Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2540 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 30 Luglio 2009, n. 17747. Rel., est. Cultrera.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Effetti - Sugli atti pregiudizievoli ai creditori - Azione revocatoria fallimentare - Atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie - In genere - Revocatoria di rimesse bancarie - Conto corrente con apertura di credito - Revoca del fido - Deduzione per la prima volta in appello - "Mutatio libelli" - Configurabilità - Esclusione – Fondamento.



In tema di revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente bancario, l'allegazione per la prima volta in appello da parte del curatore della revoca del fido concesso dalla banca non costituisce un'inammissibile "mutatio libelli", restando inalterati sia i fatti costitutivi della domanda, consistenti nel versamento confluito sul conto corrente di corrispondenza della società fallita nel periodo sospetto, sia il "petitum immediato", avente ad oggetto fin dall'inizio l'intero importo della rimessa qualificata solutoria. (massima ufficiale)


Massimario, art. 67 l. fall.


  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITRONE Ugo - Presidente -
Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere -
Dott. BERNABAI Renato - Consigliere -
Dott. CULTRERA Maria Rosaria - rel. Consigliere -
Dott. SALVATO Luigi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 27059/2004 proposto da:
SANPAOLO IMI S.P.A. (c.f./P.I. 06210280019), in proprio (incorporante il Banco di Napoli Spa), in persona del Responsabile della Funzione Contenzioso pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 29, presso l'avvocato QUATTROCIOCCHI BRANCA ANTONIO, rappresentato e difeso dall'avvocato LANDOLFI SILVESTRO, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO DELLA CASERTA 2 S.R.L.;
- intimato -
sul ricorso 1843/2005 proposto da:
FALLIMENTO DELLA CASERTA 2 S.R.L. (c.f. 02027960612), in persona del Curatore Avv. PORCÙ FAUSTO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA U. BOCCIONI 4, presso l'avvocato SMIROLDO ANTONINO, rappresentato e difeso dall'avvocato RASOIO NICOLA, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
SANPAOLO IMI S.P.A. (c.f./P.I. 06210280019), in proprio (incorporante il Banco di Napoli Spa), in persona del Responsabile della Funzione Contenzioso pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 29, presso l'avvocato QUATTROCIOCCHI BRANCA ANTONIO, rappresentato e difeso dall'avvocato LANDOLFI SILVESTRO, giusta procura in calce al ricorso principale;
- controricorrente al ricorso incidentale -
avverso la sentenza n. 555/2004 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 13/02/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/2009 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato SILVESTRO LANDOLFI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale;
udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale, l'Avvocato SABINO RASCIO, per delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento di quello incidentale;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PIVETTI Marco, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il curatore del fallimento della società Caserta 2 s.r.l., con citazione del 6.5.98, adì innanzi al Tribunale di Napoli il Banco di Napoli per ottenere la revoca della rimessa, asseritamente solutoria, eseguita nell'importo di L. 1.653.972.196 in periodo sospetto sul c/c n. 27/12873 intestato alla società ed affidato sino alla soglia di L. 500 milioni, chiedendone declaratoria d'inefficacia ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, nei limiti dello scoperto, con condanna alla restituzione della somma indicata o di quanto fosse risultato dovuto in corso di causa.
Nel contraddittorio dell'istituto convenuto che aveva contestato la domanda, il Tribunale, con sentenza 30.1.2002, ne dispose il parziale accoglimento, condannando la banca a restituire al fallimento la somma di L. 961.070.585, pari alla differenza tra l'importo del saldo passivo accertato in L. 1.461.070.585 al momento della rimessa controversa e l'ammontare del fido, indicato dallo stesso attore in L. 500 milioni.
Il curatore fallimentare, con atto 13 marzo 2003, propose gravame innanzi alla Corte d'appello di Napoli e, deducendo che nelle more del giudizio la banca aveva fornito documentazione da cui era risultata la revoca del fido già da 17 gennaio 1994, dunque prima ancora del versamento controverso, ne chiese la revoca nell'ammontare pari all'intero saldo passivo.
