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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24489 - pubb. 11/11/2020.

Non è soggetto a fallimento l’ente associativo dedito esclusivamente alla formazione professionale gratuita


Cassazione civile, sez. I, 21 Ottobre 2020. Pres. Genovese. Est. Campese.

Fallimento – Ente associativo dedito esclusivamente all'attività di formazione professionale sulla base di progetti predisposti dalla regione – Gratuità – Remunerazione dei fattori di produzione con ricavi – Esclusione


L'ente associativo dedito esclusivamente all'attività di formazione professionale sulla base di progetti predisposti dalla regione, dalla quale, poi, riceva i contributi per la copertura integrale del relativo svolgimento e dei costi riguardanti la propria organizzazione, non è assoggettabile a fallimento, atteso che la gratuità di una simile attività, concretamente assicurata con l'erogazione di contributi predetti, esclude che l'ente medesimo svolga un'attività che remuneri (almeno parzialmente) i fattori di produzione con i propri ricavi. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

 

Fatto

1. S.R., in proprio e quale legale rappresentante dell'Associazione (*), d'ora in avanti, indicata, per brevità, anche solo come (*)), ha proposto ricorso per cassazione, con due motivi, avverso la sentenza resa dalla Corte di appello di Palermo il 13 gennaio 2016, n. 13, reiettiva del reclamo dal primo promosso, in proprio e nella indicata qualità, contro la dichiarazione di fallimento della suddetta associazione e sua personale pronunciata dal tribunale di quella stessa città, il 22 gennaio 2015, su istanza di L.B.S., La.Ba.Ca. e Si.Ma.Ri.. Ha resistito, con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., la curatela fallimentare, mentre non hanno svolto difese, in questa sede, i predetti creditori.

1.1. Per quanto qui ancora di residuo interesse, la corte palermitana, nel disattendere le corrispondenti doglianze ivi formulate dal reclamante, ha opinato che: i) lo status di imprenditore commerciale è attribuibile anche agli enti di tipo associativo svolgenti, in concreto, esclusivamente o prevalentemente, attività di impresa commerciale; ii) per la qualifica di "imprenditore commerciale", ciò che rileva, accanto all'autonomia gestionale, finanziaria e contabile, è il perseguimento di un cd. lucro oggettivo, ossia il rispetto del criterio di economicità della gestione quale tendenziale proporzionalità dei costi e dei ricavi, in quanto questi ultimi tendano a coprire i primi (almeno nel medio lungo periodo). La nozione di imprenditore ai sensi dell'art. 2082 c.c., va, dunque, intesa in senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere imprenditoriale dell'attività economica organizzata che sia ricollegabile ad un dato obbiettivo inerente all'attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro, il quale riguarda il movente soggettivo che induce l'imprenditore ad esercitare la sua attività. Persino il fine altruistico, infatti, non pregiudica il carattere imprenditoriale dei servizi resi qualora questi vengano organizzati in modo che i compensi percepiti siano adeguati ai relativi costi; iii) nella specie, quindi, è irrilevante la gratuità del servizio reso ai partecipanti ai corsi di formazione, essendo, comunque, l'attività svolta dall'(*) finanziata dalla Regione Sicilia con erogazione che prevedono la copertura di tutti i costi, compresa la retribuzione del legale rappresentante dell'associazione, così da escludere alcuna forma di liberalità di quest'ultima; iv) l'art. 13 dello Statuto dell'associazione prevede che la stessa provvede al raggiungimento delle sue finalità anche attraverso "proventi di manifestazioni e di gestioni accessorie"; v) le disposizioni in materia fiscale non possono avere una valenza generale nell'ambito civilistico ai fini della qualificazione dell'attività svolta dagli enti (avuto riguardo alla specificità delle ragioni di politica fiscale che le ispirano), ed altrettanto è a dirsi per la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato; vi) l'estensione del fallimento dell'associazione al suo legale rappresentante trova causa nell'art. 38 c.c., a tenore del quale, per evidenti ragioni di tutela dei terzi, delle obbligazione della prima rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto della stessa; vii) la dichiarazione di fallimento del legale rappresentante dell'associazione non necessita di apposita domanda, bastando quella avanzata dai creditori contro quest'ultima.

