Deontologia


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24350 - pubb. 14/10/2020

Sospensione cautelare obbligatoria dalle funzioni e dallo stipendio del magistrato per adozione di misura cautelare personale penale

Cassazione Sez. Un. Civili, 16 Luglio 2020, n. 15196. Pres. Camilla Di Iasi. Est. Giusti.


Sospensione cautelare obbligatoria da funzioni e stipendio - Revoca facoltativa - Ammissibilità - Presupposti - Fattispecie



Nel procedimento disciplinare riguardante i magistrati, la sospensione cautelare obbligatoria dalle funzioni e dallo stipendio per adozione di misura cautelare personale penale, prevista dall'art. 21 del d.lgs. n.109 del 2006, è soggetta a revoca facoltativa, non già obbligatoria, quando tale misura sia cessata per motivi diversi dalla mancanza dei gravi indizi di colpevolezza, nel qual caso l'esercizio del potere di revoca è identico a quello concernente la sospensione facoltativa, prevista dal successivo art.22, ovvero ha natura discrezionale.(In applicazione del principio, la S.C. ha confermato l'ordinanza della Sezione disciplinare del CSM che aveva rigettato l'istanza di revoca della sospensione cautelare, sul duplice rilievo che il processo penale si era concluso in primo grado con la condanna dell'incolpato per i gravi reati di cui agli artt.81, 317, 319, 378 e 629 c.p., e che tale condanna, mentre per un verso rafforzava le esigenze cautelari, per altro verso comportava, di per sé, grave menomazione del prestigio dell'ordine giudiziario, così legittimando la persistenza della misura). (massima ufficiale)


 


Fatto

1. - Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di *, con ordinanza del 13 giugno 2011, adottava la misura cautelare personale della custodia in carcere nei confronti del Dott. P.A., già sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di *, all'epoca in aspettativa per mandato parlamentare, sottoposto ad indagini preliminari in relazione ai delitti previsti e puniti dagli artt. 81,317,319,378 e 629 c.p..

Conseguentemente, con ordinanza n. 115/2011 del 16 luglio 2011, depositata il 25 luglio 2011, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura disponeva, ai sensi del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 21, la sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio nonchè il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura del Dott. P..

2. - Con istanza del 21 marzo 2019, il Dott. P. ha chiesto alla Sezione disciplinare di voler dichiarare l'inefficacia della sospensione cautelare per decorrenza del termine di cinque anni di durata massima della stessa.

3. - In esito alla Camera di consiglio del 20 giugno 2019, la Sezione disciplinare, con ordinanza depositata il 24 ottobre 2019, ha rigettato l'istanza.

3.1. - La Sezione disciplinare ha rilevato che la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 109 del 2006, artt. 21,22 e 23, assicura che la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, pur quando applicata in via automatica, sia mantenuta solo fin quando permangano i presupposti della sospensione facoltativa, ossia un fumus di fondatezza in ordine a fatti astrattamente riconducibili alle fattispecie tipiche di illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 4, comma 1, lett. d), la gravità di tali fatti e la loro incompatibilità con lo svolgimento dell'attività giurisdizionale nelle condizioni di necessario prestigio.

Secondo la Sezione disciplinare, il termine quinquennale di cui alla L. 7 febbraio 1990, n. 19, art. 9, comma 2, previsto per la cessazione dell'efficacia della sospensione cautelare del pubblico dipendente, non si applica alla sospensione cautelare del magistrato. Il giudice disciplinare ha rilevato che, pur in assenza di un limite rigido di durata massima della sospensione cautelare, la previsione della revoca (di diritto o facoltativa) della sospensione cautelare obbligatoria nelle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 21, comma 3, assicura adeguatamente il rispetto dei diritti costituzionalmente rilevanti del singolo magistrato, tutelando altresì il regolare e corretto svolgimento dell'attività giudiziaria.

