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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2538 - pubb. 01/08/2010.

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Cassazione civile, sez. I, 30 Luglio 2009, n. 17748. Rel., est. Salvato.

Fallimento ed altre procedure concorsuali - Concordato preventivo - Deliberazione ed omologazione - Sentenza di omologazione - Provvedimenti per la cessione dei beni - Controversia instaurata da un creditore - "Petitum" di condanna o comunque idoneo a influire sul riparto - Legittimazione passiva - Litisconsorzio necessario dell'imprenditore e del liquidatore giudiziale dei beni - Sussistenza - Intervento in appello del liquidatore - Ammissibilità - Autorizzazione del giudice delegato - Necessità - Esclusione.


In caso di intervenuta ammissione del debitore al concordato preventivo con cessione dei beni, se il creditore agisce proponendo non solo una domanda di accertamento del proprio diritto, ma anche una domanda di condanna o comunque idonea ad influire sulle operazioni di liquidazione e di riparto del ricavato, alla legittimazione passiva dell'imprenditore si affianca quella del liquidatore giudiziale dei beni, quale contraddittore necessario; ne consegue l'ammissibilità dell'intervento del liquidatore giudiziale in fase d'appello, anche senza l'autorizzazione del giudice delegato, essendo quest'ultima necessaria solo per gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione ai sensi dell'art. 167 legge fall. (massima ufficiale)

Massimario, art. 167 l. fall.

  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITRONE Ugo - Presidente -
Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere -
Dott. BERNABAI Renato - Consigliere -
Dott. CULTRERA Maria Rosaria - Consigliere -
Dott. SALVATO Luigi - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Trading s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore - elettivamente domiciliata in ROMA, via delle Fornaci, 38, presso lo studio dell'avv. ALBERICI RAFFAELE, che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamele all'avv. Francesco Roli ed all'avv. Alessandro Martini, in virtù di procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
C.I.S. s.r.l. e Concordato preventivo della C.I.S. s.r.l., in persona del liquidatore giudiziale, Viganò Giovanni - elettivamente domiciliati in ROMA, via Nizza, 45, presso lo studio dell'avv. Giovanni Vincenzo Placco, rappresentati e difesi dall'avv. CASELLI EMANUELA, in virtù di procura in calce al controricorso;
- controricorrenti -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Bologna depositata il 27 gennaio 2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 giugno 2009 dal Consigliere Dott. Luigi Salvato;
udito per i controricorrenti l'avv. Vincenzo Placco, su delega, che ha concluso come da difese scritte;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PIVETTI Marco, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - Il Presidente del Tribunale di Forlì, in accoglimento della domanda proposta dalla Trading s.r.l. (di seguito Trading), con decreto del 4 giugno 1992, concedeva sequestro conservativo in danno della Big Blu s.r.l. sino al valore di L. 100 milioni, a garanzia di un credito di L. 71.583,379.
Eseguito il sequestro su di un credito vantato dalla debitrice nei confronti della Acquajoss s.r.l., la Big Blue (che aveva modificato la denominazione in C.I.S. s.r.l. e, con decreto del Tribunale di Firenze del 3.3.1993, era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo) rimaneva contumace nel giudizio di convalida promosso con atto del 18.6.1992.
Assunta prova testimoniale, il Tribunale di Forlì, con sentenza del 12.2.2001, accoglieva la domanda, condannando la C.I.S. s.r.l. alle spese del giudizio, ritenendo che l'attrice avesse interesse all'accertamento del credito, poiché, omologato il concordato preventivo, il commissario giudiziale aveva comunicato che non era prevedibile la percentuale nella quale sarebbero stati soddisfatti i creditori chirografari, mentre dagli atti neppure risultava il riconoscimento del credito da parte della procedura concordataria. 2.- Avverso detta sentenza proponevano appello entrambe le parti. La C.I.S. s.r.l. ed il liquidatore giudiziale contestavano sia l'esistenza dell'interesse dell'attrice all'accertamento del credito, sia che non fosse stato riconosciuto il suo credito.
