ilcaso.it
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24046 - pubb. 11/01/2020.

Il mancato pagamento dell’IVA è sintomatico di una situazione di insolvenza ai fini della dichiarazione di fallimento


Cassazione civile, sez. I, 05 Dicembre 2001, n. 15407. Pres. Grieco. Est. Fioretti.

Fallimento - Stato d’insolvenza - Ruolo emesso per la riscossione dell'IVA - Natura - Titolo esecutivo - Impugnazione - Mancato pagamento del tributo - Atto sintomatico di una situazione di insolvenza per gli effetti di cui all'art. 5 legge fall. - Configurabilità - Limiti


Il mancato pagamento di somme dovute all'amministrazione finanziaria per IVA ed iscritte a ruolo può considerarsi atto sintomatico di una situazione di insolvenza ai fini della dichiarazione di fallimento senza che rilevi in contrario la circostanza dell'avvenuta impugnazione del ruolo stesso, che ha natura di titolo esecutivo, salvo che il debitore dimostri che l'esecutività dell'atto impugnato è stata sospesa. (massima ufficiale)

 

Svolgimento del processo

Con atto di citazione, notificato il 23 dicembre 1995, la Monti Oro s.r.l. proponeva opposizione alla sentenza del 7 - 11.12.95, con la quale il Tribunale di Vicenza, su istanza del Procuratore della Repubblica, l'aveva dichiarata fallita, assumendo:

che il P.M. era sprovvisto di legittimazione ad agire, non ricorrendo alcuna delle ipotesi previste dall'art. 7 della legge fall.;

che i crediti dell'amministrazione finanziaria per I.V.A., I.R.P.E.G. ed I.L.O.R., in base ai quali era stato ritenuta la sussistenza dello stato di insolvenza, non erano certi, liquidi ed esigibili, essendo nulla la notificazione dei relativi avvisi di accertamento. Costituendosi in giudizio, il curatore del Fallimento contestava gli assunti della società attrice, sostenendo che il fallimento poteva essere dichiarato anche d'ufficio, in considerazione dello stato di insolvenza della Monti Oro, risultante dalla definitività dell'avviso di accertamento I.V.A. per l'anno d'imposta 1993 e della conseguente iscrizione a ruolo del relativo importo di oltre 75.000.000.000 di lire, con emissione della relativa cartella esattoriale, nonché degli accertamenti per I.R.P.E.G. ed I.L.O.R. dell'Ufficio Imposte Dirette di Vicenza, concernenti l'esercizio sociale 1993, che avevano comportato l'iscrizione a ruolo e l'emissione di cartella di pagamento per oltre 10.000.000.000 di lire.

Con sentenza n. 660/97 il tribunale summenzionato rigettava l'opposizione, osservando che non sussisteva l'eccepita nullità della notificazione dell'avviso di accertamento dell'Ufficio I.V.A., essendo stata la stessa effettuata presso il domicilio eletto dal legale rappresentante della Monti Oro, in Como, ed avendo comunque la notificazione raggiunto il suo scopo;

