiesto il differimento dell'esecuzione del riparto.
I crediti dei ricorrenti, dopo una serie di vicende giudiziarie, erano ammessi al passivo del fallimento in data 4-2-1982 rispettivamente per L. 20.000.000 e L. 30.000.000.
Queste le situazioni e gli eventi che in gran parte precedettero l'instaurazione della presente causa, ed ai quali costante è il riferimento dei ricorrenti a sostegno delle ragioni addotte, sia nei gradi di merito, sai nella presente fase processuale. In proposito si rileva che, con citazione notificata il 3-2-1981, l'avv. Bernardino Santangeli, agendo a titolo personale, e la sig.ra Anna Luccichenti convenivano davanti al Tribunale di Milano il fallimento citato in persona del curatore, il curatore in proprio nonché tutti i creditori che avevano ricevuto somme nei due piani di riparto parziali (senza distinzione tra creditori sociali e personali dei soci illimitatamente responsabili, come eccepirà il curatore, costituendosi) e chiedevano che, previa sospensione del giudizio in attesa dell'ammissione al passivo dei loro crediti, i creditori soddisfatti fossero condannati a restituire al fallimento le somme necessarie per consentire agli attori di acquisire percentuali equivalenti a quelle degli altri concorrenti; in subordine, qualora non fosse individuabile il mezzo giuridico per la restituzione, chiedevano che il curatore fosse condannato in proprio per avere arrecato loro danno, non avendo accantonato le somme relative nel secondo piano di riparto.
Con sentenza in data 3-6-82 il Tribunale di Milano dichiarava la carenza di legittimazione passiva dei creditori convenuti e rigettava la domanda nei confronti del curatore.
La pronuncia era fondata su tre linee logiche, che verranno interamente accolte e richiamate nella pronuncia con cui la Corte di Appello definirà il secondo grado di giudizio.
In particolare, la carenza di legittimazione degli attori, in relazione alla domanda principale proposta nei confronti che avevano fruito dei due piani di riparto veniva fondata sulla definitività dei decreti del giudice delegato con cui i due progetti di riparto erano stati eseguiti, definitività che trovava assertivamente conferma sia in pronuncie della Suprema Corte (si richiamava al fine la sent. Cass. 20 giugno 1972 n. 1972), sia in linea logica nel disposto dell'art. 112 L.F. (il quale, ammettendo i creditori insinuati tardivamente a partecipare all'attivo non ripartito anche per le quote che loro sarebbero state dovute in precedenti riparti, implicitamente riconoscerebbe la irripetibilità delle somme ripartite), sia ancora nella disciplina dell'art. 2920 c.c., sia, infine, nella correlazione tra gli artt. 114 e 102 L.F.. In secondo luogo, e con specifico riferimento alla domanda risarcitoria svolta nei confronti del curatore, il Tribunale escludeva detta responsabilità in linea di principio, assumendo la mancanza di potere, per il curatore, di procedere ad accantonamenti, in base all'art. 113 L.F., a favore dei creditori proponenti insinuazione tardiva, non essendo richiamata detta categoria nel dettato della disposizione citata.
In terzo luogo, veniva esclusa in fatto la responsabilità della curatela, volta che il riparto era stato dichiarato esecutivo il 9-2-1977, mentre il ricorso ex art. 101 L.F. degli attori era stato notificato al curatore il 14-2-1977; al fine era richiamata anche l'efficacia della sentenza della Corte di Cassazione 4-6-73 con la quale era stato dichiarato inammissibile il ricorso avverso il provvedimento del Tribunale di Milano in fase di reclamo, proprio in considerazione del fatto che gli attori non erano portatori di diritti soggettivi, partecipi del concorso fallimentare in quel momento.
L'appello proposto con citazione notificata il 5-10-1982 avverso detta sentenza dall'Avv. Bernardino Santangeli e dalla sig.ra Anna Luccichenti, era rigettato dalla Corte di Milano, con gli stessi argomenti del giudice di prima istanza.
Avverso la pronuncia della Corte d'Appello di Milano proponevano ricorso per Cassazione, integrato da successiva memoria, l'Avv. Bernardino Santangeli e la sig.ra Anna Luccichenti, i quali deducevano tre motivi; si costituiva con controricorso, illustrato da memoria, il curatore del fallimento.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 2041 e 2042 c.c., dell'art. 112 c.p.c. nonché del principio della corrispondenza tra il richiesto ed il pronunciato, oltre all'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia e sullo specifico motivo di appello proposto dalla parte, in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c..
I ricorrenti sostengono di aver esperito già in primo grado, e successivamente in appello, l'azione generale di arricchimento enunciando in tale senso la causa petendi della richiesta restituzione nei confronti dei creditori, i quali avevano fruito dei due piani di riparto parziale, e lamentano che ne' il giudice di prima istanza, ne' la corte di merito, si siano pronunciati sul punto.
