Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2543 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 07 Agosto 2009, n. 18105. Rel., est. Ceccherini.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Passività fallimentari (accertamento del passivo) - Formazione dello stato passivo - Esecutività dello stato passivo - Credito di lavoro - Ammissione al passivo in via privilegiata - Estensione del privilegio agli interessi legali sul capitale e alla rivalutazione monetaria maturati dopo il fallimento - Omesso riconoscimento nel decreto di ammissione al passivo - Rimedio - Opposizione allo stato passivo - Esclusività - Conseguenze - Deduzione come vizio del decreto di esecutività del piano di riparto - Inammissibilità - Fondamento.



Nella ripartizione dell'attivo del fallimento, le osservazioni dei creditori possono investire soltanto la graduazione dei privilegi e la collocazione di ciascun credito rispetto a quelli concorrenti, posto che il decreto di approvazione dello stato passivo, di cui all'art.96 della legge fall., se non impugnato, preclude ogni questione relativa all'esistenza del credito, alla sua entità, all'efficacia del titolo da cui deriva e all'esistenza di cause di prelazione. Pertanto, nel caso in cui il giudice delegato non abbia provveduto d'ufficio al riconoscimento in privilegio della rivalutazione monetaria e degli interessi postfallimentari sui crediti di lavoro (dovuto, ai sensi dell'art.54 della legge fall., a seguito della sentenza della Corte costituzionale 28 maggio 2001, n.162), e tale vizio non sia stato fatto valere con l'opposizione allo stato passivo ex art.98 della legge fall., il creditore non può più far valere tali pretese in sede di reclamo avverso il decreto di esecutività del piano di riparto, predisposto in conformità alle risultanze del predetto stato passivo. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



Massimario, art. 26 l. fall.

Massimario, art. 54 l. fall.

Massimario, art. 98 l. fall.