La Sezione disciplinare ha quindi valutato la permanenza delle esigenze sottese al mantenimento della misura applicata al Dott. P., rilevando che l'intervenuta condanna del magistrato in primo grado, con sentenza in data 22 dicembre 2016, alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione rafforza le esigenze cautelari, considerato che l'eventuale condanna definitiva per i gravi reati di cui agli artt. 81,317,319,378 e 629 c.p., avrebbe autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale, nonchè della sua attribuibilità all'incolpato. La Sezione del Consiglio superiore ha inoltre osservato che il tipo di reati per i quali il Dott. P. è stato condannato in primo grado comporta di per sè la grave menomazione del prestigio dell'ordine giudiziario e legittima la persistenza della misura cautelare della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio.

4. - Per la cassazione della ordinanza della Sezione disciplinare il Dott. P. ha proposto ricorso, sulla base di due motivi.

L'intimato Ministro della giustizia non ha svolto attività difensiva in questa sede.

 

Motivi

1. - Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione della L. 7 febbraio 1990, n. 19, art. 9, comma 2, in combinato disposto con il R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 276, comma 3, nonchè degli artt. 3 e 27 Cost.) il ricorrente si duole che la Sezione disciplinare abbia ritenuto inapplicabile ai magistrati ordinari rispetto ai quali risulta pendente un procedimento penale il termine quinquennale di durata massima della misura cautelare della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, previsto dalla L. n. 19 del 1990, art. 9, comma 2. Sostiene la difesa dell'incolpato che, poichè la misura cautelare rispetto alla quale è stata formulata istanza di revoca attiene alle misure obbligatorie - e non discrezionali - irrogate ai sensi del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 21, la Sezione disciplinare avrebbe dovuto procedere alla revoca di diritto della misura, alla luce dei principi enunciati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 264 del 2003.

Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, artt. 21 e 22, L. n. 19 del 1990, art. 9, comma 2,, artt. 3,24 e 27 Cost. e art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, per avere la Sezione disciplinare trasformato la misura cautelare obbligatoria disposta a carico del ricorrente in misura facoltativa, senza intraprendere un autonomo procedimento volto alla sua emanazione. Ad avviso del ricorrente, alla L. n. 19 del 1990, art. 9, comma 2, deve essere attribuito il carattere di vera e propria clausola di garanzia; diversamente, si finirebbe con il confondere la sospensione, di carattere cautelare, con il provvedimento sanzionatorio definitivo, rendendo la prima una vera e propria sanzione anticipata, in contrasto con il principio di non colpevolezza. La difesa dell'incolpato osserva inoltre che, poichè nel caso di specie si controverte di una misura cautelare obbligatoria, la Sezione disciplinare, là dove avesse voluto mantenere il regime di sospensione cautelare dalle funzioni in capo al Dott. P., avrebbe necessariamente dovuto adottare - all'esito di un distinto procedimento, con le tutele e le garanzie previste - una nuova e diversa misura. In ogni caso - si osserva - l'ordinanza impugnata non si sarebbe fondata sul riesame del merito dei fatti per i quali è stato avviato il procedimento penale, perchè la valutazione operata si sarebbe appiattita sulla mera esistenza della sentenza resa a definizione del procedimento penale di primo grado a carico del ricorrente. Infine l'incolpato si duole della circostanza che la Sezione disciplinare abbia omesso di esaminare l'avvenuta pronuncia, da parte della Corte d'appello di *, del dispositivo della sentenza resa all'esito del giudizio di secondo grado: di tale pronuncia - si sottolinea - è stata data comunicazione in data 30 settembre 2019 al Consiglio superiore, e di tale circostanza, benchè sopravvenuta alla data della Camera di consiglio partecipata, tenutasi il 20 giugno 2019, la Sezione disciplinare avrebbe dovuto tenere conto, eventualmente rimettendo la causa sul ruolo.

2. - I due motivi - da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione - sono infondati e, in parte, inammissibili.