Ritenuto in linea di principio che l'azione di arricchimento deve essere proposta in modo specifico, non potendo essere sostituita d'ufficio dal giudice ad altra domanda formulata in base a diverso titolo ritenuto inefficace, non rientrando tale decisione nel potere del giudice di procedere alla qualificazione giuridica dell'azione, non può non rilevarsi come, nel caso di specie, nessuna azione di indebito arricchimento sia stata proposta dagli attori nel corso del giudizio di primo grado, nei cui atti nessun riferimento si trova, neppure implicito.
A non diverse conclusioni deve prevenirsi considerando gli atti del secondo grado. Ed invero, le conclusioni formulate in quella sede, come riprodotte nell'epigrafe della sentenza della Corte milanese, non hanno attinenza alcuna all'azione di locupletazione. Solo nell'atto di appello gli attuali ricorrenti, dopo avere sostenuto l'interpretazione estensiva o analogica delle combinate disposizioni degli artt. 102 e 114 L.F. (v. Pag. 10 e 11 dell'atto di appello), per asserita identità di ratio giustificativa della tutela giuridica, si legge (alle righe 9 e 10 di pag. 11) la proposizione:
"Quanto meno, devono nella specie sorreggere i principi dell'arricchimento senza causa". Pur ammettendo che l'azione di locupletazione possa essere proposta, anche per la prima volta, in sede d'appello, come sostituzione della causa petendi, (sempre che ciò non comporti nuove indagini di fatto e quando resti immutato il petitum di una reintegrazione dell'impoverito (v. Cass. sent. 3888-85; sent. n. 6664 e 5346-81), non si ritiene che nella specie il semplice cenno ai principi dell'arricchimento indebito possa valere come specifico esperimento di azione nuova, in quanto la proposizione sopra riprodotta, nel contesto della sua modalità espressiva, assume una semplice valenza argomentativa a sostegno di una tesi sostenuta dalla parte ed inerente alla asserita identità di base giustificativa tra la situazione in esame e l'azione restitutoria contro i creditori concorrenti, i quali abbiano partecipato ad un riparto e la cui situazione giuridica sia successivamente oggetto di una pronuncia di revocazione.
Sul piano meramente argomentativo, peraltro, la posizione degli appellanti, trovò completa ed assorbente risposta nella pronuncia della Corte di merito, che risolse il punto richiamando il carattere decisorio dei progetti di riparto, in base ai quali i singoli creditori concorrenti ricevettero le somme di cui agli appellanti, oggi ricorrenti, chiedevano la restituzione alla massa, con effetto preclusivo equiparabile al giudicato nell'ambito della procedura concorsuale o tra i soggetti che in essa facciano valere le rispettive posizioni giuridiche.
Quand'anche si volesse sostenere che alla base dell'azione di revocazione vi è una "ratio" equiparabile, nella sua valenza giustificativa, al divieto di indebita locupletazione, non può non rilevarsi che detta ragione dovrebbe trovare comunque la sua espressione in una sequenza di fenomeni riconducibili ad uno stesso fatto causativo, fenomeni la cui venuta ad esistenza deve porsi al di fuori di una giuridica giustificazione. La definitività del riparto e delle attribuzioni in base ad esso fatte e che, in relazione alle argomentazioni della Corte di merito, troverebbe conferma nelle combinate disposizioni degli artt. 112, 114, 102 L.F. e 2920 C.C., escluderebbe, nella specie, la revocazione delle situazioni dei creditori beneficiari dei riparti e, nel contempo, darebbe giustificazione alle retribuzioni finanziarie dagli stessi ricevute in base alla regola del concorso sistematizzato, privando così di fondamento lo stesso argomento della parte, ricondotto all'ipotesi della locupletazione che, per ciò stesso, non sarebbe indebita. Il primo mezzo di gravame, quindi, con cui i ricorrenti deducono, sia sotto il profilo della violazione di legge, sia sotto quello del vizio motivazionale, l'omesso esame di una domanda che essi assumono di avere chiaramente proposta in entrambi i gradi di merito, deve essere rigettato, sia perché nessuna azione di indebita locupletazione è stata proposta, sia perché il cenno ai principi dell'indebito arricchimento nell'atto introduttivo in appello aventi una valenza meramente argomentativa a sostegno di una tesi di più generale portata, trovano una globale e assorbente considerazione nella pronuncia della Corte milanese.
Con il secondo mezzo i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell'art. 112 L.F.
Si ripropone, in sostanza, la stessa questione dedotta con il I mezzo, sotto il profilo dell'esame di arricchimento, diversamente qualificata nell'ambito interpretativo dell'art. 112 L.F., alla luce di principi ermeneutici traibili dal combinato disposto degli artt. 102 e 114 L.F.
