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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24083 - pubb. 11/01/2020.

Fallimento 'fiscale' presunzione 'iuris et de iure' d'insolvenza


Cassazione civile, sez. I, 23 Giugno 1988. Pres. Tilocca. Est. Pannella.

Fallimento "fiscale" - Difetto di legittimazione dell'ufficio istante - Dichiarazione di ufficio del fallimento ordinario - Ammissibilità


Qualora l'amministrazione finanziaria chieda il fallimento "fiscale" del contribuente imprenditore commerciale, secondo la previsione dell'art. 97 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, che lo contempla in forza di una presunzione "iuris et de iure" d'insolvenza per effetto dell'inadempimento di debiti d'imposta, il tribunale adito non perde il potere di dichiarare d'ufficio il fallimento "ordinario", ai sensi dell'art. 6 del R.d. 16 marzo 1942 n. 267 e nel concorso dei presupposti di cui al precedente art. 5, e, pertanto, ove accerti la situazione d'insolvenza dell'imprenditore medesimo, può rendere detta dichiarazione, a prescindere da ogni indagine sulle condizioni per l'indicata procedura speciale, ivi inclusa la legittimazione dell'ufficio finanziario istante (nella specie, esattoria, munita di autorizzazione dell'intendente di finanza solo in relazione ad alcuni dei Tributi non pagati). (massima ufficiale)

 

Svolgimento del processo

L'esattoria civica di Milano, autorizzata dall'intendenza di finanza, chiedeva al Tribunale il fallimento fiscale della s.r.l. Mocafra Costruzioni Edilizie in istato di liquidazione, con istanza del 27.11.79, con la quale faceva presente che detta società, oltre che per i tributi (ammontanti a L. 46.457.754) per imposta di R.M. iscritta nei ruoli di emissione luglio 1967 e gennaio 1969 e per i quali v'era stata autorizzazione a richiedere il fallimento fiscale, era debitrice di altri tributi, iscritti in ruoli di emissione ottobre 1977 e luglio 1969 (ammontanti a L. 56.345.984).

Il Tribunale di Milano con sentenza del 7.3.80 dichiarava il fallimento fiscale della soc. Mocafra richiamando, altresì, nel testo di essa l'applicazione degli artt. 5 e seguenti del R.D. 16.3.42 n. 267.

Proposta opposizione; rimasto contumace il curatore del fallimento; si costituivano l'Esattoria nonché l'Amministrazione delle Finanze, chiamata in causa dall'Esattoria ai sensi dell'art. 77 del T.U. 15.5. 63 n. 858, le quali contestavano la fondatezza della domanda della soc. Mocafra.

Il Tribunale rigettò tale domanda con sentenza dell'8.2.82, confermata, poi, dalla Corte di appello con la decisione del 7.1.84 ora impugnata.

La Corte, nel respingere innanzitutto l'assunto dell'appellante secondo cui la dichiarazione del fallimento fiscale aveva avuto luogo su istanza dell'Esattoria cui la legge non conferirebbe la relativa legittimazione processuale, osservò: 1.) che, se l'art. 97 D.P.R. 29.9.73 n. 602 attribuisce all'Intendente di Finanza la potestà di promuovere il fallimento fiscale dell'imprenditore commerciale, ciò non esclude che tale organo dello Stato non possa autorizzare l'esattore alla relativa azione; 2.) che, se la differenza tra il fallimento fiscale e quello Ordinario consiste nel fatto che per la dichiarazione del primo, accertato il mancato pagamento di tributi per imposte diretta iscritte nei ruoli, non è necessario accertare, altresì, l'esistenza del debitore, ciò non esclude che vi sia identità di procedimento concorsuale fra i due tipi di fallimento; 3.) che, conseguentemente, nel corso del giudizio di opposizione l'indagine del giudice, se necessaria, può estendersi dall'accertamento (del presupposto) dell'esistenza del debito tributario, posto a base della dichiarazione del fallimento fiscale, all'accertamento dello stato d'insolvenze dell'imprenditore, allo scopo di tener ferma la pronuncia di fallimento nonostante l'insussistenza del primo presupposto; 4.) che, nella specie, giustamente il Tribunale aveva rilevato come la legittimazione processuale dell'Esattoria si fondava anche sull'esistenza di debiti tributari diversi ed ulteriori rispetto a quelli di cui all'autorizzazione per la richiesta del fallimento fiscale: ciò implicando la rappresentazione dello stato d'insolvenza, rispetto al quale "stato" la successiva indagine, in sede cognitiva, in sede di opposizione, aveva dato contezza dei debiti fiscali per circa L. 490.000.000, esclusi anche gli sgravi disposti, contro una disponibilità liquida di L. 5.000.000 ed un patrimonio immobiliare valutato circa L. 60.000.000; 5.) che dal medesimo testo della sentenza dichiarativa del fallimento fiscale si rilevava il richiamo e l'applicazione dell'art. 5 1. fall.: onde la considerazione che, sin dall'origine, il Tribunale aveva estesa la sua indagine sullo stato d'insolvenza, risultata pienamente fondata nel successivo giudizio di cognizione piena; 6.) che infondato era da ritenersi l'ulteriore assunto dell'appellante, secondo cui la "moratoria" concessa dall'Intendente di Finanza per il pagamento del debito tributario escludeva la sussistenza del medesimo debito ai fini del permanere della procedura concorsuale: sia perché detta "moratoria" era stata concessa l'11.3.80 e perciò in modo tardivo rispetto alla pronuncia del fallimento del 7 marzo precedente e sia perché essa non aveva riguardato l'altra maggiore esposizione debitoria della soc. Mocafra, giustificatrice del convincimento del giudice sullo stato d'insolvenza, in cui essa versava.