che, quindi, erano irrilevanti i motivi relativi a vizi delle cartelle esattoriali; che, inoltre, gli accertamenti in questione, anche se contestati, costituivano titolo per la riscossione di un terzo del tributo; che l'esistenza e l'esigibilità del consistente debito tributario, non onorato, rendeva evidente lo stato d'insolvenza della società. L'appello, proposto dalla Monti Oro s.r.l. alla Corte d'appello di Venezia con citazione, notificata il 28 novembre 1997, veniva respinto da detto giudice con sentenza del 25 marzo 1999, depositata in cancelleria il 28 aprile 1999. Osservava la corte di merito che il tribunale non aveva compiuto un accertamento che gli era inibito, per essere devoluto alla giurisdizione delle commissioni tributarie, in quanto non era entrato nel merito della legittimità delle pretese impositive, ma si era limitato ad affermare che le impugnazioni proposte dalla Monti Oro innanzi alla Commissione Tributaria avverso la cartella di pagamento del 3 agosto 1995, relativa ad I.V.A., e contro l'avviso di accertamento e la cartella di pagamento relativi ad I.R.P.E.O. ed I.L.O.R. per l'anno 1993, non consentivano di escludere lo stato di insolvenza della società; che, ai fini dell'accertamento dell'esistenza o meno di tale stato, non era inibita al giudice una sommaria valutazione delle contestazioni mosse dal fallendo, quando esse siano manifestamente infondate; che, in particolare, l'avviso di accertamento n. 818220/94 dell'Ufficio I.V.A. di Vicenza, relativo all'anno d'imposta 1993, per un totale di L. 75.173.319.000 (comprensivo di pene pecuniarie ed interessi) non era stato impugnato ed era, quindi, divenuta definitiva l'iscrizione a ruolo di detto carico tributario; che l'esistenza del debito suindicato non poteva essere posta in dubbio dal ricorso avverso al cartella relativa al suo pagamento, motivato esclusivamente con la deduzione della nullità della notificazione del predetto avviso di accertamento e della mancanza delle indicazioni dell'imponibile e dell'aliquota applicata; che l'inconsistenza di dette doglianze era manifesta, atteso che l'avviso di accertamento I.V.A. era stato notificato alla Monti Oro in data 10 gennaio 1995, a norma dell'art. 60 lettera e) del d.P.R. n. 600/73, ed inoltre, in data 30.12.1994, nel domicilio eletto dal legale rappresentante della società, a mani del domiciliatario; la cartella di pagamento, poi, richiamava l'avviso di accertamento I.V.A. e conteneva tutti i dati necessari per individuare il debito tributario cui si riferiva; che il dedito per I.V.A., senza considerare quelli per le altre imposte, data la sua entità, era da solo indice sicuro di una situazione di insolvenza. Avverso detta sentenza la s.r.l. Monti Oro ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, eccependo con il primo il difetto di giurisdizione del giudice adito. Il Fallimento della Monti Oro s.r.l. ha resistito con controricorso. Con sentenza n. 115/2001 le sezioni unite della Corte di cassazione hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario ed il processo è stato assegnato alla sezione semplice per la decisione degli altri due motivi.

 

Motivi della decisione

Con il secondo motivo di ricorso la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Deduce la ricorrente: che la notifica dell'avviso di accertamento deve ritenersi nulla per irritualità o per mancata osservanza delle condizioni normativamente previste; che i ruoli potrebbero essere nulli sia nella forma che nella sostanza e, comunque, non sono titoli che concretano una obbligazione certa ed esigibile;

che le relative cartelle, essendo impugnabili per vizi propri, nonché per questioni relative all'"an" ed al "quantum" debeatur, sono prive di ogni carattere di definitività in merito alla loro valenza di titolo esecutivo;

che la Corte Costituzionale, espungendo dall'ordinamento giuridico il c.d. fallimento fiscale con il dichiarare l'illegittimità dell'art. 97, 3^ comma del d.P.R. n. 602/1973 (sentenza n. 89 del 1992), ha negato che la sola iscrizione a ruolo possa essere adottata a fondamento della richiesta di fallimento, sia pure accompagnata da ragioni di denunciata morosità;

che, pertanto, sulla base della documentazione esibita dal Procuratore della Repubblica non vi sarebbero spazi di legittimità per fondare l'istanza di fallimento, in quanto:

1) non sussiste l'esistenza giuridica dei ruoli non ancora emessi con il visto di esecutorietà della Direzione regionale delle entrate;

2) la mera esistenza di detti ruoli non legittima la procedura concorsuale anche in mancanza di pagamento (non provata in atti);

3) l'impugnazione delle relative cartelle potrebbe condurre ad una sentenza favorevole che cancellerebbe l'esistenza del titolo (ruolo) per inadempimento di obblighi fiscali.