La creditrice deduceva l'infondatezza del gravame e chiedeva la conferma della sentenza, sia pure con una diversa motivazione. La Corte d'appello di Bologna, con sentenza del 27 gennaio 2004, in accoglimento dell'appello proposto dalla C.I.S. s.r.l. e dal liquidatore giudiziale, rigettava la domanda della Trading, dichiarandola improcedibile, in relazione alla sorta capitale, ed infondata per la parte relativa agli interessi dal 7.1.93, condannandola alle spese del grado.
La pronuncia escludeva che le note inviate dal commissario giudiziale evidenziassero la possibilità dell'annullamento o della risoluzione del concordato, osservando che la stessa Trading aveva dedotto che il credito non era stato riconosciuto limitatamente alla "differenza tra l'importo dell'insinuazione e l'importo ammesso", sicché, in primo luogo, risultava confermato che il credito era stato riconosciuto nella misura di quanto chiesto in linea capitale, con conseguente insussistenza dell'interesse al relativo accertamento. In secondo luogo, detto interesse sussisteva solo in relazione alla "ben ridotta questione" segnalata nella missiva del 19.4.1996 del liquidatore giudiziale, e cioè per la parte relativa agli interessi moratori successivi alla data della domanda di concordato, non riconoscibili, ai sensi della L. Fall., artt. 169 e 55.
Infine, la pronuncia affermava che le spese relative al sequestro avrebbero dovuto costituire oggetto di insinuazione nella procedura. 3.- Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso la Trading s.r.l., affidato a sei motivi, illustrati con memoria; hanno resistito con controricorso la C.I.S. s.r.l. ed il Concordato preventivo della C.I.S. s.r.l., in persona del liquidatore giudiziale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- La ricorrente, con il primo motivo, denuncia violazione della L. Fall., artt. 167 e 168, art. 100 c.p.c., e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), deducendo che la sentenza di primo grado aveva pronunciato condanna in danno della C.I.S. s.r.l., non del concordato preventivo, quindi la Corte d'appello avrebbe dovuto rilevare il difetto di legittimazione all'appello da parte di quest'ultimo, non essendo peraltro la pronuncia opponibile alla procedura.
Siffatta censura sarebbe preliminare ed assorbente delle altre svolte nei successivi mezzi.
Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 1362 e 1708 c.c., e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), deducendo che il giudice delegato alla procedura avrebbe autorizzato l'appello soltanto nel capo concernente le spese, sicché sussisterebbe il difetto di procura del difensore ad impugnare la sentenza, erroneamente non rilevato dal giudice di secondo grado. La ricorrente, con il terzo motivo, denuncia violazione della L. Fall., artt. 81, 167, 168 e 169, artt. 1667, 1668 e 1669 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), deducendo che la controversia concerneva un contratto d'appalto, regolato dalla L. Fall., art. 81, inapplicabile alla procedura di concordato preventivo, con conseguente interesse di essa istante ad ottenere condanna della C.I.S. s.r.l., stante le contestazioni da questa sollevate.
La Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto applicabili al contratto d'appalto le norme concorsuali e la sentenza avrebbe "insufficientemente e contraddittoriamente valutato le risultanze testimoniali", non considerando che gli artt. 1667, 1668 e 1669 c.c., legittimavano essa ricorrente "a proporre entro la scadenza del decennio le azioni di garanzia (...) per difformità o vizi o difetti occulti, ovvero per difetti della costruzione o gravi difetti". Il quarto motivo denuncia violazione della L. Fall., artt. 55, 167, 168 e 169, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), censurando la sentenza in quanto non ha considerato che il divieto di azioni esecutive non concerne il sequestro ed ha esteso detto divieto al tempo successivo alla sentenza di omologazione del concordato preventivo, omettendo peraltro di considerare che essa istante aveva proposto domanda soltanto nei confronti della C.I.S. s.r.l., in relazione a crediti pecuniari successivi, ai quali non sarebbero applicabili la L. Fall., artt. 55 e 168.
