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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6610 - pubb. 01/08/2010.

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Cassazione civile, sez. I, 13 Agosto 1992. Est. Corda.

Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Attività fallimentari - Amministrazione - Obblighi del curatore - Elenchi dei creditori e dei diritti reali mobiliari - Formazione dello stato passivo del fallimento - Formazione dell'elenco dei creditori e partecipazione alla verifica dei crediti - Posizione di terzo del curatore ai fini dell'opponibilità delle scritture private con sottoscrizione non autenticate, ex art. 2704 cod. civ. - Esclusione - Conseguenze.


In tema di formazione dello stato passivo del fallimento, il curatore, allorché forma l'elenco dei creditori e, successivamente, partecipa alla verifica dei crediti, si trova non nella posizione di terzietà propria dei soggetti considerati dall'art. 2704 cod. civ., ai fini della determinazione dei limiti di opponibilità ad essi delle scritture private delle quali non sia autenticata la sottoscrizione, ma in quella che è propria degli ausiliari del giudice, onde non si pone, rispetto ad esso, alcuna questione di "opponibilita" in senso tecnico di scritture del tipo suddetto, alle quali il creditore istante per l'ammissione al passivo abbia affidato la dimostrazione del suo credito, con la conseguenza che al curatore stesso è dato non già eccepire l'inopponibilità per mancanza di data certa nel senso proprio del citato art. 2704 cod. civ. e cioè con effetto esclusivo della stessa possibilità di presentazione della scrittura agli organi fallimentari, bensì contestare soltanto la "verità" della data risultante dal documento o il documento stesso, così onerando l'istante della dimostrazione (con qualunque mezzo) che questo è stato firmato in data anteriore alla dichiarazione di fallimento, dovendosi escludere nel sistema del diritto concorsuale l'esclusiva incidenza della normativa dell'art. 2704 cod. civ. per la prova della data del documento del credito da ammettersi. (massima ufficiale)

Massimario, art. 89 l. fall.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Giuseppe SCANZANO Presidente
" Mario CORDA Rel. Consigliere
" Pietro PANNELLA "
" Giuseppe BORRÈ "
" Rosario DE MUSIS "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
FALL.TO ITALDRENAGGI DI TRALDI ATTILIO, in persona del curatore Dr. Stefano De Micheli, eltte.te dom.to in Roma c-o la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, rapp.to e difeso dall'Avv. Luigi Casalini, giusta delega a margine del ricorso.
Ricorrente
contro
BASMAGJ GABRIELE, elett.te dom.to in Roma Via Alessandria, 130 c-o l'Avv. Vitaliano Lorenzoni che lo rapp.ta e difende unitamente all'Avv. Franco Bettella, giusta delega a margine del ricorso. Controricorrente
Avverso la sentenza n. 236 della Corte d'Appello di Venezia del 20.3.1989;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27.3.91 dal Cons. Rel. Dr. Corda;
udito per il resistente l'avv. Lorenzoni;
udito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. Dr. Antonio Leo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Gabriele Basmagj, creditore del fallito Attilio Traldi della somma di lire 50.000.000 portata da un assegno bancario, nonché in possesso di una scrittura contenente il riconoscimento del debito, da parte del Traldi, chiedeva di essere ammesso al passivo, in via chirografica, per l'importo predetto, oltre lire 2.123.800 per la registrazione (successiva alla dichiarazione del fallimento) di detta scrittura.
Il Giudice delegato, però, non ammetteva il credito perché entrambi i documenti (assegno e riconoscimento di debito) erano privi di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento. Proposta opposizione dal Basmagj, il Tribunale di Padova - con sentenza dell'8 febbraio - 2 marzo 1985 - ammetteva il credito dopo avere osservato che l'esistenza del credito doveva essere desunta dalla scrittura contenente il riconoscimento del debito (datata 13 maggio 1980); e poiché, appunto, via era il detto riconoscimento, tornava applicabile il disposto dell'art. 1988 cod. civile che esonerava il creditore dal provare il rapporto fondamentale. L'eventuale inesistenza di questo avrebbe dovuto, quindi, essere dimostrata dal Curatore; e benché questi avesse accettato di assumersi un tale onere, deducendo prove testimoniali, queste tuttavia non avevano condotto all'esito che il detto Curatore si era prefisso.
