ilcaso.it
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2542 - pubb. 01/08/2010.

.


Cassazione Sez. Un. Civili, 24 Novembre 2009. Rel., est. Salvago.

Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Passività fallimentari (accertamento del passivo) - Ammissione al passivo - Dichiarazioni tardive - Sospensione dei termini nel periodo feriale - Applicabilità - Eccezioni - Accertamento di crediti di lavoro - Inapplicabilità - Fondamento.
Procedimento civile - Termini processuali - Sospensione - Fallimento - Dichiarazione tardiva di crediti - Sospensione dei termini nel periodo feriale - Applicabilità - Eccezioni - Accertamento di crediti di lavoro - Inapplicabilità - Fondamento.


In tema di fallimento, ai sensi del combinato disposto dell'art. 92 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 e degli artt. 1 e 3 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, le controversie aventi ad oggetto l'ammissione tardiva dei crediti al passivo non si sottraggono al principio della sospensione dei termini durante il periodo feriale, fatta eccezione per quelle riguardanti crediti di lavoro, le quali, pur dovendo essere trattate con il rito fallimentare, sono assoggettate al regime previsto dall'art. 3 cit., che, escludendo l'applicabilità della sospensione alle controversie previste dagli artt. 409 e ss. cod. proc. civ., fa riferimento alla natura specifica della controversia, avente ad oggetto un rapporto individuale di lavoro. (massima ufficiale)

Massimario, art. 26 l. fall.

Massimario, art. 36 l. fall.

Massimario, art. 36bis l. fall.

Massimario, art. 101 l. fall.

  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo - Primo Presidente -
Dott. PAPA Enrico - Presidente di sezione -
Dott. MENSITIERI Alfredo - Consigliere -
Dott. SEGRETO Antonio - Consigliere -
Dott. SALVAGO Salvatore - rel. Consigliere -
Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere -
Dott. BUCCIANTE Ettore - Consigliere -
Dott. LA TERZA Maura - Consigliere -
Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
GIANNETTI ANNA (GNNNNA43E46F839Q), elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA REGINA MARGHERITA 27, presso lo studio dell'avvocato MIELE NAZZARENO, rappresentata e difesa dall'avvocato SENESE Francesco, per procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO DELLA MARTAN DI MARTINOTTI ANTONIO & BEVILACQUA MARIA S.N.C.;
- intimato -
avverso la sentenza n. 3635/2003 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/12/2003;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 06/10/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;
udito il P.M., in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte di Appello di Napoli con sentenza del 22 dicembre 2003 ha dichiarato inammissibile l'appello di Anna Giannetti contro la sentenza 16 maggio 2002 con la quale il Tribunale di Napoli, aveva rigettato la sua domanda di ammissione tardiva al passivo del fallimento Tartan di Martinetti Antonio & Bevilacqua Maria s.n.c., con riferimento al credito privilegiato di L. 40.099.563 vantato per differenze retributive, e trattamento di fine rapporto di lavoro nei confronti della società fallita, di cui era stata dipendente. Ciò in quanto: a) l'appello era stato proposto con atto di citazione del 25 giugno 2003, allorché era già decorso l'anno dalla pubblicazione della sentenza di primo grado, avvenuta in data 16.5.2002; e per i giudizi aventi ad oggetto l'ammissione al passivo fallimentare di crediti di lavoro non poteva trovare applicazione - in forza di quanto disposto dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3, il regime della sospensione dei termini processuali per il periodo feriale, prevista dalla legge suddetta; b) l'inapplicabilità della sospensione alle controversie in materia di lavoro era d'altra parte stabilita dalla legge in considerazione della loro natura sostanziale, e pertanto identico trattamento avrebbe dovuto essere riconosciuto a tutti i giudizi aventi lo stesso oggetto, indipendentemente dal fatto, cioè, che la relativa trattazione fosse avvenuta o meno secondo la disciplina dettata dall'art. 409 c.p.c., e segg..
