Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26133 - pubb. 06/11/2021

Azione revocatoria di immobili da costruire ex D.Lgs. n. 122 del 2005

Cassazione civile, sez. VI, 10 Agosto 2021, n. 22603. Pres. Bisogni. Est. Ferro.


Azione revocatoria fallimentare – Immobili “da costruire” – Nozione – Esenzione di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 122 del 2005 – Mera assenza del certificato di abitabilità – Irrilevanza – Fattispecie



In tema di azione revocatoria fallimentare, ex art. 67, l.fall., la speciale causa di esenzione prevista dall'art. 10 del d.lgs. n. 122 del 2005 per gli immobili "da costruire" (per tali dovendo intendersi, ex art. 1, lett. d), del d.lgs. cit., gli "immobili per i quali sia stato richiesto il permesso di costruire e che siano ancora da edificare o la cui costruzione non risulti essere stata ultimata versando in stadio tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di agibilità") implica che il manufatto non sia stato oggetto di completamento e sia ancora da ultimare, irrilevante essendo la mera mancanza del certificato di agibilità, giacché essa non rileva in sé, ma quale sintomo, in negativo, della impossibilità che il bene stesso possa considerarsi definito nei suoi aspetti identificativi, perché necessitante di ulteriori e non compiuti interventi edilizi. (In applicazione del suesteso principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il motivo con cui la ricorrente – nonostante l'accertamento fattuale, da parte del giudice di merito, circa l'utilizzo dell'immobile quale abitazione effettiva della stessa – propugnava la tesi per cui esso era da considerare quale immobile "da costruire", per il solo fatto di essere privo del certificato di agibilità). (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


Fatto

1. X.D. impugna la sentenza App. Reggio Calabria 22.8.2018, n. 556/2018, in R.G. 24/2008, che ne ha rigettato l'appello avverso la sentenza Trib. Reggio Calabria 23.1.2007, n. 115/2007 di accoglimento della domanda del fallimento (*) s.r.l. (FALLIMENTO) diretta alla declaratoria di inefficacia L. Fall. ex art. 67, comma 2, di una vendita di bene immobile conclusa nell'anno anteriore, computato rispetto alla sentenza dichiarativa di fallimento del 21.5.1999;

2. la corte ha ritenuto, per quanto qui d'interesse, che: a) la nozione di immobile da costruire, quale opposta dall'appellante, non poteva ridursi alla mera assenza del certificato di agibilità al momento del contratto revocando, trattandosi di situazione fattuale implicante, più ampiamente, la necessità di ulteriori interventi edilizi, così da giustificare la non ultimazione ai sensi del D.Lgs. n. 122 del 2005, art. 1, mentre nella specie l'immobile, all'epoca, risultava già ultimato; b) in ogni caso, non era invocabile la disciplina esonerativa incidente sulla legge fallimentare, trattandosi di azione esercitata da procedura iniziata prima della sua entrata in vigore; c) era infondata la censura della mancata prova della violazione della par condicio creditorum ovvero del consilium fraudis, in quanto l'eventus damni - a seguito dell'azione promossa e diversamente dalla revocatoria ordinaria - è in re ipsa, sussistendo quale onere probatorio in capo al curatore solo la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell'acquirente, circostanza che rendeva irrilevante la questione della congruità del prezzo; d) l'elemento soggettivo dell'azione risultava da plurimi fattori, in particolare dall'iscrizione di una seconda ipoteca (giudiziale) anteriore di un anno rispetto al rogito, con generico impegno in quella sede, assunto dal venditore, alla cancellazione futura (entro un anno ulteriore e senza sanzione), dall'omesso pagamento del saldo rispetto all'acconto di 95 milioni Lit circa sul totale di 135 milioni Lit (e con previsione di versamento in contanti e a discrezione dell'acquirente, in sostanziale modifica rispetto ai patti del preliminare); e) era infondata la "domanda di rimborso" avanzata dall'appellante quale conseguenza della disposta revoca, trattandosi di pretesa semmai e solo insinuabile nel corrispondente fallimento secondo le regole dell'accertamento del passivo; f) sussisteva, come affermato dal primo giudice, il diritto del fallimento alla corresponsione di un indennizzo - equivalente monetario da mancato godimento dell'immobile e far tempo dalla domanda - posto che il bene risultava essere stato utilizzato dall'appellante come abitazione; g) difettava l'interesse a dolersi della compensazione delle spese di primo grado, stante la soccombenza dell'appellante, condannata solo alla rifusione delle spese di CTU;