Dedusse peraltro che, da un esame più approfondito dell'estratto conto, era emerso che altre tre altre operazioni, d'importo complessivo pari a quello della rimessa controversa, erano state eseguite il giorno successivo al suddetto versamento, ma recavano valute anteriori, sicché il saldo per valuta in quel momento ammontava a L. 3.115.042.781. Ciò comportava l'accoglimento della domanda per l'intero importo della rimessa. In ogni caso, anche a non voler considerare il saldo per valuta, le tre operazioni dimostravano che l'esposizione verso la banca era pari al maggior importo complessivo indicato.
La banca appellata si difese deducendo che la revoca del fido dedotta dal fallimento solo in sede d'appello, rappresentava fatto nuovo, il cui esame era pertanto precluso.
Con la sentenza in esame n. 555 depositata il 13 febbraio 2004, la Corte territoriale ha accolto parzialmente l'appello della curatela condannando l'istituto convenuto alla restituzione di somma pari all'importo del saldo passivi, in L. 1.461.070.585. Contro questa decisione SANPAOLO IMI s.p.a., che ha incorporato il Banco di Napoli, ha proposto il presente ricorso per cassazione con unico articolato mezzo resistito dal curatore del fallimento intimato con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a due motivi resistiti a loro volta dal ricorrente principale con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive a mente dell'art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
In linea preliminare deve disporsi la riunione dei ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c., in quanto sono stati proposti contro la stessa decisione.
Rilevata la regolarità della procura apposta in calce al ricorso principale rilasciata dalla società ricorrente in persona del Dott. Novelli, siccome si menziona in essa delega concessa al predetto forza di procura notarile rilasciata dall'amministratore delegato della stessa banca, di cui sono indicati gli estremi identificativi, ancora in linea preliminare deve essere respinto il primo motivo del ricorso incidentale con cui la curatela fallimentare ha dedotto nullità della sentenza impugnata in quanto avrebbe dovuto essere pronunciata nei confronti di San Paolo Imi s.p.a., successore universale del Banco di Napoli in esso incorporato, e non già nei confronti di S. Paolo IMI Banco di Napoli, che rappresenta successore a titolo particolare del San Paolo IMI, in quanto ente conferitario del ramo d'azienda costituito dalle succursali presenti nell'area meridionale del paese.
La denuncia prospetta in sostanza un mero errore materiale che, come documentato dal ricorrente principale, è stato emendato con l'ordinanza resa in data 11 maggio 1995 dal giudice a quo ai sensi dell'art. 287 c.p.c..
Col primo motivo il ricorrente principale deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 329 c.p.c., rectius, come precisa nella memoria difensiva, dell'art. 345 c.p.c.. Assume che la revoca del fido, che è circostanza introdotta solo in appello, comporta inammissibile immutazione del fatto costitutivo della domanda perché incide sull'entità dello scoperto, dunque su momento essenziale della pretesa esercitata, e non rappresenta pertanto semplice precisazione della domanda, come ha invece erroneamente asserito la Corte d'appello. Nè tale argomentare assume maggior valenza perché la presenza del fido incide solo sull'entità dello scoperto e non sulla presenza assoluta di esso.
La decisione impugnata manifesta ulteriore errore laddove sostiene che, se la curatela avesse esibito la lettera in primo grado, il Tribunale avrebbe dovuto tenerne conto d'ufficio. La Corte territoriale ha confuso il silenzio sul fido con la ben diversa proclamazione della sua esistenza, che solo in sede d'appello si è preteso negare. La domanda era insomma nuova. La preclusione invocata, operante anche nel vecchio rito, estende l'inammissibilità del novum anche alle eccezioni, il che conferma l'inammissibilità della mutazione del fatto rispetto alla sua originaria prospettazione. Il precedente citato in sentenza non è infine calzante.
Il fallimento deduce in replica infondatezza della censura, rilevando che la revoca del fido non incide sulla domanda, il cui contenuto resta delineato nei suoi elementi essenziali sulla base della sua formulazione originaria. Le novità consistenti nella sua deduzione e dimostrazione in via documentale sono senz'altro consentite secondo il disposto novellato dell'art. 345 c.p.c.. Trattasi infine di fatto estintivo dell'estinzione di affidamento, dunque di una contro eccezione rilevabile anche d'ufficio.
