Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27637 - pubb. 04/03/1999

Ricorso per fallimento e mandato al difensore

Cassazione civile, sez. I, 04 Febbraio 1999, n. 972. Pres. Corda. Est. Di Palma.


Rilascio al difensore in data posteriore alla notificazione dell'atto - Disciplina ex art. 125 cod. proc. civ. - Applicabilità nei procedimenti promossi con ricorso - Esclusione - Conseguenze



La disposizione di cui all'art. 125, secondo comma, cod. proc. civ. non è applicabile ai procedimenti promossi mediante ricorso (nella specie, di fallimento), in quanto, in tale ipotesi, la costituzione della parte rappresentata coincide con il deposito del ricorso in cancelleria, con la conseguenza che l'eventuale mancanza della procura al momento del deposito stesso comporta l'inesistenza dell'atto introduttivo (per mancanza di un presupposto indispensabile per la valida instaurazione del rapporto processuale), mentre, tutte le volte in cui il giudizio risulti introdotto mediante ricorso con procura rilasciata a margine o in calce, ma priva della data del suo conferimento, nessuna sanzione di inesistenza è legittimamente predicabile, dovendosi necessariamente presumere la coincidenza della data di conferimento dell'atto "de quo" con quella del deposito del ricorso. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Mario CORDA - Presidente -

Dott. Rosario DE MUSIS - Consigliere -

Dott. Alessandro CRISCUOLO - Consigliere -

Dott. Mario CICALA - Consigliere -

Dott. Salvatore DI PALMA - Rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente

 

S E N T E N Z A

sul ricorso proposto da:

FEDELE CARMELO, FEDELE GIUSEPPE, elettivamente domiciliati in ROMA VIA ZANARDELLI 20, presso l'avvocato A. BUONAFEDE, rappresentati e difesi dall'avvocato NATALE CARBONE, giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrenti -

contro

BANCA COMMERCIALE ITALIANA SpA, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA VIRGILIO 8, presso l'avvocato ENRICO CICCOTTI, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato GRILLO G. CARLO, giusta procura a margine del controricorso;

- controricorrente -

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO FEDELE GIUSEPPE E FEDELE CARMELO, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA CIRCONVALLAZIONE NOMENTANA 312, presso l'avvocato B. TABILI, rappresentato e difeso dall'avvocato ARNALDO POSTORINO, giusta mandato in calce al controricorso;

- controricorrente -

contro

LEGNOCHIMICA SpA;

- intimata -

avverso la sentenza n. 37/96 della Corte d'Appello di REGGIO CALABRIA, depositata il 15/05/96;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/10/98 dal Consigliere Dott. Salvatore DI PALMA;

udito per il ricorrente, l'Avvocato Carbone, che ha chiesto l'accoglimento o in subordine l'infondatezza con rimessioni degli atti; udito per il resistente, Comit, l'Avvocato Ciccotti, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito per il resistente, fallimento Fedele, l'Avvocato Postorino, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento del ricorso incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Dario CAFIERO che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

 

Ritenuto in fatto

 

- che, su istanza della Banca Commerciale Italiana S.p.a. e della Legnochimica S.p.a., il Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza del 15 luglio 1987, dichiarò il fallimento della Società di fatto "F.lli Giuseppe e Carmelo Fedele";