3. la ricorrente deduce in due complessi motivi: a) la violazione del D.Lgs. n. 122 del 2005 ed in particolare degli artt. 1, 5 e 10, avendo erroneamente la corte ritenuto l'irretroattività dell'intero D.Lgs. e non solo degli artt. 2, 3 e 4, e la inapplicabilità agli immobili per i quali non era stato rilasciato il certificato di agibilità; b) la violazione della L. Fall., art. 67, commi 1 e 2, e degli artt. 1366,1367,1590,1591,2699,2700,2727 e 2729 c.c., avendo la corte: b.1.) accertato la fondatezza di una revocatoria dell'immobile L. Fall. ex art. 67, comma 2, laddove il curatore aveva chiesto al tribunale la revoca dell'atto L. Fall. ex art. 67, comma 1, con requisiti di valore invece equilibrati; b.2.) reputata raggiunta la prova della scientia decoctionis, laddove invece la ricorrente era terzo acquirente di buona fede, con unico rapporto commerciale col venditore, mentre la seconda ipoteca appariva al ventennio non rinnovata; b.3.) riconosciuto un'indennità al fallimento senza prova di un'utilità ritratta dalla ricorrente per la permanenza nell'immobile, perché abitazione principale;

4. il fallimento si è costituito con controricorso e ha anche depositato memoria ex art. 380bis c.p.c., al pari della ricorrente.

Motivi

1. il primo motivo è inammissibile, nei suoi molteplici profili; con accertamento di fatto non riesaminabile in questa sede (Cass. s.u. 8053/2014) il giudice di merito ha escluso che, al momento della compravendita, l'immobile di causa fosse "da costruire", avendo riscontrato, già dal suo pacifico utilizzo quale abitazione della ricorrente, che il mero mancato rilascio del certificato di agibilità non integrava la nozione rilevante ai fini della protezione di cui al D.Lgs. n. 122 del 2005; ed invero, la nozione di cui al relativo art. 1, lett. d) - "immobili per i quali sia stato richiesto il permesso di costruire e che siano ancora da edificare o la cui costruzione non risulti essere stata ultimata versando in stadio tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di agibilità" - appare correttamente integrata laddove l'assenza del menzionato atto amministrativo non rilevi in quanto tale bensì quale attestativa, in negativo, della impossibilità stessa, secondo il parametro logico di equivalenza sostanziale di cui alla prima parte della definizione normativa, di configurare un'immobile definito nei suoi aspetti identificativi, perché necessitante di ulteriori e non compiuti interventi edilizi, allorché ed innanzitutto i beni "non siano stati oggetto di completamento" (Cass. 5749/2011); nella specie, la sentenza ha invece riscontrato trattarsi di immobile, ai fini predetti, da considerarsi "ultimato" e non "da costruire", condivisibilmente escludendo ogni automatismo fra imperfezione dello status amministrativo-edilizio del bene e sua condizione di fatto, la sola in ipotesi sussumibile nella fattispecie;

2. ed infatti, proprio la ratio protettiva alla base della disciplina invocata giustifica la continuità da esprimere all'indirizzo selettivo per cui la stessa fattispecie esonerativa dall'azione revocatoria trova applicazione, come statuito da tempo da questa Corte, solo per le domande promosse da procedure aperte successivamente all'entrata in vigore dell'intera norma; così, va ribadita l'interpretazione del D.Lgs. n. 122 del 2005, art. 10, "riguardante gli atti a titolo oneroso che hanno come effetto il trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento di immobili da costruire, introducendo una diversa ed innovativa disciplina rispetto a quella previgente, non può retroagire fino ad applicarsi a contratti stipulati e ad insolvenze dichiarate prima della sua entrata in vigore" (Cass. 3237/2016);

3. il secondo motivo, scandito nei molteplici profili in cui pur cumulativamente e in modo poco coordinato appare enunciato, è inammissibile; quanto ai limiti della domanda, fa difetto ogni specificità della censura, che appare in questa sede nuova, non avendo il ricorrente indicato dove, come e quando l'avrebbe ritualmente e tempestivamente sollevata avanti al giudice d'appello; va dunque ripetuto che, ove una determinata questione non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità ha l'onere non solo di allegarne l'avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa; ciò in quanto i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di merito, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (cfr. Cass. n. 30044 del 2019, in motivazione; Cass. n. 2038 del 2019; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 27568 del 2017); il mancato assolvimento di un simile onere di allegazione impone di constatare l'inammissibilità della doglianza proposta in ragione della sua novità rispetto alle questioni recate avanti al giudice di merito;