2. Con ordinanza interlocutoria del 4/29 ottobre 2019, n. 27688, la Prima sezione civile di questa Corte ha rinviato la causa a nuovo ruolo, disponendone la trattazione in pubblica udienza, investendo i formulati motivi, da un lato, la peculiare disciplina della formazione professionale dettata dalle L.R. Sicilia n. 24 del 1976 e le relative conseguenze quanto alla possibilità di considerare l'associazione odierna ricorrente come fallibile; dall'altro, il tema - su cui non si rinvengono recenti e specifici precedenti - della dichiarazione di fallimento del legale rappresentante di un'associazione non riconosciuta unitamente a quella di quest'ultima. La sola parte controricorrente, infine, ha depositato ulteriore memoria ex art. 378 c.p.c..

 

Motivi

1. Le formulate censure prospettano, rispettivamente:

I) "Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), con riferimento del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 1 e art. 2082 c.c.. Il tutto in rapporto alla L.R. Sicilia 6 marzo 1976, n. 24 (artt. 4 e 9), ed alla L. 21 dicembre 1978, n. 845; D.P.R. n. 917 del 1986, art. 73, lett. c) - Testo Unico delle Imposte sui Redditi (come modificato dal D.Lgs. n. 334 del 2003, art. 143); alla Decisione della Commissione Europea 2 marzo 2005, n. 2006/225/CE". Si assume, in estrema sintesi, che la corte distrettuale, come precedentemente il tribunale, si era riportata a quell'orientamento secondo cui la natura imprenditoriale è riscontrabile ogni qualvolta la struttura organizzativa dell'ente tenda a realizzare un equilibrio tra costi e ricavi, pur senza perseguire come obbiettivo il sopravanzo degli stessi ricavi ma, unicamente, la parità di bilancio. Questa posizione, aprioristicamente assunta, aveva, però, del tutto trascurato le esposte peculiarità dell'attività di formazione svolta da (*), date, per ciò che qui rileva, dallo stretto collegamento tra detta attività e le risorse pubbliche che ne costituiscono la sua unica fonte di sostentamento. L'ente di formazione, invero, non costituisce uno strumento di remunerazione del capitale, neppure in termini di semplice copertura dei costi, esaurendosi la sua attività (disciplinata, in ambito regionale, dalla L.R. Sicilia n. 24 del 1976 e successive modificazioni ed integrazioni) nella formazione sotto l'egida della Regione Sicilia che si avvale di fondi propri e di quelli Europei, sicchè il rapporto tra Amministrazione pubblica e soggetto gestore dell'attività formativa finisce con il rivestire una natura eminentemente pubblicistica, regolamentata da procedure amministrative. Inoltre, il carattere gratuito di tale attività formativa, specificamente sancito dalla L.R. Sicilia n. 24 del 1976, art. 9, induce a qualificare come essenzialmente ed oggettivamente gratuita l'attività svolta dall'associazione odierna ricorrente, senza che l'erogazione di contributi regionali valga ad imprimere a detta attività una obbiettiva ed intrinseca capacità di conseguire la remunerazione dei fattori produttivi: un siffatto contributo, invero, è un fattore del tutto estrinseco all'organizzazione dell'attività dell'associazione, mancando, così, in radice la potenziale capacità di produrre reddito. Si assume, infine, che, se una finzione di imprenditorialità può essere (per quanto una stortura) data con riguardo al profilo fiscale, non convince l'affermazione della corte siciliana che pure il punto di vista della Commissione Europea - secondo cui la formazione professionale non redditizia, finanziata con risorse pubbliche, esercitata da organizzazioni non aventi scopo di lucro e fornita nell'ambito del sistema di istruzione e formazione professionale pubblica, non può considerarsi attività commerciale, con conseguente inapplicabilità ad essa delle regole comunitarie sulla concorrenza e sul mercato interno - sarebbe dettato da un profilo limitato alla concorrenza ed al mercato, atteso che "..se si afferma il principio che un'attività non è imprenditoriale e che questa è l'unica ragione che le consente di godere degli aiuti di Stato e di regione, non si può in altro ambito, all'interno del medesimo sistema giuridico, affermare un principio diverso e diametralmente opposto...";

II) "Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), con riferimento del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 1, artt. 2082 e 38 c.c.. Il tutto in rapporto all'art. 147 del citato R.D.; art. 14 preleggi e, sotto altro profilo, all'art. 6 dello stesso R.D.". Si criticano le affermazioni poste dalla corte palermitana a fondamento dell'avvenuta conferma della estensione del fallimento dell'associazione non riconosciuta (*) al suo legale rappresentante, S.R., argomentandosi in ordine alla inutilizzabilità, nella specie, della L. Fall., art. 147 e si ribadisce l'assenza di specifica domanda in proposito ad opera dei creditori istanti L. Fall., ex art. 6.

