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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2430 - pubb. 01/08/2010.

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Cassazione civile, sez. IV, lavoro, 27 Maggio 2010. Rel., est. De Renzis.

Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - In genere - Contributi previdenziali - Ammissione al passivo chiesta dal lavoratore in via prudenziale o in caso di inerzia dell'INPS nell'esercizio dell'azione ex artt. 93 e 101 legge fall. - Configurabilità - Condizioni - Fondamento - Principio dell'integrità della retribuzione - Conseguenza - Riconoscimento al lavoratore della retribuzione lorda - Limiti - Riserva di rivalsa.


In caso di fallimento dell'azienda, il lavoratore, qualora il datore di lavoro non abbia pagato la retribuzione (o vi abbia provveduto in ritardo) ovvero non abbia effettuato i versamenti contributivi o, comunque, abbia operato ritenute non dovute, può chiedere direttamente - in via prudenziale o in caso di inerzia dell'INPS nell'esercizio dell'azione ex artt. 93 e 101 della legge fall. - l'ammissione al passivo, oltre che di quanto a lui spettante a titolo di retribuzione, anche della somma corrispondente alla quota dei contributi previdenziali posti a carico del medesimo, rispondendo tale soluzione al principio dell'integrità della retribuzione, che, altrimenti, resterebbe frustata senza giustificazione causale alcuna, dovendosi escludere che il curatore, ove l'INPS non si sia insinuato al passivo, possa trattenere dette somme mediante accantonamenti in prevenzione, neppure previsti dalla normativa vigente. Ne consegue che, qualora non vi sia stata insinuazione al passivo da parte dell'INPS, il curatore - su cui incombe l'onere di coordinare le richieste avanzate dall'Istituto previdenziale con quelle del lavoratore - non può portare in detrazione le trattenute per contributi previdenziali, ma deve riconoscere al lavoratore la retribuzione lorda, salva la possibilità del successivo esercizio del diritto di rivalsa onde evitare il duplice pagamento del medesimo credito. (massima ufficiale)

Massimario, art. 93 l. fall.

Massimario, art. 101 l. fall.

  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCIARELLI Guglielmo - Presidente -
Dott. DE RENZIS Alessandro - rel. Consigliere -
Dott. DI NUBILA Vincenzo - Consigliere -
Dott. D'AGOSTINO Giancarlo - Consigliere -
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FALLIMENTO SABA ELECTRONIC SRL, in persona del curatore Avv. Caiafa Antonio, elettivamente domiciliato in Roma, Via Vittoria n. 10, presso lo studio dell'Avv. Castagni Giancarlo, che lo rappresenta e difende per procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
CORMIO CORRADO, elettivamente domiciliato in Roma, Via Tacito n. 50. presso lo studio dell'Avv. Cossu Bruno, che lo rappresentato e difende per procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Roma n. 916 del 3.02.2006/20.02.2006 nella causa n. 3606 R.G. 2003. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21.04.2010 dal Cons. Dott. Alessandro De Renzis;
udito l'Avv. Giancarlo Castagni per il ricorrente fallimento e l'Avv. Bruno Cossu per il controricorrente;
sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso, depositato il 9.05.2001, CORRADO CORMIO proponeva opposizione avverso lo stato passivo del fallimento SABA ELECTRONIC SRL, lamentando l'ammissione del credito di lavoro al netto delle ritenute previdenziali (nella misura di L. 34.006.997), credito che avrebbe dovuto essere ammesso (nella misura di L. 37.325.207) al lordo delle anzidette ritenute, oltre interessi e rivalutazione. Con sentenza n. 14674 del 2002 il Tribunale di Roma riconosceva soltanto gli interessi e la rivalutazione e respingeva per il resto il ricorso dell'opponente.
