Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 25222 - pubb. 01/05/2021

Assicurazione sulla vita: se il beneficiario premuore si applica l’art. 1412 c.c.

Cassazione civile, sez. III, 15 Aprile 2021, n. 9948. Pres. Frasca. Est. Fiecconi.


Assicurazione sulla vita - Premorte del beneficiario - Applicazione dell'art. 1412 c.c.



La disposizione di cui all'art. 1412 c.c., comma 2, in base alla quale, con riferimento al contratto a favore del terzo, la prestazione al terzo, dopo la morte dello stipulante, deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questi premuore allo stipulante, purchè il beneficio non sia revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente, si applica anche al contratto di assicurazione sulla vita.

Ne consegue che, qualora in detto contratto il terzo beneficiario premuoia al disponente (e non ricorrano le dette due evenienze), non si può ritenere che il diritto a suo favore non sia sorto in quanto condizionato alla morte del disponente; nel detto contratto la morte del disponente non è, infatti, evento condizionante la nascita del diritto alla prestazione, ma evento che determina solo la sua esigibilità, e ciò a prescindere dal motivo intuitu personae o previdenziale sottostante alla designazione del beneficiario.

[Nel caso di specie, la corte territoriale, reputando che il diritto alla prestazione potesse insorgere solo con la morte del disponente ha, dunque, erroneamente considerato la premorienza della beneficiaria come un fatto che automaticamente escludeva la possibilità che detto diritto potesse nascere a favore dei suoi eredi. Invece, ai fini dell'esclusione dell'operatività della disposizione a favore degli eredi del beneficiario premorto occorreva accertare l'efficacia della rinuncia alla facoltà di revoca della disposizione e del disconoscimento della relativa sottoscrizione da parte del disponente, nonchè della revoca della disposizione e della nomina di altro beneficiario, e in funzione di detti accertamenti esaminare le istanze di verificazione. Questioni che dovrà esaminare il giudice del rinvio, dando corso - ferma la valutazione sui presupposti per procedervi, in particolare quanto alle istanze di verificazione agli accertamenti già richiesti dalle parti e cui non aveva proceduto nemmeno il giudice di primo grado.] (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


Fatti

1. Con ricorso notificato il 15 gennaio 2018 * e *, illustrato da memoria, impugnano la sentenza della Corte d'appello di Milano, n. 4597/2017, pubblicata il 7 novembre 2017, notificata a mezzo PEC in data 14 novembre 2017, relativamente a un giudizio instaurato nei confronti di CNP Unicredit Vita S.p.A., in cui è intervenuta * quale terza chiamata, deceduta il * e rappresentata nel giudizio di merito dall'avv. Raffaele de Simone che mai ne ha dichiarato l'evento interruttivo.

2. Il ricorso, notificato alla Va. presso l'indicato suo difensore con espressa indicazione dell'essere essa deceduta, è affidato a due motivi.

3. Ha resistito con controricorso CNP Unicredit.

4. Il ricorso, discusso il 26 febbraio 2020 in sede di adunanza camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c., è stato rinviato a nuovo ruolo per consentirne la trattazione in pubblica udienza, vertendo su questioni di rilievo nomofilattico per le quali non constano precedenti specifici.

5. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte per l'accoglimento del ricorso. La resistente ha depositato memoria.

6. Con la pronuncia impugnata, la Corte di merito ha respinto la pretesa dei ricorrenti, quali eredi di M.P.S., di incassare dalla compagnia assicuratrice quanto maturato da quest'ultima quale beneficiaria della polizza assicurativa nonostante essa fosse premorta rispetto allo stipulante, e ciò in ragione di una di un'assicurazione sulla vita "mista" stipulata il * dal sacerdote * in favore della perpetua, cui i ricorrenti sono succeduti per disposizione testamentaria del 15 giugno 2011. La beneficiaria era improvvisamente deceduta il *, prima della morte dello stipulante, intervenuta il *, e all'epoca la compagnia aveva ricevuto una missiva con cui il sacerdote comunicava la rinuncia alla facoltà di revoca del beneficio, accettata dalla terza beneficiaria.

