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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24957 - pubb. 05/03/2021.

Fallimento, estinzione del mandato e sorte delle somme successivamente pervenute al fallimento


Cassazione civile, sez. I, 20 Febbraio 2020. Pres. Federico. Est. Amatore.

Fallimento - Contratto di mandato - Effetti


Ai sensi dell’art. 78 l.f., il fallimento della mandataria determina automaticamente lo scioglimento del vincolo contrattuale intercorso tra le parti, con l'inevitabile conseguenza che le somme percette dalla curatela fallimentare dopo la dichiarazione di fallimento, a causa del riversamento delle stesse da parte della committente alla mandataria (ormai fallita) tramite bonifico sul conto corrente della procedura, non possono che essere considerate come indebitamente percepite dalla mandataria fallita dopo l'estinzione del mandato.

Il relativo credito restitutorio della società mandante - pur sempre riconducibile al titolo contrattuale sorto prima della dichiarazione del fallimento - integra pertanto un credito concorsuale da insinuarsi al passivo. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

 

Fatto

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Ferrara - decidendo sull'opposizione allo stato passivo presentata da A. Enologia s.p.a. con socio unico nei confronti della curatela fallimentare della società (*) s.r.l. avverso la decisione adottata dal g.d. - ha rigettato la proposta opposizione, confermando il provvedimento reso in sede di verifica allo stato passivo, provvedimento con il quale, a fronte della domanda tardiva di ammissione al passivo fallimentare di A. Enologia s.p.a. per complessivi Euro 163.132,30 (di cui Euro 149.335,75 in prededuzione ed Euro 13.796,55 in privilegio), ha ammesso il credito istante per la sola somma di Euro 149.335,75, ed in via chirografaria.

Il tribunale ha ricordato che il giudice delegato: a) aveva escluso l'ulteriore richiesta di ammissione per Euro 13.796,55, con il richiesto privilegio ex art. 2755 c.c., in ragione della mancanza di un provvedimento di sequestro configurante atto conservativo nell'interesse comune del ceto creditorio; b) aveva, altresì, ritenuto infondata la richiesta prededuzione, posto che il credito azionato non costituiva credito assunto in occasione ovvero in funzione del procedimento fallimentare; c) aveva considerato non applicabile al caso di specie la disciplina dettata per il mandato conferito nell'ambito di una A.T.I. per l'esecuzione di opere pubbliche, non risultando dalla documentazione allegata un rapporto tra le parti assimilabile all'A.T.I., anche volendo accedere alla tesi della risoluzione del mandato a causa del fallimento.

La A. Enologia s.p.a. ha proposto opposizione L. Fall., ex art. 98 avverso il decreto di esecutività dello stato passivo solo nella parte in cui si ammetteva il suo credito per Euro 149.335,75 in via chirografaria, contestando, pertanto, esclusivamente il profilo del mancato riconoscimento della richiesta prededuzione.

Il tribunale ha, dunque, osservato che occorreva ritenersi definitiva l'esclusione del credito della ricorrente corrispondente alle spese legali relative al procedimento di sequestro conservativo promosso dall'opponente contro la società (*) (e la cui ammissione era stata richiesta in via privilegiata ex art. 2755 c.c.). Del pari, il tribunale ha ritenuto non più contestabile l'ammissione del credito in via chirografaria, non risultando proposta una tempestiva impugnazione del credito ammesso L. Fall., ex art. 98, comma 3da parte della curatela.

Il tribunale ha, inoltre, ricordato, in punto di ricostruzione della vicenda fattuale, che: i) in data 25 agosto 2010 era stato concluso un "accordo di sovvenzione" tra la Direzione Generale Ambiente della Commissione Europea e la (*) s.r.l., quale società beneficiaria e ordinatrice di un progetto, in base al quale "gli enti e le imprese di cui (*) s.r.l. era mandataria si erano impegnati al recupero ed alla valorizzazione dei sedimenti derivanti da interventi di dragaggio portuale, mediante la riproduzione della filiera produttiva finalizzata alla produzione di sedimenti idonei ad interventi infrastrutturali, di ingegneria ambientale, recupero ambientale e alla produzione di silicio di grado metallurgico"; il) il costo totale del progetto era stato stimato dalle parti in Euro 1.924.552 e che era previsto un contributo economico alla sua realizzazione della Unione Europea sino all'importo di Euro 931.192; iii) la società oggi ricorrente, la A. Enologia s.p.a., aveva partecipato all'attività nella fase progettazione, nella fase dimostrativa e nella fase finale della divulgazione degli esiti; iv) al termine della descritta attività, la A. Enologia s.p.a. aveva proceduto, come richiesto, alla rendicontazione della stessa e dei costi sostenuti, consegnando la documentazione alla (*) s.r.l., che, a sua volta, aveva provveduto a consegnarla alla Direzione Generale Ambiente della Commissione Europea; v) era, dunque, rimasta creditrice della somma pari ad Euro 149.335,75.