  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORELLI Mario Rosario - Presidente -
Dott. CECCHERINI Aldo - rel. Consigliere -
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -
Dott. PANZANI Luciano - Consigliere -
Dott. CULTRERA Maria Rosaria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
INTESA GESTIONE CREDITI S.P.A. (c.f. 00169760659), gia’ IntesaBci Gestione Crediti S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BISSOLATI 76, presso l’avvocato GARGANI BENEDETTO, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO BELLELI S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, in persona del Curatore Dott. LANFREDI Dante, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 72, presso l’avvocato SIMONCINI ALDO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato AMADEI FAUSTO, giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di MANTOVA, depositata il 13/10/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 23/06/2009 dal Consigliere Dott. CECCHERINI Aldo;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato MARCO PESENTI, con delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato ALDO SIMONCINI che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto 25 giugno 2004, il giudice del Tribunale di Mantova, delegato al fallimento della Belleli s.p.a. in liquidazione dichiaro’ esecutivo il piano di riparto parziale. Contro di esso l’Intesa gestione crediti s.p.a., cessionaria dei crediti insinuati dalla Banca Commerciale Italiana e dalla Cassa di risparmio di Parma e Piacenza, propose reclamo a norma della L. Fall., art. 26, allegando trattarsi di crediti di lavoro, e lamentando il mancato riconoscimento di rivalutazione ed interessi del credito gia’ della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza, e della rivalutazione del credito gia’ della Banca Commerciale Italiana.
Con decreto in data 13 ottobre 2004, il Tribunale di Mantova respinse il reclamo, osservando che nelle rispettive domande d’insinuazione al passivo ne’ la Cassa di risparmio di Parma e Piacenza, ne’ la Banca commerciale italiana avevano richiesto il riconoscimento di quanto dedotto in reclamo, e che avverso la mancata ammissione non era stata fatta opposizione L. Fall., ex art. 98.
Per la cassazione del decreto, Intesa Gestione Crediti s.p.a. ricorre con atto notificato il 10 dicembre 2004, articolato in due mezzi d’impugnazione, illustrato anche con memoria.
Il fallimento resiste con controricorso notificato il 19 gennaio 2005.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione dell’art. 429 c.p.c.. Premesso che la natura di crediti di lavoro era stata riconosciuta in sede di insinuazione al passivo, si deduce che il giudice delegato avrebbe dovuto, in applicazione della norma invocata, procedere d’ufficio al riconoscimento del credito per rivalutazione di quello insinuato.
Il fallimento eccepisce l’inammissibilita’ del ricorso proposto ex art. 111 Cost. avverso un decreto che, dando esecuzione allo stato passivo gia’ approvato, non ha contenuto decisorio. La tesi e’ infondata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, e’ ammissibile il ricorso per Cassazione a norma dell’art. 111 Cost. contro il provvedimento pronunciato dal tribunale in sede di reclamo avverso il decreto del giudice delegato che approva e rende esecutivo il piano di riparto, trattandosi di provvedimento idoneo ad incidere in via definitiva e con forza di giudicato sostanziale sui diritti del creditore (Cass. 21 febbraio 2001 n. 2493; il principio risale almeno a Cass. 30 maggio 1973 n. 1614, ripreso da Cass. 28 gennaio 1980 n. 663, nonche’ 13 aprile 1981 n. 2182 e succ.).
Le sentenze alle quali il fallimento si richiama per sostenere l’opposta tesi non sono puntuali in termini, perche’ vertono sull’impugnabilita’ non gia’ dell’ordinanza emessa sul reclamo avverso il decreto di esecutivita’ del piano di riparto, bensi’ di provvedimenti emessi sulle istanze con le quali, dopo l’approvazione dello stato passivo, il creditore abbia chiesto al giudice delegato una diversa liquidazione delle proprie spettanze, all’infuori dei modi e delle forme previste dalla legge fallimentare per ottenere una modificazione di quello stato passivo (Cass. 28 gennaio 1986 n. 545), o la modificazione dello stato passivo divenuto esecutivo, con l’ammissione in prededuzione di un credito di lavoro maturato durante l’amministrazione controllata poi seguita da fallimento (Cass. 12 aprile 1984 n. 2354); o il fallito abbia chiesto la restituzione di somme pervenute dopo la dichiarazione di fallimento (Cass. 2 giugno 1989 n. 2681).
Il motivo di ricorso e’ tuttavia infondato, in conformita’ della costante giurisprudenza di questa Corte, la quale ha ripetutamente indicato il contenuto tipico del piano di riparto. Posto che il decreto di approvazione dello stato passivo di cui alla L. Fall., art. 96, se non impugnato, preclude nell’ambito del procedimento fallimentare ogni questione relativa all’esistenza del credito, alla sua entita’, all’efficacia del titolo da cui deriva e all’esistenza di cause di prelazione, si e’ chiarito che non puo’ prendersi in considerazione, nella successiva fase di ripartizione dell’attivo, tra l’altro e in particolare la questione relativa all’ammissione del credito relativo agli interessi convenzionali postfallimentari, sui quali il giudice delegato abbia omesso ogni pronunzia, e cio’ perche’, piu’ in generale, le osservazioni dei creditori possono investire in tale sede soltanto la graduazione dei privilegi e la collocazione di ciascun credito rispetto a quelli concorrenti (Cass. 24 maggio 1994 n. 5073; 1 settembre 1995 n. 9220; 27 giugno 1997 n. 5772; 20 settembre 2006 n. 20416; 16 marzo 2000 n. 3036; Cass. 21 febbraio 2001 n. 2493).
