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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24041 - pubb. 11/01/2020.

Liquidazione coatta amministrativa di impresa in amministrazione controllata e accertamento dello stato di insolvenza


Cassazione civile, sez. I, 09 Settembre 2005, n. 18066. Pres. Criscuolo. Est. Panzani.

Liquidazione coatta amministrativa di impresa in amministrazione controllata - Conseguenze - Presupposti per l'accertamento dello stato di insolvenza - Sussistenza - Fondamento


Il presupposto dell'amministrazione controllata, consistente nella temporanea difficoltà dell'imprenditore di adempiere le proprie obbligazioni, non è ontologicamente diverso dallo stato di insolvenza che costituisce presupposto della dichiarazione di fallimento, differenziandosi da quest'ultimo soltanto in quanto, nella prima procedura, sussiste la probabile reversibilità della situazione d'insolvenza; pertanto, qualora l'impresa sottoposta ad amministrazione controllata sia successivamente assoggettata a liquidazione coatta amministrativa deve ritenersi provata l'irreversibilità' dello stato di insolvenza, in quanto la seconda procedura è diretta alla liquidazione dell'impresa ed è, quindi, incompatibile con la possibilità di risanamento dell'impresa, fermo restando che l'accertamento dello stato di insolvenza deve essere effettuato in contraddittorio con l'imprenditore, nell'osservanza della disciplina stabilita dagli artt. 195 e 202 legge fall.. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISCUOLO Alessandro - Presidente -

Dott. GILARDI Gianfranco - Consigliere -

Dott. PANZANI Luciano - rel. Consigliere -

Dott. DEL CORE Sergio - Consigliere -

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

Svolgimento del processo

1. La Sanremo Assicurazioni s.p.a. veniva ammessa alla procedura di amministrazione controllata dal Tribunale di Velletri con decreto del 2.6.1989. Con decreto del Ministro dell'Industria del 19.7.1989 la società veniva posta in liquidazione coatta amministrativa. Nelle more la Corte di Cassazione con sentenza 4.2.1993, n. 1387, dichiarava inammissibili i ricorsi proposti contro il decreto del Tribunale di Velletri dal Ministero dell'industria e dall'Isvap. Il Tribunale di Roma, su istanza di alcuni creditori e del commissario liquidatore, dichiarava con sentenza 10.2.1994 lo stato d'insolvenza della società. Lo stesso Tribunale con sentenza 9.6.1995 respingeva le opposizioni avverso la dichiarazione dello stato d'insolvenza proposte da Angelino D., nella qualità di presidente ed amministratore della società e anche in proprio quale socio. La Corte d'appello di Roma con sentenza non definitiva 27.1.1997 dichiarava inammissibile l'appello proposto dal D. nei confronti dei creditori istanti per la dichiarazione dello stato d'insolvenza, respingeva l'eccezione d'incompetenza funzionale del Tribunale di Roma e quella relativa al difetto di legittimazione del commissario liquidatore. Con successiva sentenza 10.1.1999 la Corte d'appello respingeva l'appello. Osservava la Corte che era infondata la tesi dell'appellante secondo il quale 11 decreto del Tribunale di Velletri di ammissione della Sanremo Assicurazioni alla procedura di amministrazione controllata escludeva la sussistenza dello stato d'insolvenza e faceva stato nei confronti del commissario liquidatore ai sensi dell'art. 2909 c.c., avendo questi anche fatto acquiescenza alla decisione dei giudici di Velletri. il presupposto oggettivo della procedura di amministrazione controllata e di quella di liquidazione coatta era il medesimo, vale a dire l'insolvenza, come emergeva dalla disciplina dettata dagli artt. 192, comma 3, e 187 l. fall. oltre che dalla giurisprudenza formatasi in ordine al computo del periodo sospetto ai fini dell'esperimento delle azioni revocatorie a decorrere dalla data di apertura della procedura di amministrazione controllata, nel caso di successiva dichiarazione di fallimento. Osservava ancora la Corte che la procedura di amministrazione controllata era stata superata dalla liquidazione coatta amministrativa, disposta con decreto ministeriale esecutivo, in ragione del suo carattere spossessatorio e liquidatorio, incompatibile con il perseguimento dell'obiettivo del risanamento dell'impresa proprio della prima procedura. Non vi era motivo per disapplicare il decreto ministeriale che aveva disposto la l.c.a. perché il procedimento di messa in liquidazione coatta e la procedura giudiziale diretta alla dichiarazione dello stato d'insolvenza costituivano momenti indipendenti, per cui nessun effetto poteva sortire dalla disapplicazione del provvedimento ministeriale in ordine all'esito del procedimento per la dichiarazione d'insolvenza. Alla disapplicazione non poteva comunque farsi luogo, essendo questione di asserita lesione d'interessi legittimi. La Corte d'appello affermava infine la sussistenza dello stato d'insolvenza alla data del decreto 19.7.89 con cui la Sanremo Assicurazioni era stata posta in l.c.a. Ciò la Corte argomentava dall'esistenza di debiti ingenti nei confronti di numerosi soggetti (sinistri quietanzati e non pagati, debiti nei confronti dell'INA, della Direzione Provinciale del Tesoro, dell'Ufficio del Registro, del Fondo di Garanzia vittime della strada) per oltre 15 miliardi di lire. La circostanza che per pagare i sinistri fosse necessario attingere alle riserve dimostrava la irreversibile crisi di liquidità in cui versava la società, tenendo anche conto del fatto che l'impresa assicurativa è caratterizzata dal cd. "ciclo produttivo invertito" perché prima incassa i premi dagli assicurati e poi con tali disponibilità gestisce i rischi connessi all'attività, utilizzare le riserve per pagare i sinistri pregressi costituiva dimostrazione che era stato eliminato il vantaggio derivante dal predetto sistema produttivo e si era innescato un circolo vizioso che costringeva l'impresa ad una rincorsa continua per reperire liquidità. In ogni caso anche utilizzando parte delle riserve per la copertura dei sinistri non pagati, rimaneva un'enorme esposizione debitoria che non era dato comprendere con quali risorse sarebbe stata pagata.