La ricorrente, con il quinto motivo, denuncia violazione degli artt. 90 e 91 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), nella parte in cui la pronuncia impugnata ha riformato la sentenza di primo grado in ordine alla spese, poiché essa istante è stata ammessa al concordato in data 7.1.1993, mentre la debitrice non avrebbe documentato e provato in quale data era stata presentata la domanda di concordato ed era passata in giudicato la sentenza di omologazione e la Corte d'appello avrebbe, invece, "dato per scontato che tali eventi fossero accaduti nelle more".
In linea gradata, la pronuncia non avrebbe considerato che "il periodo intercorso tra la domanda di concordato e quella di omologa era infinitamente inferiore all'intero periodo di durata del processo di primo grado" ed erroneamente non avrebbe considerato la C.I.S. s.r.l. totalmente soccombente.
Il sesto motivo denuncia violazione della L. Fall., artt. 81, 167, 168 e 169, artt. 1667, 1668 e 1669 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), sostenendo di avere interesse ad ottenere una pronuncia esclusivamente nei confronti della C.I.S. s.r.l., avendo i testi escussi confermato che questa aveva accettato le opere, mentre dalla sentenza di primo grado (che trascrive) emerge appunto che sussisteva una contestazione in ordine alla sussistenza di vizi dell'opera, con conseguente suo interesse ad escluderne la ricorrenza ed erronea valutazione del medesimo da parte della Corte d'appello. 2.- L'eccezione di inammissibilità del ricorso, per tardività, è infondata.
La sentenza impugnata è stata notificata il 10 settembre 2004, quindi il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione (art. 325 c.p.c., comma 2), stante la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale (L. n. 742 del 1969, art. 1), è iniziato a decorrere il successivo 16 settembre e spirava il 14 novembre 2004, che però era domenica, con conseguente proroga del termine al giorno successivo (art. 155 c.p.c., comma 4), e cioè al 15 novembre 2004.
Posta questa premessa, va osservato che in materia di notificazione degli atti giudiziari, in virtù del principio della scissione soggettiva dei relativi effetti, a seconda che debba aversi riguardo al destinatario o al richiedente (principio introdotto nel nostro ordinamento dalla sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002 - tra le tante, Cass. n. 11024 del 2007 -, ora recepito nell'art. 149 c.p.c., comma 3, nel testo qui non applicabile ratione temporis), la notificazione, per il richiedente, deve ritenersi perfezionata alla data in cui sono compiute le formalità a lui direttamente imposte dalla legge, e cioè con la consegna dell'atto da notificare all'ufficiale giudiziario.
In detta ipotesi la prova della tempestiva consegna all'ufficiale giudiziario dell'atto da notificare può essere offerta mediante produzione della ricevuta di cui al D.P.R. n. 1229 del 1959, art. 109, ovvero essere desunta dal timbro apposto su tale atto recante il numero cronologico e la data e, in caso di contestazione della conformità al vero di quanto da esso indirettamente risulta, l'interessato deve farsi carico di esibire idonea certificazione dell'ufficiale giudiziario (Cass. S.U. n. 14294 del 2007). Questo principio ha carattere generale, quindi trova applicazione anche qualora la notifica a mezzo posta venga eseguita, anziché dall'ufficiale giudiziario, dal difensore della parte ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 1, come è accaduto nella fattispecie qui in esame (Cass. n. 5024 del 2009; n. 6402 e n. 709 del 2004). La circostanza che la notifica, invece che dall'ufficiale giudiziario, sia eseguita dal procuratore della parte, a ciò autorizzato, a mezzo del servizio postale, con invio di raccomandata con avviso di ricevimento, ossia secondo le modalità prescritte dalla L. 20 novembre 1982, n. 890, ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 1, concerne infatti un dato soggettivo irrilevante ai fini che qui interessano, ossia l'autore della notificazione, restando quest'ultima sottoposta alla L. n. 890 del 1982, (incluso quindi l'art. 4, comma 3, dichiarato incostituzionale), cui è fatto espresso rinvio, salve le specifiche previsioni della predetta L. n. 53 del 1994.
L'unica differenza tra le due ipotesi è che alla data di consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario va sostituita quella di spedizione del piego raccomandato, cui deve farsi riferimento, per verificare l'osservanza del termine perentorio per la proposizione dell'impugnazione (Cass. n. 6402 del 2004; implicitamente, Cass. n. 13922 del 2002, benché riferita espressamente alla prova della consegna del plico e della relativa data, comprovata soltanto dalla produzione dell'avviso di ricevimento).
