Diritto e Procedura Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24527 - pubb. 19/11/2020

Notificazione dell'atto d'impugnazione eseguita presso il procuratore costituito per più parti mediante consegna di una sola copia

Cassazione civile, sez. II, 29 Settembre 2020, n. 20527. Pres. Rosa Maria Di Virgilio. Est. Bellini.


Notificazione dell'atto di impugnazione a più parti - Presso il procuratore costituito per più parti mediante unica copia - Validità - Applicabilità del principio al processo ordinario e a quello tributario - Fondamento



La notificazione dell'atto d'impugnazione eseguita presso il procuratore costituito per più parti, mediante consegna di una sola copia (o di un numero inferiore), è valida ed efficace sia nel processo ordinario che in quello tributario, in virtù della generale applicazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, alla luce del quale deve ritenersi che, non solo, in ordine alle notificazioni endoprocessuali, regolate dall'art. 170 c.p.c., ma anche per quelle disciplinate dall'art. 330 comma 1, c.p.c., il procuratore costituito non è un mero consegnatario dell'atto di impugnazione, ma ne è il destinatario. (massima ufficiale)


 


Fatto

Con atto di citazione, notificato in data 27.2.2004, *** vedova di *, *, quali eredi di Ap.An., D.C.G., D.C.A. e D.C.F., quali eredi di *, convenivano in giudizio lo I.A.C.P., Istituto Autonomo Case Pololari, della Provincia di (*), per sentire: accertare il diritto degli attori alla cessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, unitamente alla previsione del vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio dell'area antistante il lotto n. (*); per l'effetto, emettere sentenza ex art. 2932 c.c., avente efficacia traslativa tra le parti degli immobili riscattati, unitamente all'area di parcheggio regolarmente accatastata presso l'UTE di Foggia; ordinare al Conservatore dei RR.II. di Foggia di procedere alla relativa trascrizione, con esonero da ogni responsabilità; dichiarare la responsabilità dell'Istituto convenuto per il grave ritardo accumulato nella gestione del procedimento di cessione in proprietà delle abitazioni e condannarlo al risarcimento dei danni; condannare il convenuto al pagamento delle spese di lite.

Espletata C.T.U., con sentenza n. 437/2009, depositata in data 10.3.2009, il Tribunale di Foggia accertava il diritto degli attori alla cessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, unitamente alla previsione del vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio dell'area antistante il lotto n. (*); per l'effetto, emetteva sentenza ex art. 2932 c.c., avente efficacia traslativa tra le parti degli immobili riscattati, unitamente all'area di parcheggio regolarmente accatastata presso l'UTE di Foggia, subordinatamente al pagamento da parte dei rispettivi assegnatari allo I.A.C.P. di (*) delle somme dovute analiticamente indicate per ciascun assegnatario; condannava lo I.A.C.P. di (*) alla rimozione delle servitù di accesso create illegittimamente da parte degli assegnatari del lotto n. (*), sull'area antistante il lotto n. (*) (facente parte della part. n. (*) del Foglio (*) del Catasto Fabbricati del Comune di Foggia); dichiarava la responsabilità dell'Istituto convenuto per il grave ritardo accumulato nella gestione del procedimento di cessione in proprietà delle abitazioni e lo condannava a titolo di risarcimento dei danni al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 10.000,00; condannava l'Istituto al pagamento delle spese di giudizio; ordinava al Conservatore dei RR.II. di Foggia di procedere alla relativa trascrizione, con esonero da ogni responsabilità.

Contro tale sentenza proponeva appello lo I.A.C.P. di (*) chiedendo il rigetto delle domande con la condanna degli appellati al pagamento delle spese di lite. Si costituivano in giudizio gli appellanti chiedendo il rigetto dell'appello. Con comparsa di costituzione depositata in data 12.12.2014 si costituiva in giudizio l'ARCA CAPITANATA-Agenzia Regionale per la Casa e l'Abitare (già I.A.C.P. di (*)).

Con sentenza n. 1198/2015, depositata in data 25.8.2015, la Corte d'Appello di Bari accoglieva il quarto motivo d'appello e per l'effetto, in modifica parziale della sentenza appellata, rigettava la domanda di risarcimento dei danni, confermando per il resto la sentenza appellata; condannava l'ARCA CAPITANATA al pagamento dei due terzi delle spese del grado d'appello dichiarando compensato il restante terzo. In particolare, la Corte di merito riteneva che gli appellati non avessero chiesto il trasferimento in proprietà del posto auto, bensì il vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio (quindi il diritto reale di uso a parcheggio) e che il Tribunale avesse attuato quanto previsto dalla normativa in materia di parcheggi/posti auto asserviti alle abitazioni. Nella fattispecie, era stato eseguito il frazionamento di n. 18 posti auto, pari al numero degli alloggi del lotto n. (*). Inoltre la Corte territoriale osservava che lo I.A.C.P. era tenuto a trasferire il diritto reale di uso libero da servitù, pesi e vincoli e che il CTU aveva accertato che i proprietari del lotto (*) avevano realizzato delle aperture abusive al fine di occupare illegittimamente le aree destinate a parcheggi.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l'ARCA CAPITANATA-Agenzia Regionale per la Casa e l'Abitare, sulla base di cinque motivi; resistono A.G., P.G., B.P. e D.C.G. con controricorso e spiegando ricorso incidentale sulla base di un motivo; la ricorrente principale ha, a sua volta, resistito al ricorso incidentale. I controricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

