Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2524 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 16 Settembre 2009, n. 19989. Rel., est. Cultrera.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Effetti - Sugli atti pregiudizievoli ai creditori - Azione revocatoria fallimentare - Atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie - In genere - Pagamento oggetto dell'azione revocatoria - Dichiarazione giudiziale d'inefficacia - Conseguenze - Restituzione della somma in favore della massa - Domanda esplicita - Necessità - Esclusione - Fondamento.



L'azione revocatoria fallimentare avente ad oggetto un pagamento, ai sensi dell'art. 67 della legge fall., mira ad ottenere la reintegrazione della garanzia patrimoniale del debitore fallito, che intanto si realizza in quanto il corrispondente importo sia recuperato attraverso la sua restituzione; ne consegue che per la produzione di tale effetto non è necessaria un'esplicita domanda, perché il suo perseguimento è compreso necessariamente nel "petitum" originario; il debito di restituzione sorge infatti con la sentenza costitutiva che, pronunciando la revoca, attualizza, al momento del suo passaggio in giudicato, il diritto potestativo esercitato dalla massa con l'azione del curatore e volto proprio ad ottenere il recupero delle somme versate dal debitore in violazione della "par condicio". (Nella specie, la domanda di restituzione delle rimesse revocate era stata formulata solo in sede di precisazione delle conclusioni). (massima ufficiale)


Massimario, art. 67 l. fall.


  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITRONE Ugo - Presidente -
Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. BERNABAI Renato - Consigliere -
Dott. CULTRERA Maria Rosaria - rel. Consigliere -
Dott. SALVATO Luigi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SAN PAOLO IMI S.P.A. (P.I. 06210280019), in persona
dell'Amministratore Delegato pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIACOMO PUCCINI 10, presso l'avvocato FERRI GIANCARLO, rappresentato e difeso dall'avvocato GRILLO BRANCATI BRUNO, giusta procura speciale per Notaio dott. CARLO BOGGIO di TORINO - Rep. n. 105247 del 10.12.04;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO SERVIZI RISTORAZIONE ITALIA S.R.L.;
- intimato -
sul ricorso 2192-2005 proposto da:
FALLIMENTO SERVIZI RISTORAZIONE ITALIA S.R.L. (c.f. 05819010637), in persona del Curatore Avv. ANNA ABATE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA U. BOCCIONI 4, presso l'avvocato SMIROLDO ANTONINO, rappresentato e difeso dall'avvocato POLLICE PAOLO, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
SAN PAOLO IMI S.P.A. (P.I. 06210280019), in persona
dell'Amministratore Delegato pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIACOMO PUCCINI 10, presso l'avvocato FERRI GIANCARLO, rappresentato e difeso dall'avvocato GRILLO BRANCATI BRUNO, giusta procura speciale per Notaio dott. CARLO BOGGIO di TORINO - Rep. n. 105247 del 10.12.04;
- controricorrente al ricorso incidentale -
avverso la sentenza n. 3077/2003 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 03/11/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/07/2009 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato BRUNO GRILLO BRANCATI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale ed il rigetto di quello incidentale;
udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale, l'Avvocato PAOLO POLLICE che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento di quello incidentale;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il curatore del fallimento della società Servizi Ristorazione Italia s.r.l. con atto 12.6.97 citò innanzi al Tribunale di Napoli l'Istituto San Paolo di Torino per ottenere declaratoria d'inefficacia, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, delle rimesse asseritamente solutorie confluite in periodo sospetto, compreso tra il mese di marzo ed il mese d'ottobre del 1995, nell'importo di L. 420.509.337 su due conti intestati alla società poi fallita, sui quali quest'ultima godeva di affidamento per la somma di L. 150 milioni.
In ordine al requisito soggettivo dedusse che la banca in data 10 aprile 1995 aveva sospeso gli affidamenti, per poi revocarli definitivamente il successivo il maggio dello stesso anno chiedendo l'immediato rientro delle somme, ed aggiunse che il conto presentava un andamento costantemente passivo rispetto al limite del fido concesso, e registrava altresì operazioni anomale. L'istituto convenuto contestò la domanda eccependo in particolare che le rimesse anteriori alla data di sospensione dell'affidamento non avevano superato il limite dell'apertura di credito, nonché che quella di L. 25.375.525 risultava compensata da pari addebito. In sede di precisazione delle conclusioni, eccepì altresì la nullità della citazione in ragione dell'indeterminatezza dell'oggetto della domanda. Il Tribunale con sentenza n. 14670 del 2000 accolse la domanda per l'importo di L. 392.326.052.