2. Il primo motivo è fondato alla stregua delle considerazioni di cui appresso.

2.1. La L. Fall., art. 1, comma 1, dispone che "sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici" ed in tal modo stabilisce i requisiti per l'acquisto della qualità di imprenditore mediante rinvio all'art. 2082 c.c., il quale non include tra essi lo "scopo di lucro". Nondimeno, in fatto, la realizzazione di un tornaconto personale costituisce la ragione che, di regola, induce un soggetto a svolgere una determinata attività e, nel vigore del codice di commercio, era dominante l'idea che lo scopo di guadagno, inteso in senso soggettivo, costituisse requisito essenziale per l'acquisto della qualità di imprenditore.

2.2. Questa concezione è oggi divenuta insostenibile, poichè di tale movente soggettivo l'art. 2082 c.c., non fa menzione, in coerenza con la finalità della disciplina dell'impresa, volta anche a tutelare i terzi che entrano in contatto con l'imprenditore e che, come precisato in dottrina, "deve fondarsi su dati esteriori ed oggettivi", non potendo essere fatta "dipendere dal movente e dalle varie intenzioni di chi opera sul mercato". Dunque, nell'impresa, "per la sua natura di attività, gli elementi teleologici possono assumere rilievo solo sul piano oggettivo, in quanto si obiettivizzano nel modo di svolgimento della medesima attività" (cfr. Cass. n. 4558 del 1979). La carenza, nell'art. 2082 c.c., di ogni riferimento al lucro soggettivo, e la sua giuridica irrilevanza al fine che qui interessa, corrispondono, peraltro, al consolidatosi orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr., ex aliis, Cass. n. 16612 del 2008; Cass. n. 20815 del 2006; Cass. n. 97 del 2001).

2.3. La riportata conclusione, del resto, fa i conti con la constatazione che l'articolo predetto definisce imprenditore chi esercita "professionalmente un'attività economica". La professionalità, espressiva del carattere della sistematicità e continuità nello svolgimento dell'attività, in thesi, è compatibile con la gratuità della stessa. Diversamente, invece, la prescrizione che essa sia anche "economica" non può costituire mera reiterazione di un requisito che la norma già stabilisce, quando dispone che l'attività deve avere ad oggetto la produzione o lo scambio di beni e servizi. Il significato (e l'importanza dell'aggettivo) è stato, quindi, identificato nell'intento di stabilire che l'attività deve essere caratterizzata dal criterio di economicità, nel senso che essa va svolta con modalità tali da soddisfare l'esigenza che sia astrattamente idonea a coprire i costi di produzione, alimentandosi con i suoi stessi ricavi, senza comportare erogazioni a fondo perduto.

2.3.1. Proprio questa la concezione assurta a diritto vivente nella giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, come si è detto, "il requisito dello scopo di lucro assume rilievo meramente oggettivo ed è quindi collegato alle modalità dello svolgimento dell'attività" (cfr. Cass. n. 20815 del 2006), "ad un dato obiettivo inerente all'attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi", che va escluso solo qualora l'attività "sia svolta in modo del tutto gratuito, dato che non può essere considerata imprenditoriale l'erogazione gratuita dei beni o servizi prodotti" (cfr. Cass. n. 16612 del 2008; Cass. n. 16435 del 2003; Cass., SU, n. 3353 del 1994), sicchè l'intento di lucro, così come ogni altra soggettiva previsione od aspettativa dell'agente, degrada a semplice motivo giuridicamente irrilevante. Tale ultimo profilo è stato approfondito soprattutto dalla dottrina, che ha posto in luce come l'eliminazione del requisito dello scopo di lucro segni un elemento di discontinuità anche ideologica rispetto al codice di commercio, essendo state ricondotte alla fattispecie generale l'impresa pubblica, l'impresa mutualistica e l'impresa sociale. Il codice civile enuncia, infatti, una nozione unitaria di impresa, comprensiva di quella privata e di quella pubblica (art. 2093 c.c.), e per quest'ultima è appunto richiesta esclusivamente l'osservanza del criterio di economicità della gestione, intesa quale remunerazione dei fattori produttivi impiegati, nell'osservanza di una generale regola di condotta per l'intervento imprenditoriale dei pubblici poteri.