Il motivo appare infondato.
La Corte territoriale ha rilevato che il fatto nuovo dedotto in appello non ha inciso sull'oggetto della domanda originaria, rappresentato sin dall'atto introduttivo nella restituzione dell'intero importo del versamento ovvero del residuo pari all'ammontare dello scoperto detratto l'importo del fido; tanto meno altera la causa petendi. Non vi è stata dunque immutazione degli elementi costitutivi della domanda, ma mera sua precisazione, che come tale non soggiace al regime delle preclusioni. Il riscontro documentale della circostanza ha inoltre evidenziato la scopertura del conto alla data della rimessa controversa nell'importo di L. 1.461.070.585, entro il cui limite la domanda ha dunque trovato accoglimento.
Tale tessuto argomentativo appare immune dal vizio denunciato. Si è in presenza di domanda nuova, che soggiace quindi al regime della preclusione in appello a mente del disposto dell'art. 345 c.p.c., quando le circostanze dedotte in tale fase comportano mutamento dei fatti costitutivi della pretesa esercitata, dunque integrano una domanda diversa da quella originaria in quanto determinano introduzione di un nuovo tema di indagine e di decisione (v. Cass. nn. 9239/2000, 21354/2005, 6431/2006, 4591/2008, 27890/2008). Più in particolare, la novità che incide sulla causa, petendi non è ammessa se le circostanze dedotte per la prima volta in appello modificano la pretesa nei suoi elementi naturali integrando vera e propria "mutatio libelli" in quanto sostituiscono il presupposto giuridico della domanda formulata in primo grado, introducendo un fatto costitutivo del diritto originariamente vantato radicalmente difforme da quello rappresentato nell'originaria prospettazione del dibattito processuale.
Non altera invece la regolare dialettica processuale "disorientando" la difesa di controparte, ma concreta soltanto "emendatio libelli", dunque ammissibile in quanto rispettosa del principio del doppio grado di giudizio posto a presidio della norma processuale di riferimento, la deduzione di un fatto nuovo che non sostituisce gli elementi identificativi dell'azione esercitata, gli stessi che hanno giustificato la tutela richiesta con l'atto introduttivo e posti a base della statuizione impugnata, ma li rettifica restando pur sempre nel loro ambito originario. Parimenti, non influisce sull'individuazione ontologica del petitum, che resta invariato nella sua identificazione quale oggetto immediato della domanda, nella specie rappresentato dalla revoca della rimessa controversa, il fatto nuovo che ne muti solo l'estensione, eventualmente ampliandola. La Corte territoriale ha tenuto ben presente l'enunciato, di cui ha fatto buon governo. È indiscussa, perché ormai preclusa in quanto non è stata fatta oggetto di motivo d'impugnazione in questa sede, l'ammissibilità a mente dell'art. 345 c.p.c., della produzione documentale attestante la circostanza dedotta ex novo dalla curatela fallimentare, di cui la ricorrente mostra di dolersi solo nella memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c., che ha, com'è noto, mera funzione illustrativa delle difese già esplicate nell'atto introduttivo, che non espongono alcun censura a tal riguardo. La critica che la ricorrente ha coltivato nel suo articolato motivo nella prospettata violazione dell'art. 345 c.p.c., riguarda infatti la sola allegazione in fase di gravame del fatto nuovo - revoca del fido -, omessa ogni altra questione riguardante l'ammissibilità dell'acquisizione della relativa documentazione. Ciò premesso, devesi rilevare che il fatto costitutivo della pretesa esercitata in giudizio dalla procedura fallimentare è rappresentato dal versamento confluito in periodo sospetto sul conto corrente intestato alla società fallita, avente natura solutoria, che in quanto tale sarebbe idoneo a giustificarne la revoca. L'esistenza dell'apertura di credito, che la stessa curatela effettivamente dedusse nel suo atto introduttivo in quanto, com' è pacifico, non era stata posta in condizione di accedere alla documentazione bancaria stante il rifiuto opposto dalla banca