La decisione venne impugnata dalla banca soccombente in via principale e dal fallimento in via incidentale innanzi alla Corte d'appello di Napoli che, con la pronuncia ora impugnata n. 3077 depositata il 3 novembre 2004, ne ha disposto conferma. Contro questa decisione l'istituto San Paolo IMI s.p.a. ha proposto il presente ricorso per cassazione affidato a quattro motivi resistiti dalla procedura intimata con controricorso contenente ricorso incidentale in base ad unico motivo resistito a sua volta dalla ricorrente principale con controricorso. Il ricorrente principale ha altresì depositato memoria difensiva a mente dell'art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi devono essere riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c. in quanto sono stati proposti contro la stessa decisione. Il ricorrente deduce col primo motivo, violazione degli artt. 163 e 164 c.p.c. e correlato vizio d'insufficiente motivazione. Ascrive alla Corte territoriale d'aver erroneamente respinto l'eccezione d'indeterminatezza della domanda introduttiva, e di conseguente nullità della citazione.
La questione, rilevabile d'ufficio - Cass. n. 11149/1998 -, non incontrava decadenza e meritava comunque esame. Il rigetto dell'eccezione, fondato sull'affermazione che le rimesse revocabili risultano individuate dall'estratto conto, è errato poiché l'individuazione dell'oggetto della domanda deve essere resa possibile dalla lettura dell'atto introduttivo e non da elementi estranei.
Il fallimento replica osservando che la Corte territoriale ha ritenuto la questione preclusa. Il motivo mira ad introdurre nuova indagine sul fatto.
Il motivo appare infondato.
Si afferma nella decisione impugnata che la prima statuizione non è stata impugnata nella parte in cui aveva dichiarato tardiva, in quanto sollevata solo in sede di precisazione delle conclusioni, l'eccezione di nullità della domanda introduttiva per una sua pretesa genericità. Il primo giudice, in relazione ai suoi doveri ai sensi dell'art. 163 c.p.c., l'aveva comunque esaminata nel merito e quindi rigettata in quanto aveva ritenuto possibile individuare le rimesse contestate sulla base della mera lettura dell'atto introduttivo. Il motivo in esame critica l'approdo senza neppure censurare la dichiarata preclusione processuale.
Ribadisce piuttosto la rilevabilità d'ufficio della questione, che la Corte di merito ha peraltro condiviso dando atto del suo esame da parte del primo giudice, e ne critica la soluzione nel merito, inammissibilmente. L'interpretazione della domanda spetta infatti in via esclusiva al giudice di merito e non è sindacabile in questa sede. Nel caso di specie la Corte territoriale ha ritenuto d'individuare il petitum attraverso l'esame complessivo dell'atto introduttivo, adeguandosi peraltro ad orientamento costante espresso nella materia de qua da questa Corte (cfr. Cass. nn. 14676/2007, 14552/08 che hanno escluso l'indeterminatezza dell'oggetto della domanda di revocatoria avente ad oggetto rimesse bancarie seppur manchi l'indicazione dei singoli importi, laddove siano specificati i conti correnti sui quali esse siano confluite) ed il risultato di tale indagine non può essere rivisitato.
Col secondo motivo il ricorrente deduce violazione della L. Fall., art. 67 e art. 2697 c.c. e correlato vizio d'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Assumendo che le rimesse sui conti nn. 9247 e 170412 non sono revocabili in assenza dei presupposti della domanda proposta dal fallimento, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha revocato la rimessa di L. 25.365.525 affluita sul conto contraddistinto col numero 10/9247 in data 10.3.95, e descritta come versamento fuori piazza, nonostante fosse stata compensata con addebito di pari importo per effetti impagati. L'errore in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale è duplice, sia per aver attribuito al termine compensazione significato tecnico giuridico laddove era stato utilizzato intendendosi "annullato", e di ciò, in quanto evidente, il giudice avrebbe dovuto avvedersi, sia perché l'onere di provare che si trattava di effettiva rimessa gravava sul curatore. L'estratto conto evidenzia mere registrazioni contabili di segno opposto e non versamento.
Il fatto era conclamato per tabulas.
Il resistente deduce infondatezza del motivo. La Corte territoriale ha sostenuto che il superamento della soglia dell'affidamento risultava evidente dagli estratti conto versati in atti. La banca appellante non aveva assolto all'onere, di cui era gravata, di provare che, come eccepito, la rimessa in discussione, eseguita il 10 marzo 1995, fosse stata compensata da addebito del successivo 22 marzo, d'importo pressoché pari, sotto la dizione "effetti impagati". La decisione impugnata, che aveva già rilevato tale omissione, neppure in parte qua era stata impugnata. Le date delle due operazioni considerate risultavano peraltro sfalsate, essendo stato l'addebito retrodatato al 1 marzo.
Questo motivo appare privo di fondamento e sotto altro aspetto inammissibile.