Il Curatore proponeva appello per sostenere che, essendo la scrittura in questione priva di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, non poteva essergli "opposta", secondo le prescrizioni dell'art. 2704 cod. civile. Sosteneva, altresì, che dalle prove testimoniali raccolte in primo grado si sarebbe dovuta, invece, evincere la (eccepita) inesistenza del rapporto fondamentale. Nel contraddittorio delle parti, l'adita Corte di appello di Venezia - con la sentenza denunciata in questa sede (pubblicata il 20 marzo 1989) - respingeva l'impugnazione osservando che male il Curatore aveva invocato l'art. 2704 cod. civile, allorché aveva sostenuto che la scrittura contenente il riconoscimento del debito non poteva "essergli opposta" in quanto priva di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento. Affermava che, di fronte a un riconoscimento di debito del fallito il curatore non assume affatto la posizione di "terzo", sicché non può eccepire la
"inopponibilità" per mancanza di data certa. Osservava, infine che doveva essere confermata la valutazione fatta dal giudice di primo grado in ordine alle prove portate dal Curatore per dimostrare l'asserita insussistenza del rapporto fondamentale. Il Curatore ricorre per cassazione, con due motivi di censura. Gabriele Basmagj resiste mediante controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo di ricorso (deducendo la violazione di legge) il Curatore sostiene che il riconoscimento di debito da parte del fallito contenuto in una scrittura privata di data certa, non potrebbe essergli opposta avendo egli, quando esercita le funzioni dirette all'accertamento del passivo, la qualità di "terzo" ed essendo, perciò, legittimato a eccepire l'inopponibilità sancita dall'art. 2704 cod. civile. Sostiene che, in tale situazione, il creditore avrebbe dovuto dimostrare che la scrittura era stata compilata in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento. Col secondo motivo di ricorso (denunciando specificamente il difetto di motivazione) sostiene che il giudice di appello avrebbe male valutato le prove da lui addotte per dimostrare che l'insussistenza di un rapporto fondamentale.
Il ricorso è infondato.
Il Collegio non ignora la giurisprudenza di questa Corte che ha ripetutamente enunciato il principio secondo cui il curatore, allorché in sede di verifica si trova davanti ai rapporti contrattuali che si assumono sorti anteriormente all'instaurarsi della procedura fallimentare, assume la stessa posizione del fallito, sicché non può invocare l'inopponibilità delle scritture non aventi data certa, ai sensi dell'art. 2704 cod. civile (vedi da ultimo le sentenze 3657-84 e 4853-80); così come non ignora che le Sezioni Unite hanno indicato nella norma citata il cardine su cui è imperniato il criterio di opponibilità alla data dei documenti relativi ai crediti insinuati (vedi sente. 8879-90). Ritiene tuttavia di poter dare alla risoluzione del problema - quale esso si presenta in questa controversia - un'impostazione tutt'affatto diversa, partendo dalla considerazione che il curatore, allorché forma l'elenco dei creditori (art. 89 l.f.), e, successivamente, partecipa alla verifica dei crediti, si trova non nella posizione di terzietà che sia riconducibile ai soggetti considerati dall'art. 2704, ma in quella che è propria degli ausiliari del giudice, sicché non appare corretto attribuirgli quella specifica posizione che, a seconda degli orientamenti, lo colloca "nella stessa posizione del fallito" ovvero "in posizione di terzo". Egli è semplicemente (in quella fase) un ausiliario del giudice, sicché è improprio parlare di "opponibilità" o "inopponibilità", a lui, delle scritture e atti documentali versati dai creditori.