Ancora la Corte d'appello evidenziava che alcune poste di bilancio non risultavano corrispondenti al reale, come accertato dal commissario liquidatore a seguito di indagini affidate a società di revisione e dall'Isvap, sì che ne risultava confermata la situazione d'insolvenza.

Il piano di risanamento proposto dalla Sanremo Assicurazioni in sede di amministrazione controllata, valutato ad abundantiam, veniva infine ritenuto dalla Corte non realizzabile in ragione della non ritenuta credibilità del dato relativo alla redditività degli immobili nel biennio successivo e del previsto incremento dei premi del 15% nello stesso biennio, in presenza delle note difficoltà emergenti dall'apertura della procedura di amministrazione controllata. Infine il grave stato di dissesto risultava comprovato dall'ammontare dello stato passivo della l.c.a. alla data del 28.7.1995, da cui risultavano creditori privilegiati per oltre 93 miliardi di lire, creditori chirografari per oltre 9 miliardi ed ancora insinuazioni tardive per 32 miliardi in privilegio e 4 miliardi in chirografo.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il D., in proprio e quale amministratore della Sanremo Assicurazioni, formulando quattro motivi.

Resiste con controricorso la Sanremo Assicurazioni in l.c.a. 2. L'udienza di discussione della causa veniva inizialmente fissata al 28.03.01. In data 27.03.2001 - e quindi il giorno precedente l'udienza - Angelino D. presentava istanza di ricusazione del Presidente del collegio, Cons. Alfredo Rocchi. Il rinvio dell'udienza, disposto dal Presidente per consentire la discussione e decisione della causa dinanzi a collegio diversamente composto, dava luogo ad una istanza del difensore del D., volta a sostenere la sospensione - in forza della proposta ricusazione - del processo, a chiedere l'esame della istanza di ricusazione da parte di altra sezione, ad eccepire l'incostituzionalità dell'art. 53 c.p.c. nella parte in cui è prevista, per la decisione della istanza di ricusazione, la competenza dello stesso collegio di cui fa parte il giudice ricusato. Nuovamente fissata l'udienza di discussione al 09.05.01, con ulteriore istanza, datata 05.05.01 e rivolta al primo Presidente della Cassazione, Angelino D., sostenendo la illegittimità di tale nuova udienza - in quanto il processo doveva intendersi sospeso in forza della precedente ricusazione - ricusava i Consiglieri Cappuccio (relatore) e Plenteda, in quanto facenti parte del precedente collegio e, poiché gli stessi potevano aver influenzato il nuovo collegio, ricusava l'intero collegio (consiglieri Reale, Cappuccio, Plenteda, W. Celentano, Fioretti) nonché tutti i giudici della prima sezione civile. L'istanza veniva dichiarata irricevibile - considerato che non è demandato al Primo Presidente provvedere sulla ricusazione - ma analoga istanza veniva presentata alla cancelleria della prima sezione civile, ed il ricordato collegio, chiamato a giudicare la causa all'udienza del 09.05.01, ritenendo il processo automaticamente sospeso ai sensi dell'art. 52 c.p.c. e non potendo comunque decidere su nessuna delle ricusazioni, perché ricusato in quattro dei propri cinque membri, rimetteva gli atti al Presidente della sezione.