2.3.2. La sufficienza di tale criterio per l'acquisto della qualità di imprenditore è, inoltre, univocamente desumibile proprio dall'assoggettamento al fallimento delle società cooperative stabilita dal codice civile prima della riforma del 2003 (art. 2540 c.c.) e successivamente (art. 2545 terdecies c.c.). Anche senza approfondire il complesso tema dell'identificazione dello scopo mutualistico, questa previsione è, infatti, dirimente nel senso che, per la ricorrenza dell'attività d'impresa, è sufficiente lo svolgimento della stessa secondo un criterio di economicità, pacificamente richiesto anche per le società cooperative.

2.3.3. Infine, lo scopo lucrativo soggettivo neppure è richiesto dalla disciplina dell'impresa sociale (D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155, oggi abrogato e sostituito dal D.Lgs. n. 112 del 2017).

2.4. L'identificazione quale requisito essenziale dell'attività d'impresa dell'economicità della gestione, in luogo dello scopo di lucro soggettivo, permette, inoltre, di riconoscere lo status di imprenditore a tutti gli enti di tipo associativo che in concreto svolgono, esclusivamente o prevalentemente, attività di impresa commerciale (cfr. Cass. n. 8374 del 2000), anche a quelli del libro I del codice civile, una volta che l'attività svolta è stata svincolata dallo schema giuridico adottato. Conseguentemente, per la consolidata giurisprudenza di legittimità, ai fini dell'applicabilità dello statuto di imprenditore commerciale, rileva "soltanto che l'ente abbia svolto un'attività da imprenditore commerciale, e che l'esercizio di questa impresa esaurisca l'attività dell'ente, ovvero risulti prevalente rispetto ad altre attività, sì da costituire l'oggetto esclusivo o principale dell'associazione; ciò, anche quando l'associazione abbia soltanto scopi altruistici, o l'attività di impresa realizzi in via diretta gli scopi istituzionali dell'ente e sia, perciò, finalizzata al raggiungimento di scopi altruistici" (cfr. Cass. n. 9589 del 1993).

2.5. Alla stregua di quanto si è fin qui detto, dunque, sono assolutamente corrette le affermazioni generali contenute nella sentenza impugnata in ordine: i) alla possibilità di attribuire lo status di imprenditore commerciale anche agli enti di tipo associativo svolgenti, in concreto, esclusivamente o prevalentemente, attività di impresa commerciale; ii) al rilievo che, per la qualifica di "imprenditore commerciale", assume, accanto all'autonomia gestionale, finanziaria e contabile, il perseguimento di un cd. lucro oggettivo, ossia il rispetto del criterio di economicità della gestione quale tendenziale proporzionalità dei costi e dei ricavi, in quanto questi ultimi tendano a coprire i primi (almeno nel medio lungo periodo), rimanendo, invece, giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro, il quale riguarda il movente soggettivo che induce l'imprenditore ad esercitare la sua attività (cfr., ex aliis, Cass. n. 15028 del 2014, in motivazione; Cass. n. 6835 del 2014; Cass. n. 16612 del 2008. Circa la nozione di lucro cd. oggettivo, si vedano anche, in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 14250 del 2016, nonchè la più recente Cass. n. 42 del 2018, secondo cui, per la integrazione del fine di lucro "può essere sufficiente l'idoneità almeno tendenziale dei ricavi a perseguire il pareggio di bilancio"); iii) al fatto che persino il fine altruistico non pregiudica il carattere imprenditoriale dei servizi resi qualora questi vengano organizzati in modo che i compensi percepiti siano adeguati ai relativi costi.

2.6. Fermo quanto precede, occorre, però, valutare le obbiettive peculiarità dell'attività concretamente svolta dalla associazione odierna ricorrente, ed a tal fine deve necessariamente muoversi dall'esame della disciplina di cui alla L.R. Sicilia 6 marzo 1976, n. 24, in tema di "Addestramento professionale dei lavoratori".