3. - La questione che le censure pongono consiste innanzitutto nello stabilire se - in forza del combinato disposto del R.D. n. 12 del 1941, art. 276, comma 3, secondo cui "Ai magistrati dell'ordine giudiziario sono applicabili le disposizioni generali relative agli impiegati civili dello stato, solo in quanto non sono contrarie al presente ordinamento e ai relativi regolamenti", e la L. n. 19 del 1990, art. 9, comma 2, secondo cui "Quando vi sia stata sospensione cautelare dal servizio a causa del procedimento penale, la stessa conserva efficacia, se non revocata, per un periodo di tempo comunque non superiore ad anni cinque. Decorso tale termine la sospensione cautelare è revocata di diritto" - la misura cautelare della sospensione obbligatoria dalle funzioni e dallo stipendio, disposta nei confronti del magistrato ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 21, perda comunque efficacia, per revoca di diritto, decorso il termine di cinque anni dalla sua adozione.

A tale quesito la giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2015, n. 1239) ha già dato risposta negativa, per un verso rilevando che la specificità dello status di magistrato e delle funzioni dallo stesso esercitate giustifica ampiamente, anche nella fase cautelare, una disciplina più rigorosa rispetto a quella dettata per gli altri pubblici impiegati, essendo necessario tutelare, soprattutto, il dovere e l'immagine di imparzialità e la connessa esigenza di credibilità nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali; per l'altro precisando che il D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 23, comma 2, prevede - con norma di chiusura, avente finalità analoga a quella di cui all'evocato della L. n. 19 del 1990, art. 9, comma 2 - l'ipotesi di cessazione di diritto degli effetti della sospensione cautelare, collegandola alla "definitività" della pronuncia della Sezione disciplinare che conclude il procedimento.

Correttamente, pertanto, la Sezione disciplinare ha escluso l'applicabilità ai magistrati del limite massimo quinquennale di durata della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio di cui alla L. n. 19 del 1990, art. 9, comma 2, previsto per la cessazione dell'efficacia della sospensione cautelare del pubblico dipendente.

3. - Nè il sistema, così interpretato, appare disallineato rispetto alle indicazioni provenienti dalla sentenza n. 264 del 2003 della Corte costituzionale, con la quale il Giudice delle leggi - nel dichiarare non fondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale della L. n. 19 del 1990, art. 9, comma 2 e del R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, art. 31 - ha sottolineato che la necessità di un termine rigido di durata massima della misura cautelare vale solo nei casi in cui essa non sia adottata in base ad una autonoma valutazione discrezionale dell'amministrazione in ordine ai presupposti di fatto e alla sussistenza delle esigenze cautelari.

Va al riguardo premesso che la citata sentenza della Corte costituzionale ha avuto ad oggetto la disciplina precedente, dettata dal R.D.Lgs. n. 511 del 1946, art. 31, poi abrogato dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 31, mentre nella specie la misura della sospensione cautelare obbligatoria nei confronti del Dott. P. è stata adottata in base al nuovo quadro normativo, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 21, a seguito della sottoposizione del magistrato a procedimento penale e della applicazione, nei suoi confronti, della misura cautelare personale della custodia in carcere.

Tanto premesso, è assorbente considerare che, pur in assenza di un limite massimo di durata della sospensione cautelare, la previsione della revoca di diritto della sospensione cautelare obbligatoria allorchè la misura cautelare personale è cessata per carenza di gravi indizi di colpevolezza, e della revoca facoltativa della stessa sospensione cautelare obbligatoria quando la detta misura sia cessata per motivi diversi dalla carenza dei gravi indizi di colpevolezza (D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 21, comma 3), assicura adeguatamente, sia pure in modo più rigoroso, tanto il regolare e corretto esercizio dell'attività giudiziaria, quanto il rispetto dei diritti costituzionalmente rilevanti del singolo magistrato.

4. - Priva di fondamento è poi la censura con cui ci si duole che la Sezione disciplinare abbia "irragionevolmente applicato la disciplina propria della misura cautelare facoltativa, soggetta a regole procedurali più rigorose oltrechè deputate a garantire compiutamente il diritto di difesa dell'incolpato, a quella obbligatoria, geneticamente disposta sul mero requisito formale della pendenza di un procedimento penale".

