Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2622 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 10 Dicembre 2008, n. 28988. Rel., est. Cultrera.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Effetti - Sugli atti pregiudizievoli ai creditori - In genere (rapporti con l’azione revocatoria ordinaria) - Azione nei confronti dei terzi subacquirenti dall'avente causa del fallito - Natura - Revocatoria ordinaria - Qualificazione giudiziale - Ammissibilità - Condizioni - Accoglimento - Presupposti - Revocatoria fallimentare nei confronti dell'atto compiuto dal fallito - Mala fede del terzo - Cosa determinata oggetto dell'azione - Fondamento.



L'azione revocatoria esercitata dal curatore nei confronti dei terzi aventi causa dal primo acquirente del fallito, pur presupponendo l'esercizio della revocatoria fallimentare nei confronti dell'atto dispositivo posto in essere da quest'ultimo e la sua conseguente dichiarazione d'inefficacia, si atteggia come una revocatoria ordinaria, e come tale può essere qualificata dal giudice sulla base dei fatti rappresentati dal curatore, il quale è tenuto a provare la mala fede del sub-acquirente a titolo oneroso, intesa come consapevolezza che l'atto d'acquisto intervenuto fra il suo dante causa ed il debitore fallito era revocabile ex art. 67 legge fall.; se però l'azione revocatoria ha per oggetto il pagamento eseguito dal debitore, poi fallito, con mezzo normale e per debiti scaduti, la sua stessa esperibilità va negata ai sensi dell'art. 2901, terzo comma, cod. civ., trattandosi di atto dovuto, privo di contenuto negoziale e non assimilabile all'atto di disposizione patrimoniale revocabile ai sensi del primo comma dell'art. citato; in ogni caso, l'azione revocatoria ordinaria permette di far valere il diritto di sequela e dunque il suo effetto recuperatorio nei confronti dei predetti terzi acquirenti solo se l'oggetto dell'azione sia una cosa determinata che, sebbene trasferita ad un terzo, mantenga la sua individualità, come non può essere il danaro che, una volta incassato, si confonde con la restante parte del patrimonio del creditore. (massima ufficiale)


Massimario, art. 67 l. fall.


  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE Corrado - Presidente -
Dott. RORDORF Renato - Consigliere -
Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere -
Dott. BERNABAI Renato - Consigliere -
Dott. CULTRERA Maria Rosaria - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 16246/2004 proposto da:
FALLIMENTO DELLA S.P.A. VAMATEX, in persona del Curatore Dott. BUFFELLI GIULIANO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUCULLO 3, presso l'avvocato ADRAGNA Nicola, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato DONATI GIAMPIERO, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
STOCCHI S.R.L.;
- intimata -
avverso la sentenza n. 116/2004 della CORTE D'APPELLO di BRESCIA, depositata il 05/02/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 06/11/2008 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato MANCINI GIANLUCA, per delega, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il curatore del fallimento della spa Vamatex convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Bergamo la società F.lli Stocchi s.p.a., chiedendo la revoca, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, dei pagamenti che questa aveva ricevuto dalla debitrice nell'anno anteriore alla sua ammissione alla procedura di concordato preventivo, nell'importo di L. 829.122.965.
Si costituì in giudizio la società Stocchi s.r.l., che contestò nel merito la sua legittimazione passiva, sostenendo di non aver intrattenuto alcun rapporto con la Vamatex; rilevò, sostegno, che la sua costituzione, con atto 13 maggio 1992, era successiva alle date dei pagamenti controversi.
Con altro atto di citazione il curatore fallimentare convenne in giudizio innanzi al medesimo organo le società Stocchi s.r.l. e Finutensili s.r.l. chiedendo che fossero entrambe condannate al pagamento della somma indicata - perché esse erano succedute alla s.p.a. Fratelli Stocchi, la prima - s.r.l. F.lli Stocchi - in forza di cessione di ramo d'azienda, e l'altra Finutensili - in forza di fusione giusta atto 4 marzo 1993. Dedusse in particolare che la s.r.l. F.lli Stocchi, in quanto terzo acquirente in malafede, era comunque esposta agli affetti recuperatori dell'azione esercitata. Suddetta società si costituì, eccependo di non aver ricevuto alcun pagamento dalla Vamatex, e che comunque i crediti verso tale società erano stati esclusi dal patto di cessione, ivi compresi dunque quelli cui si riferivano i pagamenti controversi La Finutensili restò contumace.