Per la cassazione della sentenza la Giannetti ha proposto ricorso affidato ad un solo motivo, cui non ha resistito il fallimento intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. Con il ricorso Anna Giannetti, lamentando violazione di legge con riferimento all'affermata inapplicabilità della legge sulla sospensione dei termini processuali alla controversia in esame, censura la sentenza impugnata per non aver considerato che l'impugnazione in oggetto era da collegarsi alla decisione del Tribunale di Napoli pronunciata con il rito ordinario a seguito della disposta istruzione della causa a norma dell'art. 175 c.p.c., e segg."; nonché la circostanza che il rito adottato costituiva per le parti criterio di riferimento anche ai fini del computo dei termini per la proposizione dell'impugnazione, prevalente quindi sulla natura sostanziale della lite. Pertanto nel caso in esame doveva applicarsi il regime della sospensione dei termini processuali e, considerato che la sentenza di primo grado era stata pubblicata il 16 maggio 2002 e l'atto di citazione in appello notificato il 25.6.2003, l'impugnazione, contrariamente a quanto ritenuto, doveva essere dichiarata tempestiva.
Questa Corte con ordinanza interlocutoria 30418/2008,ha osservato che alla stregua della normativa vigente (R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 92, comma 1 e L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, comma 1) nella materia concorsuale sono escluse dal regime della sospensione dei termini solo le cause relative alla dichiarazione e alla revoca dei fallimenti, e che analoga esclusione vale anche per quanto concerne le cause previdenziali e di lavoro. E tuttavia,che per dette ultime controversie la Cassazione, pronunciando a sezioni unite (Cass. 11978/2001) ha precisato che è comunque applicabile il regime della sospensione dei termini di impugnazione nel periodo feriale, quando la controversia sia stata decisa con il rito ordinario poiché il rito "assume una funzione enunciativa della natura della controversia, indipendentemente dall'esattezza della relativa valutazione; e perciò detto rito costituisce per le parti criterio di riferimento anche ai fini del computo dei termini per la proposizione dell'impugnazione, secondo il regime previsto dalla L. n. 742 del 1969, art. 3.
Tale principio appariva in contrasto con quello affermato in precedenti statuizioni delle sezioni semplici, (Cass. 10525/2001;
1091/2000; 10273/1994), nelle quali era stato espressamente evidenziato come le eccezioni al principio della sospensione dei termini feriali fossero stabilite dalla L. n. 742 del 1969, art. 3, sulla base della natura della controversia, e non in relazione al rito previsto e poi ribadito in successive decisioni (Cass. 6523/2002 e indirettamente 17073/2007); pur se disatteso da due decisioni della Corte (sent. 17953/2005 e 1743/2006), nelle quali è stato evidenziato come sarebbe la natura del credito a determinare le esigenze di speditezza che giustificano l'inapplicabilità della sospensione dei termini processuali.
In particolare, nella seconda delle due decisioni da ultimo richiamate è stato rilevato come per le controversie elencate negli artt. 409 e 442 c.p.c., la regola vigente, quale desumibile dai principi reiteratamente enunciati da questa Corte, sarebbe quella della prevalenza della materia trattata sulla forma del processo (sicché la disciplina della sospensione dei termini sarebbe sempre applicabile, e quindi anche nel caso di inosservanza delle forme del rito del lavoro), e pertanto la medesima regola dovrebbe valere anche nell'ipotesi di rito speciale, non solo rispetto a quello ordinario, ma anche con riferimento a quello ordinariamente stabilito per le controversie di lavoro, quale sarebbe quella in cui un prestatore di lavoro faccia valere il proprio credito maturato a seguito delle prestazioni effettuate nei confronti di un soggetto sottoposto a procedura concorsuale: e pertanto nelle forme previste dalla legge fallimentare, come verificatosi nella specie in cui la domanda e stata proposta ai sensi della L. Fall., art. 101. Per cui la controversia è stata rimessa alle Sezioni Unite per la composizione del ritenuto contrasto.
3. Il Collegio ritiene che il denunciato contrasto fra i due suddetti orientamenti giurisprudenziali sia soltanto apparente e non effettivo.