4. nel censurare le affermazioni sull'elemento soggettivo dell'azione proposta, il ricorrente non è in grado di indicare circostanze di fatto trascurate dalla corte territoriale e idonee a orientare in senso diverso la decisione, né lacune argomentative o incongruenze tali da impedire la ricostruzione del percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l'apparente deduzione della violazione di legge, una nuova valutazione dei fatti non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, nonché la coerenza logica della stessa, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, per effetto della riformulazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. ex plurimis, Cass. s.u. nn. 8053 e 8054; Cass. 21257/2014);

5. sul punto la sentenza, correttamente riferendo al momento del contratto definitivo ogni accertamento psicologico in capo all'acquirente e conferendo rilievo decisivo alle sostanziali variazioni economiche intercorse tra le parti rispetto all'assetto programmato con il preliminare, ha messo in luce l'incoerenza connotativa del nuovo equilibrio contrattuale, con elementi di vaghezza nell'assunzione delle reciproche obbligazioni (tra cui pagamento del saldo, cancellazione delle ipoteche) e di grave indiziarietà debitoria (una nuova ipoteca) cui è stata coerentemente attribuita portata determinante, ai limiti, raggiunti, dell'anomalia delle rispettive clausole, valorizzanti dunque in modo diretto e specifico la conoscenza dello stato d'insolvenza della impresa venditrice (Cass. 13169/2020); si tratta di elementi, strategici nella ricostruzione del fatto e come tali prevalenti rispetto ad altre circostanze, evidentemente apprezzate quali più generiche e non univoche dal giudice di merito (Cass. 3854/2019);

6. circa la condanna ad una somma, come indennizzo per il mancato godimento del bene, la sentenza correttamente ha individuato il relativo titolo nella detenzione comunque protratta nell'immobile da parte della ricorrente (circostanza pacifica) e nonostante la domanda (che implicava la restituzione del bene alla curatela attrice), con un parametro che qui appare contestato principalmente nell'an; in realtà, il riconoscimento giudiziale della fondatezza dell'azione proposta, nonostante la sua natura costitutiva, ha come conseguenza quella di sottrarre, con ogni effetto sin dal suo promuovimento, la permanenza di un valido titolo di godimento del bene da parte di un terzo, cui sia rivolta l'azione - come nella specie - ad un tempo declaratoria dei presupposti d'inefficacia dell'atto e di restituzione del bene stesso; ne deriva che il passaggio in giudicato di tale pronuncia, stabilizzando l'accoglimento della domanda, non segna il primo momento di utile esercizio del relativo diritto, ma solo quello di insuscettibilità di contestazione dello stesso, ben potendo l'effetto della domanda non essere opposto dalla parte contro cui è rivolta già ove ricorra (e da subito) riconoscimento implicito del suo fondamento o, più semplicemente, adesione adempitiva a quanto chiesto per convenienza non antagonistica ovvero quale oggetto di transazione e dunque senza l'intermediazione di una pronuncia giudiziale, sostituita nell'aspetto accertativo dalla convergente riconformazione della situazione di fatto ad opera delle parti; l'indispensabilità cui ha riguardo la nozione, dunque, appartiene (al più) alla proposizione della domanda, tanto più in quanto, come persuasivamente affermato da Cass. 28508/2018, "nel caso in cui la statuizione condannatoria è meramente dipendente dall'effetto costitutivo, la… anticipazione a fini esecutivi è invece consentita, essendo la stessa compatibile con la produzione dell'effetto costitutivo nel momento temporale successivo del passaggio in giudicato (come nel caso riguardante la condanna... alla restituzione delle somme di denaro ricevute da un istituto di credito a seguito di atti solutori dichiarati inefficaci ai sensi della L. Fall., art. 67"; si tratta infatti di "condanna meramente dipendente dall'effetto costitutivo prodotto dall'accoglimento della revocatoria" per cui, ed al contrario, l'anticipazione in via provvisoria, ai fini esecutivi, degli effetti discendenti da statuizioni condannatorie contenute in sentenze costitutive non è consentita (essendo necessario il passaggio in giudicato) "soltanto nei casi in cui la statuizione condannatoria è legata all'effetto costitutivo da un vero e proprio nesso sinallagmatico (come nel caso di condanna al pagamento del prezzo della compravendita nella sentenza sostitutiva del contratto definitivo non concluso)" (conf. Cass. 16737/2011);

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; da ciò consegue, oltre alla condanna del ricorrente alle spese, nella misura derivante dall'applicazione del principio della soccombenza, e liquidazione come meglio da dispositivo, la dichiarazione della sussistenza dei presupposti processuali del cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

P.Q.M.

la Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 4.000, oltre ad Euro 100 per rimborso, alla misura forfettaria del 15% sul compenso e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2021.