Il Tribunale adito, con sentenza 26 marzo - 21 ottobre 2001, esclusa la legittimazione passiva della Stocchi s.r.l., accolse la domanda proposta nei confronti di Finutensili, in quanto successore universale della F.lli Stocchi s.p.a..
Respinse invece la domanda di condanna in via solidale nei confronti di Stocchi s.r.l. risultando i rapporti con la Vamatex esclusi dal conferimento del ramo d'azienda.
La decisione è stata confermata con la sentenza in esame n. 116 notifica il 12 maggio 2004 dalla Corte d'appello di Brescia, innanzi alla quale la procedura ha proposto gravame.
Il fallimento Vamatex ha infine impugnato tale ultima decisione col presente ricorso per cassazione affidato a tre mezzi non resistiti dall'intimata Stocchi s.r.l..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il fallimento ricorrente:
1. - col primo motivo deduce violazione e falsa applicazione della L. Fall. art. 67 e art. 2901 c.c., e difetto di motivazione. Ascrive al giudice d'appello d'aver negato il diritto di sequela nei confronti del cessionario d'azienda che è invece sicuramente configurabile nell'azione revocatoria fallimentare, così come nella revocatoria ordinaria, laddove venga fornita la prova della malafede del terzo sub-acquirente, che nel caso di specie è stata offerta. Ciò perché le due azioni condividono sostanza e funzione, salvo le peculiarità dell'azione fallimentare, non operanti però nel caso. 2. - Col secondo motivo muove analoga censura sostenendo che, ammesso in tesi il diritto di sequela, la distinzione posta dalla sentenza impugnata fra azione relativa ad un bene determinato, in cui esso potrebbe essere azionato, ed azione relativa a pagamento, in cui non potrebbe essere riconosciuto, non trova supporto normativo, ed è frutto di arbitraria interpretazione. Nel caso di cessione di azienda il denaro ricevuto in pagamento rientra nel complesso aziendale e può pertanto essere oggetto del diritto invocato.
3. - Col terzo motivo ripropone il medesimo vizio, e deduce nel contempo violazione degli artt. 1292, 1293 e 1294 c.c., e difetto di motivazione- Sostiene che, ribadito che il diritto di sequela deve essere riconosciuto anche in caso di revoca di un pagamento, laddove vi sia stata cessione d'azienda, l'obbligazione restitutoria grava in via solidale anche sul cessionario. Cita a conforto precedente di questa Corte n. 1016/1976. Ripropone infine i motivi esposti nell'atto d'appello per confutare la correttezza della decisione, ad essa sfavorevole in parte qua, assunta dal primo giudice, e riepiloga all'uopo in maniera circostanziata la vicenda fattuale. I motivi, che in quanto connessi logicamente possono essere esaminati congiuntamente, devono ritenersi infondati.
La decisione impugnata ha confermato il rigetto della domanda osservando che:
1.- pur avendo ottenuto la condanna della Finutensili, ormai divenuta definitiva in assenza d'impugnazione incidentale della predetta soccombente, la procedura appellante insiste nella prospettazione della solidarietà fra la detta società, successore universale della creditrice destinataria dei pagamenti, e la cessionaria, che non è ipotizzatale nel caso di specie, non essendo l'azione revocatoria fallimentare, diversamente da quella ordinaria, esperibile nei confronti del sub-acquirente. La possibilità di seguire il bene presso il terzo è, peraltro, data a chi agisce in revocatoria, solo se oggetto dell'alienazione a favore del predetto sia una cosa determinata, che è suscettibile di essere individuata, e non già in caso di pagamento.
2.- l'azione ordinaria, d'altro canto, non è esperibile in relazione a pagamento di un debito scaduto.
3.- nel caso di specie è pacifico infine che la s.r.l. F.lli Stocchi non ricevette i pagamenti controversi, in quanto alla loro epoca non era stata ancora costituita.
Siffatta trama motivazionale risulta palesemente immune dai vizi denunciati.
Il nodo controverso, che riguarda l'ipotizzabilità della sequela mediante l'esperimento dell'azione revocatoria nel caso di pagamento di un debito scaduto eseguito, come risulta inequivocabilmente nella specie, con ordinario mezzo di pagamento, è stato risolto dalla Corte territoriale in senso del tutto corretto.