Le istanze di ricusazione venivano discusse all'udienza del 07.02.02 (da un collegio composto dai Consiglieri De Musis, Losavio, Fioretti, Ceccherini, Macioce) e, con ordinanza depositata il 12.10.02, dichiarate inammissibili. Con istanza depositata il 03.02.03 Angelino D., nell'assunto che l'ordinanza 07.02.02 fosse nulla, perché alla decisione aveva partecipato il Consigliere Francesco Maria Fioretti, ricusato quale componente del collegio chiamato a giudicare all'udienza del 09.05.01, e che, conseguentemente, non era stata ancora assunta una valida decisione sulla ricusazione dei consiglieri Cappuccio, W. Celentano, Plenteda e Fioretti; che dovevano, inoltre, essere ricusati i consiglieri Rosario De Musis, Giovanni Losavio, Aldo Ceccherini e Luigi Macioce, perché componenti il collegio che, il 7.02.02, aveva deciso sulle precedenti ricusazioni, ricusava tutti i predetti.

All'udienza del 06.02.03 (consiglieri Losavio, Cappuccio, Plenteda, W. Celentano, Macioce) preso atto dell'effetto sospensivo della proposta istanza di ricusazione, il collegio rinviava la causa a nuovo ruolo. Con ordinanza 15.04/15/07.03 il collegio (consiglieri Saggio, Panebianco, Adamo, Piccininni, Giuliani) investito della nuova istanza di ricusazione, la rigettava.

La discussione della causa veniva nuovamente fissata per l'udienza del 19.05.04, ed il collegio (consiglieri De Musis, Cappuccio, Luccioli, Plenteda, Adamo) veniva, con istanza depositata in Cancelleria il 14.05.04, ricusato nei componenti De Musis, Cappuccio, W. Celentano e Plenteda per la ragione che il collegio è formato da "consiglieri vittime del pregiudizio che vede tuttora la Sanremo insolvente nonostante l'ultimo bilancio di esercizio"; l'istante si domandava, inoltre "com'è possibile che alcuni consiglieri della Suprema Corte possano aver anticipatamente ed acriticamente accettato l'opinione espressa dalla Corte d'Appello (e in ciò risiede il pre- giudizio) ritenendo insolvente la Sanremo nonostante la macroscopica evidenza degli accertamenti dei periti d'ufficio", in tal modo esponendo una diversa, rispetto alle precedenti, ragione di ricusazione.

Con ordinanza 26.6.2004 la Corte sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 52, 53, 54 c.p.c. in relazione agli artt. 3, 24, 25, 111 della Costituzione in quanto non consentivano allo stesso giudice ricusato di dichiarare inammissibile l'istanza di ricusazione che tale appaia - per motivi di rito o di merito - immediatamente e manifestamente. Con ordinanza 18.3.2005, n. 115, la Corte costituzionale dichiarava la manifesta infondatezza della questione di legittimità.

Il giudizio veniva quindi chiamato all'udienza odierna. Nelle more sia la difesa del D., sia questi personalmente depositavano memoria.

 

Motivi della decisione

3. È preliminare all'esame dei motivi di ricorso l'esame delle questioni attinenti alla ricusazione proposta dal ricorrente D..