Alle argomentazioni svolte a conforto del principio può aggiungersi che esso è giustificato dalla considerazione che il potere di certificazione attribuito al difensore dall'art. 83 c.p.c., comma 3, neppure riguarda la data dell'atto (Cass. S.U. n. 6334 del 1994, n. 1953 e n. 1954 del 1996; implicitamente, in tal senso, Cass. n. 5077 del 2001, n. 10388 del 2005; isolata è la contraria Cass. n. 13871 del 2001). Inoltre, una diversa regola non è desumibile dalla legge n. 53 del 1994, che neppure attribuisce detto potere al difensore;
anzi, stabilendo che l'ufficio postale deve apporre in calce all'originale il timbro di vidimazione (art. 3, comma 1, lett. b), e che, nel caso di notificazione eseguita direttamente dall'avvocato è imprescindibile che l'originale e la copia dell'atto siano "previamente vidimati e datati dal consiglio dell'ordine" (art. 4, comma 2), rende palese che la certezza della data può conseguire soltanto dall'espletamento di formalità che, secondo l'ordinamento, sono idonei ad offrirla, non dall'indicazione resa dal difensore. Nella specie, la ricevuta di accettazione della raccomandata contiene l'indicazione del 16 novembre 2004; le buste recanti le copie del ricorso notificate ad entrambi i controricorrenti, e prodotte proprie da questi, recano invece due "striscette" meccanizzate dell'Ufficio postale di Bologna centro, con l'attestazione della data del 15 novembre 2004 e dell'ora (16,57), dalle quali, logicamente, deve necessariamente desumersi che a detta data il ricorso era stato già consegnato a detto Ufficio postale, per la spedizione. A fronte di siffatta discrasia, in applicazione di un principio già enunciato da questa Corte, l'accertamento della data va operato sulla base di un'interpretazione delle due risultanze - senza che sia necessario querela di falso (Cass. n. 4840 del 1981, cfr. anche Cass. n. 8500 del 2005) - che conduce a ritenere insussistenti univoci elementi per ritenere il ricorso inammissibile. Infatti, dagli atti prodotti dai controricorrenti può evincersi che l'atto era stato consegnato per la notifica a mezzo posta in data 15 novembre 2004 (e ciò in virtù dell'annotazione contenuta sulla succitata "striscetta", non altrimenti giustificabile), con la conseguenza che, coincidendo tale data con il sessantesimo giorno dalla notificazione della sentenza, il ricorso deve ritenersi tempestivo. 3.- Nel merito, i motivi, da esaminare congiuntamente, in quanto pongono questioni inscindibilmente connesse, sono infondati. Nella giurisprudenza di questa Corte è pacifico che in tema di concordato preventivo non esiste un rito speciale per l'accertamento dei crediti e non può ritenersi preclusa l'instaurazione di un ordinario giudizio di cognizione funzionale alla verifica dell'importo e del rango (privilegiato o chirografario) dei predetti crediti (Cass. n. 2104 del 2002; n. 12545 del 2000).
In relazione a tale giudizio il debitore non perde la capacità processuale, quindi è legittimato passivamente in ordine al giudizio avente ad oggetto l'accertamento del credito vantato nei suoi confronti. Nondimeno, in caso di intervenuta ammissione del debitore al concordato preventivo con cessione dei beni, se il creditore agisce proponendo non solo una domanda di accertamento del proprio diritto, ma anche una domanda di condanna o comunque idonea ad influire sulle operazioni di liquidazione e di riparto del ricavato, alla legittimazione passiva dell'imprenditore si affianca quella del liquidatore giudiziale dei beni, quale contraddittore necessario (Cass. n. 17159 del 2006; n. 10250 del 2001). In tale ultima ipotesi, come questa Corte ha già affermato, è ammissibile l'intervento anche in fase di appello del liquidatore, al fine di chiedere il rigetto delle domande o la dichiarazione della loro inopponibilità alla gestione concordataria (Cass. n. 4301 del 1999). La conservazione della capacità processuale e l'indicazione nella L. Fall., art. 167, degli atti per i quali è necessaria
l'autorizzazione fanno, inoltre, escludere che in riferimento ad un giudizio avente tale oggetto occorra l'autorizzazione del g.d., salvo che possa comportare il compimento di un atto di straordinaria amministrazione.