Tale decisione, appellata dal Cormio, è stata riformata dalla Corte di Appello di Roma con sentenza n. 916 del 2006. la quale ha ammesso l'appellante nello stato passivo del fallimento SABA ELECTRONIC per l'ulteriore credito, in via privilegiata, per l'importo di Euro 1.713,71, oltre la rivalutazione e gli interessi, nella misura e con la decorrenza già riconosciute dal primo giudice. La Corte territoriale ha osservato che non risultava se l'INPS avesse proposto domanda - tempestiva o tardiva - di insinuazione al passivo, sicché il curatore non avrebbe potuto pagare lo stesso ente al di fuori dei tempi previsti dalla procedura concorsuale. La stessa Corte ha rilevato che in ogni modo, ignorandosi se vi fosse stata insinuazione dell'INPS per crediti previdenziali, il curatore, l'atto salvo il successivo esercizio del diritto di rivalsa (per evitare di pagare due volte lo stesso credito in sede di riparto). non avrebbe potuto portare in detrazione trattenute per credito previdenziale, intaccando in tal modo il diritto all'integrità della retribuzione del lavoratore.
Il fallimento della Saba Electronic ricorre con un motivo, contrastato dal Cormio con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l'unico motivo del ricorso la curatela fallimentare lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (L. Fall., artt. 52, 93, 96, 97, 98, 110 e dell'art. 2751 bis cod. civ.), in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3.
La parte ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto la possibilità di operare la separazione tra la fase
dell'accertamento e quella successiva della ripartizione e la conseguente facoltà del curatore di operare la trattenuta in sede di ripartizione, dovendo il decreto di esecutività dello stato passivo essere necessariamente eseguito in sede di ripartizione, senza che ai curatore spetti di operare alcuna ritenuta di carattere contributivo. La stessa parte ricorrente osserva altresì:
- che l'ente previdenziale è l'unico soggetto legittimato attivamente alla riscossione dei contributi, non spettando al curatore la qualifica di sostituto, non tenuto quindi ad operare le ritenute contributive nel momento in cui procede alla ripartizione detrattivo fallimentare secondo l'ordine di privilegi (L. Fall., art. 110 - che i ratei retributivi non corrisposti al lavoratore devono essere ammessi al passivo al netto delle ritenute contributive a suo carico, costituendo le stesse, non eseguite, credito esclusivo dell'ente di previdenza e non del lavoratore.
Da parte sua il controricorrente contesta gli esposti rilievi mossi dalla curatela fallimentare, osservando che qualora il datore di lavoro non abbia pagato (affatto o tempestivamente) la retribuzione ovvero non abbia effettuato i versamenti contributivi oppure abbia operato ritenute non dovute, il lavoratore, che pretenda il riconoscimento della retribuzione al lordo delle ritenute, non fa affatto valere un credito sulle stesse (come tale non astrattamente configurabile), ma semplicemente il suo diritto all'integrità della retribuzione.
2. Questa Corte ritiene di aderire all'assunto del controricorrente. anche in relazione agli orientamenti giurisprudenziali richiamati dal giudice di appello.
Il problema giuridico di fondo sottoposto all'attenzione di questa Corte riguarda la possibilità per il lavoratore di ottenere direttamente l'ammissione al passivo, oltre che delle voci strettamente correlate alla retribuzione, anche della somma corrispondente alla quota dei contributi previdenziali posti a carico del lavoratore medesimo; quota che - a dire del controricorrente - non può essere suscettibile di "accantonamenti" in prevenzione perché il curatore del fallimento non può operare alcuna ritenuta "sulla retribuzione del lavoratore per contributi previdenziali, essendo il curatore stesso un ornano della procedura fallimentare e non il successore o il sostituto del datore di lavoro
nell'adempimento degli obblighi amministrativi già facenti capo originariamente all'imprenditore.
Al contrario la curatela fallimentare, nel lamentare la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in precedenza indicate (L. Fall., artt. 52, 93, 96, 97, 98, 110, e dell'art. 2751 bis cod. civ.), evidenzia l'illegittimità della decisione della Corte territoriale perché si porrebbe in contrasto con la normativa vigente laddove afferma la facoltà (in capo al curatore) di operare la trattenuta corrispondente alla quota contributiva posta a carico del lavoratore in sede di ripartizione.