 

Motivi

1. - Preliminarmente va rigettata la censura, dedotta dai controricorrenti, di inammissibilità del ricorso per irregolare instaurazione del rapporto processuale, in quanto la notifica del ricorso per cassazione si sarebbe dovuta effettuare nei confronti di tutte le parti costituite in appello con un unico difensore mediante consegna di una copia a ciascuna delle parti.

E' principio consolidato che la notificazione dell'atto d'impugnazione eseguita presso il procuratore costituito per più parti, mediante consegna di una sola copia (o di un numero inferiore), è valida ed efficace nel processo ordinario, in virtù della generale applicazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, alla luce del quale deve ritenersi che non solo in ordine alle notificazioni endoprocessuali, regolate dall'art. 170 c.p.c., ma anche per quelle disciplinate dall'art. 330 c.p.c., comma 1, il procuratore costituito non è un mero consegnatario dell'atto di impugnazione ma ne è il destinatario (Cass. sez. un. 29290 del 2008; conf. Cass. n. 18034 del 2009; Cass. n. 6051 del 2010).

2. - Con il primo motivo del ricorso principale, la ricorrente lamenta la "Omessa motivazione; violazione e falsa applicazione dell'art. 113 c.p.c.; violazione e falsa applicazione della L. n. 1150 del 1942", in quanto la Corte distrettuale ha erroneamente ritenuto che gli attori non avessero chiesto il trasferimento in proprietà del posto auto, ma il vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio dell'area antistante il lotto n. (*); e che il Tribunale avesse attuato quanto previsto dalla normativa in materia di parcheggi e/o posti auto asserviti agli alloggi, operando il trasferimento del diritto reale di uso a parcheggio. Osserva infatti l'ARCA (ex I.A.C.P.) che gli attori avevano chiesto espressamente e più volte, oltre al riconoscimento di un vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio dell'area in questione, che la stessa fosse trasferita loro in proprietà. E che, solo nel corso del giudizio, avvedutisi dell'infondatezza della domanda, avevano fatto riferimento, in maniera confusa e altalenante, al riconoscimento di un diritto reale di uso. Il Tribunale, di conseguenza, aveva trasferito la proprietà dei posti auto in oggetto. Tale vizio aveva comportato l'illegittima condanna alle spese dell'Istituto, che invece non si era mai opposto all'imposizione del vincolo di destinazione e al riconoscimento del diritto reale di uso delle aree pertinenziali al lotto n. (*).

2.1. - Il motivo non è fondato.

2.2. - In materia di procedimento civile, l'applicazione del principio iura novit curia, di cui all'art. 113 c.p.c., comma 1, importa la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonchè all'azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, potendo porre a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (Cass. n. 8645 del 2018; conf. Cass. n. 30607 del 2018).

Facendo corretta applicazione di siffatti principi, la Corte distrettuale ha esplicitamente rilevato come gli attori non avessero richiesto il trasferimento del posto auto, bensì appunto il vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio dell'area antistante il lotto n. (*). Laddove lo stesso Tribunale aveva attuato quanto previsto dalla normativa in materia di parcheggi e/o posti auto asserviti alle abitazioni (ai sensi della L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies) operando il "trasferimento del diritto reale d'uso" a parcheggio di quell'area su cui era già stato eseguito, come accertato dal CTU, il frazionamento di 18 posti auto, pari al numero degli alloggi che costituiscono il lotto (*).

Peraltro, va posto in rilievo che nell'esercizio dell'attività ermeneutica sottesa alla applicazione del principio iura novit curia (che nella specie risulta adeguatamente esercitata, in piena coerenza con la individuazione della natura dell'azione, come desunta dal contenuto della pronuncia di primo grado e al decisum della stessa) il giudice non è vincolato dalle indicazioni delle parti, ed ha il potere-dovere di autonoma individuazione delle norme applicabili (Cass. n. 18681 del 2005). Sicchè, l'interpretazione della domanda giudiziale costituisce operazione riservata al giudice del merito (Cass. sez. un. 4617 del 2011), il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità, quando (come nella specie) sia motivato in maniera congrua e coerente avuto riguardo all'intero contesto dell'atto e senza che ne risulti alterato il senso letterale (Cass. n. 22893 del 2008).