La ricorrente per un verso ancora una volta, non indirizza critica alcuna contro l'affermazione dell'intervenuta preclusione processuale, conseguente, ad avviso del giudice d'appello, all'omessa impugnazione della prima decisione da parte sua in ordine alla dichiarata mancanza di prova dell'eccepita compensazione. Contesta invece l'insussistenza di tale onere probatorio a suo carico, introducendo questione assorbita alla luce del dictum, che in parte qua è ormai inoppugnabile. Nella restante articolazione, ripercorsa l'operazione controversa in punto di fatto, espone censura che attiene al merito della questione, che è stata risolta, benché assorbita, alla stregua della prospettazione offerta dalla stessa banca, dalla Corte territoriale alla quale la ricorrente pretende ora attribuire un preteso vizio d'interpretazione della sua eccezione, rappresentandone quello che ritiene essere il senso logico della dedotta compensazione, di cui non risulta abbia però fatto alcun cenno nelle competenti sedi di merito.
Col terzo motivo il ricorrente denuncia analogo vizio. Lamenta che i giudici di merito, ancora una volta erroneamente ascrivendole relativo onere probatorio, non hanno tenuto conto dell'asserita diversa natura dei due conti di cui era intestataria la società in bonis e quindi hanno entrambi calcolato lo scoperto sommando i due saldi passivi e quindi detraendo dal totale l'importo dell'affidamento. La Corte territoriale in particolare ha omesso di rilevare che i conti erano diversificati, in quanto l'uno n. 9247 era ordinario, l'altro n. 170412 costituiva un conto anticipi. I relativi movimenti dovevano essere distinti, ed il fido doveva essere correlato a ciascun conto. Il resistente deduce infondatezza del mezzo. Si sostiene nella decisione impugnata che non risultava acquisita la prova, di cui era ancora onerata la banca, della diversa natura dei conti intestati alla società e quindi dell'erroneità del calcolo dello scoperto, in quanto eseguito con riferimento al loro saldo complessivo da cui era stato detratto l'importo dell'affidamento concesso nell'indicata somma di L. 150.000.000. La questione, introdotta solo nella comparsa conclusionale di primo grado, non era sostenuta da elementi di prova la cui acquisizione era necessaria, non risultando la tesi della banca appellante fondata ictu oculi, tanto che essa stessa aveva chiesto consulenza contabile al fine d'accertare la corrispondenza tra anticipazioni e bonifici pervenuti. Il motivo in esame indirizza critica contro l'approdo censurandone la correttezza nel merito, sull'assunto che gli elementi probatori acquisiti avrebbero dimostrato la fondatezza della sua eccezione. Si sofferma in una disamina della diversa natura del conto ordinario rispetto al conto denominato anticipi fatture, astrattamente corretta, e della relativa movimentazione, sollecitandone in sostanza la lettura nella chiave rappresentata, in questa sede però assolutamente non ammessa. Nella fattispecie considerata, la diversa natura dei conti, oggetto d'eccezione dall'odierna ricorrente peraltro dichiarata inammissibile perché tardivamente proposta, secondo l'avviso, insindacabile nel merito, del giudice d'appello che ha ancora una volta, nonostante il ravvisato difetto in rito, condotto il suo esame sulla fondatezza della questione, non era percepibile ex actis in maniera evidente;
necessitava per l'effetto di adeguata dimostrazione che la banca, gravata del relativo onere, non ha fornito, ne' tanto meno sostiene in questa sede d'aver offerto mediante specifici elementi probatori, che siano rimasti negletti. La distribuzione dell'onere probatorio, nel senso riferito, non è in questa sede posta in discussione. Col quarto motivo il ricorrente denuncia ancora medesimo vizio, osservando che, seppur sia corretto il riferimento operato da entrambi i giudici di merito ai fini dell'accertamento sulla scientia decotionis agli elementi apprezzati, rientranti nel rapporto controverso, essi erano tuttavia sintomatici solo di uno stato di temporanea difficoltà della cliente poi fallita, ovvero di una tensione del conto, e non certo del suo stato d'insolvenza. I due dati valorizzati sono insomma inconsistenti, anche in chiave presuntiva. La censura è stata ribadita nella memoria difensiva del ricorrente con cui si è sottolineato il vizio motivazionale, rilevando l'intrinseca contraddittorietà della motivazione e l'incoerenza del significato attribuito dalla Corte di merito al tenore della missiva inviata alla società con cui si dava conferma del blocco delle anticipazioni, interpretato invece come indice dell'incapacità di rientrare dallo scoperto. Il resistente deduce infondatezza anche di tale motivo. La Corte territoriale ha affermato che la data della revoca dell'affidamento, elemento valorizzato appunto ai fini della scientia decotionis, era stata esattamente individuata dal primo giudice nel giorno 10 aprile 1995, come da telegramma in pari data dell'ufficio fidi con cui s'invitava la società a coprire l'assegno n. 840 e la distinta nota della banca con cui si confermava l'impossibilità di dar corso ad ulteriori anticipazioni.