7. Il motivo di opposizione al pagamento da parte della compagnia assicuratrice convenuta è riferito al fatto che, nel corso del rapporto, alla compagnia assicuratrice era pervenuto un successivo disconoscimento della sottoscrizione apposta sulla rinuncia della facoltà di revoca da parte dello stipulante, nonchè dopo la morte della beneficiaria - la revoca della disposizione in favore di altra beneficiaria, sorella del sacerdote e sua unica erede ( *). L'assunto della compagnia assicuratrice, che ha pagato l'indennizzo alla seconda beneficiaria nominata dal de cuius e non agli eredi della prima beneficiaria, qui ricorrenti, è che la nomina della prima beneficiaria sia venuta meno a causa: a) della premorienza della beneficiaria; b) della invalidità della rinuncia alla facoltà di revoca per sottoscrizione non riconducibile ai disponente che le ha comunicato il disconoscimento; c) della successiva nomina di altra beneficiaria in sostituzione della prima premorta, cui in ogni caso non potevano succedere i ricorrenti, trattandosi di una nomina intuitu personae con funzione previdenziale, e ciò anche qualora la rinuncia alla facoltà di revoca fosse ritenuta valida. La compagnia assicuratrice, in via subordinata, ha invocato il pagamento al creditore apparente, chiedendo la chiamata in causa in sua manleva di *. Quest'ultima si era costituita nel primo grado di giudizio per chiedere l'annullamento della polizza ex art. 428 c.c., posto che la rinuncia alla facoltà di revoca era stata spedita allorchè il sacerdote era stato ricoverato per un attacco ischemico che aveva minato le sue facoltà mentali e comunque era stata successivamente disconosciuta dal de cuius; deduceva inoltre che, in ogni caso, la polizza era da intendersi nulla per il fatto che, diversamente, avrebbe configurato una donazione priva del requisito di forma, ovvero un patto successorio vietato dalla legge.

8. I ricorrenti, nel corso del giudizio di primo grado, hanno dichiarato di volersi avvalere della scrittura di rinuncia del 9 giugno 2011 disconosciuta dal sacerdote e hanno contestato l'autenticità della sottoscrizione dello stipulante sulla lettera contenente la revoca della designazione della prima beneficiaria e la nomina della nuova beneficiaria, chiedendone la verificazione; la assicuratrice, per parte sua, ha chiesto la verificazione della scrittura del 16 dicembre 2011. I giudici di merito hanno rigettato la domanda decidendo allo stato degli atti sulla questione, ritenuta prettamente giuridica, circa la trasmissibilità mortis causa del diritto al beneficio in una fase precedente al verificarsi dell'evento assicurato (morte dell'assicurato), ritenendo irrilevanti le scritture disconosciute di cui si è chiesta la verificazione. Per maggiore completezza, rileva osservare che il giudizio di primo grado si è concluso con la dichiarazione di carenza di legittimazione attiva dei ricorrenti in virtù della natura previdenziale o intuitu personae della disposizione a favore di terzo, venuta meno a causa della premorienza della beneficiaria.

9. La Corte di appello, motivando diversamente in iure, dopo avere affermato la sussistenza della legittimazione attiva degli eredi della prima beneficiaria a svolgere l'azione de qua, giacchè la loro pretesa si correla a quella della loro avente causa, ha ritenuto che in caso di premorienza della beneficiaria il diritto di credito concernente l'ammontare dell'indennizzo, che viene a maturare con la morte del disponente, non sia trasmissibile agli eredi della beneficiaria premorta perchè non ancora venuto in essere, essendo tale diritto collegato all'evento della morte, con la conseguenza che il credito pertanto sarebbe rimasto nel patrimonio del contraente che avrebbe potuto liberamente disporne; che, pertanto, detto credito, si sarebbe trasmesso comunque alla sua unica erede, anche in caso di inefficacia dell'atto di successiva sua nomina quale beneficiaria. Irrilevante, pertanto, sarebbe stato stabilire la ammissibilità o meno della revoca del beneficio assegnato alla prima beneficiaria, non individuabile più come tale dopo la sua morte o la riconducibilità all'assicurato della successiva revoca della prima beneficiaria e designazione di altra beneficiaria.

 

Motivi

1. Va premesso che l'istituto controricorrente ha sollevato questioni preliminari infondate in merito alla validità della notifica dell'impugnazione al procuratore alle liti della terza chiamata, deceduta in corso di causa. Nel controricorso di Unicredit si rende noto che la terza chiamata Va. (sorella del disponente assicurato) è deceduta nel giudizio di primo grado, il * e che la medesima, in tutto il corso del giudizio di merito, è stata rappresentata dal suo difensore in appello che si è assunto la responsabilità di continuare il ministero per accordi presi con i suoi eredi. Osserva il Collegio che, ove la notificazione non fosse stata valida (come invece è stata), si sarebbe dovuto ordinare il rinnovo della stessa nei suoi confronti, in quanto, per effetto della chiamata fatta nei suoi confronti da Unicredit al fine di essere manlevata dalle conseguenze della soccombenza nei confronti dei qui ricorrenti, si era determinato un litisconsorzio necessario processuale tra essa ed i litiganti originari relativamente alla decisione sulla domanda originaria (Cass., Sez. Un., n. 24707 del 2015); altro litisconsorzio necessario processuale si è inoltre determinato per la proposizione della domanda di nullità del contratto assicurativo, svolta dalla Va.. Tuttavia, posto che la notifica è stata fatta al procuratore costituitosi nel giudizio che aveva la procura per ogni grado di giudizio, e mai ha dichiarato il decesso dell'assistita, soccorre quanto ritenuto dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 15295 del 04/07/2014 (Rv. 631467-01), là dove ha stabilito il principio in base al quale la morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che: a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace; b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione - ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale - in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell'ambito del processo, tuttora in vita e capace; c) è ammissibile la notificazione dell'impugnazione presso di lui, ai sensi dell'art. 330 c.p.c., comma 1, senza che rilevi la conoscenza "aliunde" di uno degli eventi previsti dall'art. 299 c.p.c., da parte del notificante.