Alla necessaria conseguenza, che da tale principio il giudice di merito ha tratto in materia di rivalutazione del credito di lavoro e di interessi legali sul capitale, non preventivamente ammessi al passivo, la ricorrente si oppone invocando il principio per il quale l’art. 429 c.p.c., comma 3, sul diritto del lavoratore a conseguire, per i crediti di lavoro, il maggior danno eventualmente subito per svalutazione monetaria, non trova limitazioni o deroghe per effetto del sopravvenuto fallimento del datore di lavoro, e, pertanto, deve essere applicato, in sede di ammissione al passivo di detti crediti, anche per il periodo successivo alla dichiarazione di fallimento, tenuto conto che il meccanismo di conservazione del valore economico delle spettanze del lavoratore stesso, introdotto dalla citata norma, prescinde dalla colpevolezza dell’inadempimento e dalla Costituzione in mora, ed inoltre, mirando a preservare l’effettiva consistenza di ragioni creditorie sorte anteriormente al fallimento con la loro differita quantificazione non introduce alcuna violazione sostanziale al principio della par condicio creditorum. Nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c., la ricorrente richiama anche il principio per cui la rivalutabilita’ del credito di lavoro, a norma dell’art. 429 c.p.c., comma 3 (nuovo testo) e dell’art. 150 disp. att. c.p.c., costituisce una proprieta’ intrinseca ed indissolubile di detto credito, come tale riconducibile direttamente alla causa petendi della domanda con cui il credito stesso e’ fatto valere. Ne consegue che la rivalutazione ai sensi delle norme sopra citate dovrebbe essere operata d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del giudizio, senza necessita’ di una specifica domanda del lavoratore e senza che costui debba attivarsi con una formale impugnazione, la quale, ove proposta, avrebbe il valore di una semplice denuncia sollecitatoria, non potendosi - pur nel caso di sentenza pronunciata dopo l’entrata in vigore della L. n. 533 del 1973 che non abbia deciso sulla rivalutazione -configurare alcun giudicato implicito negativo o alcuna acquiescenza in ordine alla mancata decisione di una siffatta questione che la parte non era tenuta a proporre e che il giudice ha il dovere ex lege di conoscere (Cass. 5 gennaio 1984 n. 39). E si invoca ancora la sentenza della Corte costituzionale 28 maggio 2001, per la quale e’ costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 3 Cost., il R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 54, comma 3, nella parte in cui non richiama, ai fini dell’estensione del diritto di prelazione agli interessi, l’art. 2749 c.c., in tal modo escludendo che gli interessi su crediti privilegiati possano essere ammessi al passivo fallimentare in via principale, e conseguentemente discriminando i creditori privilegiati che agiscono in sede concorsuale da quelli che agiscono in sede esecutiva ordinaria. Ora, questi principi non giustificano la conclusione che se ne vorrebbe trarre in materia di vizi del decreto di esecutivita’ del piano di riparto. Essi offrono una base alla tesi secondo la quale il giudice delegato avrebbe dovuto provvedere d’ufficio al riconoscimento della rivalutazione e degli interessi anche post fallimentari del credito di cui fosse certa la natura di credito di lavoro; ma da tale premessa discende soltanto il vizio del decreto di ammissione al passivo che a tanto non abbia provveduto, vizio suscettibile di rimedio con l’opposizione L. Fall., ex art. 98. In difetto di tale opposizione, l’intangibilita’ dello stato passivo non consente al creditore di far valere pretese, che in esso non siano state riconosciute.
Il mezzo deve pertanto essere respinto.
Con il secondo motivo di ricorso si denunziano vizi di motivazione dell’impugnato decreto sul punto deciso della controversia, non avendo riconosciuto che si trattava di credito di lavoro. Il mezzo (nei limiti nei quali puo’ essere esaminato nel presente giudizio, instaurato ex art. 111 Cost., limiti puntualmente indicati da questa Corte nella sentenza a sezioni unite 10 marzo 1999 n. 115, e con riferimento pertanto alla totale assenza di motivazione) e’ assorbito dal rigetto di quello precedente, il quale comporta che la natura di credito di lavoro, e le conseguenze da cio’ discendenti in tema di ammissione al passivo della rivalutazione e degli interessi relativi, anche in mancanza di apposita domanda del creditore, non dispensavano quest’ultimo dall’onere di opporsi al decreto di esecutivita’ dello stato passivo che non avesse riconosciuto quegli accessori del credito di lavoro, e rendevano pertanto irrilevante la motivazione sul punto.
In conclusione il ricorso deve essere respinto.
Le spese del giudizio di legittimita’ sono a carico della parte ricorrente, e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.
Cosi’ deciso a Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Suprema Corte di Cassazione, il 23 giugno 2009. Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2009