Diritto e Procedura Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24338 - pubb. 13/10/2020

Conferma della sentenza impugnata: quando la decisione sulle spese può essere modificata dal giudice

Cassazione civile, sez. I, 13 Luglio 2020, n. 14916. Pres. Genovese. Est. Caradonna Lunella.


Spese giudiziali - Appello - Rigetto del gravame - Riforma della sentenza di primo grado sulle spese - Mancanza di specifico motivo del gravame - Divieto di riforma - Sussistenza



Il potere del giudice d'appello di procedere d'ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, poiché gli oneri della lite devono essere ripartiti in ragione del suo esito complessivo, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata dal giudice del gravame soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d'impugnazione. (massima ufficiale)


 


Fatto

1. B.F. ha convenuto in giudizio T. e Y, figli di YG. e suoi eredi legittimi, esponendo di essere nato il (*) dalla relazione tra sua madre e il padre dei convenuti e chiedendo che YG. fosse dichiarato suo padre naturale.

2. Il Tribunale ha accolto la domanda e ha compensato le spese tra le parti, rigettando la domanda dell'attore di rimborso delle spese della perizia stragiudiziale.

3. T. e Y hanno proposto gravame chiedendo che fosse disposta una nuova consulenza tecnica d'ufficio e la Corte di appello adita ha rigettato l'appello, condannando gli appellanti alla rifusione delle spese del primo e del secondo grado di giudizio.

4. T. e Y hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

5. B.F. ha proposto controricorso e depositato memoria difensiva.

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo T. e Y lamentano la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, degli artt. 269 e 2720 c.c., nonchè degli artt. 61 e 191 c.p.c.; motivazione apparente (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), ovvero omesso esame di fatto decisivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5); violazione e falsa applicazione dell'art. 2729 c.c. (per violazione del divieto di praesumptum de praesumpto) ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Ad avviso dei ricorrenti la Corte di appello aveva errato nel non disporre la chiesta consulenza tecnica, ritenendo insindacabile la perizia stragiudiziale che era un'allegazione di parte, tenuto conto che la censura sollevata riguardava sia la mancanza dell'esame diretto tra l'attore e il presunto padre mediante esumazione del cadavere, sia che l'esame fosse stato espletato solo su uno dei due fratelli.

Il ricorrente si duole, inoltre, dell'omesso esame della compatibilità genetica fra il defunto padre e il presunto figlio, nonchè di avere ritenuto provato il rapporto di paternità attraverso due presunzioni (compatibilità genetica tra l'attore e uno dei convenuti e status di figlio legittimo del convenuto periziato).

1.1 Il motivo è inammissibile.

1.2 Deve premettersi che in tema di mezzi utilizzabili per provare la paternità naturale, l'art. 269 c.c. ammette anche il ricorso ad elementi presuntivi che, valutati nel loro complesso e sulla base del canone dell'"id quod plerumque accidit", risultino idonei, per attendibilità e concludenza, a fornire la dimostrazione completa e rigorosa della paternità, sicchè risultano utilizzabili, raccordando tra loro le relative circostanze indiziarie, sia l'accertato comportamento del preteso genitore che abbia trattato come figlio la persona a cui favore si chiede la dichiarazione di paternità (cd. "tractatus"), sia la manifestazione esterna di tale rapporto nelle relazioni sociali (cd. "fama"), sia, infine, le risultanze di una consulenza immuno-ematologica eseguita su campioni biologici di stretti parenti del preteso genitore (Cass., 22 gennaio 2014, n. 1279; Cass., 16 aprile 2008, n. 10007).

Ed ancora in tema di azione di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità, stante la nuova disciplina introdotta dalle riforme del 2012 e 2013 in materia di filiazione, la prova dell'"assoluta impossibilità di concepimento" non è diversa rispetto a quella che è necessaria fornire per le altre azioni di stato, richiedendo il diritto vigente che sia il "favor veritatis" ad orientare le valutazioni da compiere in tutti i casi di accertamento o disconoscimento della filiazione, sicchè, essendo la consulenza tecnica genetica l'unica forma di accertamento attendibile nella ricerca della filiazione, deve valorizzarsi, anche per l'azione ex art. 263 c.c., il contegno della parte che si opponga al suo espletamento (Cass., 14 dicembre 2017, n. 30122).

Questa Corte ha, inoltre, precisato che in materia di accertamenti relativi alla paternità e alla maternità, la consulenza tecnica ha funzione di mezzo obbiettivo di prova, costituendo lo strumento più idoneo, avente margini di sicurezza elevatissimi, per l'accertamento del rapporto di filiazione; essa, pertanto, in tal caso, non è un mezzo per valutare elementi di prova offerti dalle parti, ma costituisce strumento per l'acquisizione della conoscenza del rapporto di filiazione. Pertanto, è legittima la sua ammissione, quale fonte di prova, nel giudizio di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, promosso dal curatore speciale nominato dal tribunale per i minorenni, ai sensi della L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 74 a seguito delle indagini conseguenti all'avvenuto riconoscimento, da parte di persona coniugata, di un figlio naturale non riconosciuto dall'altro genitore (Cass., 17 febbraio 2006, n. 3563).

E' stato, inoltre, osservato che l'efficacia delle indagini ematologiche ed immunogenetiche sul DNA non può essere esclusa per la ragione che esse sono suscettibili di utilizzazione solo per compiere valutazioni meramente probabilistiche, in quanto, tutte le asserzioni delle scienze fisiche e naturalistiche hanno natura probabilistica e tutte le misurazioni sono ineluttabilmente soggette ad errore, sia per ragioni intrinseche (cosiddetto errore statistico), che per ragioni legate al soggetto che esegue o legge le misurazioni (cosiddetto errore sistematico) (Cass. 3 settembre 1997, n. 8451).