Innanzitutto non è esatta la deduzione che la sospensione cautelare obbligatoria sia stata "geneticamente disposta sul mero requisito formale della pendenza di un procedimento penale": essendo pacifico che la sospensione cautelare obbligatoria ex art. 21 D.Lgs. cit. è stata disposta nel luglio 2011 nei confronti del Dott. P. perchè questi, sottoposto a indagini preliminari in relazione ai delitti previsti e puniti dagli artt. 81,317,319,378 e 629 c.p., era stata raggiunto dalla misura cautelare personale della custodia in carcere.

Quanto poi alla lamentata "trasformazione" della misura cautelare disposta obbligatoriamente in altra misura cautelare discrezionale, è decisivo rilevare che la Sezione disciplinare si è attenuta al principio, già enunciato da queste Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2015, n. 1239, cit.), secondo cui la sospensione obbligatoria dalle funzioni e dallo stipendio per adozione di misura cautelare penale, a norma del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 21, è soggetta a revoca facoltativa, e non obbligatoria, quando la detta misura sia cessata per motivi diversi dalla carenza dei gravi indizi di colpevolezza; nel qual caso, il criterio di esercizio del potere di revoca è identico a quello concernente la sospensione facoltativa, ai sensi del successivo art. 22, la revoca della quale è sempre discrezionale.

Lungi dal passare dalla sospensione obbligatoria a quella facoltativa, la Sezione disciplinare ha correttamente individuato, nel sistema, un criterio regolatore, legittimo e ragionevole, per l'esercizio del potere discrezionale di revoca della sospensione cautelare obbligatoria. Infatti, dopo avere evidenziato che la disciplina normativa assicura che la sospensione cautelare obbligatoria sia mantenuta fin quando permangano i presupposti della sospensione facoltativa (ossia un fumus di fondatezza in ordine a fatti astrattamente riconducibili alle fattispecie tipiche di illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 4, comma 1, lett. d, la gravità di tali fatti e la loro incompatibilità con lo svolgimento dell'attività giurisdizionale nelle condizioni di necessario prestigio), il giudice disciplinare ha per un verso sottolineato che il Dott. P. è stato condannato in primo grado alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione e che tale condanna rafforza le esigenze cautelari, giacchè la eventuale condanna definitiva per i gravi reati di cui agli artt. 81,317,319,378 e 629 c.p., avrebbe autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale, nonchè della sua attribuibilità all'incolpato; e ha per altro verso evidenziato che il tipo di reati per i quali il ricorrente è stato condannato in primo grado comporta di per sè la grave menomazione del prestigio dell'ordine giudiziario, legittimando la persistenza della misura cautelare della sospensione dalle funzioni.

Contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente con l'articolata censura, l'ordinanza impugnata ha congruamente motivato, senza incorrere in vizi logici e giuridici, le ragioni del diniego della revoca della sospensione cautelare obbligatoria originariamente disposta.

5. - Infine, del tutto generica è la denuncia di omesso esame, da parte della Sezione disciplinare, del dispositivo della sentenza penale d'appello, sopraggiunto alla discussione in Camera di consiglio. Infatti, il ricorrente non specifica neppure, nel testo del ricorso, il tenore del dispositivo della sentenza di appello (non indicando, in particolare, se sia intervenuto un dispositivo di assoluzione perchè i fatti non sussistono o l'imputato non li ha commessi), e dunque non spiega come la pronuncia di secondo grado abbia inciso sulla sentenza del precedente grado di giudizio e sulla valutazione, di grave menomazione del prestigio dell'ordine giudiziario, che la Sezione disciplinare ha da essa desunto. Va da sè, del resto, che, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 21, comma 2 "(l)a sospensione permane sino alla sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione o alla sentenza irrevocabile di proscioglimento".

6. - Il ricorso è rigettato.

Nessuna pronuncia va emessa in ordine alle spese processuali, in quanto il Ministro della giustizia non si è costituito nè ha svolto difese.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2020.