1.1. Sempre preliminarmente, si dimostra infondata l'eccezione di improcedibilità per mancato deposito del fascicoletto della terza chiamata ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, sull'assunto che nel ricorso si fa riferimento ad atti giudiziari della terza chiamata, perchè i fatti essenziali, oltre a non essere dalle parti contestati nel loro materiale accadimento, sono tra l'altro riportati dai ricorrenti nelle note a piè di pagina con riferimento alle proprie allegazioni e produzioni, specificamente indicate, e in ogni caso sono oggetto di analisi solo per come sono stati giuridicamente inquadrati e valutati. Pertanto, il mancato deposito degli atti della terza chiamata non assume rilievo. Ugualmente infondata è la questione di inammissibilità del ricorso per avere i ricorrenti fatto riferimento ad atti della terza chiamata. Nel ricorso si fa sufficiente richiamo agli a giudiziari degli attori e dei convenuti e ai documenti prodotti dai ricorrenti, tra l'altro trascritti quanto al loro contenuto nelle note. Inoltre, nella parte dedicata alla sommaria esposizione dei fatti di causa, la vicenda viene sufficientemente descritta.

2. Passando al merito del ricorso, con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione dell'art. 1412 c.c., comma 2 e o dell'art. 1920 c.c., comma 3, là dove nella sentenza non si è considerato che il diritto della beneficiaria della polizza assicurativa sulla vita, cui sono succeduti per testamento gli attuali ricorrenti, si sarebbe trasmesso alla beneficiaria al momento della stipula della polizza, nonostante essa sia deceduta prima del disponente, e ciò in virtù dell'inefficacia della revoca della sua designazione intervenuta dopo il suo decesso, per effetto della dichiarazione che disponeva l'irrevocabilità della indicazione della beneficiaria, intervenuta prima della morte della perpetua.

2.1. Il motivo è fondato. La Corte di appello, dopo aver affermato la legittimazione dei ricorrenti, eredi della prima beneficiaria del contratto di assicurazione sulla vita, a far valere la pretesa della loro dante causa, derivante dall'assicurazione sulla vita, ne ha rilevato l'infondatezza sull'assunto che al momento della morte del disponente, e quindi quando il credito è venuto ad esistenza, la prima beneficiaria non era più in vita, essendo premorta, e pertanto la indicazione della beneficiaria doveva ritenersi inefficace in quanto il credito, sorto al tempo della morte del disponente, non poteva essere vantato da un soggetto già venuto meno, bensì dal medesimo assicurato, e dunque dai suoi eredi in caso di mancata o invalida nomina di altri beneficiari, o comunque dalla persona validamente indicata quale nuovo beneficiario. Ragionando di tal guisa, la Corte ha ritenuto superfluo affrontare le successive questioni di merito relative al valido esercizio di una rinuncia al potere di revoca della beneficiaria da parte del disponente (disconosciuta dalla controricorrente convenuta), accettata dalla beneficiaria, o della validità della successiva dichiarazione scritta di revoca della beneficiaria premorta e contestuale nomina di nuovo beneficiario, nella persona della sua stessa unica erede, inviata all'assicuratore (a sua volta disconosciuta dai ricorrenti) (v. pp. 7 e 8 della motivazione). In particolare la Corte di merito ha ritenuto che nel contratto di assicurazione sulla vita il "diritto di credito rimane destinato a sorgere nel patrimonio del contraente concretizzandosi in capo agli eredi al momento della sua morte"(p. 9 della sentenza) e che la premorienza della beneficiaria "non può avere determinato il trasferimento di alcun diritto di credito concernente tale indennizzo in capo a chi alla signora M.P.S. è succeduto" (p. 7 della sentenza) "stante l'inesistenza di un diritto di credito della signora M.P.S. relativo all'indennizzo e la impossibilità di individuare nella designazione da parte del sig. * del beneficiario dell'indennizzo nella signora M.P.S. la volontà di rendere beneficiario chi a lei fosse succeduto", e ciò a prescindere dalla validità o meno dell'atto di rinuncia alla facoltà di revoca o del successivo atto di nomina della sorella quale ultima beneficiaria, essendo il diritto di credito rimasto nel patrimonio del disponente e nei fatti andato comunque a favore della sua unica erede (p. 8 della sentenza).