convenuta, rappresenta eccezione di merito, come tale non qualificabile in senso stretto, rispetto alla domanda, che ebbe ad oggetto sin dall'origine l'intero importo della rimessa qualificata solutoria, della cui deduzione era onerata la banca convenuta in quanto tesa all'evidenza a ridurre l'ammontare dello scoperto, dunque dell'importo della rimessa revocabile. Il primo giudice ne tenne conto correttamente siccome il fatto era incontroverso. La contestazione tardiva del curatore introdotta solo in sede di gravame, come si è detto giustificata dalla tardività della comunicazione della banca, non incide sugli elementi costitutivi dell'azione esercitata, rimasta inalterata nei suoi termini originari, ma rappresenta una contro eccezione che, sebbene avesse ad oggetto un fatto nuovo, come ha sostenuto correttamente la Corte territoriale, non incontrava perciò preclusione in appello ex art. 345 c.p.c., essendo oltretutto rilevabile d'ufficio. Mirando in conclusione la situazione di fatto accertata ex novo a paralizzare l'eccezione avversa relativa all'esistenza dell'apertura di credito, la sua deduzione in fase di gravame era perciò sicuramente ammissibile.
Ciò comporta il rigetto del motivo.
Col secondo motivo del ricorso incidentale la curatela fallimentare denuncia vizio d'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Riferisce d'aver dedotto con l'atto d'appello che il saldo debitore alla data considerata del 5 settembre 1995, in cui venne eseguita la rimessa controversa, ammontava a L. 3.115.042.781. L'estratto relativo al mese di settembre evidenziava infatti quattro diversi movimenti, di cui tre per L. 1.461.070.585, come riporto, L. 161.950.206, L. 806.062.600 e L. 685.959.390 per disposizioni debito con data 6 settembre ma valuta anteriore. Al momento dell'accredito il saldo perciò era pari alla somma complessiva riferita. A conforto si era richiamato il precedente arresto della Cassazione n. 1672/99 che ha ammesso la revocabilità delle rimesse affluite su conto attivo ma dirette a coprire lo scoperto di altro conto dello stesso cliente. Senonché la Corte territoriale ha affermato che non era ne' dedotta ne' provata l'esistenza di collegamento negoziale tra il rapporto di conto corrente nel cui ambito è stato eseguita la rimessa controversa e i diversi rapporti nel cui seno si erano creati i debiti che mediante giroconto sono transitati su quelli in esame. Ha invece ritenuto che provenissero dal saldo negativo di un castelletto di sconto creato contestualmente all'apertura del conto corrente "de quo" ad esso non collegato. Nel dire ciò non ha considerato che la somma degli importi a debito è pari all'importo del bonifico del 5 settembre 1995, che il saldo finale trova riscontro documentale.
Il resistente deduce infondatezza del motivo.
Il motivo appare privo di fondamento.
La Corte territoriale ha escluso che potesse tenersi conto anche delle altre tre operazioni di addebito eseguite nell'importo di L. 1.653.972.196 il 6 settembre, giorno successivo alla rimessa controversa, ma registrate per valuta in data anteriore, che avrebbero portato il saldo per valuta negativo all'importo di L. 3.115.042.781, in quanto la revocabilità del versamento doveva essere valutata tenendo conto del saldo disponibile, che alla data considerata presentava lo scoperto di L. 1.461.070.585. Per altro verso la natura solutoria del versamento doveva essere scrutinata con riguardo alla sola situazione contabile del conto sul quale era confluito, in assenza della stessa allegazione, nonché della prova, di un collegamento negoziale tra il suddetto rapporto di conto corrente, sul quale era stato eseguito il versamento in modo da azzerare il saldo passivo e creare una provvista di L. 192.901.412, ed i diversi rapporti nel cui ambito si erano creati debiti mediante giroconto transitati su di esso. Di tali rapporti non si sa nulla, osserva ancora la Corte di merito, e si può solo ipotizzare che gli addebiti in discussione provengano dal saldo negativo del castelletto di sconto, di cui si ha notizia dalla delibera e dalla missiva di revoca degli affidamenti.