- che, a seguito di opposizione proposta dai Fedele, lo stesso Tribunale, con sentenza del 26 gennaio 1990, rigettò l'opposizione medesima; - che, interposto appello dai Fedele dinanzi alla Corte di Reggio Calabria, questa, con sentenza n. 37 del 15 maggio 1996, rigettò il gravame; - che la Corte ha fondato la decisione sulle seguenti considerazioni: A)- Per quanto riguarda l'eccepita nullità della sentenza di primo grado per mancata audizione dei fratelli Fedele, nell'udienza del 30 giugno 1987, circa la sussistenza del credito fatto valere dalla Banca Commerciale Italiana, la Corte ha osservato che, "dall'esame del fascicolo prefallimentare emerge chiaramente che anche l'udienza del 30.6.1987 veniva regolarmente tenuta dal giudice incaricato alla presenza del legale degli opponenti, che depositava memoria con allegata documentazione (quindi, costoro hanno avuto la possibilità di illustrare le proprie ragioni ), il che vale pienamente a soddisfare le esigenze poste dall'art.15 della L.F....."; B)- Per ciò che attiene all'ulteriore eccezione di nullità della sentenza di primo grado per mancata audizione del debitore su tutte le istanze di fallimento, la Corte ha sottolineato che, "a prescindere dal fatto che dai verbali d'udienza si desume che gli opponenti prendevano atto di tutte le istanze di fallimento presentate nei loro confronti ( quindi, anche di quella della Legnochimica, che si basava su un decreto ingiuntivo esecutivo ) e dalla circostanza evidenziata dai primi giudici che l'esigenza di assicurare il diritto di difesa dell'imprenditore deve ritenersi soddisfatta, come nel caso in esame, ogni qual volta egli sia posto, comunque, in grado di svolgere e di documentare le proprie ragioni in ordine al procedimento a suo carico, è da rilevare che non è indispensabile la convocazione del debitore per ciascuna delle istanze presentate e che egli interloquisca su ognuna di esse, come si evince dall'orientamento giurisprudenziale ormai costante...., secondo cui non sono necessarie ulteriori convocazioni anche qualora siano presentate istanze successive che si inseriscano nel procedimento camerale già aperto"; C)- Relativamente alla eccezione di nullità della sentenza dichiarativa di fallimento e di quella appellata per carenza di motivazione su punti decisivi, la Corte ha affermato: "In contrario, va osservato che, secondo le concordi dottrina e giurisprudenza...., tenuto conto delle peculiarità del procedimento camerale e delle ragioni di urgenza che determinano la deliberazione, non può pretendersi, in tema di sentenza dichiarativa di fallimento, una motivazione ampia come quella di provvedimento che definisce un processo contenzioso di cognizione, per cui soltanto la sua totale assenza - e così non è nella specie - importa nullità di detta decisone, la cui motivazione, peraltro, secondo sempre la giurisprudenza, può essere integrata dalla sentenza resa nel giudizio di opposizione"; D)- Per quanto riguarda la eccepita nullità della istanza di fallimento presentata dalla Banca Commerciale Italiana per carenza di data della relativa procura ad litem, la Corte - dopo aver premesso che la tempestività del rilascio di essa può desumersi presuntivamente, caso per caso, da qualsiasi elemento emergente dagli atti processuali - ha rilevato che, "nella specie, la procura deve necessariamente ritenersi rilasciata - è fin troppo ovvio rilevarlo - anteriormente al deposito del ricorso per la dichiarazione di fallimento nella Cancelleria del Tribunale, dato che è da reputare che a quella data la istanza dovesse essere munita di sottoscrizione del mandato conferito al difensore, non ipotizzando neppure gli opponenti che essa sia stata apposta successivamente al deposito del ricorso"; E)- Per ciò che attiene alla dedotta insussistenza dei presupposti dello stato di insolvenza della Società, i Giudici d'appello - dopo aver premesso che alla dichiarazione di fallimento deve farsi luogo, ai sensi dell'art.5 della legge fall., quando l'imprenditore non sia più in grado di soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni per il venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessari alla propria attività - hanno affermato: "Tale situazione, invece, si desume da quanto accertato nel corso dell'attività istruttoria compiuta in sede prefallimentare: emissione nei confronti dei Fedele di decreti ingiuntivi;

esecuzione di vari pignoramenti immobiliari a carico degli stessi appellanti ad opera di alcuni lavoratori dipendenti per il mancato pagamento di somme ad essi spettanti; iscrizioni di ipoteche giudiziali; revoca di affidamenti a suo tempo concessi da Istituti di credito; emissione da parte di Fedele Carmelo di numerosi assegni a vuoto; cessazione sin dal giugno 1986 di ogni attività dell'impresa, indici tutti rivelatori dello stato di insolvenza. Nè la richiesta di erogazione di mutui, finanziamenti e contributi poteva mutare la situazione patrimoniale dei Fedele, trattandosi, per lo più, di pratiche ancora in corso e, comunque, costoro non erano nella disponibilità delle relative somme in modo da soddisfare le proprie obbligazioni. Di nessun rilievo è, poi, la dedotta proprietà di beni immobili, non eliminando la stessa lo stato di illiquidità in cui gli appellanti versavano e, quindi, l'incapacità di pagare i creditori, tanto più che essi, per loro ammissione, dal giugno 1986 avevano cessato ogni attività di impresa"; F)- Relativamente, infine, alla dedotta inapplicabilità, nella specie, dell'art.10 della legge fall. alla Società di fatto dei fratelli Fedele, per aver questa cessato la propria attività (in data 20 giugno 1986 ) oltre un anno prima della dichiarazione di fallimento, la Corte ha osservato che "la cessazione dell'esercizio dell'impresa, dalla quale decorre l'anno entro cui può essere dichiarato il fallimento, va individuata per le società ( tale è, ovviamente, anche quella di fatto ) non nella cessazione della attività ( rilevante nel diverso caso dell'imprenditore individuale ), ma nell'ultimazione della fase ( necessaria ) della liquidazione con la definizione di tutti i rapporti attivi e passivi"; - che, avverso tale sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione Carmelo e Giuseppe Fedele, deducendo sei motivi di censura, illustrati con memoria;

- che resistono, con distinti controricorsi, la Banca Commerciale Italiana S.p.a. e il Fallimento di Fedele Giuseppe e Fedele Carmelo, il quale ha anche proposto un motivo di ricorso incidentale subordinato ( non iscritto con un distinto numero nel ruolo generale civile ).