Il motivo appare inammissibile.
Il valore sintomatico che la Corte di merito ha attribuito agli elementi documentali indicati, senz'altro utilizzabili ai fini della verifica dell'elemento soggettivo dell'azione esercitata benché riferiti al rapporto interno tra le parti, ritenuti palesemente di rilevanza assorbente rispetto all'ulteriore compendio probatorio dedotto dal fallimento, non è sindacabile. Ciò perché la sentenza impugnata è sorretta da tessuto motivazionale immune dalle critiche mosse dal ricorrente in quanto espone con chiarezza e coerenza la sintesi tratta dall'interpretazione critica del tenore letterale e logico dei documenti esaminati, che il giudice di merito ha esaminato e vagliato analiticamente e nel loro complesso. Il ricorrente contesta in sostanza tale apprezzamento, seppur attraverso la denuncia del vizio motivazionale, proponendo la propria interpretazione del contenuto delle missive indicate, che a suo dire dimostrerebbero altro rispetto a quanto ritenuto dai giudici di merito. Ne chiede quindi rilettura nella chiave proposta, siccome in tesi corretta. Introduce in tal maniera rivisitazione del valore probatorio dei documenti indicati che non è ammessa a questa Corte. Con ricorso incidentale il resistente violazione della L. Fall., art. 67, e correlato vizio d'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Ascrive alla Corte territoriale errore consistito nell'aver rigettato la sua domanda di condanna dell'istituto convenuto alla restituzione degli importi delle rimesse di cui ha disposto la revoca in ragione dell'indeterminatezza della domanda che doveva essere esplicitata. Il San Paolo Imi resiste deducendo infondatezza del mezzo. Il motivo appare fondato.
La Corte territoriale ha dichiarato infondato l'appello del fallimento che si era doluto che il primo giudice non avesse disposto condanna del San Paolo IMI alla restituzione delle somme relative alle rimesse revocate perché la relativa domanda, che necessariamente doveva essere esplicitata, era stata proposta solo in sede di precisazione delle conclusioni.
L'approdo appare errato.
La domanda di declaratoria di inefficacia del pagamento formulata esercitando l'azione revocatoria fallimentare mira ad ottenere, mediante la pronuncia d'inefficacia di quel pagamento, la reintegrazione della garanzia patrimoniale del debitore fallito che intanto si realizza in quanto il corrispondente importo venga recuperato attraverso la sua restituzione. Tale effetto non necessita di esplicita domanda perché il suo perseguimento è compreso necessariamente nel petitum originario. Il debito di restituzione sorge con la sentenza costitutiva che, pronunciando la revoca, attualizza, al momento del suo passaggio in giudicato, il diritto potestativo esercitato dalla massa per il tramite del curatore fallimentare ad ottenere il recupero delle somme versate dal debitore violando la par condicio (cfr. Cass. nn. 2883/2007, 27518/2008). Tale costruzione esegetica non è smentita dal principio richiamato nella decisione impugnata, che attribuisce alla revocatoria fallimentare effetto restitutorio intrinseco alla domanda nel solo caso in cui essa abbia ad oggetto un bene determinato, fondandosi sulla giurisprudenza che nega effetto traslativo nei confronti dei creditori - Cass. n. 8419/2000 -. Questo orientamento, che peraltro si condivide in astratto, non è riferibile al caso controverso. Occorre rilevare che, come fondatamente si argomenta nel motivo in esame, la distinzione fra beni determinati e beni fungibili, qual è il denaro, non ha senso dal momento che la sentenza di revoca determina l'ammontare del pagamento controverso, dunque liquida l'importo della gomma recuperata alla massa.
In parte qua la sentenza impugnata deve pertanto essere cassata. Non essendo necessarie ulteriori indagini istruttorie la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c. disponendo l'accoglimento della domanda del fallimento e quindi condannando la banca convenuta San Paolo IMI al pagamento in favore del fallimento attore della somma di Euro 202.619,49, oltre interessi legali dalla domanda al saldo e delle spese dell'intero giudizio liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, rigetta il principale ed accoglie l'incidentale. Cassa la sentenza impugnata in reazione al ricorso accolto e decidendo nel merito condanna il San Paolo Imi al pagamento in favore del fallimento della società Servizi Ristorazione Italia a.r.l. della somma di Euro 202.619,49 oltre interessi legali dalla domanda al saldo nonché al pagamento delle spese processuali che liquida in relazione al processo di primo grado in Euro 250,00 per esborsi, Euro 2.180,00 per diritti ed Euro 6.700,00 per onorario, per il giudizio d'appello in Euro 232,00 per esborsi, Euro 1.846.00 per diritti ed Euro 4.370,00 per onorario, ed infine per la presente fase di legittimità in Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge per tutte le liquidazioni. Così deciso in Roma, il 14 luglio 2009.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2009