Al riguardo giova anzitutto precisare che ne' la sentenza impugnatale le parti mostrano di dubitare dell'applicabilità del rito fallimentare per l'accertamento del passivo in relazione alle domande dirette a reclamare crediti di lavoro; ne' dell'applicabilità in materia fallimentare della disciplina di diritto comune ai giudizi di appello ed al ricorso per cassazione,in essa compresa quella della sospensione dei termini prevista per il periodo feriale dagli art. 1 e 3 della Legge che l'ha esclusa soltanto per le controversie relative alla dichiarazione ed alla revoca dei fallimenti indicate dall'art. 92 ord. giud., cui la normativa del 1969 espressamente rinvia. Nè che tali deroghe abbiano mantenuto natura eccezionale pur dopo la riforma compiuta dal D.Lgs. n. 5 del 2006, avendo l'art. 36 bis, limitato le eccezioni alla regola della sospensione - perciò rimasta tale - ai soli reclami di cui alla L. Fall., artt. 26 e 36:
nei quali non rientra la controversia in esame, avente per oggetto domanda di ammissione tardiva al passivo del fallimento. La Corte di appello ha ritenuto invece che l'inapplicabilità della sospensione dei termini per il periodo feriale sia stabilita dalla menzionata L. n. 742 del 1969, come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte, per tutte le controversie di lavoro ed in funzione della natura sostanziale di tali controversie: perciò comportando l'estensione e la migrazione di detta deroga posta a presidio della materia, in tutti i procedimenti aventi per oggetto un rapporto di lavoro,anche se non disciplinati dalle norme processuali dettate dall'art. 409 cod. proc. civ., e segg..
Ora, le Sezioni Unite con la ricordata decisione 10978/2001, in una controversia avente per oggetto un rapporto di lavoro subordinato, ed in particolare la determinazione dell'indennità di anzianità dovuta ad un lavoratore subordinato da un Consorzio, ma trattata con il rito ordinario sia in primo grado dal Pretore, che in appello dal Tribunale, hanno dichiarato ammissibile il ricorso dell'ente datore di lavoro, pur proposto entro il termine risultante dalla somma di quello annuale e della durata della sospensione di cui alla L. n. 742 del 1969, art. 1 (perciò applicata): in quanto la causa - malgrado la materia del contendere riguardasse un rapporto compreso tra quelli indicati dall'art. 409 o art. 442 cod. proc. civ. - era stata decisa con il rito ordinario; sicché doveva applicarsi il regime della sospensione dei termini di impugnazione nel periodo feriale, dato che il rito adottato dal giudice assume una funzione enunciativa della natura della controversia, indipendentemente dall'esattezza della relativa valutazione. E perciò detto rito costituisce per le parti criterio di riferimento anche ai fini del computo dei termini per la proposizione dell'impugnazione, secondo il regime previsto dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3.
Questo principio,già in passato enunciato dalla giurisprudenza di legittimità e successivamente alla pronuncia in esame numerose volte ribadito, anche a sezioni unite (cfr. Cass. sez. un. 13970/2004), trova il suo ineludibile presupposto, come si rileva dalla motivazione della precedente Cass. 7171/1999, cui la ricordata sentenza 10978/2001 espressamente rinvia, nel fatto già verificatosi che le parti ed il giudice abbiano adottato il rito ordinario: in base al quale la causa è stata introdotta, trattata e decisa;
sicché in tal caso il rito suddetto assume una funzione enunciativa della natura della controversia, indipendentemente dall'esattezza della relativa valutazione; e costituisce per le parti stesse l'unico criterio di riferimento anche ai fini del computo dei termini per la proposizione dell'impugnazione, secondo il regime previsto dalla L. n. 742 del 1969, art. 3, sulla sospensione dei termini feriali. Come più volte rilevato da questa Corte, detto indirizzo trova dunque la sua giustificazione "nella evenienze di una errata deductio", vale a dire nella inesatta attribuzione alla controversia di una natura che non ha; ed intende evidenziare la vincolatività della scelta del modello processuale comunque osservato e diverso da quello di cui all'art. 409 cod. proc. civ., e segg., a dispetto della competenza erroneamente, ma irrimediabilmente non radicata in capo al giudice del lavoro.
