Condominio e Locazioni


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 25033 - pubb. 24/03/2021

Uso esclusivo della cosa comune: limiti e modalità di esercizio dei diritti del comproprietario pretermesso

Tribunale Busto Arsizio, 03 Marzo 2021. Est. Barile.


Comunione e Condominio - Uso esclusivo della cosa comune - Diritti del comproprietario pretermesso - Volontà di trarre utilità dalla cosa comune - Sufficienza - Esclusione

Comunione e Condominio - Uso esclusivo della cosa comune - Diritti del comproprietario pretermesso - Dissenso sulle modalità d'uso del bene - Azione in sede di volontaria giurisdizione - Necessità



Il comproprietario che non tragga utilità dalla cosa comune, usata in modo esclusivo da altro comunista, non può limitarsi a chiedere la corresponsione di un canone o indennità nei confronti del comproprietario che ne faccia uso esclusivo, ma deve dichiarare di voler fare direttamente uso della cosa comune.

Il comproprietario che non tragga utilità dalla cosa comune, usata in modo esclusivo da altro comunista, qualora manifesti il proprio dissenso rispetto al modo in cui la cosa comune viene utilizzata, non deve agire in sede contenziosa, bensì deve agire in sede di volontaria giurisdizione affinchè si nomini un amministratore del bene comune. (Enrico Candiani) (riproduzione riservata)


Segnalazione dell’Avv. Enrico Candiani


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO

SEZIONE III CIVILE

All’udienza del 3 marzo 2021 il Giudice dott. Carlo Barile ha pronunciato, dandone lettura ai sensi degli artt. 429 e 281 sexies cod. proc. civ., la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. 6865 R.G.A.C. dell’anno 2019 promossa

DA

LG *;

PARTE ATTRICE

CONTRO

R.A.C. *, con domicilio eletto in VIA GAVINANA, 6 BUSTO ARSIZIO, presso il difensore avv. CANDIANI ENRICO;

PARTE CONVENUTA

 

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato LG  ha convenuto in giudizio R.A.C. esponendo che: l’attore è proprietario nella misura del 50% di un immobile sito nel Comune di Gorla Maggiore alla via Carso n.39; nel corso dell’anno 2002, in data 15.12.2002, l’attore e la sua ex moglie C.S.S., hanno ceduto in uso gratuito ed esclusivo a Colombo Pierino e R.A.C. (genitori di C.S.S) l’immobile di loro proprietà per la durata di 15 anni; nella suddetta scrittura le parti hanno convenuto che la convenzione decade automaticamente in caso di cessione da parte di uno od ambo i proprietari della quota di proprietà; nel corso dell’anno 2013 ed in particolare in data 22.01.2013 l’attore apprendeva che C.S.S aveva ceduto alla propria madre l’usufrutto relativo alla di lei proprietà; dunque a far data dal 22.01.2013 “la convenzione per la concessione in uso gratuito di abitazione” è decaduta ai sensi dell’articolo 5 della medesima; in ogni caso il contratto è scaduto in data 15.12.2017; la R.A.C. dunque occupa senza alcun valido titolo nei confronti dell’attore l’immobile di cui lo stesso è proprietario pro quota.

Ha concluso chiedendo di accertare l’occupazione senza titolo dell’immobile da parte della R.A.C. e condannare la stessa al pagamento in suo favore della somma di euro 500,00 al mese a titolo di indennità di occupazione a partire dal 22.01.2013.

Si è costituita in giudizio R.A.C. chiedendo in via pregiudiziale il mutamento del rito da ordinario in speciale; in via preliminare ha chiesto di dichiarare improcedibile la domanda dell’attore per mancato esperimento dei rimedi ex articolo 1105 c.c.; in via subordinata principale, prendendo specifica posizione sulla domanda attorea ne ha chiesto il rigetto e in via ulteriormente subordinata ha chiesto di rideterminare l’importo dovuto dalla convenuta quale indennità di occupazione.

All’udienza del 30.09.2020, rilevato che l’occupazione dell’immobile era giustificata da un titolo astrattamente sussumibile in un contratto di locazione o di comodato, è stato disposto il mutamento del rito da ordinario in speciale con assegnazione alle parti di un termine per integrare i propri atti.

La causa è stata istruita documentalmente e rinviata all’odierna udienza per la discussione ai sensi dell’articolo 420 c.p.c.

La domanda di parte attrice è infondata e deve essere rigettata.