 

Considerato in diritto

 

- che il ricorso principale e quello incidentale subordinato, in quanto proposti contro la stessa sentenza, debbono essere riuniti ex art.335 cod.proc.civ.;

- che, con il primo motivo del ricorso principale ( con cui deducono "violazione dell'art.360 n.3 c.p.c. per falsa ed erronea valutazione dei presupposti in riferimento all'art.10 L.F." ), i ricorrenti censurano la sentenza impugnata, sostenendo che la Corte reggina avrebbe erroneamente ricondotto l'impresa dei Fedele a quelle aventi sostanza societaria, mentre, nella specie, si tratterebbe "di due soggetti, i quali, senza alcun atto costitutivo, esercitano insieme attività imprenditoriale, utilizzando impropriamente il termine di società di fatto per indicare la forma del loro rapporto" ( cfr. Ricorso, pag.8 );

- che, con il secondo motivo ( con cui deducono: "Violazione dell'art.360 c.p.c. n.3 per erronea interpretazione dell'art.5 L.F. Insussistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento" ), i ricorrenti ribadiscono che non sarebbero sussistiti i presupposti dello stato di insolvenza per la dichiarazione di fallimento, sostenendo che, siccome nel periodo dicembre 1986-15 luglio 1987 sarebbe stata presentata una sola istanza di fallimento, i Giudici d'appello avrebbero fondato la decisione non su uno stato di insolvenza, ma piuttosto sull'inadempimento di singole obbligazioni, senza operare un raffronto tra l'intera situazione patrimoniale del debitore e le richieste avanzate in sede prefallimentare dai creditori istanti;

- che, con il terzo motivo ( con cui deducono: "Violazione dell'art.360 nn.3 e 5 per omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all'eccepita violazione del principio del contraddittorio. Vizio del procedimento" ), i ricorrenti ribadiscono che l'udienza del 30 giugno 1987 - fissata per la loro audizione in contraddittorio con la Banca Commerciale Italiana - no si sarebbe tenuta e che, comunque, in tale udienza non si era dato ingresso al predetto, diretto contraddittorio con l'Istituto di credito sulle contestazioni mosse dagli stessi al credito fatto valere per la dichiarazione di fallimento;

- che, con il quarto motivo ( con cui deducono: "Violazione dell'art.15 L.F. Vizio del procedimento. Mancata audizione del debitore in ordine a tutte le istanze di fallimento. Violazione del diritto di difesa" ), i ricorrenti ribadiscono, altresì, che essi non sarebbero mai stati sentiti sull'istanza di fallimento della Legnochimica S.p.a. e che sul relativo credito da questa fatto valere non sarebbe stata compiuta alcuna istruttoria;

- che, con il quinto motivo ( con cui deducono "nullità della sentenza impugnata per difetto di motivazione su punti decisivi" ), i ricorrenti, riproponendo la censura di carenza di motivazione della sentenza dichiarativa di fallimento, lamentano i principi affermati, sul punto, dalla Corte reggina;

- che, infine, con il sesto motivo ( con cui deducono: "Nullità della sentenza impugnata. Nullità della dichiarazione di fallimento. Nullità dell'istanza proposta dalla Banca Commerciale" ), i ricorrenti ripropongono la tesi della nullità dell'istanza di fallimento proposta dalla Banca Commerciale Italiana, per carenza di jus postulandi, derivante dalla mancata apposizione della data in calce alla relativa procura ad litem;

- che, a sua volta, con l'unico motivo del ricorso incidentale subordinato ( con cui deduce "violazione dell'art.360 c.p.c. n.5 per omessa motivazione" ), il Fallimento ricorrente lamenta che la Corte reggina avrebbe totalmente omesso di motivare, a fronte delle circostanze dedotte dagli stessi ricorrenti principali, sulla data di effettiva cessazione dell'attività di impresa da parte della Società di fatto dei fratelli Fedele;