Ma esso non può che restare circoscritto alla sola ipotesi che ne ha costituito la fonte: senza perciò assurgere ad espressione o soltanto ad indice rivelatore di un principio di carattere generale - infatti mai affermato da alcuna delle decisioni che lo hanno recepito - della prevalenza comunque del rito - ed in particolare di quello speciale - in base al quale la controversia deve essere trattata rispetto alla considerazione della natura di questa - e quindi della materia laburistica cui è stata ancorata la deroga introdotta dalla L. n. 742, art. 3. Anzitutto perché le ormai innumerevoli decisioni che dalla L. n. 533 del 1973, in poi lo hanno recepito ed applicato sono tutte aggregate ed incentrate intorno all'unica fattispecie di controversia di lavoro (subordinato o autonomo) ex art. 409 cod. proc. civ., ovvero previdenziale ex art. 442 cod. proc. civ., erroneamente trattata con rito ordinario (ovvero,come si vedrà avanti in quella opposta di causa ordinaria erroneamente svoltasi con il rito laburistico): senza alcun accenno ad altri riti speciali, ed ancor meno a quello fallimentare rispetto al giudizio di cognizione ordinario o allo stesso processo del lavoro. Quindi perché nessuna di esse ha mai considerato l'applicazione in tali casi,del regime della sospensione dei termini di impugnazione nel periodo feriale, quale conseguenza necessitata di una scelta normativa in termini assoluti di specialità ovvero di valorizzazione delle funzioni del rito speciale (riguardando, anzi, le decisioni, controversie introdotte e trattate con il rito ordinario): perciò dissonante con la considerazione della natura della controversia indicata invece nella L. n. 742, art. 3. Ed infine perché Cass. sez. un. 10978/2 001 non ha prospettato in alcuna parte della motivazione problemi di alternativa o di prevalenza tra modello processuale (speciale) prescelto dal legislatore e rito laboristico, ne' tanto meno equiparato l'ipotesi esaminata, di rito processuale di fatto applicato in conseguenza di una scelta sindacabile del giudice, con quella di rito derivante da una scelta normativa (al quale,peraltro, la sentenza non contiene alcun riferimento, neppure indiretto). Ed allora, soltanto con un salto logico può attribuirsi alla stessa ed all'orientamento recepito, l'intendimento di introdurre l'obbligo di astrazione "dalla natura della controversia", nonché quello di incentrare sul regime cui è assoggettata quest'ultima il criterio per decidere se la sospensione sia o non applicabile: con la conseguenza di ammetterla sempre e comunque nel caso di adozione di un rito speciale che la prevede (quale, nel caso quello fallimentare), e di escluderla in caso contrario; e l'indirizzo in questione non consente affatto neppure attraverso logiche deduttive, di pervenire al risultato che l'attrazione di un credito di lavoro, per il relativo accertamento,nella speciale competenza della l. Fall., art. 24, sia d'ostacolo all'applicazione della disciplina sulla sospensione che pur il legislatore ha voluto prevedere per le relative controversie.
4. D'altra parte,la necessità di ridimensionare la portata del principio suddetto in funzione della sola fattispecie applicativa esaminata diviene ancor più palese se si considerano, da un lato le ragioni che hanno indotto la giurisprudenza ad enunciarlo; e dall'altro che lo stesso legislatore ha apprestato appositi strumenti per porre rimedio all'anomalo iter processuale determinato dall'erronea identificazione della controversia: quale il passaggio dal rito ordinario a quello speciale del lavoro,introdotto dall'art. 426 cod. proc. civ., che stabilisce le attività processuali che ciascuno dei soggetti interessati deve compiere a tal fine, e consente la prosecuzione del giudizio con il rito appropriato; e per converso il passaggio dal rito speciale del lavoro a quello ordinario disciplinato dal successivo art. 427 cod. proc. civ.. Ragion per cui questa Corte ha completato il sistema di tutela delle parti con il corollario, conseguente e coerente con tale situazione patologica, che il processo erroneamente introdotto con il rito ordinario è regolato dal rito speciale (del lavoro) non dal momento in cui ne viene statuita la natura, bensì dal momento in cui il giudizio (ha inizio o) prosegue in applicazione del relativo rito, in quanto in precedenza rileva il rito adottato dal giudice che, a prescindere dalla sua esattezza, costituisce per la parte il criterio di riferimento, anche ai fini del computo dei termini previsti per le attività processuali (Da ultimo: Cass. 24412/2008). Ma fino a tale momento - ed a maggior ragione nel caso in cui lo stesso manchi ed il procedimento prosegua fino alla conclusione con il rito errato - vige e trova applicazione il c.d. principio dell'apparenza o dell'affidamento, per il quale la scelta fra i mezzi, i termini ed il regime di impugnazione astrattamente esperibili contro un provvedimento del giudice va compiuta in base al tipo di procedimento effettivamente svoltosi: e quindi a prescindere da ogni valutazione sulla congruenza delle relative forme rispetto alla materia controversa - e cioè del fatto che questa sia stata considerata, ancorché erroneamente, come ordinaria o laburistica. In quanto la scelta e lo svolgimento dell'uno o dell'altro, sebbene impropri, esprimono una valutazione, in ordine alla suddetta natura, da cui devono trarsi tutte le implicazioni processuali susseguenti, ivi comprese quelle concernenti i termini per la proposizione dell'impugnazione.
