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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24051 - pubb. 11/01/2020.

Sussistenza dell’insolvenza al momento della dichiarazione di fallimento


Cassazione civile, sez. I, 19 Luglio 2000. Pres. Proto. Est. Di Amato.

Sussistenza, al momento della dichiarazione di fallimento, di un utile - Stato di insolvenza - Esclusione - Non necessarietà


In materia fallimentare, non può ritenersi decisiva, ai fini della esclusione dello stato di insolvenza, che ne costituisce il presupposto, la sussistenza, al momento della dichiarazione di fallimento, di un qualche utile, in quanto la capacità di svolgere l'attività di impresa con una prevalenza dei ricavi sui costi e di conseguire, quindi, un profitto non esclude la sussistenza di esposizioni debitorie che detto profitto, tanto più se modesto, non sia in grado di ripianare. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Vincenzo PROTO - Presidente -

Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI - Consigliere -

Dott. Mario ADAMO - Consigliere -

Dott. Giuseppe SALMÈ - Consigliere -

Dott. Sergio DI AMATO - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Laura B., in proprio e quale socia illimitatamente responsabile della s.n.c. Collegio Convitto Alessandro Manzoni di Marrone Oscar e Solari Giorgio, proponeva opposizione avverso la sentenza del 4 gennaio 1994, con cui il Tribunale di Siena aveva dichiarato il fallimento della società ed il suo personale, oltre che quello degli altri soci illimitatamente responsabili. In particolare, l'opponente contestava sia la sussistenza dello stato di insolvenza, sia la regolarità del procedimento, deducendo di non essere stata informata della istanza di fallimento presentata dalla s.r.l. Lorenzini. Il Tribunale, con sentenza del 13 dicembre 1994, dichiarava inammissibile l'opposizione proposta dalla B. in nome e per conto della società e rigettava quella proposta in proprio. Sotto il primo profilo il Tribunale osservava che in base allo statuto sociale la rappresentanza spettava congiuntamente ai due soci e che, considerato il grave disaccordo tra essi, che aveva portato alla nomina di un amministratore giudiziario, non ricorreva la fattispecie prevista dall'art. 2258 c.c.; per ciò che concerneva la sussistenza dello stato di insolvenza, il Tribunale rilevava che lo stesso emergeva dai risultati della verifica dello stato passivo, che aveva evidenziato un passivo di oltre lire 900.000.000=. Avverso detta sentenza proponeva gravame la B., riproponendo la doglianza sulla violazione del diritto di difesa, fondata sull'assunto che la sussistenza dello stato di insolvenza era stata desunta sulla base di valutazioni successive alla dichiarazione di fallimento, e deducendo che erroneamente era stata esclusa la sussistenza di una situazione che le consentiva di agire da sola, ai sensi dell'art. 2258 c.c., in nome della società fallita. La Corte di appello rigettava il gravame, osservando che, come rilevato dai primi giudici, nella specie il contrasto tra i soci, e non l'impossibilità di sentire gli altri amministratori, impediva una iniziativa congiunta degli stessi, con la conseguenza che non poteva configurarsi una situazione di urgenza. Quanto alla violazione del diritto di difesa. osservava che, una volta avvisato dell'inizio della procedura, il debitore ha l'onere di seguirne lo sviluppo, senza necessità di ulteriori avvisi in relazione ad ulteriori istanze di fallimento. Nel merito osservava che la situazione debitoria della fallita società, pur essendo stata compiutamente accertata durante la procedura, si riferiva al momento della dichiarazione di fallimento.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione Laura B.. Il fallimento della s.n.c. Collegio Convitto Alessandro Manzoni di Marrone Oscar e Solari Giorgio resiste con controricorso. Non hanno svolto attività difensiva gli altri intimati e cioè la s.r.l. Lorenzini e Gina Lorenzini, già istanti per il fallimento, e Giorgio Solari, socio illimitatamente responsabile della fallita società e, come tale, fallito in proprio.