Si tratta, in linea di principio, di valutare se il precetto dell'art. 112 L.F., per i creditori i quali tardivamente siano intervenuti nella procedura concorsuale senza loro colpa (e salva la questione di fatto se, nel caso di specie, vi fu, come ritenuto nella sentenza del Tribunale, colpa, o no, nel ritardo dell'avv. Bernardino Santangeli e della sig. Anna Luccichenti per inattività nel periodo dal 1970 al 1977), non solo consenta loro di concorrere sulle somme residue esistenti al momento della loro ammissione, prelevando da esse (se capienti) anche quanto loro sarebbe spettato nei precedenti riparti, ma altresì se essi possano integrare le residue disponibilità della massa mediante la ripetizione, dei creditori che parteciparono ai precedenti riparti, delle somme necessarie a consentire una soddisfazione paritaria dei tardivamente insinuati. Prima di ipotizzare un'interpretazione estensiva o analogica del MOTIVI DELLA DECISIONE
precetto emergente dagli artt. 102 e 114 L.F. alla disciplina dell'art 112 L.F., occorre valutare dette norme sul loro diretto valore dispositivo e precettivo, al fine di valutare se i presupposti stessi di ammissibilità dell'ampliamento interpretativo sussistano, o no.
Su tale base si rileva che l'ipotesi del ritardo incolpevole nell'insinuazione del credito al passivo fallimentare, è dalla legge espressamente prevista nella seconda parte dell'art. 112 L.F., che ne disciplina direttamente le conseguenze, più giovevoli rispetto alla situazione del creditore, concorrente tardivo per fatto a lui imputabile. Quest'ultimo, infatti partecipa solo ai riparti successivi alla sua ammissione, e quindi concorre, sulle somme liquide esistenti nella massa al momento della sua ammissione, nella stessa proporzione che nei successivi riparti verranno attribuite ai creditori precedentemente ammessi, senza alcuna possibilità di recupero delle percentuali che i concorrenti tempestivi o tardivi anteriormente ammessi, possono avere ottenuto in precedenti riparti. La salvezza dei diritti di prelazione, inoltre, espressamente prevista, consente ai concorrenti tardivi di soddisfarsi (sempre nell'ambito quantitativo della disponibilità residua) dei titoli di prelazione prioritari, ancorché nei riparti successivi alla loro ammissione già sia in atto la fase satisfattiva dei privilegiati di grado inferiore o dei chirografari.
I concorrenti la cui tardività sia incolpevole, al pari di quelli già presi inconsiderazione, partecipano ai riparti successivi ala loro ammissione, e nei limiti quantitativi della disponibilità della massa esistenti in quel momento. L'unica, e radicale, differenza rispetto alla situazione precedente sta nel fatto che essi, nei limiti di quel residuo quantitativamente determinato, possono ottenere non solo la percentuale dei concorrenti tempestivi partecipanti ai riparti successivi, ma anche l'entità percentuale che questi percepirono nei riparti precedenti.
L'interpretazione correlata tra le due situazioni disciplinate dall'art. 112 L.F. porta necessariamente ad un sistema partecipativo e satisfattivo articolato secondo le modalità e le cadenze sopra indicate, senza che al tardivo incolpevole, quanto meno in base alla norma ora in esame, sia consentito l'incremento delle disponibilità residue al momento della sua ammissione, mediante riduzione dei riparti ricevuti da altri creditori.
Nella bilanciata valutazione delle situazioni di cui siano portatori creditori che abbiano già partecipato a riparti e quella del concorrente tardivo, sia pure incolpevole, i principi del concorso paritetico subiscono un'attenuazione, e ciò proprio in virtù della definitività dei provvedimenti mediante i quali i precedenti riparti avvennero.
Nè può dirsi che detta definitività sia opponibile solo ai soggetti partecipi ai riparti e non a quelli non ancora concorrenti per tardività, qualunque fosse la ragione del ritardo, in quanto l'universalità soggettiva cui è improntata la procedura concorsuale rende virtualmente concorrenti tutti i creditori dell'imprenditore insolvente, e proprio la preclusione dell'art. 112 L.F., limitando la possibilità di riparto dei concorrenti, per tardività incolpevole, alle residue disponibilità della singola procedura, è applicazione dell'universalità soggettiva della concorsualità sistematizzata fallimentare e rende evidente l'opponibilità, ai creditori tardivamente insinuati, della definitività insita nel provvedimento che rende esecutivo il progetto di riparto, se non impugnato. Solo la revocazione ex art. 102 L.F., in base alla disciplina espressa dall'art. 114 L.F., consente il superamento di detta definitività, analogamente alla revocazione ordinaria che permette il superamento del giudicato. Occorre puntualizzare, peraltro, due situazioni essenziali atte ad influire sula disamina dei ricorrenti, e cioè:
1) le situazioni idonee a determinare la revocazione debbono incidere (per integrare la fattispecie dell'art. 102 L.F. e determinare gli effetti dell'art. 114 L.F.) sull'ammissione del passivo di un credito o sul riconoscimento di un titolo di prelazione;
2) il rimedio in esame ha carattere straordinario rispetto all'impugnazione ex art. 100 L.F., per cui la restituzione di somme alla massa disciplinata dall'art. 114 L.F., in relazione alla prevista revocazione, ha carattere eccezionale, sia che la fonte dell'obbligo di restituzione vada ricercata nella sentenza di revocazione, come preferibile per l'espresso richiamo dell'art. 102 L.F., sia in una situazione di indebito oggettivo, come pure sostenuto.