L'azione revocatoria fallimentare non può essere instaurata contro il terzo sub-acquirente. Il testo della L. Fall., art. 67, non prevede infatti siffatta estensione, ne' essa è desumibile in via esegetica in ragione della sostanziale identità fra l'azione considerata e quella pauliana prevista dall'art. 2901 c.c.. Il principio è fermo e consolidato nel diritto vivente- Cass. nn. 2423/1996, 9271/1999, 17214/2004, 2977/2006 - e si ribadisce in questa sede senza necessità di rivisitazione.
Laddove il curatore fallimentare indirizzi la domanda contro il terzo, nondimeno l'azione, al di là della qualificazione datane dalle parti, se ne condivide gli estremi, si atteggia come azione revocatoria ordinaria, rientrando pertanto, quanto a presupposti e regime probatorio, nel paradigma dell'art. 2901 c.c., con la conseguenza che i diritti sub-acquistati a titolo oneroso dai terzi restano esposti all'esercizio dell'azione da parte del curatore, se questi ne abbia provato la mala fede individuabile nella consapevolezza che l'atto d'acquisto intervenuto fra dante causa ed debitore fallito era revocabile ai sensi della L. Fall., art. 67, e subiscono l'effetto recuperatorio derivante dall'inefficacia dell'atto controverso, intervenuto fra debitore fallito ed il loro dante causa. È infatti compito del giudice qualificare correttamente la domanda, tenendo conto degli elementi costitutivi rappresentati dalla parte che l'ha proposta (cfr. in caso analogo Cass. n. 2977/2006).
Ne discende che, sebbene nella specie il fallimento attore abbia introdotto sicuramente la sola azione fallimentare, a giusta ragione il giudice d'appello ne ha comunque esaminato l'utile esperibilità ex art. 2901 c.c., concludendo infine per la sua esclusione. Occorrendo infatti, affinché possa operarsi suddetta conversione, che l'azione fallimentare soddisfi i requisiti posti da detta ultima norma, devesi rilevare che nel caso in cui, come nell'ipotesi in esame, essa abbia ad oggetto il pagamento eseguito dal debitore indi fallito con mezzo normale in relazione ad uno o più debiti scaduti prima del fallimento, l'azione pauliana non è esperibile, stante l'espresso dettato dell'art. 2901 c.c., comma 3, che stabilisce che "non è soggetto a revoca il pagamento di un debito scaduto". La ratio di tale esclusione è chiara: il creditore, ricevendo il pagamento, suum recepit, ed il debitore, adempiendo alla sua obbligazione, pone in essere un atto dovuto, privo di contenuto negoziale (cfr. Cass. nn. 7119/1996, 16756/2006), di certo non qualificabile, ne' tanto meno omologabile all'atto revocabile, che si concreta, per espressa previsione contenuta nel comma 1 della citata disposizione normativa, in un atto di disposizione patrimoniale, idoneo a comportare dispersione del patrimonio stesso, e non già nell'assenza di una diminuzione della sua garanzia patrimoniale generale, che può essere semmai giuridicamente determinata, non certo dalla prestazione ex se, quanto piuttosto dall'atto da cui è sorta la relativa obbligazione.
Nonostante il valore tranciante di tale constatazione, appare comunque opportuno rilevare che giammai potrebbe ipotizzarsi nella specie il diritto di sequela, che il ricorrente pretende di far valere verso la società intimata in forza dell'acquisto dell'intero patrimonio aziendale della società s.p.a. F.lli Stocchi, originaria debitrice e destinataria dei pagamenti controversi, siccome l'azione revocatoria ordinaria consente di conseguire il suo tipico effetto recuperatorio nei confronti dei terzi acquirenti a titolo oneroso che versino in mala fede nel solo caso in cui oggetto dell'azione sia una cosa determinata che, come si assume correttamente nella decisione ora impugnata, anche se trasferita ad un terzo, mantiene la sua specifica individualità (in tal senso si esprime peraltro lo stesso precedente citato dal ricorrente n. 1016/1976). Tale non è di certo il denaro, che una volta incassato dal creditore si confonde con le restanti componenti patrimoniali dello stesso creditore. Tant'è che, in senso speculare, anche le domande di rivendicazione, restituzione o separazione, ai sensi della L. Fall., art. 103, sono ammissibili solo con riguardo a cose mobili esattamente individuate per specie, e non anche in relazione a cose fungibili, in particolare, al denaro, restando a loro riguardo configurabile solo un diritto di credito - cfr. Cass. n. 12718/2001.
Ciò premesso il ricorso deve essere rigettato. Non vi è luogo a provvedere sul governo delle spese stante l'assenza d'attività difensiva dell'intimato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2008