In applicazione di tali principi, in relazione ai primi due motivi, va osservato, che la Corte d'appello, interpretando la domanda, con apprezzamento incensurabile in questa sede, ha ritenuto che essa mirava ad incidere sul riparto, quindi correttamente ha ritenuto ammissibile l'intervento in appello del liquidatore, mentre la questione relativa alla necessità di integrazione dei poteri del liquidatore è stata malamente posta, non vertendosi in ipotesi di attività riconducibile a quella che necessitava di autorizzazione L. Fall., ex art. 167, (senza considerare che, in virtù di un principio concernente il fallimento, ma applicabile nella specie, l'autorizzazione concessa al controricorso avrebbe, comunque efficacia sanante, non essendo stata anteriormente dichiarata la inammissibilità del gravame, cfr. Cass. n. 15939 del 2007; n. 14469 del 2005).
La questione oggetto del giudizio concerneva, inoltre, il riconoscimento del credito per la sorte capitale e la spettanza degli interessi moratori, sicché risulta palese l'inconferenza della questione dell'applicabilità della L. Fall., art. 81, (proposta nel terzo motivo), in nessun modo affrontata dalla sentenza e che neppure risulta sia stata posta, non avendo la ricorrente indicato, nell'osservanza del principio di autosufficienza, in quale atto l'avesse posta, riproducendolo. La pronuncia è, inoltre, immeritevole della censura svolta nel terzo motivo, nella parte in cui ha correttamente escluso la debenza degli interessi moratori successivi (con conseguenza infondatezza della seconda parte del terzo motivo), poiché nel concordato opera il principio della cristallizzazione dei crediti alla data di presentazione della domanda di concordato, in virtù del richiamo all'applicazione della L. Fall., art. 55, operato dalla L. Fall., art. 169, (Cass. n. 9663 del 1991; n. 4583 del 1984), salvo che si tratti di crediti garantiti da ipoteca, pegno, privilegio generale o speciale (Cass. n. 13357 del 2007).
Peraltro, siffatta regola va apprezzata alla luce della finalità del concordato preventivo, che risponde all'esigenza di definire ogni rapporto creditorio tra creditori e debitori e che, dunque, impedisce, una volta adempiuti gli impegni derivanti dalla proposta ed omologati dal Tribunale, ulteriori pretese che traggano origine da quello stesso rapporto, dato che il concordato ha un totale effetto remissorio e determina sempre, una volta soddisfatti i creditori con la percentuale concordata o con la liquidazione dei beni ceduti, la liberazione dell'obbligato dal debito residuo (tanto conduce ad escludere che, nell'ipotesi in cui il ricavato della liquidazione dei beni ceduti superi il capitale e gli interessi dovuti ai creditori, questi ultimi possano agire sul residuo al fine di ottenere il pagamento degli interessi che sarebbero spettati al di fuori della procedura concorsuale e la cui decorrenza è rimasta invece sospesa, a norma della L. Fall., artt. 169 e 55, per tutta la durata della suddetta procedura, Cass. n. 4801 del 1998).
Inoltre, come questa Corte ha già affermato e va qui ribadito, con riguardo a controversia promossa per sentire accertare un credito pecuniario e condannare il convenuto al suo pagamento, nonché per ottenere la convalida dell'ottenuto sequestro conservativo, l'ammissione del debitore al concordato preventivo con cessione dei beni e l'omologazione del medesimo comportano, ove la pretesa attrice sia riconosciuta in sede concordataria con gli accessori maturati fino alla data della richiesta di concordato, il venir meno della proponibilità della domanda, considerato che il concordato non consente l'attribuzione di interessi oltre i limiti fissati dalla L. Fall., art. 55, (richiamato dal successivo art. 169) ed estingue le posizioni debitorie attraverso la liquidazione dei beni ceduti (Cass. n. 1050 del 1989).