Contro tale pronuncia la s.r.l. Mocafra ha proposto ricorso per cassazione sulla base di 3 motivi.

L'Esattoria civica di Milano resiste con controricorso, come resiste - parimenti - l'Amministrazione delle Finanze.

 

Motivi della decisione

Con i tre motivi di ricorso, che, data l'intima connessione, vanno esaminati congiuntamente, la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 329, 333 c.p.c.,; 4 2. comma, 5, 6 1. fall.; 97 D.P.R. 602-73 nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., si duole che la Corte del merito abbia errato: a) là dove non rilevò che, proposta dall'Esattoria istanza di fallimento fiscale, il Tribunale non avrebbe potuto dichiarare anche il fallimento ordinario senza violare l'art. 112 c.p.c. (correlatività fra il chiesto ed il pronunciato); b) quando ha ritenuto che la dichiarazione di fallimento sia stata pronunciata sotto entrambi gli aspetti: fiscale ed ordinario, violando il principio dell'acquiescenza e quello che vieta di decidere "ultra petita partitum": entrambi verificatisi nella specie, non essendo stata impugnata nè dall'Esattoria nè dalla Finanza l'affermazione della sentenza del Tribunale circa la natura fiscale del fallimento; c) quando ha ammesso la possibilità della coesistenza delle pronunce di due tipi di fallimento (fiscale e ordinario) e l'inesistenza di procedure concorsuali diverse; d) quando non ha considerato che i crediti, azionati dall'Esattoria per i quali non v'era stata autorizzazione a richiedere il fallimento fiscale, erano pur sempre crediti tributari, perciò, non idonei a trasformare in ordinaria la natura fiscale del fallimento; e) nell'avere ritenuta la legittimazione attiva dell'Esattoria, benchè espressamente autorizzata dall'Intendente di finanza, ad instare per la dichiarazione del fallimento fiscale in contrasto con la disposizione dell'art. 97 D.P.R. 602-73 di carattere innovativo e, perciò, abrogativo di quella precedente del 3. co. dell'art. 262 T.U. 645-58 secondo la quale l'Intendente poteva autorizzare l'esattore a chieder all'A.G.O. la dichiarazione del fallimento fiscale del contribuente moroso; f) quando, con insufficiente motivazione, ha affermato che lo stato d'insolvenza della società Mocafra emergeva sin dall'istanza del fallimento; g.) quando nell'indicare l'esposizione debitoria della società non ha tenuto conto nè degli "sgravi" disposti dell'Intendente, nè della "moratoria" ugualmente da quest'ultimo concessa, il cui potenziale valutativo avrebbe dovuto essere rilevato con riferimento sia all'istanza e sia alla revoca della dichiarazione di fallimento.

La censura è infondata.

Contrariamente a ciò che sostiene la ricorrente e che costituisce il fulcro della sua impostazione di difesa riguardo ai diversi profili suesposti, va premesso che l'istituto del fallimento fiscale, pur conservando, nella sua tradizione giuridica, elementi idonei a distinguerlo da quello generale del fallimento ed anche nella tutela immediata del credito tributario dello Stato, nella sua essenza, riflettente i presupposti della pronunzia giurisdizionale, non è dissimile dall'istituto del fallimento ordinario, se si considera che la qualità di imprenditore commerciale del debitore e lo stato d'insolvenza di lui costituiscono in ogni caso il fondamento per l'avvio della procedura concorsuale, con la sola variante che - per il fallimento fiscale - tali presupposti non hanno bisogno di essere accettati dal Tribunale, in quanto esistenti in virtù di presunzione "iuris et de iure" al verificarsi delle situazioni soggettive ed oggettive previste dall'art. 97 del D.P.R. 29.9.73 n. 602.