2.2. L'impostazione seguita dalla Corte di merito nell'interpretare il contratto de quo e nel determinare gli effetti a favore del terzo nominato come beneficiario al momento della morte del disponente non è conforme ai principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di assicurazione sulla vita a favore di un terzo e, più in generale, di contratto a favore del terzo cui detto negozio si riferisce, per espressi richiami normativi contenuti nelle norme che lo tipizzano, regolandone diversamente alcuni aspetti negli artt. 1919 c.c. e segg.. Nel contratto di assicurazione per il caso di morte, il beneficiario designato acquista, ai sensi dell'art. 1920 c.c., comma 3, un "diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione" che trova la sua fonte nel contratto e, pertanto, è opinione dominante che sin dalla designazione del terzo esso fuoriesca dal patrimonio del soggetto stipulante ed entri a far parte del patrimonio del beneficiario. In altri termini, nel momento in cui l'assicurato individua il beneficiario, è la stessa norma che indica che questi acquista un diritto iure proprio.

2.3. L'art. 1920 c.c., inoltre, fa discendere l'acquisto del diritto da parte del terzo non tanto dalla stipula del contratto, bensì dalla designazione del beneficiario e dall'accettazione da parte di quest'ultimo, a differenza di quanto previsto con riferimento al contratto a favore del terzo. Tali dichiarazioni, inoltre, debbono essere comunicate all'assicuratore che deve adempiere l'obbligazione, e ciò ai fini dell'opponibilità della designazione effettuata dal disponente. E infatti, proprio perchè si tratta di un "diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione", per esigenze di tutela dell'affidamento e di certezza del diritto, la nomina del beneficiario o la revoca della nomina a favore di un altro beneficiario, e la stessa rinuncia alla facoltà di revoca, non possono essere desunte da una volontà implicita o effettuata per atti equipollenti, ma deve risultare in termini espliciti e nelle forme scritte e comunicate all'assicuratore previste per la designazione del terzo ex artt. 1920 e 1921 c.c., anche per via testamentaria, con specifica attribuzione della somma assicurata, a favore di una determinata persona.

3. In più, si osserva che già solo analizzando le norme che disciplinano il contratto di assicurazione sulla vita si desume che la liquidazione dell'indennizzo dovuta dall'assicuratore al terzo beneficiario alla morte del disponente - fatto che realizza l'evento assicurato - fa già parte del patrimonio del terzo che l'abbia accettata. Difatti l'art. 1921 c.c., prevede che la revoca del beneficio non può farsi dagli eredi dopo la morte del contraente una volta che il beneficiario abbia dichiarato di volerne profittare. E', poi, opinione largamente condivisa dalla dottrina che gli effetti del contratto assicurativo sulla vita non dipendono dall'accertamento della finalità dell'attribuzione patrimoniale (previdenziale, gratuita o onerosa), proprio perchè la ragione sottesa al contratto ha una causa propria ritenuta ex lege meritevole di tutela, a prescindere dal motivo sottostante che spinge un soggetto a stipularlo.

3.1. La giurisprudenza, sul punto, è intervenuta per escludere la funzione indennitaria dell'assicurazione sulla vita, evidenziandone la normale finalità di risparmio o di capitalizzazione (v. da ultimo, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12261 del 14/06/2016, in riferimento alla opponibilità al fallimento dei pagamento del riscatto al fallito; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12353 del 24/05/2006). In altre ipotesi, si è anche sottolineato che è un contratto che può assolvere a molteplici finalità concrete: dalla garanzia, alla previdenza, alla liberalità. Peraltro, lo scopo pratico più frequente è quello di previdenza, quando siano indicati come beneficiari persone che vivono del lavoro del contraente (ad es., assicurazione sulla vita stipulata dal coniuge lavoratore, a favore dell'altro coniuge non lavoratore ed a carico del primo). Quando invece i beneficiari sono persone che non ricevono sostentamento dal contraente, lo scopo pratico più frequentemente avuto di mira dal contraente, e che deve presumersi ex art. 2727 c.c., è la liberalità. In tale ultima ipotesi l'assicurazione sulla vita costituisce una donazione indiretta di cui all'art. 809 c.c., rispetto alla quale il donatum è rappresentato dai premi pagati, non dall'indennizzo. Ma anche in considerazione di una sottostante finalità gratuita, l'indennizzo non è tuttavia dovuto dall'assicuratore al beneficiario a titolo gratuito, ma a titolo oneroso a fronte del premio pagato. E', infatti, il pagamento del premio, effettuato per beneficiare un terzo, che costituisce pertanto il c.d. "negozio-mezzo" (l'assicurazione) utilizzato per conseguire gli effetti del "negozio-fine" (la donazione) (così Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7683 del 2015, citata dai ricorrenti).