Quale ausiliario del giudice egli ben può contestare "la verità" della data, se questa risulta, o comunque contestare che il documento, o atto, sia stato formato prima della dichiarazione di fallimento. Ma si è già oltre, in senso logico e non logico, rispetto a quella "inopponibilità" di cui si è detto, la quale peraltro si ridurrebbe al non ricevere documenti dimostrativi del credito che non abbiano il crisma della "data certa" di cui all'art. 2704 cod. civile. Sostenere, infatti che è "inopponibile al curatore" un atto privo di data certa significa che il creditore in possesso di quell'atto non potrebbe neppure venire iscritto nell'elenco di cui all'art. 89 l.f. e, conseguentemente, non potrà mai essere ammesso alla verifica. Il che, per la verità, sembra esulare proprio dal sistema della procedura fallimentare e contrastare col suo carattere di universalità.
Il curatore - come si è accennato - ben può, sulla base di elementi concreti, contestare la "verità" della data; e non v'è dubbio che in tal caso il creditore avrà l'onere di dimostrare, appunto (ma non qualunque mezzo), che il documento è stato formato in data anteriore alla dichiarazione di fallimento. Ora, nel caso concreto, il ricorrente Curatore non ha contestato la verità della data (13 maggio 1980, anteriore alla instaurazione della procedura fallimentare), ma dopo avere sostenuto l'erronea tesi che la scrittura contenente il riconoscimento del debito, da parte del debitore fallito; non poteva essergli "opposta" (come dire: non poteva neppure essere presentata agli organi fallimentari), ha rappresentato, in aggiunta, che il creditore non aveva dato la prova di quella anteriorità.
Così facendo, però, ha chiaramente mostrato di non considerare che un siffatto onere ricade sul creditore solo se viene mossa, una specifica contestazione, appunto, sulla verità della data risultante dal documento (o dichiarata dall'insinuante). Mentre, se la contestazione non viene fatta (e si è chiarito che il semplice eccepire l'inopponibilità ex art. 2704 cod. civ., da chi non ha la qualifica di "terzo", è cosa ben diversa dal muovere la contestazione predetta), non si vede come e perché il creditore dovrebbe dimostrare la "verità" o, comunque, la "anteriorità". Chiarito, quindi, che l'insinuazione del credito ben può essere fondata sulla base di una scrittura non avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento e che in tal caso il curatore, nella specifica veste di ausiliare del giudice delegato, può in base agli elementi in suo possesso contestare solo la "verità" della data predetta (risultante o asserita); e altresì, con riferimento al caso concreto, che il creditore insinuante non aveva l'onere di dimostrare la verità della data (13 maggio 1980) poiché il curatore non l'aveva specificamente contestata, il primo motivo di ricorso deve essere respinto, con la conseguente correzione parziale della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha (impropriamente) attribuito al curatore, che in fase di ammissione del credito è un ausiliare del giudice, la qualità di terzo, nel significato attribuito a tale termine dall'art. 2704 cod. civile. Il problema, in verità, nella trattazione fattane con la sentenza dianzi indicata dalle Sez. Unite si amplia con riferimento alla posizione dei creditori concorrenti, che sarebbero anch'essi da qualificarsi "terzi".