L'indicata presunzione, quindi, se esclude l'indagine sulla eventuale momentanea difficoltà dell'imprenditore di adempiere le proprie obbligazioni tributarie e se, conseguentemente, esclude che quegli possa evitare il fallimento con la presentazione dell'istanza di ammissione alla procedura di amministrazione controllata, non è inconciliabile con l'eventuale accertamento che l'Autorità giudiziaria compia sulla concreta esistenza dello stato d'insolvenza.

Tale considerazione trova conforto nella normativa della disciplina del fallimento: sia là dove lo stato d'insolvenza dell'imprenditore commerciale, per i suoi riflessi di natura pubblica, deve essere accertato d'ufficio dal giudice oltre che su istanza di un organo pubblico (quale è il pubblico ministero), sia là dove, dichiarato il fallimento, la procedura concorsuale apre il concorso di tutti i creditori sulla liquidazione dell'intero patrimonio del fallito.

L'osservazione esposta trova conferma in una precedente pronuncia di questa Corte, secondo cui il Tribunale nel disattendere l'istanza di fallimento fiscale, per difetto dell'inadempimento tributario come predeterminato dalla legge fiscale, può dichiarare il fallimento ordinario nell'esercizio dei poteri conferitigli dall'art. 6.1. fall. e correlativamente respingere l'opposizione proposta contro la dichiarazione medesima in base al positivo riscontro dello stato d'insolvenza, secondo la previsione dell'art. 5 l. fall. (sent. 28.1.82 n. 565).

Quasi omologa situazione si è verificata nella fattispecie in esame, nella quale, con l'istanza per la dichiarazione di fallimento della s.r.l. Mocafra, l'esattore aveva agito non solamente in forza dei tributi per i quali v'era stata l'autorizzazione dell'Intendente di finanza a richiedere il fallimento fiscale ma anche per altri tributi, iscritti in ruoli diversi da quelli precedenti, ammontanti a L. 56.345.984.

Di fronte a tale situazione, nella quale convergevano in sintesi le due analitiche ipotesi legislative per la dichiarazione del fallimento, nulla vietava al giudice di accertare in concreto lo stato d'insolvenza della debitrice di là dalla presunzione legale, con la conseguenza che - quanto al fallimento ordinario - non era necessario indagare sull'esistenza e sulla validità dell'indicata "autorizzazione", per accertare la legittimazione processuale dell'esattore.

Esattamente, quindi, la Corte del merito, interpretando i contenuti della dichiarazione di fallimento e della successiva sentenza conseguente all'opposizione della fallita, ha considerato che il tribunale sin dall'origine, aveva estesa la sua indagine sullo stato d'insolvenza, confermato nel successivo giudizio di cognizione piena.

La correttezza di tale interpretazione, peraltro, viene accertata da questa Corte anche mediante l'esame diretto della sentenza del Tribunale, stante il denunciato preteso "error in procedendo" attribuito alla Corte del merito. Si rileva, infatti, che il primo giudice non solo aveva assunto "expressis verbis" l'esistenza dello stato d'insolvenza, ma aveva altresì indugiato sulla dimostrazione di esso alla luce degli elementi di prova emergenti dal fascicolo fallimentare.

Da quanto sopra esposto emerge chiara la soluzione negativa di ciascuna questione sollevata col ricorso, a partire da quelle afferenti ai pretesi errori del Tribunale e della Corte quanto alla limitazione della "potestas indicandi ne eat ultra petita partium"; da quella sulla mancata legittimazione processuale dell'esattore (con la irrilevante indagine sull'esigersi dell'art. 97 D.P.R. 262 T.U. 645-58); sino a quella della pretesa mancata valutazione della "moratoria" incidente, peraltro, su parte dei crediti tributari e finalizzata alla sola esclusione, dal computo delle "passività", di quelli per i quali era stata autorizzata l'istanza per la dichiarazione del fallimento fiscale.

Come si rileva, infine, dalla parte narrativa della presente decisione, non è esatto che la Corte del merito non abbia tenuto conto degli "sgravi fiscali" disposti dall'Intendente di finanza, anzi tale esclusione espressamente indica nel riferire che il calcolo delle passività della s.r.l. Mocafra evidenziava debiti per circa 490 milioni di lire.

Il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali ed agli onorari nella misura di cui al dispositivo in favore di ciascuna delle resistenti in giudizio.

 

p.q.m.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali nella misura di L. 47.000 a favore dell'Esattoria e in L. 22.000 a favore del'AMM. Finanze oltre a L. 2.000.000 In favore di ciascuna delle parti resistenti. Roma, 9.12.87.