Per questa ragione conclusivamente - e soltanto per essa - la giurisprudenza di legittimità avallata dalle Sezioni unite nelle decisioni ricordate dall'ordinanza interlocutoria, ha enunciato i principi del tutto simmetrici, che i termini processuali sono suscettibili di sospensione, senza che possa operare l'esclusione della regola generale, qualora la controversia, sebbene relativa ad un rapporto compreso fra quelli elencati negli artt. 409 e 442 c.p.c., sia stata svolta con il rito ordinario (cfr., fra le diverse sentenze, Cass. 19 agosto 1987 n. 6943); e, per converso che non deve farsi luogo alla sospensione quando la causa, pur riguardando un rapporto non compreso fra quelli sopra indicati, sia stata trattata e decisa secondo il rito del lavoro (Cass. fin da 3294/1986 n. 3294; e da ultimo: 24649/2007).
E d'altra parte in tali sensi deve essere intesa l'affermazione che si rinviene nella medesima giurisprudenza (non compresa invece dalla ricorrente) che la scelta del rito assume una funzione enunciativa della controversia; la quale significa appunto che il rito adottato in concreto, dal giudice assume una tipica funzione indicativa del fatto che essa sia stata, seppur erroneamente, considerata ordinaria o previdenziale (e che si prescinde,dunque dalla esattezza della relativa valutazione). E comporta, a sua volta, il principio ed, della sua "ultrattività", per cui detto rito costituisce per le parti criterio di riferimento anche ai fini del computo dei termini per la proposizione dell'impugnazione, secondo il regime previsto dalla L. n. 742 del 1969, art. 3: perciò impedendo che la loro disciplina sia soggetta a mutamenti o addirittura determinata in corso di causa in conseguenza di soggettive interpretazioni del giudice (e delle parti) sulla natura della controversia. 5. Questa Corte non ha tuttavia mancato di interrogarsi, già nei decenni passati sulla possibile estensione delle funzioni del rito, e particolarmente di quello speciale in cui può essere attratta una causa (come dimostra proprio la legge fallimentare) fino a ritenerne la prevalenza (con conseguente applicazione anche della sospensione feriale) a svantaggio della considerazione della sua natura anche se laburistica: invece determinante agli effetti della L. n. 742 del 1969, art. 3.
La risposta,anche della più qualificata dottrina è stata costantemente negativa, essendosi considerato che l'inosservanza di quest'ultima disposizione trova giustificazione esclusivamente nell'evenienza patologica dell'attribuzione alla controversia di una natura diversa da quella reale ed al fine di non esporre la parte che ha subito o comunque seguito il modello processuale errato, al mutamento in corso di causa della disciplina delle impugnazioni e dei relativi termini; per cui l'effettualità del rito più non può essere utilizzata quando la natura della controversia risulti ab origine esattamente identificata: anche se la sua trattazione eccezionalmente non aderisce per ragioni di connessione con il rito che le è proprio.
In quest'ultimo caso non vi è infatti più ragione per non tener conto del riferimento "alla natura della controversia", dato che l'operatività derogatoria delle circostanze che ne avevano determinato la recisione dal cordone ombelicale del proprio rito non è più configurabile, ed il rapporto ha quindi riacquistato, anche sul piano processuale, la propria specificità e l'attitudine ad essere coerentemente regolato con il rispetto,tra l'altro delle esigenze di speditezza che la disposizione della L. n. 742, art. 3, intende tutelare.
Si è altresì rilevato che il rito (ancorché erroneamente) in concreto osservato per la trattazione della causa deve essere considerato determinante, per l'applicazione o meno della regole della sospensione dei termini nel periodo feriale, solo quando lo stesso sia di per sè rivelatore della natura laburistica o meno, della controversia (nei sensi di cui si è detto); mentre, allorché la controversia deve svolgersi per legge in base a un rito, quale quello fallimentare, che è speciale non solo rispetto a quello ordinario, ma anche riguardo a quello del lavoro, detto rito non può essere di per sè significativo di alcuna valutazione in ordine alla natura della controversia ed assume, perciò, un rilievo sostanzialmente neutro ai fini della identificazione del regime dei termini processuali. Alla quale deve dunque procedersi indagando circa la natura della controversia senza il punto di riferimento altrimenti fornito dalle forme della sua trattazione in concreto (cfr. Cass. 583/1985; 324/1987; 807/1987; 1823/1987; 5690/1989;
12044/1991).