- che il ricorso principale deve essere respinto, mentre quello incidentale, proposto subordinatamente all'accoglimento del primo, deve dichiararsi assorbito;

- che - esaminando i motivi del ricorso principale nell'ordine logico-giuridico loro proprio - il sesto motivo è palesemente infondato: infatti - posto che costituisce costante orientamento di questa Corte (cfr. sentt.nn. 1701 del 1975, 1750 del 1986, 5119 del 1995 ), condiviso dal Collegio, quello, secondo cui la norma dell'art.125 comma 2 cod.proc.civ. ( che prevede la possibilità di rilasciare la procura al difensore in data posteriore alla notificazione dell'atto, purché anteriormente alla costituzione della parte rappresentata ) non è applicabile nei procedimenti promossi mediante ricorso, in quanto in questi la costituzione della parte rappresentata coincide con il deposito del ricorso in cancelleria, con la conseguenza che l'eventuale mancanza della procura, al momento del deposito stesso, comporta l'inesistenza dell'atto introduttivo, il quale risulta privo di un presupposto indispensabile per la valida instaurazione del rapporto processuale;

che l'art.6 legge fall. dispone che il fallimento è dichiarato, fra l'altro, "su ricorso di uno o più creditori"; e che, nella specie, non è contestata la sussistenza della procura ad litem nel ricorso proposto dalla Com.it., bensì unicamente la mancanza della data del suo conferimento - è evidente che, allorquando, come nella specie, il giudizio sia introdotto mediante ricorso con procura rilasciata a margine o in calce, priva della data del suo conferimento, la data stessa deve necessariamente presumersi coincidente con quella del deposito del ricorso, corrispondente alla costituzione in giudizio del ricorrente; - che anche il terzo e quarto motivo del ricorso principale - che possono essere considerati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione - debbono essere respinti:

infatti - posto che costituisce consolidato orientamento di questa Corte (cfr., e pluribus e da ultime, sentt.nn. 6911 e 73 del 1997), condiviso dal Collegio, secondo cui, nella fase che precede la dichiarazione di fallimento, l'esercizio del diritto di difesa dell'imprenditore può essere esercitato nei limiti compatibili con le regole del procedimento, che ha carattere sommario e camerale;

e secondo cui, relativamente al dovere imposto dall'art.15 della legge fall., interpretato alla luce della giurisprudenza costituzionale, l'inderogabile esigenza di assicurare l'esercizio del diritto di difesa dell'imprenditore insolvente nella fase anteriore alla dichiarazione di fallimento non postula necessariamente la sua convocazione in camera di consiglio, ne' la sua effettiva audizione, ma deve ritenersi soddisfatta ogni qual volta lo stesso sia stato effettivamente posto in grado di conoscere le iniziative assunte nei suoi confronti e, conseguentemente, di contraddire le ragioni che le sorreggono - il terzo motivo è palesemente infondato, nella misura in cui i ricorrenti - non contestando specificamente gli accertamenti di fatto compiuti dai Giudici d'appello ( e, soprattutto, la circostanza che nell'udienza del 30 giugno 1987, regolarmente tenuta, il loro difensore depositò memoria sul credito Com.it.:

cfr., supra, Ritenuto in fatto, lett.A ) - si limitano a lamentare la loro mancata audizione diretta sulle ragioni contrarie al predetto credito; così come il quarto, ove si consideri che, nella prospettiva del compiuto esercizio del diritto di difesa del debitore, non è necessario che questi sia sentito personalmente su tutte le istanze di fallimento ( cfr., in termini, Cass. n. 5101 del 1994 );

- che, per respingere il quinto motivo, è sufficiente ribadire, conformemente a quanto già affermato da questa Corte ( cfr. sentt.nn. 4020 del 1981 e 5123 del 1983 ), che la nullità della sentenza dichiarativa di fallimento per vizio di motivazione può essere determinata soltanto dalla sua totale carenza, ma non anche dalla sua mera insufficienza, tenuto conto, da un lato, che la Corte reggina ha escluso che, nella specie, si verta in ipotesi di assoluta mancanza di motivazione, e, dall'altro, che i ricorrenti formulano, sul punto, una censura del tutto astratta, omettendo di indicare specificamente le ragioni per le quali si sarebbe in presenza di una sentenza dichiarativa di fallimento nulla;