3. - Con il secondo motivo del ricorso principale, la ricorrente deduce la "Nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4; violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c.", per avere la Corte d'Appello omesso di pronunciarsi sul secondo motivo di appello, con il quale era stata censurata la contraddittorietà della motivazione della sentenza di primo grado, la quale aveva inizialmente affermato che gli attori avessero rivendicato il trasferimento dell'alloggio assegnato unitamente alle aree di pertinenza e che, invece, a ogni assegnatario andava riconosciuto il diritto reale di uso per parcheggiare, mentre successivamente aveva disposto il trasferimento ex art. 2932 c.c., della proprietà dei posti auto, richiamando la CTU, dalla quale sarebbe emerso come gli attori avessero già pagato l'intero suolo, per cui a loro doveva essere trasferito l'alloggio riscattato assieme all'area di pertinenza antistante il lotto (*). Inoltre, per i ricorrenti, nel rigettare il secondo motivo d'appello, la Corte territoriale ha ritenuto erroneamente che il frazionamento dell'area avesse creato posti auto in numero pari agli alloggi (24), come risultante dalla documentazione allegata alla relazione di CTU, mentre l'area pertinenziale al fabbricato era stata frazionata dagli attori, (non dal proprietario dell'area che non aveva neppure dato l'autorizzazione), i quali ne hanno ricavato 18 posti auto.

3.1. - Il motivo non è fondato.

3.2. - Quanto alla formulata censura di nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), va rilevato che la ricorrente muove le proprie doglianze sull'assunto della erroneità della interpretazione della sentenza di primo grado da parte della Corte di merito; erroneità che è stata smentita dalla motivazione posta a sostegno della infondatezza delle doglianze poste a base del precedente motivo. Nella specie, dunque, l'asserito vizio di nullità per omessa pronuncia non si configura, proprio in ragione del fatto che la Corte di merito ha analiticamente motivato in merito alla interpretazione della sentenza di primo grado.

3.3. - Quanto, poi, alla censura di violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., in parte anch'essa oggetto del precedente primo motivo, questa Corte (Cass. n. 8645 del 2018, cit.) ha rilevato che il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato riguarda il petitum, che va determinato con riferimento a quello che viene domandato sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l'attore intende conseguire, ed alle eccezioni che in proposito siano state sollevate dal convenuto (Cass. n. 6757 del 2011); nondimeno il limite che ne discende per il giudice, che non può perciò andare ultra petita et alligata partium, non è disgiungibile dal dovere che compete ad esso di decidere la domanda, in applicazione del principio iura novit curia (Cass. n. 25410 del 2010), di talchè, fermo il vincolo della domanda come delle eccezioni, che gli preclude di mutare i fatti costitutivi della pretesa così come i fatti estintivi di essa, il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato "non osta a che il giudice (come nella specie) renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti" (Cass. n. 2209 del 2016), nè alla facoltà che cil giudice pur sempre compete di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonchè all'azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (Cass. n. 12943 del 2012).

3.4. - Quanto, infine, alla censurata erroneità della affermazione della Corte di merito in ordine al fatto che il frazionamento dell'area avesse creato posti auto in numero pari agli alloggi (a prescindere dalla carenza di autosufficienza di tale profilo, derivante dalla mancata esauriente riproduzione nel ricorso delle evocate considerazioni del CTU, cui la ricorrente ha fatto specifico riferimento) vale richiamare il costante principio per il quale, in generale, l'apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016).

Ne consegue che anche tale accertamento è censurabile in sede di legittimità unicamente nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l'iter logico seguito dal giudice per attribuire all'atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006).

4. - Con il terzo motivo, la ricorrente principale deduce la "Nullità della sentenza; violazione e falsa applicazione dell'art. 113 c.p.c.", là dove la Corte di merito (rigettando il terzo motivo d'appello) ha disposto il trasferimento delle aree libere da servitù, pesi e vincoli, nonostante la tardività della domanda attorea sul punto, basandosi sempre sull'errata interpretazione della sentenza di primo grado.

4.1. - Il motivo è inammissibile.

4.2. - Ai sensi dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata. E, seppure l'indicazione dei motivi non necessita dell'impiego di formule particolari, essa tuttavia deve essere proposta in modo specifico, vista la sua funzione di determinare e limitare l'oggetto del giudizio della Corte (Cass. n. 10914 del 2015; Cass. n. 3887 del 2014). Ciò richiede che i motivi posti a fondamento dell'invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa (Cass. n. 14784 del 2015; Cass. n. 13377 del 2015). E comporta l'esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle singole dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 23804 del 2016; Cass. n. 22254 del 2015).