Per queste ragioni le Sezioni Unite con sentenza 156/1999 hanno ribadito che la sottrazione delle controversie di lavoro alle norme sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, prevista dalla L. n. 742 del 1969, art. 3, opera in ogni fase concernente il processo del lavoro, stante lo scopo sollecitatorio perseguito dal legislatore; e perfino con riguardo al termine per l'opposizione al decreto ingiuntivo concernente crediti di lavoro, nonostante l'inapplicabilità al procedimento monitorio, prima dell'opposizione, delle forme del rito del lavoro, data la prevalente rilevanza della materia controversa sulla diversità delle stesse e del rito monitorio. La quale è ampiamente dimostrata dalla inoperatività della sospensione dei termini feriali anche nella fase di cassazione, quando si tratti di lavoro o di previdenza sociale;nella quale si segue il rito ordinario e dovrebbe quindi trovare applicazione la regola generale della sospensione di cui all'art. 1 della legge: invece resa inoperante malgrado la diversità del rito, dalla speciale materia rientrante nel successivo art. 3 (Cass. 3106/1994; 5932/1994; 6075/1997).
E, per converso dall'applicabilità della sospensione dei termini processuali anche nelle controversie in materia di immobili urbani alle quali sono estese dall'art. 447 bis cod. proc. civ., le disposizioni sul processo del lavoro: in quanto anche in tal caso non sussiste alcun principio di prevalenza del rito speciale predisposto dal legislatore, ne' tanto meno l'attrazione ad opera dello stesso della disciplina dei termini processuali prevista per le cause di lavoro e correlata da quest'ultima norma non già alla specialità del rito, ma esclusivamente alla specifica natura della controversia (Cass. 14611/2007; 8947/2006; 11444/2002).
I medesimi principi sono stati quindi applicati costantemente dalle sezioni semplici della Corte, sia prima che dopo la menzionata decisione 10978/2001, ai crediti di lavoro che devono essere accertati dal Tribunale di cui al R.D. n. 267 del 1942, art. 24, nell'ambito di una procedura concorsuale; le quali,pur dando atto che in virtù del combinato disposto degli artt. 92 dell'ordinamento giudiziario ed L. n. 742 del 1969, artt. 1 e 3, le opposizioni allo stato passivo e le domande di ammissione al passivo non si sottraggono, in linea generale, al regime della sospensione, hanno ripetutamente affermato che nel caso in cui il creditore faccia valere una pretesa basata su un rapporto di lavoro nei confronti di un soggetto sottoposto ad una procedura concorsuale (quindi, nelle forme previste dalla legge fallimentare), siccome la causa deve essere trattata con il rito fallimentare che è speciale riguardo non solo a quello ordinario, ma anche rispetto a quello stabilito per le controversie di lavoro e previdenziali, non può trovare applicazione - in ogni fase e grado di detto procedimento - la disciplina della sospensione dei termini: appunto in quanto occorre fare riferimento alla natura della causa e data la prevalente rilevanza ai fini in esame, pur se non siano applicabili le forme del rito del lavoro,della materia laburistica controversa.