Il tribunale ha, pertanto, ritenuto che: 1) non risultava applicabile, in via analogica, al caso in esame la disciplina speciale prevista per le A.T.I. dal D.Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, art. 23 (che regola l'attuazione della direttiva 89/440/CEE, in materia di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici), disciplina che si applica, per l'appunto, ad imprese che stipulano contratti di appalto aventi ad oggetto lavori pubblici; 2) la società (*), invece, in veste di beneficiario coordinatore, aveva sottoscritto il "grant agreement", anche per conto dei beneficiari associati, accettando la sovvenzione dell'U.E. per realizzare un progetto di ricerca che, se validamente portato a termine, avrebbe consentito il recupero dei costi di realizzazione attraverso una liberalità erogata proprio dall'U.E.; 3) il credito vantato dalla società opponente (ed ammesso al passivo in via chirografaria) era sorto ben prima della dichiarazione di fallimento della (*) s.r.l. (la società, cioè, mandataria), come emergeva dall'attività di rendicontazione svolta dalla mandante (la A. Enologia s.p.a.) e datata 22 maggio 2014 (circostanza quest'ultima che attestava, a tale data, il completamento dell'attività di pertinenza della società oggi ricorrente e dalla stessa eseguite; 4) alla fattispecie non era applicabile, comunque, il principio della consecuzione tra la procedura di concordato preventivo e il successivo fallimento, sia in considerazione del non breve lasso temporale intercorso fra il decreto di inammissibilità della domanda di concordato preventivo c.d. in bianco e la sentenza dichiarativa di fallimento (intervenuta quasi nove mesi dopo il precedente provvedimento), sia in considerazione del fatto che non risultava dai documenti prodotti lo stato di insolvenza della (*) s.r.l., già al momento della presentazione della domanda di ammissione al concordato prenotativo; 5) il credito non poteva, dunque, ritenersi sorto in occasione della procedura nè in funzione della medesima, in quanto non derivava da prestazioni che avevano concretamente prodotto effetti conservativi del patrimonio della debitrice fallita o che avessero, comunque, determinato una concreta ed effettiva utilità al ceto creditorio; 6) il credito ammesso doveva, pertanto, ritenersi credito concorsuale non prededuttivo, risultando circostanza del tutto irrilevante che la società mandataria (*) s.r.l., dichiarata fallita, avesse ricevuto il pagamento di pertinenza della A. Enologia s.p.a., solo dopo la declaratoria di fallimento.

2. Il decreto, pubblicato il 23.6.2017, è stato impugnato da A. Enologia s.p.a. con socio unico con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui il fallimento della (*) s.r.l. ha resistito con controricorso.

La parte ricorrente ha depositato memoria.

 

Motivi

1.Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta omessa applicazione della L. Fall., art. 78, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. Si osserva che il provvedimento impugnato non aveva colto l'argomento centrale della controversia, ovvero le forme attraverso le quali il servizio dovesse essere realizzato e la natura dell'incarico conferito da A. a (*) s.r.l. nell'ambito dell'accordo di sovvenzione, nonchè le modalità di esecuzione ed estinzione dell'accordo. Si ricorda da parte del ricorrente che la norma di cui alla L. Fall., art. 78, comma 2, prevede che il mandato si scioglie per il fallimento del mandatario e che non risultava corretto, per individuare temporalmente il fatto genetico del credito, indicare il momento della presentazione del rendiconto finanziario (avvenuto il 22 maggio 2014), dovendosi, invece, avere riferimento al momento in cui in capo al mandatario sorge l'obbligo di riversare al mandante le somme riscosse in nome e per conto di quest'ultimo, e cioè il momento del pagamento ricevuto dalla committente, questo sì avvenuto incontestabilmente dopo la dichiarazione di fallimento della società mandataria. Si sottolinea, dunque, che l'individuazione della data di adempimento dell'attività di competenza della mandante non riveste alcun significato ai fini della estinzione del rapporto contrattuale, avendo rilievo soltanto la data di pagamento effettuato dalla committente alla mandataria. Osserva ancora il ricorrente che il rapporto contrattuale si era estinto, ai sensi della L. Fall., prima dell'ultimo pagamento e, pertanto, l'ultimo pagamento era stato indebitamente ricevuto dal fallimento, con la conseguenza che la relativa obbligazione restitutoria era sorta in capo alla procedura e costituiva un debito della massa, da soddisfarsi in prededuzione.