LG  agisce in giudizio per accertare l’occupazione sine titulo dell’immobile sito in Gorla Maggiore (e di cui lo stesso è comproprietario con CSS  al 50 %) da parte di R.A.C. in virtù sia di quanto prevede l’articolo 5 della “convenzione per la concessione in uso gratuito di abitazione” ( a seguito della costituzione dell’usufrutto in suo favore da parte di C.S.S.) sia in quanto comunque è spirato il termine di 15 anni previsto dalla convenzione stipulata nel 2002.

Entrambe le prospettazioni non meritano accoglimento.

Ed infatti quanto alle previsioni dell’articolo 5 della convenzione stipulata tra L.G. e C.S.S. da un lato e C.P.e R.A.C. dall’altro va osservato che tale articolo, per quanto di interesse nel presente giudizio, prevedeva la decadenza automatica dalla concessione in uso dell’abitazione nel caso di “cessione da parte di uno o ambo i proprietari della quota di proprietà”.

Ebbene questo evento, al contrario di quanto deduce parte attrice, non si è verificato in quanto, come dedotto dalla stessa parte attrice Colombo Simonetta Silvia, è stato costituito nel 2013 in favore di R.A.C. il diritto di usufrutto sulla quota di comproprietà di C.S.S. (doc. 1 di parte convenuta).

Non essendo ceduta la quota di proprietà ma essendo solo stato costituito un diritto di usufrutto sulla quota della comproprietaria non si è verificato l’evento dedotto nella clausola di cui all’articolo 5 della convenzione.

Ciò detto quanto alla prima doglianza di parte attrice e venendo ad esaminare la seconda ( e cioè occupazione sine titulo da parte della R.A.C. in quanto è spirato il termine di durata di 15 anni previsto dalla convenzione) va osservato quanto segue.

Il titolo che legittima R.A.C., a seguito della costituzione in suo favore dell’usufrutto sulla quota del 50% da parte della comproprietaria dell’immobile C.S.S., non è più, per quanto riguarda la quota di comproprietà della stessa, la convenzione del 2002 ma, appunto, l’atto con cui è stato costituito il diritto reale in favore della convenuta nel 2013 che la comproprietaria dell’immobile ha legittimamente costituito ai sensi dell’articolo 1103 c.c.

Sul punto vanno fatte due precisazioni.

La prima è che la circostanza che LG  non avesse espresso il proprio consenso alla costituzione di tale diritto reale non ha alcuna incidenza sulla legittimità dell’atto di costituzione, dal momento che ciascun partecipante alla comunione ha il diritto di cedere ad altri il godimento della cosa, nei limiti della sua quota (art. 1103 c.c.), e di costituire, sempre nei limiti della sua quota, un diritto reale a favore di terzo (Cass. 18.7.1980, n. 4706).


La seconda invece attiene alla richiesta di indennizzo, in quanto la parte convenuta occupa senza titolo l’immobile con riferimento alla propria quota di comproprietà.

Ebbene sul punto soccorrono i principi dettati dalla Cassazione con riferimento all’uso esclusivo del bene comune da parte di uno dei comproprietari, analogicamente estensibile al caso di specie in cui l’uso esclusivo della cosa comune non avviene da parte di uno dei comproprietari, ma in via mediata, da parte di un terzo in cui favore il comproprietario abbia costituito (legittimamente) un diritto di usufrutto.

Premesso che, anche se non richiesto, va precisato che neanche astrattamente alcun tipo di rilascio dell’immobile sarebbe possibile in favore dell’attore in quanto in presenza di un bene in comproprietà pro - indiviso "non può essere ordinato il rilascio della quota […] atteso che è necessario prima procedere alla concretizzazione della quota in una porzione determinata attraverso la divisione del bene stesso, con la partecipazione necessaria di tutti i comproprietari (vedasi ad esempio Cass. Civ. sez. 2^ sentenza n. 17094 del 27.07.2006), neanche alcun tipo di indennizzo può essere riconosciuto all’attore.

Ed infatti sul punto va osservato che l'uso esclusivo del bene comune da parte di uno dei comproprietari ( e quindi anche da parte di un terzo cui legittimamente è stato concesso il diritto di usufrutto su una quota e che in virtù di tale concessione occupi per intero l’immobile), nei limiti di cui all'art. 1102 cod. civ., non è idoneo a produrre alcun pregiudizio in danno degli altri comproprietari che siano rimasti inerti o abbiano acconsentito ad esso in modo certo ed inequivoco, essendo l'occupante tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili ricavabili dal godimento indiretto della cosa solo se gli altri partecipanti abbiano manifestato l'intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e non gli sia stato concesso (Cass 2423del09/02/2015 (Rv. 634127 - 01). Va osservato che, ai sensi della normativa di cui all'art. 1102 c.c., l'uso diretto del bene comune da parte di un comproprietario, altro non è che l'attuazione del diritto dominicale, salvo l'obbligo di questi di non alterare la destinazione economica del bene e di non impedire agli altri condividenti l'eguale e diretto uso ovvero di trarre dal bene i frutti civili. 