Ma la tesi ivi accolta suscita ad avviso del Collegio, perplessità che non consentono di prestarvi adesione. Sembra anzitutto chiaro che, affinché un soggetto possa qualificarsi "terzo" nel senso dell'art. 2704, non basta che egli sia estraneo alla scrittura considerata ma è necessario altresì che egli sia titolare di una posizione sostanziale tale da porlo in una situazione di conflitto specifico ed immediato con i diritti che altri possa vantare sulla base del negozio racchiuso in quella scrittura. Tale ad esempio è il conflitto che sorge tra due cessionari dello stesso credito (art. 1265 c.c.), o tra il creditore pignorante e colui che pretende di avere acquistato, prima del pignoramento, un diritto nella cosa pignorata (art. 2914 n. 3 e 4), ovvero tra il pignorante e il creditore che opponga un privilegio assumendo l'anteriorità del suo credito (art. 2916 n. 3). Diversa è la posizione che ricorre tra più creditori chiamati contemporaneamente a partecipare all'esecuzione nel patrimonio dello stesso debitore, rispetto al quale tutti si trovano in posizione paritaria - salve le cause legittime di prelazione - in un rapporto che non è di conflitto, in senso tecnico, ma di concorso. È certamente vero - come osservano le Sez. Unite - che nel fallimento esiste una fondamentale distinzione tra creditori anteriori e creditori posteriori, essendo riservato solo a favore dei primi il patrimonio assoggettato all'esecuzione fallimentare. Ma è un rilievo che prova troppo allorché vuol farsene derivare una situazione di conflitto tra i primi e i secondi. Il vero è che, essendo appunto il fallimento in procedimento aperto per il regolamento del dissenso dell'imprenditore quale emerge al momento della sentenza dichiarativa, esso è naturaliter destinato ai creditori concorrenti, tutti ed egualmente come "anteriori", è nei loro reciproci rapporti (e non nel rapporto con i creditori posteriori) che va riguardato il problema della configurabilità di un conflitto che possa evocare la tematica dell'art. 2704. Ma quello che in tal senso si ipotizza, tra creditori che per "definizione sono tutti anteriori, è un conflitto che per definizione va escluso, ricadendosi più esattamente nella figura del concorso. Esistono poi esigenze di ordine sistematico che contraddicono il rigore formale cui è ispirato l'art. 2704.
Il fallimento è una procedura universale in cui la legge (v. art. 101) favorisce la partecipazione del maggior numero possibile di creditori, dei quali, inoltre, per ovvie ragioni, la maggior parte si colloca nel ceto mercantile. Quest'ultimo rilievo ha un duplice valore: da un lato, vuol significare che è coerente con l'ordinario svolgimento della vita degli affari che i rapporti tra imprenditori non siano (come in realtà non sono) formalizzati più di quanto sia necessario ai fini della certezza, dall'altro vuole richiamare anche il disposto degli artt. 2709 e 2710 c.c. secondo cui i libri di commercio fanno prova contro l'imprenditore, ed altresì, quando regolarmente tenuti, fanno prova (e ciò anche per la cronologia delle registrazioni) tra imprenditori. E la norma trova indubbiamente applicazione riguardo ai rapporti da cui derivano i crediti insinuati nel fallimento, trattandosi di crediti che ivi si fanno valere contro il fallito, cioè da imprenditori contro altro imprenditore. Può aggiungersi che il sistema del diritto concorsuale possiede strumenti propri, e particolarmente incisivi, a garanzia della genuinità (nel senso più ampio del termine) delle posizioni creditorie dei concorrenti.
Tali sono i poteri di indagine del curatore - coordinati con gli obblighi imposti al fallito in funzione della formazione dello stato passivo e con gli adempimenti che lo stesso curatore deve compiere al medesimo fine: art. 16 n. 3, 89 l. fall. -, le azioni di impugnazione e di revocazione dei crediti ammessi (della quale ultima è nota la maggiore ampiezza rispetto a quella analoga prevista dall'art. 395 cpc.), e la incriminazione di fatti diretti ad ampliare astatamente il passivo (art. 232 l. fall.).
Orbene, in una procedura esecutiva universale, così strutturata e salvaguardata, nella quale la maggior parte dei crediti è affidata a prova di tipo documentale, la tesi che vuole vincolare la prova della data alla norma dell'art. 2704, ed in pratica escludere a priori i documenti privi della data certa come intesa da tale norma, non sembra aderente al sistema.
E ciò rimane vero anche se poi si ammette la possibilità di provare con maggior larghezza di mezzi la prova del rapporto da cui il credito deriva.
La motivazione della sentenza impugnata rimane dunque ferma nella (corretta) conclusione che di tale norma di legge non deve in concreto essere fatta applicazione.
Il secondo motivo di ricorso è anch'esso infondato, perché la motivazione espressa dalla sentenza impugnata circa la valutazione delle prove addotte dal Curatore (per dimostrare l'asserita insussistenza del rapporto fondamentale) è del tutto congrua e immune da vizi di logica e di diritto.
In conclusione, quindi, il ricorso deve essere respinto. Sussistono giusti motivi per compensare le spese giudiziali. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Roma, 27 marzo 1991.