A questi risultati, la cui correttezza non è stata mai posta in dubbio neppure dagli studiosi della materia, le Sezioni Unite devono dare piena adesione, in quanto: a) l'interpretazione della L. n. 742 del 1969, art. 3, è perfettamente aderente al suo tenore letterale in quanto atteso il doppio rinvio fatto dalla norma al R.D. n. 12 del 1941, art. 92 e agli artt. 409 e 442 c.p.c., ai fini della sospensione dei termini nel periodo feriale, le controversie contemplate nei suddetti artt. 409 e 442 c.p.c., si
contraddistinguono non già per il rito particolare, bensì per la materia, che è quella del lavoro o della previdenza ed assistenza obbligatorie; b) essa valorizza altresì il riferimento dell'art. 3 a cause che abbiano una specifica natura, e non all'organo presso il quale la vicenda sia trattata ovvero al modello processuale per tale trattazione previsto; per cui l'attrazione di una vicenda relativa all'accertamento di crediti di lavoro nella speciale procedura fallimentare non può essere di ostacolo all'applicazione della disciplina che il legislatore ha voluto prevedere per i crediti suddetti; c) non apporta elementi di contrasto o di divergenza con i principi che l'ordinanza interlocutoria ha incentrato principalmente sulla decisione 10978/2001: estranei alla problematica esaminata e riferibili esclusivamente, per quanto si è detto, alla fattispecie di cause concretamente svolte con il rito ordinario, malgrado la competenza spettante al giudice del lavoro (e viceversa). 6. Si deve aggiungere, per completezza, che questo risultato non è dissonante neppure con l'indirizzo giurisprudenziale cui hanno aderito le Sezioni Unite con la sentenza 63/2000 in relazione al procedimento di opposizione a ordinanza ingiunzione relativa all'applicazione di sanzioni amministrative disciplinato dalla L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23; che non rientrando tra quelli per i quali la L. n. 742 del 1969, art. 3, dispone l'inapplicabilità della sospensione dei termini in periodo feriale, coinvolge in tale regime anche le violazioni amministrative concernenti la materia del lavoro o della previdenza e assistenza obbligatorie: a nulla rilevando che tali controversie rientrino tra quelle indicate dagli artt. 409 e 442 cod. proc. civ., e siano pertanto soggette al rito speciale del lavoro, in quanto la possibilità di non applicare la sospensione sussiste solo nei casi espressamente indicati dalla L. n. 689 del 1981, art. 35, di violazioni consistenti nell'omissione totale o parziale dei contributi e premi o violazioni dalle quali derivi l'omesso o parziale versamento di contributi e premi. Detta fattispecie, infatti, non rappresenta un'ipotesi di prevalenza del rito speciale del procedimento oppositivo in questione rispetto alla materia laburistica, ma al contrario, come specificato dalle stesse Sezioni Unite, una "valutazione legale tipica" del legislatore del 1981 del contenuto di dette controversie attratte nel tema della verifica della legittimità della pretesa punitiva espressa dal provvedimento sanzionatorio, quale minimo denominatore comune di ogni azione giudiziaria finalizzata all'accertamento negativo della responsabilità sottesa a tale provvedimento (con le sole eccezioni indicate). Per cui è proprio la rilevanza attribuita a questa natura specifica a comprimere la materia lavoristica o previdenziale ed a comportare l'inapplicabilità della L. n. 742, art. 3, che anzi non viene recuperata neppure per l'espressa disposta trattazione di dette controversie con il rito lavoro: perciò nuovamente confermandosi che anche per esse la ratio della deroga alla regola della sospensione non riposa sulla peculiare disciplina per il relativo procedimento, ma è determinata esclusivamente dalla materia in contestazione. Conclusivamente, la sentenza impugnata che ha dichiarato inammissibile l'appello della Giannetti, tardivamente proposto oltre il termine di cui all'art. 327 cod. proc. civ., sull'erroneo presupposto che alla controversia fosse applicabile la sospensione dei termini feriali di cui alla L. n. 742 del 1969, merita conferma;
e deve essere enunciato il seguente principio di diritto: In tema di sospensione dei termini nel periodo feriale la L. n. 742 del 1969, art. 3, nel disporre che la stessa non si applica alle controversie previste dall'art. 409 cod. proc. civ., e segg., fa riferimento alla loro specifica natura avente per oggetto rapporti individuali di lavoro. Consegue che, in materia di procedure concorsuali, mentre in virtù del combinato disposto dell'art. 92 dell'ordinamento giudiziario e degli L. n. 742 del 1969, artt. 1 e 3, le controversie aventi per oggetto l'ammissione tardiva al passivo del fallimento, non si sottraggono, in linea generale, al regime della sospensione, quest'ultima va tuttavia esclusa ove le opposizioni stesse riguardino controversie in tema di crediti da lavoro, nonostante le stesse debbano essere trattate con il rito fallimentare.
Nessuna pronuncia va emessa in ordine alle spese processuali perché il Fallimento, cui l'esito del giudizio è stato favorevole, non ha spiegato difese.
P.Q.M.
La Corte, a sezioni unite,rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2009