Invero, secondo l'assunto di parte ricorrente, una volta compiuta la fase di accertamento dello stato passivo e conferita l'esecutività allo stesso stato passivo, non spetta al curatore alcun potere di modificare ciò che è stato accertato con valenza decisoria. Secondo l'assunto del ricorrente il quadro giuridico di fondo è il seguente (cfr pag. 6 del ricorso):
aa) -che i ratei retributivi non corrisposti al lavoratore devono essere ammessi al passivo al nello delle ritenute contributive a suo carico, costituendo le stesse, non eseguite, credilo esclusivo dell'ente di previdenza e non del lavoratore;
bb) - che diversamente opinando, ove si ritenesse di ammettere tali crediti a favore del lavoratore, questi conseguirebbe due volte la stessa prestazione e vedrebbe elisa sine causa una propria e diretta obbligazione legale;
cc) - che, pertanto, nella specie si determinerebbe l'assurda situazione per cui, con riguardo ad uno stesso credito, concorrerebbero legittimamente due soggetti diversi, ed il curatore, in sede di riparto, dovrebbe pagare due soggetti distinti (salvo poi agire in via recuperatoria nei confronti dei lavoratori per ottenere la restituzione della quota contributiva a suo carico, come suggerito dall'appellante e riferito in sentenza);
dd) - che, in aggiunta, ove s'intendesse aderire alla tesi esposta nella sentenza impugnata, rimarrebbe alterato anche l'ordine dei privilegi, riferendosi illegittimamente al credito contributivo la collocazione assolutamente poziore che l'art. 2751 bis cod. civ., limita oggettivamente in modo tassativo ai crediti corrispettivi maturati nel rapporto di lavoro (non comprendendo i contributi). Nell'esaminare la fattispecie in causa occorre tenere premettere, come del resto ha puntualizzato lo stesso giudice di appello, che non è dato conoscere se sia stata presentata una domanda dell'INPS (L. Fall., ex art. 93 o 101) ed in tale obiettiva incertezza va salvaguardato il diritto del lavoratore all'integrità della retribuzione.
Il lavoratore, nel caso in cui il datore di lavoro non abbia pagato (affatto o tempestivamente) la retribuzione ovvero non abbia effettuato i versamenti contributivi 0 ancora abbia operato ritenute non dovute, ben può pretendere che la retribuzione gli venga riconosciuta al lordo delle ritenute previdenziali, e ciò moti al fine di far valere un autonomo diritto al credito (nemmeno astrattamente configurabile) sulle voci relative ai versamenti contributivi non operati, ovvero operati nella misura non dovuta, bensì al fine di vedere riconosciuto il suo diritto all'integrità di retribuzione, che, altrimenti, risulterebbe frustrato senza giustificazione causale alcuna.
Tale principio opera anche in materia fallimentare ove, accanto al credito dell'INPS per contributi previdenziali non versati, si pone il corrispondente diritto del lavoratore, il quale, in via prudenziale e/o in caso di inerzia dell'INPS L. Fall., ex artt. 93 e 101, ben può vantare la corrispondente tutela giuridica invocata sulla base del principio dell'integrità della retribuzione, non decurtabile a titolo di rivalsa se non nei rigorosi limiti della reale sussistenza (nell'an e nel quantum) dell'obbligazione contributiva inadempiuta e per ottenere direttamente dallo stesso datore di lavoro la quantità di retribuzione non corrisposta perché trattenuta, a quel titolo, oltre quei limiti (Cfr. n. 1283/1993;
Cass. n. 12855/1995, Cass. n. 8175/2001).
Facendo applicazione di tali principi di diritto, ove l'INPS non si sia insinuatO al passivo, il curatore non è certo tenuto al pagamento dei contributi previdenziali in favore dell'Istituto rimasto inerte ne' è consentito al curatore trattenere tali somme mediante accantonamenti in prevenzione nemmeno previsti dalla normativa in materia; in tal caso, è dovuta al lavoratore la retribuzione nella misura lorda proprio perché il curatore non è facultato ad operare detrazioni e/o accantonamenti di sorta. In questo senso si è espressa già da tempo questa Corte (cfr. n. 404 del 1993), la quale ha puntualizzato che sul curatore del fallimento - quale organo della procedura e non successore ne' sostituto necessario del datore di lavoro fallito - non incombe l'adempimento di obblighi amministrativi facenti capo originariamente all'imprenditore, come quello di operare le trattenute dei contributi previdenziali, in relazione a rapporti di lavoro esauriti. Su questo punto peraltro questa Corte ha ripetutamente affermato, facendo uso dei principi di diritto summenzionati, che l'accertamento e la liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive devono essere effettuati al lordo delle ritenute contributive (cfr. Cass. n. 18584 del 2008; in senso conforme Cass. n. 816 del 1998; Cass. n. 6337 del 2003; Cass. n. 9 198 del 2000;
Cass. n. 13795 del 1992: Cass. n. 6806 del 1987; Cass. n. 12855 del 1995; Cass. S.U. n. 3105 del 1985). Del resto la situazione non può dirsi diversa per le ritenute fiscali, le quali, sulla base del disposto del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 1 (convertito nella L. n. 248 del 2006) vanno effettuate dal curatore sulle somme ammesse al passivo al lordo.