Inoltre l'accoglimento dell'istanza del Procuratore della Repubblica porterebbe a disparità di trattamento in due situazioni giuridiche identiche, in quanto affermerebbe la possibilità del fallimento per obbligazioni fiscali in capo al contribuente, invitato a versare somme ritenute dovute all'erario tramite cartelle esattoriali per iscrizione a ruolo, se a richiedere il provvedimento è il Procuratore della Repubblica, peraltro non legittimato, e non il Ministro delle Finanze preposto alla riscossione dei tributi per legge.

Deduce ancora la ricorrente che la notifica dell'avviso di accertamento, effettuata presso il domicilio eletto, in Como, è nulla, essendo stata posta in essere senza rispettare le formalità previste dall'art. 60, lett. e) del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 e dall'art. 140 c.p.c.. Entrambe le cartelle esattoriali sarebbero nulle e, in particolare, quella emessa per il pagamento dell'IVA per non essere stata preceduta da avviso di accertamento o di rettifica.

Detti atti erano stati impugnati dinanzi al giudice tributario ed i relativi giudizi erano ancora pendenti; pertanto non poteva essere ritenuto sussistente lo stato di insolvenza per il mancato pagamento di crediti controversi, allo stato ne' certi, ne' liquidi, ne' esigibili.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione.

La decisione della corte di merito oltre che illegittima sarebbe affetta da motivazione insufficiente o comunque contraddittoria, essendo unicamente basata sull'esistenza, quale debito esigibile, di un'obbligazione tributaria tuttora all'esame del giudice tributario. I due motivi summenzionati, essendo strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

Sono entrambi infondati.

Osserva preliminarmente il collegio che ai sensi dell'art. 6 legge fallimentare il fallimento può essere dichiarato anche su istanza del Pubblico Ministero.

Si discute in dottrina se il potere del pubblico ministero abbia carattere generale o sia limitato alle sole ipotesi di cui all'art. 7 legge fall., il quale dispone che, quando l'insolvenza risulta dalla fuga o dalla latitanza dell'imprenditore, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell'imprenditore, il Procuratore della Repubblica che procede contro l'imprenditore deve richiedere il tribunale competente per la dichiarazione di fallimento.

Ritiene il collegio che l'iniziativa del pubblico ministero non sia limitata alle ipotesi previste dall'art. 7.

Questo, come osserva autorevole e condivisibile dottrina, non ha lo scopo di limitare il potere di iniziativa del pubblico ministero di cui all'art. 6, ma quello diverso di rendere doverosa la presentazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento, quando lo stato di insolvenza del debitore risulti dai casi previsti dall'art. 7.

In ogni caso questa corte ha già affrontato il problema, affermando che la facoltà di chiedere il fallimento, di cui all'art. 6 della legge fall., non costituisce per il pubblico ministero esercizio di un potere di azione, ma si risolve in una denuncia al tribunale perché provveda d'ufficio (cfr. in tal senso anche cass. n. 9884 del 1995). Passando all'esame delle ulteriori questioni, il collegio osserva. Devesi certamente escludere che si possa ritenere provato lo stato di insolvenza nel caso d'inadempimento di un credito contestato e soggetto ad accertamento giudiziale.

Tale contestazione, però, devesi ritenere irrilevante quando il credito medesimo risulti da un titolo esecutivo.

L'art. 45, primo comma, del d.P.R. n. 602 del 29 settembre 1973, nella formulazione precedente alle modifiche apportate al citato d.P.R. dal D.L.vo 26 febbraio 1999 n. 46, così statuiva:

"Per la riscossione delle imposte non pagate nei modi e nei termini stabiliti l'esattore procede all'espropriazione forzata in virtù del ruolo, previa notificazione dell'avviso di mora".

L'art. 45 del citato d.P.R., nella nuova formulazione, così recita:

"Il concessionario procede alla riscossione delle somme iscritte a ruolo, degli interessi di mora e delle spese di esecuzione secondo le disposizioni del presente titolo".