Così come formulato, il motivo è, dunque, generico.

5. - Con il quarto motivo, la ricorrente principale lamenta la "Nullità della sentenza; violazione dell'art. 112 c.p.c.", in quanto la Corte distrettuale non si sarebbe pronunciata sulla domanda di restituzione delle somme versate dallo I.A.C.P. agli attori in esecuzione della sentenza di primo grado, all'esito del rigetto dell'inibitoria.

5.1. - Il motivo è inammissibile.

5.1. - La ricorrente si è limitata a formulare la richiesta di restituzione della relativa somma versata agli attori, nella misura di Euro 21.972,00, deducendo che detta istanza fosse stata ritualmente formulata alla udienza del 20/03/2015 e reiterata nella comparsa conclusionale.

Orbene, dallo "Svolgimento del processo" della sentenza impugnata (pag. 3) si evince esclusivamente che con ordinanza del 2/10/2009 la Corte di appello aveva rigettato l'istanza di sospensione della esecutività della sentenza appellata. Oltre a questo, non risulta alcun altro elemento che consenta di ritenere tempestiva la proposizione in appello della domanda.

6. - Con il quinto motivo, la ricorrente principale censura la "Violazione degli artt. 113 e 91 c.p.c.", deducendo la illegittimità della condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite, in quanto lo IACP avrebbe sempre manifestato la disponibilità al riconoscimento del diritto reale di uso, opponendosi solo al trasferimento in proprietà dell'area.

6.1. - Il motivo è inammissibile.

6.2. - Premesso, in fatto, che la ricorrente principale è stata condannata al pagamento delle spese di lite in entrambi i gradi del processo (con compensazione tra le parti, nel giudizio di appello, di un terzo, in considerazione dell'accoglimento parziale dell'appello: pronuncia questa non oggetto di censura) va rilevato che, per costante orientamento di questa Corte, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di Cassazione è, pertanto, limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa (fenomeno che non si è verificato nel caso in esame), con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass. n. 19613 del 2017; conf. Cass. n. 22872 del 2018).

7. - I controricorrenti hanno proposto, a loro volta, appello incidentale sulla base di un motivo, con il quale deducono la "Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 (art. 1226 c.c.). Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) sul riconoscimento e sulla liquidazione del risarcimento del danno", in quanto la sentenza della Corte di appello si pone in contrasto con la pronuncia della Suprema Corte n. 15238 del 2008, richiamata dal Tribunale di Foggia, per cui il titolare di un diritto reale, che chieda il risarcimento del danno conseguente al mancato godimento del diritto, non deve provare il danno, essendo esso in re ipsa. Invero, il notevole ritardo nella stipula degli atti di trasferimento aveva comportato per gli inquilini del lotto (*) maggiori difficoltà nell'utilizzazione dell'area: a tale proposito la prova era stata fornita sia dagli accertamenti del CTU, sia dalle deduzioni circa l'apertura illegittima da parte degli inquilini del lotto (*), che avevano sempre preteso un passaggio sull'area antistante il lotto (*) e che le auto non dovessero essere parcheggiate davanti ai cancelli, realizzati abusivamente.

7.1. - Il motivo è fondato.

7.2. - Questa Corte ha affermato che il titolare di un diritto reale - il quale chieda il risarcimento conseguente al mancato godimento del diritto stesso - non è tenuto a provare il danno subito, poichè il medesimo è in re ipsa (Cass. sez. un. 15238 del 2008, con la quale, in fattispecie del tutto analoga, ha cassato la sentenza di merito che, avendo riconosciuto il diritto reale d'uso, in favore dei condomini, di alcune aree da destinare a parcheggio ai sensi della L. n. 1150 del 1942, art. 41-sexies, aveva respinto la domanda di risarcimento danni avanzata dai medesimi sul rilievo che essi non avevano provato l'impossibilità di parcheggiare le loro vetture nelle strade adiacenti al complesso condominiale).

Da tale pronuncia si trae il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui (così come nel caso di occupazione illegittima di immobile, ovvero di limitazione abusiva dell'esercizio del diritto di proprietà) il danno subito dal proprietario è in re ipsa, discendendo dalla mancata libera disponibilità del bene, e dalla impossibilità di conseguire integralmente l'utilità da esso ricavabile (ex plurimis, Cass. n. 21239 del 2018; Cass. n. 20545 del 2018; Cass. n. 12630 del 2019; Cass. n. 20708 del 2019).

8. - Il ricorso principale va dunque rigettato. Viceversa va accolto il ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d'Appello di Bari, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, riguardo della ricorrente principale.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale. Accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Bari, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020.