3.2. Del resto, la conferma della sostanziale autonomia del contratto di assicurazione a favore del terzo dai rapporti sottostanti al contratto si riscontra nell'art. 1413 c.c., relativo al contratto a favore del terzo, certamente espressione di un principio generale là dove indica che il promittente può opporre al terzo le eccezioni fondate sul contratto dal quale il terzo deriva il suo diritto, ma non anche quelle fondate su altri rapporti tra promittente e stipulante, proprio per sottolinearne l'autonomia causale.

4. Da tutto quanto sopra consegue che il beneficiario, per effetto della designazione, acquista un diritto soggettivo perfetto al pagamento della "indennità" correlato al pagamento dei premi assicurativi da parte dell'assicurato finchè in vita. Le pronunce giurisprudenziali hanno anche messo in rilievo che si tratta di un diritto di credito, proprio del beneficiario, di cui egli può liberamente disporre per atto inter vivos o mortis causa e che, alla sua morte, si trasmette agli eredi, a meno che la designazione non venga revocata, con ciò facendo intendere che il beneficio che va a maturare post mortem appartiene al beneficiario già prima dell'eventus mortis, e non all'assicurato, a meno che il beneficio non venga revocato.

4.1. In particolare, si è escluso che il diritto di credito acquisito dal terzo possa essere oggetto di (eventuali) disposizioni testamentarie da parte dello stipulante, nè di devoluzione agli eredi secondo le regole della successione legittima, a meno che non sia stata disposta a favore di questi ultimi la revoca della precedente designazione del beneficiario (cfr. per tutte Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 25635 del 15/10/2018; Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 26606 del 21/12/2016). Sicchè si è ritenuto che qualora, in ipotesi, il contratto preveda che l'indennizzo debba essere corrisposto agli "eredi legittimi o testamentari", tale designazione concretizza una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari, i quali sono coloro che rivestono, al momento della morte del contraente, la qualità di chiamati all'eredità, senza che rilevi la (successiva) rinunzia o accettazione dell'eredità da parte dei medesimi (cfr. per tutte, Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 25635 del 15/10/2018; Sez. 2, Sentenza n. 26606 del 21/12/2016; Sez. 3, Sentenza n. 19210 del 29/09/2015; Ord. S.U. 8095/07; Cass. 4484/96; 6531/06). Conseguentemente, il beneficiario istituito nel rispetto delle formalità previste dalla legge nell'art. 1920 c.c., pur potendo nominalmente coincidere con il soggetto che succederà iure hereditatis nel patrimonio dell'assicurato, non acquisisce un diritto facente parte dell'asse ereditario del disponente, ma un diritto cali ricevere la prestazione dovuta direttamente dall'assicuratore per effetto della designazione a questi comunicata per iscritto, una volta verificatasi la condizione di esigibilità della prestazione ovvero la morte del disponente - che certamente non si qualifica come condizione di esistenza del diritto a riscuotere l'indennizzo.

4.2. Ne consegue che, una volta stipulato il contratto di assicurazione sulla vita, in capo al contraente-disponente è data solo la facoltà, prevista nell'art. 1921 c.c., comma 1, di revocare, anche per via testamentaria, la designazione del terzo beneficiario, nonostante il terzo abbia dichiarato di volerne beneficiare. Purtuttavia, anche rispetto all'esercizio di tale residuale facoltà di revoca del beneficio da parte dell'assicurato, la legge indica un ampio margine di autonomia per il disponente a favore del beneficiario designato, posto che è prevista la rinuncia preventiva a detta facoltà ex art. 1921 c.c., comma 2, accompagnata dalla dichiarazione del beneficiario di volerne profittare, con comunicazione per iscritto da inviarsi all'assicuratore. E difatti, la revoca e la designazione di un diverso beneficiario in sostituzione, ove il contraente non abbia rinunciato a detta facoltà, ex art. 1921 c.c., si realizza nelle stesse forme previste nell'art. 1920 c.c. e dunque anche con disposizione testamentaria.

5. La rinuncia alla facoltà di revoca del beneficiario, pertanto, ha l'effetto di cristallizzare nel tempo il diritto del beneficiario e, certamente, neutralizza ogni diversa disposizione da parte del contraente, stabilizzando l'attribuzione del beneficio in capo alla persona designata che ne ha voluto profittare sino all'eventus mortis del disponente.