2. Con il secondo mezzo si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 78, dell'art. 1722 c.c., comma 1, n. 1, nonchè della L. Fall., art. 161, comma 6. Si osserva che non era condivisibile l'affermazione secondo cui il credito in esame era sorto al momento della presentazione della domanda di rendiconto, posto che a quella data l'importo del credito non era certo e che non esistevano ragioni giuridiche che motivassero la retrodatazione degli effetti al momento in cui il credito sarebbe sorto rispetto al momento in cui la D.G. Imprese aveva riconosciuto l'esistenza del credito e ne aveva determinato l'entità. Si evidenzia, ancora, che il mandato non poteva ritenersi estinto prima dell'adempimento da parte della mandataria dell'ultima obbligazione collegata al vincolo contrattuale, e cioè la verifica del credito spettante ai co-beneficiari in merito agli importi ricevuti dalla D.G. Imprese e il conseguente riversamento degli stessi a ciascuno dei mandanti.

3. I due motivi di doglianza devono essere trattati congiuntamente, riguardando l'esame della medesima questione giuridica sottoposta al vaglio di questa Corte, sebbene sotto angoli visuali diversi.

3.1 Le censure così avanzate da parte della società ricorrente devono essere disattese.

Occorre in primo luogo precisare che il thema decidendum e disputandum della odierna controversia attiene solo al profilo della natura prededuttiva o meno del credito, già oggetto di insinuazione al passivo fallimentare con provvedimento che, in punto di ammissione dello stesso in via chirografaria, non è stato impugnato nè dal curatore nè tanto meno dagli altri creditori. Ciò detto, risulta evidente che - a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente (ed il punto può ritenersi, peraltro, già accertato definitivamente nel sopra ricordato provvedimento di ammissione al passivo del credito, azionato come credito concorsuale) - il titolo costitutivo del credito (che costituisce anche il fatto genetico dello stesso), oggetto di domanda di insinuazione al passivo, non è rappresentato dall'intervenuto pagamento da parte della committente alla società mandataria ((*) s.r.l., dichiarata fallita) di quanto di spettanza della mandante (A. Enologia s.p.a.), in relazione all'esecuzione del progetto di studio approvato dalla Commissione Europea, ma, in realtà, lo stesso contratto di mandato intercorso tra la società "capogruppo" (la (*) s.r.l., per l'appunto) ed i singoli enti ed imprese, compresi nel progetto sopra descritto.

Orbene, risulta circostanza non controversa tra le parti quella secondo cui il contratto di mandato tra la società mandante (A. Enologia s.p.a.) e la mandataria ((*) s.r.l.) sia intervenuto prima della dichiarazione di fallimento di quest'ultima ed è altrettanto pacifico che, ai sensi del sopra richiamato L. Fall., art. 78 (anche prima della modifica intervenuta attraverso il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5), il fallimento della mandataria abbia determinato automaticamente lo scioglimento del vincolo contrattuale intercorso tra le parti, con l'inevitabile conseguenza che le somme percette dalla curatela fallimentare dopo la dichiarazione di fallimento, a causa del riversamento delle stesse da parte della committente alla mandataria (ormai fallita) tramite bonifico sul conto corrente della procedura, non possono che essere considerate come indebitamente percepite dalla mandataria fallita, dopo l'estinzione del mandato. Ne consegue che il relativo credito restitutorio della società mandante - pur sempre riconducibile al titolo contrattuale sorto prima della dichiarazione del fallimento - integra un credito concorsuale da insinuarsi al passivo, come ritenuto anche dal g.d. della procedura di fallimento e come peraltro neanche contestato da parte della odierna ricorrente nelle precedenti fasi di merito della odierna controversia.

Ciò che invece non può essere riconosciuta è la richiesta prededuzione.

Come già affermato dal tribunale, il credito ammesso al passivo non è sorto in occasione ovvero in funzione della procedura concorsuale, ai sensi della L. Fall., art. 111, comma 2, ma al contrario in esecuzione di un rapporto contrattuale intercorso con la fallita prima della dichiarazione di fallimento ed in relazione al quale l'estinzione del relativo vincolo negoziale è intervenuto proprio con la declaratoria di fallimento, ai sensi del sopra richiamato L. Fall., art. 78.

Ne consegue che la circostanza che il pagamento da parte della committente alla mandataria sia intervenuto (erroneamente) dopo la dichiarazione di fallimento nella mani della mandataria (anzichè in quelle della mandante) risulta essere circostanza irrilevante ai fini che qui interessano, perchè il titolo negoziale - sulla cui base era stata chiesta da parte della stessa parte ricorrente l'ammissione al passivo del relativo credito - risulta essere antecedente al fallimento e del tutto scollegato dalla funzionalità della procedura concorsuale.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da separato dispositivo.

 

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dallaL. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020.