Nel caso in esame poi il fallimento non solo non ha fornito la prova di avere già pagato all'ente previdenziale i debiti contributivi, ma non ha nemmeno chiarito se l'istituto avesse presentato la domanda di ammissione al passivo, circostanza questa che effettivamente avrebbe giustificato una diversa soluzione del problema a fronte della specifica richiesta, nella qualità di creditore potenziale, da parte dell'istituto previdenziale ed a fronte della regolarizzazione contributiva del lavoratore per quanto concerne la quota dei contributi a suo carico.
Va pertanto condiviso l'assunto espresso dalla Corte di Appello di Roma laddove evidenzia che. ignorandosi se nella fattispecie vi sia stata insinuazione dell'INPS (L. Fall., ex artt. 93 e 101) per crediti previdenziali, il curatore, fatto salvo i successivo esercizio del diritto di rivalsa (per evitare di pagare due volte lo stesso credito in sede di riparto) non poteva portare in detrazione trattenute per contributi previdenziali, intaccando così il diritto all'integrità della retribuzione.
Tale modo di operare, ove l'ente previdenziale provveda ad insinuarsi ed in sede di riparto venga soddisfatto il suo credito, la salva la possibilità per il curatore di rivalersi per ottenere il recupero della quota di legge a carico del lavoratore, ciò al fine di evitare di pagare due volte lo stesso credito.
In ogni caso, spetta al curatore (nella fase della verifica dello stato passivo e nella ulteriore fase di ammissione di domande tardive) l'onere di verificare e di accordare le richieste avanzate dal lavoratore con le corrispondenti richieste avanzate dall'istituto previdenziale anche al fine di evitare che la stessa somma venga ammessa due volte.
Del resto, la soluzione di diritto prescelta ben si accorda con quanto già affermato da questa Corte a proposito della potenzialità lesiva dell'omissione contributiva, che, producendo un pregiudizio patrimoniale a carico del prestatore di lavoro, lo abilita ad esperire ex art. 2116 cod. civ., un'azione di condanna generica al risarcimento del danno ovvero di mero accertamento dell'omissione e contributiva quale comportamento potenzialmente dannoso. A ciò consegue che il lavoratore, anche in sede fallimentare ed a maggior ragione, non perde il diritto a far valere autonomamente la regolarizzazione della propria posizione contributiva nonché ad invocare il principio di tutela all'integrità della retribuzione. Non si ravvisa infine alcuna violazione o falsa applicazione delle norme di diritto in relazione all'art. 2751 bis cod. civ., poiché l'ammissione al passivo del credito del lavoratore al lordo delle ritenute previdenziali - con il privilegio ex art. 2751 bis c.c., n. 1, e nell'ordine stabilito dall'art. 2777 c.c., lett. a) - non interferisce in alcun modo con il diritto dell'ente previdenziale ad ottenere, a sua volta, l'ammissione del proprio credito per contributi non versati, sia per la quota a carico del datore di lavoro sia per quella posta a carico del lavoratore, con il privilegio ex art. 2753 cod. civ. e nell'ordine stabilito dell'art. 2778 c.c., n. 1.
3. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e le spese del giudizio di Cassazione vanno compensate, in considerazione delle difficoltà interpretative della disciplina riguardante i rapporti tra procedure concorsuali e profili retribuitivi - previdenziali. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 21 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2010