6. Quanto alla natura del negozio di rinuncia al potere di revoca del beneficio da parte del disponente, la dottrina maggioritaria lo definisce quale atto unilaterale inter vivos, recettizio nei confronti del solo promittente; altra parte, minoritaria, lo considera come un negozio bilaterale tira stipulante e terzo, esterno al contratto a favore di terzo anche nei confronti del solo promittente, che si pone in deroga ai patti successori, e dunque costituisce norma eccezionale insuscettibile di interpretazione analogica. In questo dibattito traspare che ciò che non è pacifico in dottrina è il momento in cui, con tale atto di rinuncia, si perfeziona il definitivo acquisto del beneficio da parte del terzo, con accettazione del beneficiario, data la natura irrevocabile della disposizione.

6.1. Tale questione è rilevante per dirimere il caso di specie, proprio in relazione all'intervenuta premorienza della beneficiaria che, fino a prova contraria, è stata designata con atto divenuto irrevocabile per espressa rinuncia della facoltà di revoca, posto che i ricorrenti assumono di essere succeduti al beneficio, divenuto irrevocabile per volontà del contraente, per successiva disposizione testamentaria della beneficiaria. Sul punto, la Corte di merito si è chiaramente espressa nel senso di ritenere che la premorienza del beneficiario non sia in grado di determinare un fenomeno successorio del diritto in ogni caso, e ciò a prescindere dalli esercizio o meno della facoltà di revoca. Tuttavia, l'asserto omette di confrontarsi non solo con le norme in esame ma, soprattutto, con il dibattito teorico che ne è seguito.

6.2. Difatti, l'ipotesi di premorienza del beneficiario è espressamente disciplinata nell'art. 1412 c.c., comma 2, che nel contratto a favore di terzo dispone il trasferimento agli eredi del beneficiario in caso di sua premorienza, fatto salvo l'esercizio della facoltà di revoca (in grado pertanto di impedire tale trasmissione) o altra diversa disposizione. Occorre dunque chiedersi se la regola riferita al contratto a favore di terzo, ma non parimenti richiamata nella disciplina del contratto di assicurazione della vita, possa valere per il contratto de quo.

6.3. Nel caso in esame, pertanto, occorre valutare se la possibilità di trasmettere, inter vivos o mortis causa, detto beneficio agli eredi del beneficiario premorto sia ammessa anche nel caso di assicurazione sulla vita. Soprattutto, data la peculiarità dell'assicurazione sulla vita, normalmente finalizzata a realizzare un atto di previdenza o di liberalità intuitu personae, occorre chiedersi se la trasmissibilità agli eredi per premorienza del beneficiario prevista per il contratto a favore di terzo sia un effetto naturale anche del contratto assicurativo, pur non essendo, per quanto sopra detto, il contratto subordinato alla sussistenza di un interesse dello stipulante. Di altrettanta rilevanza dirimente è, poi, la questione se, nel caso in cui l'attribuzione del beneficio sia stato accompagnato da una successiva rinuncia della facoltà di revocarlo, tale disposizione sia in grado di rafforzare l'elemento dell'intuitu personae rispetto a un atto dispositivo che è per regola trasmissibile agli eredi del beneficiario, salvo appunto la espressa revoca del beneficio od ogni altra diversa disposizione.

7. A monte, dunque, occorre tornare a valutare la compatibilità del principio che ammette l'immediata efficacia dell'atto di designazione del beneficio, accompagnato dalla rinuncia al potere di revoca, con il divieto di stipula di patti successori di cui all'art. 458 c.c.. La soluzione, invero, non può che evincersi ragionando in generale sulla funzione di tale contratto e sugli effetti che naturalmente determina nel mondo giuridico, per come sopra già delineati nei suoi tratti essenziali dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

7.1. Sul punto, la opinione più accreditata in dottrina è che la rinuncia al potere di revoca sia un negozio inter vivos post mortem del tutto distinto dai patti successori, attraverso il quale il rapporto giuridico si innesta tra disponente e beneficiario con effetti immediati sotto il profilo della costituzione del diritto in capo al beneficiario, mantenendo quindi fermo il principio, sopra detto, certamente valido nel caso in cui sia rimasta la facoltà di revoca. Mentre, l'opinione minoritaria vede nell'esercizio di tale rinuncia al potere di revoca una deroga legale al divieto di patti successori, e dunque un'assimilabilità a tali patti quanto all'effetto che esso provoca sulla capacità di disporre finchè si è in vita.