Rientra, poi, nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre addirittura la rinnovazione delle indagini, con la nomina di altri consulenti, ed il mancato esercizio di un tale potere (così come l'esercizio) non è censurabile in sede di legittimità, salvo che con i motivi d'appello non vengano formulati specifici rilievi e sollecitata una più approfondita indagine tecnica, nel qual caso il giudice è tenuto a motivare la sua scelta negativa (Cass. 3 aprile 2007, n. 8355).

1.3 Nel caso in esame, la Corte di appello ha affermato, fornendo congrua motivazione, che l'attore si era sottoposto all'esame del DNA, come da accordi con le controparti, affidandosi ad un noto genetista, il quale lo confrontava con quello del convenuto, suo presunto parente in linea maschile più prossimo; che la percentuale del 97,386 era del tutto coerente con la parentela tra attore e convenuto, fratelli unilaterali consanguinei in quanto figli dello stesso padre; che la consulenza tecnica richiesta, oltre che infondata dal punto di vista scientifico poichè richiedeva il confronto di un DNA femminile XX per verificare il DNA maschile XY presente solo in linea maschile, era inutile essendo state le parti in primo grado del tutto concordi sia sulla necessità dell'esame, sia sul nome dell'esperto.

I giudici di secondo grado hanno, quindi, correttamente valutato il risultato dei prelievi effettuati e, con motivazione adeguata, logicamente coerente ed immune da vizi giuridici, hanno esaminato i risultati degli esami effettuati, pervenendo alla corretta affermazione, nell'ambito dell'indicata ampiezza dei mezzi di prova consentita dal richiamato art. 269 c.c., comma 2, e della sempre maggiore rilevanza attribuita alle indagini ematologiche e genetiche, in considerazione dell'alto grado di affidabilità di tale mezzo di prova, del rapporto di filiazione per cui è processo.

Con ciò l'assoluta irrilevanza della comparazione genetica con la sorella e il padre defunto.

La Corte territoriale, parimenti, ha motivato il diniego della consulenza tecnica per come sopra richiamato, valorizzando anche la circostanza che l'esame del DNA espletato dal noto genetista era stato concordato con i ricorrenti e che le parti si erano spontaneamente presentati a tale scopo.

1.4 Mette conto rilevare, inoltre, che la denuncia del preteso vizio di motivazione della sentenza impugnata deve ritenersi irritualmente dedotto.

Ed invero, ai sensi dell'art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, il difetto del requisito della motivazione si configura, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell'oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l'enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum.

Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, infatti, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell'atto, poichè intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili. In ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un'eventuale verifica condotta sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie (Cass., 18 settembre 2009, n. 20112)

1.5 Nel caso in esame, la motivazione dettata dalla Corte territoriale a fondamento della decisione impugnata è, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico (secondo quanto in precedenza diffusamente rilevato), integrando gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dai ricorrenti.

1.6 Parimenti, quanto al denunciato preteso vizio di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve evidenziarsi come lo stesso possa ritenersi denunciabile per cassazione, unicamente là dove attenga all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, ovvero che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia.

Sul punto, nel rispetto delle previsioni dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053).

Alla luce dei suesposti principi, la doglianza dei ricorrenti in ordine all'omesso esame della compatibilità genetica fra il defunto padre e il presunto figlio deve ritenersi inammissibile, in quanto diretta a censurare, non già l'omissione rilevante ai fini dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma la valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo al materiale probatorio, che, come già detto, la Corte territoriale risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa.

2. Con il secondo motivo T. e Y lamentano la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 91,92,112,336 e 343 c.p.c., avendo la Corte distrettuale riformato la statuizione sulle spese processuali del primo grado del giudizio in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione.

2.1 Il motivo è fondato.

2.2 Osserva il Collegio come, al caso di specie, debba trovare applicazione il principio già affermato nella giurisprudenza di questa Corte in materia di liquidazione delle spese giudiziali, secondo cui il giudice di appello che rigetti il gravame nei suoi aspetti di merito, non può, in assenza di uno specifico motivo in ordine alla decisione sulle spese processuali, modificare il contenuto della statuizione di condanna al pagamento di tali spese assunta dal giudice di primo grado, compensandole, attesi i limiti dell'effetto devolutivo dell'appello, alla cui applicabilità non è di ostacolo il carattere accessorio del capo sulle spese, che resta pur sempre autonomo (Cass., 3 maggio 2010, n. 10622).

Il potere del giudice d'appello di procedere d'ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il corrispondente onere deve essere attribuito e ripartito in ragione dell'esito complessivo della lite, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d'impugnazione (Cass., 14 ottobre 2013, n. 23226). 2.3 Nel caso in esame, la Corte territoriale, in assenza di uno specifico motivo di impugnazione riguardante il capo della sentenza sulle spese processuali, erroneamente ha modificato la statuizione delle spese processuali del primo grado di giudizio.

Di conseguenza, in applicazione dell'art. 384 c.p.c., per palesi ragioni di economia e ragionevole durata del processo, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, va esclusa la condanna al pagamento delle spese processuali relative al giudizio di primo grado.

Le spese del giudizio di legittimità, in ragione della reciproca soccombenza delle parti, vanno interamente compensate.

4. Va disposta, per l'ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

 

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il primo motivo e accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, esclude la condanna dei M. al pagamento delle spese giudiziali relative al giudizio di primo grado, ripristinando l'originaria loro compensazione.

Compensa interamente fra le parti le spese del giudizio di legittimità. Dispone, per l'ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi ai sensi delD.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2020.