 

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell'art.2258 c.c., lamentando che la Corte di merito non abbia ricondotto l'impugnazione della dichiarazione di fallimento ad una situazione, prevista dalla norma, di urgenza di evitare un danno alla società, con una interpretazione che di fatto lascerebbe i singoli amministratori, in caso di amministrazione congiunta, arbitri del fallimento della società. Il motivo nei termini in cui è formulato è infondato. L'art. 2258 cod. civ., con disposizione dettata per la società semplice ma applicabile alla società in nome collettivo in virtù del richiamo ex art. 2293 cod. civ., prevede che, quando per il compimento di un atto è necessario il consenso di tutti i soci ovvero il consenso della maggioranza di essi, "i singoli amministratori non possono compiere da soli alcun atto, salvo che vi sia urgenza di evitare un danno alla società". La norma, come è evidente, è diretta ad evitare che la società possa subire pregiudizi per il ritardo conseguente alla necessità di procedere a consultazioni, per acquisire il consenso di tutti i soci o, secondo i casi, della loro maggioranza. La norma, pertanto, presuppone che non si sia manifestato alcun dissenso, preclusivo dell'atto o dell'operazione, e che, al contrario, sia ancora possibile acquisire i consensi necessari. Esattamente, quindi, la Corte di merito ha ritenuto che nella specie mancassero i presupposti per l'applicazione della disposizione, considerato che la paralisi della società derivava da un grave disaccordo tra i soci e che per tale ragione era stato nominato un amministratore giudiziario.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce l'omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione in ordine alla sussistenza dello stato di insolvenza, motivato sulla base dell'esposizione debitoria emersa in sede di verifica dello stato passivo, dopo la cessazione dell'attività di impresa, senza tenere conto che al momento della dichiarazione di fallimento la società era ancora in attivo, come dichiarato dall'amministratore giudiziario e persino dal Tribunale di Siena che nel dichiarare il fallimento aveva dato atto che sussisteva un utile sia pure "risicato"; inoltre, la Corte di merito non aveva tenuto presente che i crediti di entrambi gli istanti per il fallimento erano contestati e quello della s.r.l. Lorenzini neppure era stato portato a conoscenza della ricorrente, considerato che la relativa istanza era stata acquisita quando il fascicolo fallimentare era in riserva e, quindi, non poteva essere da essa consultato. Il motivo è infondato. La Corte di merito ha fondato il proprio convincimento sul "rilevante importo dello stato passivo ... si accertato con precisione successivamente alla dichiarazione di fallimento, ma ... attinente alla situazione patrimoniale anteriore, ditalché al momento della dichiarazione di fallimento sussisteva ampiamente lo stato di insolvenza". A fronte di tale situazione, che il Tribunale aveva specificato in un passivo di oltre lire 900.000.000=, cui corrispondeva un attivo di sole lire 171.000.000=, la tesi della ricorrente, secondo la quale il lo stato di insolvenza sarebbe stato creato dalla dichiarazione di fallimento, rappresenta una mera contestazione in fatto in mancanza di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, in relazione ai quali si sarebbe manifestato il vizio di motivazione della sentenza impugnata. In particolare, non puo ritenersi decisiva la pretesa sussistenza, al momento della dichiarazione di fallimento, di un "utile risicato"; infatti, la capacità di svolgere l'attività di impresa con una prevalenza dei ricavi sui costi e di conseguire, quindi, un profitto non esclude di per sè la sussistenza dello stato di insolvenza, derivante da esposizioni debitorie che il profitto, tanto più se modesto, non è in grado di ripianare, con la conseguenza di non generare "credito" (nella specie neppure dedotto) in favore dell'imprenditore e di non neutralizzare così il rilievo della eccedenza delle passività sulle attività.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso, in favore del fallimento della s.n.c. Collegio Convitto Alessandro Manzoni, delle spese di lite liquidate in L. 78.700, quanto agli onorari, in lire 2.500.000=.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 novembre 2000.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2000