7.2. All'uopo, occorre confrontare la tesi prevalente, secondo cui la morte dello stipulante, anche in questa ipotesi, costituirebbe il termine per l'adempimento dell'obbligazione a favore del beneficiario, relativamente a un credito definitivamente entrato a far parte del suo patrimonio, con l'altra, minoritaria, in base alla quale l'acquisto in favore del terzo si perfeziona solo al momento della morte dello stipulante, operando tale evento quale condizione di efficacia dell'attribuzione, proprio perchè la rinuncia alla facoltà di revoca opera come un vero e proprio patto successorio. E in effetti, tale seconda tesi risulta incorporata nella motivazione qui impugnata, là dove ha assunto che il diritto della beneficiaria, premorta allo stipulante, sia venuto meno perchè non in grado di venire in esistenza al tempo della morte dello stipulante, peraltro senza offrire alcun confronto con la disposizione generale di cui all'art. 1412 c.c., comma 2, riferita al contratto a favore del terzo che prevede, invece, la trasmissibilità di detto diritto agli eredi del beneficiario premorto. Nella motivazione, inoltre, non si dà rilevanza all'esercizio della facoltà di revoca, in tesi validamente espresso dallo stipulante (salvo prova contraria).

7.3. Orbene, nel confronto delle due tesi, l'impostazione che vede la morte dello stipulante in ogni caso come un termine piuttosto che una condizione di esistenza - per il diritto alla prestazione assicurata deve essere preferita anche in riferimento a questa particolare ipotesi di premorienza del beneficiario, divenuto titolare di un diritto assicurativo divenuto (in ipotesi) irrevocabile, e ciò alla luce della disciplina generale riferita al contratto a favore del terzo (art. 1412 c.c.), entro il quale si inscrive il contratto di assicurazione sulla vita, pur con le differenze formali sopra viste, volte tuttavia a tutelare l'affidamento dell'assicuratore tenuto al pagamento del credito. In proposito, questa Corte ha già offerto qualche spunto per orientarsi, rimarcando la netta - distinzione tra contratto a favore di terzo con esecuzione della prestazione nell'eventualità della morte dello stipulante, regolata nell'art. 1412 c.c. e i patti successori, i quali sono da considerarsi invalidi proprio perchè vengono in esistenza al tempo della morte del disponente e sottraggono poste attive all'asse ereditario che, altrimenti, andrebbero a beneficio degli eredi.

7.4. In particolare, occorre riferirsi a distinguo giurisprudenziali già presenti a livello di sistema. Con riferimento a un contratto di deposito irregolare di somme di danaro in cui si stabiliva che un terzo potesse prelevare la somma solo dopo la morte dello stipulante, la giurisprudenza vi ha ravvisato una nullità derivante dalla violazione del divieto di patti successori sancito dall'art. 458 c.c., proprio in ragione del fatto che il terzo avrebbe acquisito il diritto di restituzione del tantundem solo al tempo della morte dello stipulante, e non prima (Cass. sez. 2, n. 8335/1990; Cass. 2404/1971). Mentre si è considerato che, nella prestazione a beneficio del terzo la cui esecuzione acquisti efficacia nell'eventualità della morte dello stipulante, si tratta dell'esecuzione di una prestazione che è già entrata nel patrimonio disponibile del beneficiario, ed è dunque trasmissibile ai suol eredi ex art. 1412 c.c., comma 2: pertanto in tale ipotesi non può ravvisarsi una deroga legale al divieto di patto successorio, proprio in virtù dell'acquisto immediato del diritto da parte del beneficiario, da escutere al tempo della morte dell'assicurato.

7.5. Nella motivazione della pronuncia di questa Corte n. 8335/1990 (sopra citata), tale distinguo risulta ancora meglio scolpito, là dove testualmente si indica che la qualifica di contratto a favore del terzo, in caso di costituzione di deposito irregolare di somme da restituire dopo la morte del disponente "risulta, poi, fondatamente esclusa anche perchè nel caso previsto dalla norma di cui all'art. 1412 c.c. la stipulazione, inter vivos, è immediatamente operante a favore del terzo, come si desume dal comma 2 dello stesso articolo, per il quale la prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questo premuore allo stipulante, purchè il beneficio non sia stato revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente. Nel caso di specie, invece, il diritto alla restituzione della somma data in deposito è stato attribuito alla * con effetto dalla morte del disponente, intendendo questi, come si è detto, assicurarle "una vita dignitosa e conforme al grado sociale": tipica disposizione, dunque, a causa di morte, concretatasi, però, in un contratto che, per i vincoli che importava, correttamente è stato considerato contra legem" (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 8335 del 1990, in motivazione).