Dal raffronto delle situazioni enunciate in riferimento all'interpretazione diretta dell'art. 112 L.F., da una parte e degli artt. 104 e 102 L.F., dall'altra, è deducibile una serie di situazioni in relazione alla proposizione fondamentale dedotta in controversia con il secondo mezzo, situazioni così enunciabili:
A) il carattere eccezionale del precetto dell'art. 114 L.F. ne preclude l'interpretazione analogica al caso di specie, quand'anche sussistesse l'"eadem ratio" sostenuta dai ricorrenti;
B) l'interpretazione estensiva dell'art. 114, in relazione all'art. 112 L.F., ha come presupposto essenziale la carenza di espressa disciplina normativa per la fattispecie cui si vuole ampliare un precetto normativo previsto per altre situazioni. Poiché, nella specie, l'ipotesi cui si vuole estendere l'applicabilità dell'art. 114 è quello del creditore concorrente la cui tardiva ammissione sia incolpevole, presupposto essenziale della proposta operazione ermeneutica è l'insussistenza di espressa disciplina in ordine alla somma disponibile in favore di detti creditori, tardivamente partecipi al concorso. Come si è evidenziato, però, detta situazione trova espressa e completa disciplina nell'art. 112 L.F., disciplina in base alla quale il creditore ammesso per tardività incolpevole può partecipare solo sulla quantità di attivo disponibile al momento della sua ammissione e nel limite di detta disponibilità; conseguente è
l'inammissibilità della interpretazione estensiva proposta, per la mancanza degli stessi presupposti dell'operazione ermeneutica suggerita.
Il secondo motivo di ricorso deve, di conseguenza, essere respinto.
Con il terzo mezzo i ricorrenti, riproponendo nel dibattito il presupposto dell'azione di danno per responsabilità del curatore, deducono la violazione dell'art. 113 L.F., dolendosi del fatto che la Corte di merito non abbia ritenuto sussistente l'obbligo della curatela di predisporre, nel secondo progetto di riparto, l'accantonamento a favore dell'avv. Bernardino Santangeli e della Sig.ra Anna Luccichenti.
Giova sul punto ricordare che le previsioni di accantonamento obbligatori dall'art. 113, rimandano implicitamente (per le ipotesi ivi non espressamente disciplinate nei presupposti), alle altre disposizioni della legge speciale che l'accantonamento prevedono. La disciplina del N. 2 dell'art. 113 L.F., non è una norma in bianco, ma trova precise enunciazioni normative nell'art. 100, 3 , comma L.F. e nell'art. 102, 4 comma L.F., ed è applicabile ai creditori ammessi con riserva (previsti nello stesso N. 2 dell'art. 113 L.F.) i quali abbiano proposto opposizione.
Deve escludersi, pertanto, l'obbligatorietà degli accantonamenti sia nel caso di credito escluso ed oggetto di opposizione a stato passivo, che esuli dalle ipotesi di credito condizionale o comunque ammesso con riserva (V. Cass. sent. 7-6-79 N. 2881), sia nell'ipotesi di insinuazione tardiva. Non potendosi, come detto, estendere l'obbligo di accantonamento alle situazioni oggetto di opposizione a stato passivo, che esulino dalle ammissioni con riserva e dei creditori condizionali, sterile sarebbe richiamare l'analogia tra opposizione ed insinuazione tardiva, come richiesto dalla ricorrente. Quand'anche, poi, si ritenesse che l'art. 113 prevede solo la misura minima degli accantonamenti, la cui misura massima sia lasciata alla discrezionalità del giudice delegato (V. Cass. sent. N. 3949-829, non per questo il motivo proposto sarebbe accoglibile, non essendo rapportabile al potere discrezionale del giudice delegato, l'obbligo del curatore al quale l'affermazione di responsabilità si vorrebbe ricollegare.
Le osservazioni svolte impongono il rigetto del ricorso. La natura della controversia e la particolarità della posizione dell'Avv. Bernardino Santageli e della sig.ra Anna Luccichenti, in relazione alle vicende esaminate, costituiscono ragione sufficiente per la compensazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese della presente fase processuale.
Roma 12-4-1989.