- che il primo motivo deve essere dichiarato inammissibile. Infatti - dal momento che i ricorrenti, nei precedenti gradi del giudizio, non hanno mai contestato l'esistenza, fra di loro, di una società di fatto (autodefinendosi, anzi, nell'epigrafe, sia dell'atto di opposizione alla dichiarazione di fallimento, sia nell'atto di appello, "titolari della s.d.f. denominata F.lli Giuseppe e Carmelo Fedele") - il motivo stesso non censura la sentenza impugnata - laddove ha affermato l'applicabilità, anche alla società di fatto, della regola posta dall'art.10 della legge fall. e la decorrenza del termine annuale ivi previsto dal momento della liquidazione effettiva dei rapporti che fanno capo alla società medesima ( cfr., ad es., Cass. n. 73 del 1997 ) - ma deduce unicamente, e per la prima volta in sede di legittimità, che, nella specie, non si verterebbe in ipotesi di società di fatto e che, per questa sola ragione, sarebbe inapplicabile la surrichiamata disposizione; sicché, l'inammissibilità del motivo discende, per un verso, dall'omessa impugnazione della effettiva ratio decidendi della sentenza d'appello, e, per l'altro, dal rilievo che esso si fonda sulla deduzione di circostanze mai dedotte e che implicano necessariamente accertamenti di fatto preclusi in questa sede ( cfr., e pluribus e da ultima, Cass. n. 4910 del 1998 ); con l'ulteriore conseguenza che, mancando la proposizione della censura alla ratio decidendi della sentenza impugnata, tutte le ulteriori doglianze formulate nella memoria ex art.378 cod.proc.civ. sono inammissibili, nonché la questione di legittimità costituzionale dell'art.10 della legge fallimentare manifestamente irrilevante ( a tal ultimo proposito, comunque, deve sottolinearsi che la Corte costituzionale, con ordinanza n. 180 del 1998, ha dichiarato manifestamente infondata, con riferimento agli artt.3 e 24 Cost., la q.l.c. dell'art.10 RD n.267 del 1942, laddove esige la liquidazione di ogni rapporto passivo per affermare la cessazione dell'impresa societaria ed esentarla dal fallimento, in quanto - posto che siffatta interpretazione giurisprudenziale della disposizione impugnata offre ai creditori sociali più ampie garanzie di tutela rispetto a quelle stabilite per i creditori dell'imprenditore individuale - la lamentata disparità di trattamento del ceto creditorio non è, di per sè, in contrasto con il principio di uguaglianza, quando produce, come nella specie, maggior tutela di alcuni senza pregiudizio per altri; ed in quanto nessuna lesione delle facoltà difensionali può fondatamente assumersi al riguardo, venendo, al più, in rilievo soltanto difficoltà di mero fatto, quando la società si sia sciolta da tempo );

- che, infine, anche il secondo motivo del ricorso principale deve essere respinto per un triplice ordine di ragioni: in primo luogo, perché i ricorrenti contestano in modo affatto generico gli specifici accertamenti di fatto compiuti dalla Corte reggina (cfr., supra, Ritenuto in fatto, lett.E), sui quali questa ha fondato l'affermazione di sussistenza dello stato di insolvenza, sicché, sotto tale aspetto, la censura appare palesemente inammissibile; in secondo luogo, perché - anche a voler ammettere, per mera ipotesi, che il fallimento della Società sia stato dichiarato a seguito della proposizione di una sola istanza - siffatta circostanza sarebbe del tutto irrilevante, decisiva essendo la accertata sussistenza dello stato di insolvenza; ed infine, perché - siccome, al fine della dichiarazione di fallimento, lo stato di insolvenza consiste nella incapacità di adempiere le obbligazioni assunte alle scadenze previste e con mezzi normali, a prescindere da qualsiasi indagine in ordine alle relative cause e dalla eventualità che la situazione patrimoniale presenti un'eccedenza delle poste attive rispetto a quelle passive ( cfr. Cass. n. 8656 del 1992) - l'eventuale eccedenza delle poste attive nella situazione patrimoniale dei ricorrenti sarebbe circostanza affatto irrilevante;

- che il ricorso incidentale deve dichiararsi assorbito, in conseguenza della reiezione di quello principale;

- che le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo, salvo quelle relative al rapporto processuale ricorrenti-Legnochimica S.p.a, relativamente alle quali non sussistono i presupposti per regolarle, tenuto conto che la Società intimata non ha svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi; rigetta quello principale e dichiara assorbito quello incidentale. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese, liquidate in lire 125.000 per la Banca Commerciale Spa ed in lire 130.000 per la Curatela del Fall. Fedele Giuseppe e Fedele Carmelo, oltre £.3.000.000 in favore di ciascuno dei controricorrenti. Nulla per le spese relativamente al ricorso proposto nei confronti della Legnochimica S.p.a. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile, il 21 ottobre 1998. Depositata in Cancelleria il 4 febbraio 1999.