In applicazione di detti principi, sono infondate le censure svolte nella seconda parte del terzo motivo e nel quarto mezzo. La questione posta al giudice del merito, nella parte non concernente gli accessori, richiedeva, come accennato, di accertare se sussisteva un interesse della Trading all'accertamento del credito, interesse che la Corte d'appello ha escluso, esponendo con motivazione sufficiente, congrua ed immune da vizi logici, le ragioni che hanno fondato la conclusione negativa, basata sulla circostanza che "il credito era stato riconosciuto dalla procedura". Siffatta questione involgeva esclusivamente un problema di ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e, in quanto tale, era ed è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge, inerendo alla tipica valutazione del giudice di merito, censurabile in questa sede soltanto sotto l'aspetto del vizio di motivazione, appunto in quanto suscettibile di essere ricondotta ad una erronea valutazione delle risultanze di causa, non ad una inesatta interpretazione di norme (tra le molte, Cass. Sez. Un. n. 10313 del 2006; Cass. n. 10127 del 2006; n. 15499 del 2004; n. 6224 del 2002). Quest'ultimo vizio, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, non potendo detto vizio consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte (tra le tante, Cass. n. 15264 del 2007; n. 13242 del 2007; n. 2272 del 2007), diversamente risolvendosi il relativo motivo in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito, al quale neppure può imputarsi d'avere omesso l'esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi (Cass. n. 15096 del 2005; n. 996 del 2003; n. 3904 del 2000).
Dando continuità a detto orientamento, le considerazioni svolte nel sesto motivo per contestare la correttezza della conclusione affermata dalla Corte territoriale sono in parte manifestamente inammissibili, poiché, anziché evidenziare manchevolezze e vizi logici, si risolvono nella inammissibile contrapposizione di un diverso apprezzamento delle risultanze processuali che, da un canto, è basato sul mero richiamo delle deposizioni testimoniali rese nel primo grado, senza che le stesse siano state neppure riportate nel ricorso, in violazione del principio di autosufficienza (per tutte, Cass. n. 4405 del 2006); dall'altro, è affidato alle argomentazioni svolte nella sentenza di primo grado e si risolvono nella mera ripetizione delle deduzioni vagliate e rigettate dal giudice del merito, con motivazione sufficiente e congrua.
Il quinto mezzo è, infine, infondato in riferimento alle censure concernenti la disciplina delle spese della fase di appello, in quanto, una volta ritenuto fondato il gravame, la Corte territoriale ha statuito in ordine alle spese applicando il principio della soccombenza.
La doglianza svolta dalla ricorrente mira in realtà a sostenere che le spese non avrebbero potuto essere poste a suo carico, tenuto conto della sopravvenienza del concordato rispetto all'inizio del giudizio. Tale deduzione deve tuttavia tenere conto che, come indicato dalla sentenza di secondo grado - contrariamente alla deduzione della parte -, senza che il punto sia stato specificamente censurato, la società debitrice era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo con decreto del 3 marzo 1993 (v. pg. 4 della sentenza ed il dispositivo) ed il concordato era stato omologato con sentenza del 5 luglio 1995 (pg. 5 della sentenza). Pertanto, indipendentemente da ogni considerazione sulla discrezionalità del potere di compensare le spese processuali, la sopravvenuta carenza di interesse avrebbe potuto essere valorizzata esclusivamente in relazione alle spese processuali del primo grado (peraltro definito sei anni dopo l'omologazione del concordato) e sino alla data di riconoscimento del credito da parte degli organi della procedura, al fine di una eventuale compensazione, poiché il rigetto giammai avrebbe potuto condurre ad una diversa conclusione. Tuttavia, di tali eventi la sentenza ha anche tenuto conto, poiché ha condannato la ricorrente soltanto alle spese del grado di appello, senza pronunciarsi su quelle del primo grado, neppure operando la relativa liquidazione, omissione questa che implica una sia pure implicita compensazione, evidentemente giustificabile alla luce della valutazione di dette circostanze.
In definitiva, il ricorso va rigettato; le spese della presente fase seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese della presente fase, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 17 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2009