Anche in parte qua la decisione risulta immune da critica. La Corte territoriale ha tenuto conto del saldo disponibile, per giurisprudenza costante che s'intende ribadire senza necessità di rivisitazione, esclusivo parametro di scrutinio per l'accertamento della natura solutoria delle rimesse affluite sul conto corrente preso in considerazione (per tutte Cass. cfr. n. 4762/2007), che alla data del 5 settembre 1994 ammontava a L. 1.461.081.585. Il dato, ex se tranciante, avrebbe assorbito l'ulteriore indagine compiuta circa la prova del collegamento negoziale tra i tre addebiti di cui ora si discute ed il rapporto di conto corrente considerato, che il giudice d'appello ha ritenuto, con giudizio insindacabile nel merito, ne' dedotto ne' tanto meno adeguatamente dimostrato, sulla base di apprezzamento condotto in punto di fatto sulla scorta della documentazione acquisita al compendio probatorio, la stessa richiamata nel motivo in esame il cui esame ora si assume negletto, attestante appunto le anzidette tre registrazioni a debito, dato asseritamente ex se non esaustivo in assenza della prova che il curatore fallimentare in questa sede di certo neppure assume d'aver addotto, del collegamento, dato questo invece imprescindibile, fra i rapporti sottostanti i tre addebiti ed il contratto di conto corrente in discussione. Siffatto percorso argomentativo aderisce a postulato in jure, assolutamente corretto, secondo cui l'esistenza di un fido concesso per lo sconto di titoli di credito, attraverso il c.d. castelletto di sconto, cui la Corte d'appello ha ricondotto i tre addebiti ora posti discussione e rimasto indiscusso in tale ricostruzione in fatto anche in questa sede, non rileva ai fini della copertura del conto corrente bancario. È pacifico infatti che le rimesse provenienti dallo smobilizzo dei titoli non escludono la revocabilità dei versamenti effettuati sul conto corrente dal cliente, poiché questi ultimi assumono natura solutoria per il solo fatto che si sia verificato lo sconfinamento dal tetto di copertura dell'affidamento concesso col contratto d'apertura di credito. In senso speculare, gli addebiti riconducibili al castelletto di sconto, in assenza di prova contraria di cui è onerato il curatore che agisce in revocatoria, ne' vanno ad aggravare la scopertura dal limite del fido aumentandone la consistenza nella misura pari all'importo dei titoli, anticipato ma non rientrato, ne' tanto meno la procurano ove il loro ammontare superi quello dell'affidamento. Osta a ciò la diversità strutturale tra i rapporti indicati, che incide sulla loro causa giuridica e rende per l'effetto del tutto irrilevante l'eventuale accertamento di un collegamento di mero fatto, attuato per prassi consolidata fra di essi (cfr. Cass. nn. 3396/2003, più di recente n. 7451/2008).
Questa ratio decidendi, che fonda la sintesi conclusiva ora censurata, sorretta peraltro da tessuto argomentativo puntuale, esaustivo ed immune da vizi logici o giuridici, non è investita dalla censura in esame che nulla argomenta in senso critico circa la mancata acquisizione della prova, il cui onere pacificamente ricadeva sull'attore, del collegamento giuridico e non solo di mero fatto fra il rapporto che diede causa agli addebiti indicati, che neppure smentisce fosse rappresentato dal castelletto di sconto ipotizzato dal giudice d'appello, e quello di conto corrente, quest'ultimo assistito dall'apertura di credito la cui revoca che ne procurò la scopertura integrale, sul quale affluì il versamento in discussione, la cui autonoma movimentazione rappresenta l'esclusivo parametro di scrutinio della natura di pagamento, indi solutoria, della detta rimessa.
Tanto determina il rigetto del motivo.
Ciò premesso, atteso il rigetto di entrambi i ricorsi, data perciò la reciproca soccombenza delle parti, si dispone la compensazione integrale delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2009