2.6.1. Detta legge infatti, dopo aver premesso che l'Assessorato regionale del lavoro e della cooperazione promuove, programma, dirige e coordina le iniziative di formazione professionale e che l'azione formativa, nel rispetto delle linee programmatiche generali, è diretta a realizzare "un servizio pubblico" (art. 1), dispone, in particolare, che:

i) "per conseguire le finalità di cui all'art. 1, l'Assessorato regionale del lavoro e della cooperazione provvede: a) ad esercitare l'azione di coordinamento fra strutture formative, forze produttive, forze sociali ed amministrative pubbliche interessate; b) a curare studi e ricerche ed a raccogliere documentazioni ed informazioni in materia di formazione professionale, avvalendosi anche delle strutture pubbliche nazionali di formazione professionale, in funzione della programmazione regionale e di settore; c) alla concessione di contributi e sovvenzioni in favore di enti che si prefiggono finalità di formazione professionale, secondo le norme della presente legge; d) alla promozione ed all'istituzione di centri, corsi ed altre iniziative in materia, secondo le norme della presente legge; e) al riconoscimento della idoneità tecnico - didattica di centri ed enti che svolgono attività di formazione professionale, al fine della validità dell'attestato da essi rilasciato; f) alla vigilanza tecnico - didattica ed amministrativa - contabile sulle attività di formazione professionale" (art. 2, lett. ci);

ii) il suindicato Assessorato "attua" i corsi e le altre iniziative formative avvalendosi - fra l'altro - degli enti giuridicamente riconosciuti o di fatto che abbiano per fine, senza scopo di lucro, la formazione professionale (art. 4);

iii) l'Assessorato regionale procede ogni anno all'elaborazione del piano regionale per la formazione professionale (art. 5) e che i corsi si svolgono normalmente presso centri di formazione intesi come complesso di locali ed attrezzature stabilmente ed esclusivamente destinati allo svolgimento di attività formative (art. 7);

iv) l'organizzazione ed il funzionamento dei centri sono disciplinati da un regolamento interno elaborato da un'apposita Commissione regionale (art. 8);

v) l'attività di formazione è gratuita (art. 9);

vi) lo stesso Assessorato definisce gli ordinamenti didattici, le condizioni di ammissione ai corsi, la durata complessiva dei cicli formativi e dei singoli corsi, del numero giornaliero e settimanale delle ore di insegnamento nonchè di ripartizione delle ore di insegnamento teorico ed esercitazioni pratiche (art. 11);

vii) il personale preposto alle attività formative deve essere in possesso di adeguati requisiti professionali ed iscritto nel relativo albo regionale (artt. 13 e 14);

viii) al termine del ciclo formativo si svolgeranno prove finali teoriche-pratiche alle quali sovraintende una Commissione nominata dal medesimo Assessorato (art. 12);

ix) per constatate carenze tecnico didattiche, ovvero per gravi irregolarità amministrative, l'Assessore regionale procede alla sospensione dell'attività e può anche revocare il contributo concesso o il riconoscimento di idoneità conferito (art. 10);

x) per l'espletamento delle funzioni di controllo e vigilanza, in particolare sulla gestione amministrativa, tecnica e finanziaria delle attività di addestramento professionale dei lavoratori, l'Assessorato regionale può avvalersi anche degli uffici periferici del lavoro (artt. 19 e 20).

2.6.2. Dal complesso quadro normativo riportato si ricava, agevolmente, che, come già chiarito da Cass., SU, n. 2668 del 1993 (resa, sebbene in tema di responsabilità contabile, nei confronti di altro ente siciliano - il Centro Regionale Siciliano Radio e Telecomunicazioni - gestore di corsi di formazione professionale finanziati dalla Regione siciliana ai sensi della L. n. 24 del 1976), "..la Regione Sicilia non si limita a fissare direttive di ordine generale ed a fornire incentivi economici, ma affida, oltre che agli Enti locali, ad enti anche privati, non aventi scopo di lucro, l'espletamento di un'attività strutturata per legge come servizio pubblico e dettagliatamente programmata, diretta e controllata dalla stessa Regione in conformità del relativo piano annuale ed al fine di realizzare quelle esigenze pubbliche dalla medesima legge perseguite...". L'ente privato, pertanto, hanno proseguito in quella occasione le Sezioni Unite - "...svolge la predetta attività di formazione professionale per conto ed in sostituzione dell'Amministrazione regionale in attuazione del piano all'uopo predisposto e nel rispetto di regole inderogabili che privano sostanzialmente l'ente affidatario di ogni potere di diretta iniziativa e di apprezzabili scelte discrezionali nell'organizzazione e nel funzionamento dei corsi. Il che è dimostrato in particolare: 1) dalla rigorosa regolamentazione, da parte dell'Assessorato, degli ordinamenti didattici, delle condizioni di ammissione ai corsi, della durata degli stessi, della disciplina minuziosa delle ore di insegnamento e della decisiva incidenza sulla scelta del personale docente attraverso l'apposito albo regionale; 2) dai diretti e penetranti controlli sia sul piano amministrativo contabile che su quello tecnico didattico con possibilità di adottare anche misure sanzionatorie...".