Sia dalla precedente, che dall'attuale formulazione dell'art. 45 del d.P.R. n. 602 del 29 settembre 1973 si evince che il ruolo ha natura di titolo esecutivo, potendo procedersi in base allo stesso ad esecuzione coattiva.

Nè rileva il fatto che il ruolo, emesso nel caso di specie per la riscossione dell'IVA, sia stato impugnato, ancorché l'impugnazione contenga censure rivolte all'avviso di accertamento, assumendone la non definitività per irritualità della notificazione. L'impugnazione del ruolo, infatti, non ne sospende l'esecutività, a meno che da parte della commissione tributaria non sia stata disposta, su specifica istanza del contribuente, ai sensi dell'art. 47 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, la sospensione dell'atto impugnato.

Pertanto la sola impugnazione del ruolo, data la sua natura di titolo esecutivo, a meno che il debitore non dimostri che l'esecutività dell'atto impugnato è stata sospesa, non consente di giustificare il mancato pagamento del tributo con l'avvenuta contestazione dello stesso e di escludere, quindi, che l'inadempimento possa considerarsi atto sintomatico di una situazione di insolvenza ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 5 della legge fallimentare.

Ma v'è di più.

Qualora venga emesso avviso di accertamento e questo venga immediatamente impugnato, la impugnazione dello stesso non produce l'effetto di sospendere, ma soltanto quello di limitare ad una quota determinata la riscossione dell'imposta accertata. L'art, 15 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nella formulazione in vigore dopo le modifiche introdotte dal D.L.vo 18 dicembre 1997, n. 462, dispone, infatti, che le imposte corrispondenti agli imponibili accertati dall'Ufficio, ma non ancora definitivi, nonché i relativi interessi, sono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell'atto di accertamento, per la metà (nella precedente formulazione la iscrizione provvisoria era limitata ad un terzo) dell'ammontare corrispondente agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati.

In altre parole l'amministrazione finanziaria, dopo la notifica dell'avviso di accertamento, ha il potere-dovere di riscuotere, in via provvisoria, in pendenza del giudizio di fronte alla commissione tributaria provinciale, metà dell'imposta corrispondente all'imponibile o al maggior imponibile accertato dall'Ufficio. Pertanto, anche in tal caso l'inadempimento del debitore, pur essendo l'atto di accertamento sub iudice, può essere legittimamente assunto come indice di una situazione di insolvenza dello stesso. Nè ha alcuna rilevanza il richiamo, effettuato dalla ricorrente, alla sentenza della Corte Costituzionale n. 89 del 1992, con la quale il giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 97, comma 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nella parte in cui prevede la dichiarazione di fallimento, a richiesta dell'Intendente di Finanza, del debitore di imposta che sia imprenditore commerciale, per morosità di rata o rate di imposta di importo superiore a L. 500.000, ancorché iscritte a ruolo in via provvisoria per la pendenza di ricorsi dinanzi alla commissioni tributarie. Tale sentenza, infatti, non ha espunto dal nostro ordinamento il c.d. fallimento fiscale, negando, in qualche modo, rilevanza al mancato pagamento di un'imposta iscritta a ruolo al fine della dichiarazione di fallimento ex art. 5 della legge fallimentare, ma si è limitata a dichiarare la illegittimità, per contrasto con l'art. 24 della Costituzione, della norma in questione, soltanto perché questa non consentiva all'imprenditore commerciale, prima della dichiarazione di fallimento, una adeguata difesa.

Per le ragioni che precedono la decisione impugnata, essendo il dispositivo conforme al diritto, deve essere confermata, anche se, ai sensi dell'art. 384, secondo comma, c.p.c., deve esserne corretta, nei termini di cui sopra, la motivazione.

Conseguentemente il ricorso deve essere respinto.

Data la complessità della materia, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese giudiziali.

 

P.Q.M.

La Colle rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2001.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2001