Con la conseguenza, che colui che utilizza in via esclusiva il bene comune non è tenuto a corrispondere alcunchè al comproprietario pro indiviso che rimanga inerte e/o, a maggior ragione se, abbia consentito, in modo certo ed inequivoco, detto uso esclusivo. 

Piuttosto, l'occupante del bene (il comproprietario che gode in modo esclusivo) è tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili traibili dal godimento indiretto dell'immobile solo se il comproprietario abbia manifestato l'intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e non gli è stato consentito, per la ragione assorbente di non aver potuto godere al pari degli altri del bene comune. 

Ebbene, nel caso di specie non è stato mai allegato nè provato che LG. abbia voluto utilizzare il bene in maniera diretta nè che tale utilizzo non fu consentito dalla comproprietaria o dall’usufruttuaria. 

Ed infatti se anche fosse vera la circostanza che l’attore abbia chiesto la sottoscrizione di un contratto di locazione da parte della R.A.C., ciò non costituisce affatto un indice della volontà di utilizzare il bene in maniera diretta né costituisce indice che vi sia stato un rifiuto a tale utilizzo ma, invece, costituisce circostanza tale da provare che l’attore non era contrario ad un utilizzo dell’immobile in via esclusiva da parte della usufruttuaria. 

Poiché nel caso di specie non viene in rilievo, né in ogni caso potrebbe essere sindacata da parte dell’attore la legittimità della concessione dell’usufrutto della propria quota di proprietà da parte della comproprietaria C.S.S. (la quale costituisce espressione della libera manifestazione di volontà di disporre della propria quota di comproprietà) ma solo l’accertamento della occupazione sine titulo da parte di R.A.C. ( sia in virtù di quanto previsto dall’articolo 5 della convenzione per la concessione in uso gratuito di abitazione sia in virtù della scadenza del termine ivi previsto) e rilevato che, quanto al primo aspetto, non si è concretizzato l’evento ivi previsto e, quanto al secondo aspetto, neanche l’utilizzo esclusivo del bene da parte del comproprietario ( e quindi neanche di colui che occupa l’immobile con il consenso di uno dei comproprietari), in assenza di una manifestazione di volontà da parte dell’attore volta all’uso diretto della cosa e al conseguente rifiuto, avrebbe potuto costituire titolo per ottenere un indennizzo in suo favore, le domanda di accertamento dell’occupazione sine titulo e di condanna della convenuta al pagamento dell’indennizzo devono essere rigettate. 

A chiosa della suddetta motivazione va osservato che se uno dei comunisti è in disaccordo nella gestione dell’ordinaria amministrazione della cosa comune (come sembrerebbe nel caso di specie in cui l’attore piuttosto che aver manifestato nel tempo una volontà di utilizzare l’immobile in via diretta, voglia trarre, per la quota di propria proprietà, un profitto dall’uso della cosa comune) lo stesso può ricorrere all'autorità giudiziaria, ai sensi dell'art. 1105 c.c., u. c., per la nomina di un amministratore. Le spese processuali, liquidate in dispositivo ai sensi del d.m. 55/2014, seguono la soccombenza e vanno poste a carico di parte attrice ed in favore di parte convenuta tenuto conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, tenendo conto dei parametri medi per le fasi di studio ed introduttiva ad eccezione di quella istruttoria ( consistita nel solo deposito della memoria integrativa) e di quella decisionale consistita nella mera discussione orale ed in cui si terranno in considerazione i parametri minimi. 

 

P.Q.M.

Il Tribunale di Busto Arsizio, nella persona del G.U. Carlo Barile, definitivamente pronunciando sulla domanda formulata da LG  nei confronti di R.A.C. disattesa ogni altra istanza ed eccezione così provvede:

a) rigetta le domande di parte attrice;  

b) condanna LG  alla rifusione delle spese di lite in favore di R.A.C. che si liquidano in € 3.545,00 oltre rimborso spese generali (15%), I.V.A. e C.P.A. come per legge.  

Il Giudice

Carlo Barile