2.6.2.1. In definitiva, secondo la suddetta pronuncia, "...l'ente ricorrente, lungi dall'essere semplice beneficiario di contributi pubblici in relazione all'attività svolta, opera come struttura inserita nell'apparato organizzatorio della Regione al fine di realizzare il servizio pubblico così come pianificato e regolato dalla medesima Regione...", e, pertanto, "sussistono (..) tutte le condizioni per ritenere l'instaurazione di un rapporto di servizio" tra l'ente e la Regione stessa, configurandosi un siffatto rapporto allorquando "...un soggetto venga comunque investito dello svolgimento in modo continuativo di una determinata attività in favore della Pubblica Amministrazione con inserimento in moduli organizzativi di essa e con assunzione di particolari vincoli ed obblighi diretti ad assicurare il buon andamento dell'attività affidata e la rispondenza di essa alle esigenze generali cui è preordinata (cfr. Cass. n. 5184-79; n. 6177-83; n. 6329-85; n. 2611-90)...".

2.6.2.2. Conclusione, questa, ivi definita "in linea con recenti pronunce di questa Corte (sent. n. 2611 e 2612 del 1990) ed in modo specifico con la sentenza n. 10963 del 1991 che ha risolto lo stesso problema di giurisdizione proprio con riguardo al medesimo Centro regionale Siciliano Radio e Telecomunicazioni".

2.7. Le riportate affermazioni, pienamente condivise da questo Collegio, si attagliano perfettamente anche all'odierna fattispecie, pacifico essendo che anche l'Associazione (*) è assoggettata alla descritta L.R. Sicilia n. 24 del 1976.

2.7.1. Conseguentemente, pure detta associazione svolge l'attività di formazione professionale per conto ed in sostituzione dell'Amministrazione regionale, in attuazione del piano all'uopo da quest'ultima predisposto e nel rispetto di regole inderogabili.

2.7.2. Inoltre, come affatto condivisibilmente osservato dal sostituto procuratore generale nella sua requisitoria scritta (cfr. pag. 4-5), il carattere gratuito dell'attività formativa dell'(*), specificamente sancito dalla L.R. Sicilia n. 24 del 1976, art. 9 e l'erogazione gratuita dei servizi di formazione escludono il carattere imprenditoriale dell'attività svolta dall'associazione, "...in quanto la gratuità incide, negandola in radice, sulla capacità di produrre ricavi tali da remunerare i fattori produttivi. Tanto più che, nel caso di specie, la gratuità dei servizi di formazione erogati dall'associazione non ha carattere eventuale, ma necessario ed imprescindibile, in quanto imposta dal legislatore regionale. Nè può ritenersi che l'erogazione dei contributi regionali necessari per l'erogazione dei servizi di formazione e la remunerazione del personale (erogazioni che prevedono la copertura di tutti i costi, pag. 6 della sentenza) imprima all'associazione un'obiettiva ed intrinseca capacità di conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, essendo un fattore del tutto estrinseco rispetto all'organizzazione ed all'attività dell'ente...". Pertanto, si legge ancora nella menzionata requisitoria, "...il richiamo della corte d'appello ai principi affermati da Cass. 6835/2014 non appare quindi centrato, in quanto, se è pur vero che è sufficiente il perseguimento del cd. lucro oggettivo inteso come "rispetto della economicità della gestione, quale tendenziale proporzionalità di costi e ricavi, in quanto questi ultimi tendano a coprire i primi", nel caso di specie quel che rileva è l'assoluta mancanza di ricavi propri dell'attività a fronte dei servizi resi...".

2.7.3. Nè può assumere alcuna rilevanza il fatto che l'art. 13 dello Statuto dell'associazione preveda che la stessa provvede al raggiungimento delle sue finalità anche attraverso "proventi di manifestazioni e di gestioni accessorie...", mai essendo stato specificamente dedotto, o provato, che, in concreto, l'(*) abbia svolto tali manifestazioni o gestioni accessorie ai servizi oppure ne abbia ricavato comunque proventi. Invero, non va dimenticato che, come si è già detto, le associazioni sono assoggettabili a fallimento soltanto quando svolgano in concreto attività imprenditoriale (cfr. Cass. n. 15428 del 2011).