7.6. Pertanto, nel panorama giurisprudenziale si colgono già molti argomenti per ritenere che, a livello di sistema, la disposizione de qua, rientri nello schema del contratto a favore del terzo "dopo la morte dello stipulante" regolata nell'art. 1412 c.c., ove l'esecuzione della prestazione è prevista, appunto, post mortem dello stipulante, e istituisce un diritto del beneficiario designato trasmissibile ai suoi eredi, posto che anche in questo caso non tanto la sua esistenza, ma la sua esigibilità si determina con la morte del disponente, e ciò a prescindere dal motivo intuitu personae o previdenziale sottostante alla designazione del beneficiario, usualmente rinvenibile nel contratto di assicurazione sulla vita. Vale all'uopo la considerazione che, non essendo detto istituto inquadrabile nell'ambito di un patto successorio, non vi sono ostacoli per ricorrere ai principi generali rinvenibili nel contratto a favore del terzo cui le disposizioni in esame fanno, per molti e diversi aspetti, espresso riferimento (v. art. 1920 c.c., che fa riferimento agli artt. 1411 e segg.).

7.7. Sicchè, anche la rinuncia alla facoltà di revoca, in tale contesto, è solo tesa a rafforzare ancora di più il legame con il beneficiario (intuitus personae), mettendo al riparo l'affidamento di quest'ultimo da un ripensamento da parte dello stipulante, tant'è che nel caso dell'assicurazione sulla vita la legge condiziona l'efficacia della rinuncia alla facoltà di revoca all'accettazione per iscritto del beneficio da parte del beneficiario e alla comunicazione scritta di entrambe le dichiarazioni alla promittente assicuratrice ex art. 1921 c.c., comma 2 (quest'ultima ai fini della opponibilità alla compagnia assicuratrice), come sopra visto. Il che significa che con tale disposizione, certamente in grado di determinare un indissolubile legame tra il beneficiario dell'assicurazione e il contraente, si debba ritenere inclusa la regola della trasmissibilità del beneficio agli eredi del beneficiario premorto, prevista in via generale nell'art. 1412 c.c., comma 2, proprio perchè il beneficio assegnato intuitu personae al terzo nell'eventualità di morte dell'assicurato, nel sistema, non è equiparabile a un patto successorio, in ragione di quanto sopra detto, ed entra nella immediata disponibilità patrimoniale del beneficiato, sulla base del principio generale indicato nell'art. 1420 c.c., comma 3, sopra considerato.

7.8. Al lume di quanto sopra considerato va pertanto affermato il seguente principio di diritto: "La disposizione di cui all'art. 1412 c.c., comma 2, in base alla quale, con riferimento al contratto a favore del terzo, la prestazione al terzo, dopo la morte dello stipulante, deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questi premuore allo stipulante, purchè il beneficio non sia revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente, si applica anche al contratto di assicurazione sulla vita. Ne consegue che, qualora in detto contratto il terzo beneficiario premuoia al disponente (e non ricorrano le dette due evenienze), non si può ritenere che il diritto a suo favore non sia sorto in quanto condizionato alla morte del disponente. Nel detto contratto la morte del disponente non è, infatti, evento condizionante la nascita del diritto alla prestazione, ma evento che determina solo la sua esigibilità, e ciò a prescindere dal motivo intuitu personae o previdenziale sottostante alla designazione del beneficiario".

7.9. La corte territoriale, reputando che il diritto alla prestazione potesse insorgere solo con la morte del disponente ha, dunque, erroneamente considerato la premorienza della beneficiaria come un fatto che automaticamente escludeva la possibilità che detto diritto potesse nascere a favore dei suoi eredi. Invece, ai fini dell'esclusione dell'operatività della disposizione a favore degli eredi del beneficiario premorto occorreva accertare l'efficacia della rinuncia alla facoltà di revoca della disposizione e del disconoscimento della relativa sottoscrizione da parte del disponente, nonchè della revoca della disposizione e della nomina di altro beneficiario, e in funzione di detti accertamenti esaminare le istanze di verificazione. Questioni che dovrà esaminare il giudice del rinvio, dando corso - ferma la valutazione sui presupposti per procedervi, in particolare quanto alle istanze di verificazione agli accertamenti già richiesti dalle parti e cui non aveva proceduto nemmeno il giudice di primo grado.

7.10. Il giudice del rinvio dovrà pertanto esaminare il merito della controversia al lume dei principi sopra esposti.

8. Il secondo motivo è assorbito per effetto dell'accoglimento del ricorso, là dove si denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione delle norme in tema di regolamentazione delle spese processuali ex artt. 91 e 92 c.p.c. e ciò in ragione della mancata compensazione delle spese processuali nonostante la novità delle questioni affrontata dai giudici di merito.

9. Conclusivamente, la Corte accoglie il ricorso relativamente al primo motivo, con assorbimento del secondo; per l'effetto cassa la sentenza e rinvia alla Corte d'appello di Milano perchè decida, in diversa composizione, anche per le spese.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso relativamente al primo motivo, con assorbimento del secondo; per l'effetto, cassa la sentenza e rinvia alla Corte d'appello di Milano perchè decida, in diversa composizione, anche per le spese.

Dep. 15 aprile 2021.