2.7.4. Parimenti, condividendosi la corrispondente osservazione del sostituto procuratore generale (cfr. pag. 4-5 della sua requisitoria scritta), "...non appare conferente il richiamo, contenuto nella sentenza oggi impugnata, al fine altruistico, nel senso che esso che non pregiudicherebbe il carattere dell'imprenditorialità e quindi la fallibilità della (*). Il fine altruistico non pregiudica effettivamente il carattere dell'imprenditorialità dei servizi resi, perchè esso, inteso come destinazione dei proventi ad iniziative connesse con gli scopi istituzionali dell'ente rimane giuridicamente irrilevante al pari di qualsiasi movente soggettivo che induca l'imprenditore ad esercitare la sua attività (Cass. 24.03.2014 n. 6835; per medesime considerazioni Cass., sez. lav., 19 agosto 2011, n. 17399, sull'attività di gestione di una struttura alberghiera da parte di un ente religioso; Cass., sez. 3, 19 giugno 2008, n. 16612). Fine altruistico che risulta quindi giuridicamente irrilevante ai fini della decisione sull'obiettiva economicità dell'attività esercitata dall'(*), al pari dell'indagine sul perseguimento di uno scopo di lucro "soggettivo". In definitiva, deve ribadirsi che la gratuità "necessaria" del servizio di formazione, gratuità assicurata concretamente con l'erogazione di contributi che coprono totalmente tale servizio (oltre che tutti i costi inerenti l'organizzazione dell'ente), esclude che l'(*) svolga un'attività che remuneri (almeno parzialmente) i fattori di produzione con i propri ricavi..".

2.7.5. Alla stregua della riportate disposizioni di cui alla legge della Regione Sicilia 6 marzo 1976, n. 24, - che, sostanzialmente, privano la (*) di ogni potere di diretta iniziativa e di apprezzabili scelte discrezionali nell'organizzazione e nel funzionamento dei corsi - nonchè di quanto finora esposto, conseguentemente escludersi la possibilità di configurarla come imprenditore commerciale fallibile L. Fall., ex art. 1 e art. 2082 c.c..

2.8. La decisione impugnata non ha tenuto conto di tali descritte peculiarità, sicchè la dichiarazione di fallimento della (*) non poteva essere confermata.

2.8.1. Da tanto consegue, altresì, giusta quanto sancito dall'art. 336 c.p.c., comma 1, il venir meno della dichiarazione di fallimento, in proprio, del S., chiaramente pronunciata dal giudice di merito (sebbene invocando l'art. 38 c.c.) in dipendenza di quella della menzionata associazione. Trattasi, invero, di statuizioni tra loro collegate da un rapporto di dipendenza unidirezionale, trovando la dichiarazione di fallimento del S., nella indicata qualità, il suo presupposto nella dichiarazione di fallimento dell'associazione da lui rappresentata, la cui erroneità - per tutto quanto si è detto in precedenza - travolge anche la prima (mentre non sarebbe stato vero il contrario). Il secondo motivo dell'odierno ricorso, pertanto, deve considerarsi assorbito.

2.9. In definitiva, la sentenza impugnata deve essere cassata in applicazione del seguente principio di diritto:

"L'ente associativo dedito esclusivamente all'attività di formazione professionale sulla base di progetti predisposti dalla regione, dalla quale, poi, riceva i contributi per la copertura integrale del relativo svolgimento e dei costi riguardanti la propria organizzazione, non è assoggettabile a fallimento, atteso che la gratuità di una simile attività, concretamente assicurata con l'erogazione di contributi predetti, esclude che l'ente medesimo svolga un'attività che remuneri (almeno parzialmente) i fattori di produzione con i propri ricavi".

2.9.1. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, revocandosi, in accoglimento del corrispondente reclamo del S. in proprio e quale legale rappresentante dell'Associazione (*), il fallimento della menzionata associazione e del suo legale rappresentante.

2.10. Le spese dell'intero giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti, attesa la complessità e la parziale novità delle questioni affrontate.

 

P.Q.M.

La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarandone assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, in accoglimento del corrispondente reclamo del S. in proprio e quale legale rappresentante dell'Associazione (*), revoca il fallimento della menzionata associazione e del suo legale rappresentante.

Compensa integralmente tra le parti le spese dell'intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020.