In proposito va premesso che nella memoria depositata a seguito della fissazione dell'odierna udienza, il D. ha prodotto numerosi documenti. Tale produzione documentale va ritenuta inammissibile, ad eccezione delle copie di atti processuali già facenti parte del fascicolo del giudizio (tra questi la copia della sentenza impugnata), perché estranea al novero degli atti contemplati dall'art. 372 c.p.c. Tale rilievo, va aggiunto, vale anche per la memoria depositata dal difensore del ricorrente, illustrativa dei motivi del ricorso.

In ordine alla ricusazione va osservato che la Corte costituzionale con l'ordinanza 115/2005, pronunciata a seguito dell'eccezione d'illegittimità costituzionale degli artt. 52, 53, 54 c.p.c. sollevata da questa stessa Corte nella parte in cui non consentono al giudice ricusato di dichiarare inammissibile l'istanza di ricusazione che tale appaia - per motivi di rito o di merito - immediatamente e manifestamente, ha dichiarato manifestamente infondata la questione proposta, precisando peraltro in motivazione che deve affermarsi il carattere non automatico della sospensione del giudizio a seguito della proposizione dell'istanza di ricusazione nonché l'esistenza di un potere delibatorio del giudice della causa in presenza di ricusazioni che rivelino un uso distorto dell'istituto. A tale orientamento, fatto proprio anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. Un. 3948/89) ritiene di aderire il Collegio. È tuttavia preliminare osservare da un lato che il ricorrente, neppure nella memoria depositata da ultimo, non ha in alcun modo insistito perché la Corte pronunciasse sulla ricusazione ne' ha dedotto ulteriori motivi di ricusazione e dall'altro e soprattutto che il ricorrente non vanta interesse alcuno ad ottenere una pronuncia della Corte sulla proposta ricusazione, che va pertanto dichiarata inammissibile. La causa, infatti, dopo la già ricordata pronuncia della Corte costituzionale, è stata chiamata all'odierna udienza avanti a Collegio completamente diverso da quello di cui facevano parte i giudici ricusati, Collegio che può pertanto pronunciare nel merito del ricorso proposto, anche in ragione del fatto che i Collegi che hanno composto la Corte in precedenza non hanno adottato alcun provvedimento in ordine al ricorso stesso che possa costituire ostacolo al mutamento della persona fisica dei giudici chiamati a decidere la controversia.

In proposito va sottolineato che la ricusazione è il mezzo affidato all'iniziativa delle parti per reagire alla situazione che viene a crearsi quando chiamato a giudicare sia un giudice sospetto di parzialità in quanto trovantesi in una delle situazioni previste dall'art. 51, comma 1, c.p.c. Essa pertanto ha carattere strumentale alla decisione di merito, si che ove sia comunque rimossa la causa che ha dato luogo alla ricusazione, nella specie la partecipazione al Collegio del giudice ricusato, viene meno la necessità di provvedere, come si evince dall'art. 39 c.p.p., norma dettata per il processo penale, ma che afferma un principio di carattere generale, in forza della quale la ricusazione si considera non proposta quando il giudice, anche successivamente ad essa, dichiara di astenersi e l'astensione è accolta.

In ragione delle circostanza che è venuto meno l'interesse del ricorrente alla pronuncia sulla proposta ricusazione, ritiene la Corte che non vi siano le condizioni per pronunciare condanna della parte all'ammenda ai sensi dell'art. 54, comma 3, c.p.c., come modificato dalla sentenza n. 78 del 21 marzo 2002 della Corte Costituzionale. 4. venendo ora ai motivi di ricorso, va osservato che con il primo motivo il D. deduce violazione dell'art. 202 l. fall. in ragione dell'inammissibilità del ricorso del commissario liquidatore per la dichiarazione dello stato d'insolvenza della Sanremo Assicurazioni. Ciò in quanto il commissario liquidatore avrebbe fatto acquiescenza al decreto del Tribunale di Velletri che aveva disposto l'ammissione della società assicurativa alla procedura di amministrazione controllata, con effetto preclusivo di ogni altra e diversa istanza.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt 5 e 187 l. fall. nonché contraddittorietà della motivazione. Sarebbe errata l'affermazione della Corte di merito secondo la quale la temporanea difficoltà di adempiere e lo stato d'insolvenza, che costituiscono rispettivamente presupposto dell'amministrazione controllata e del fallimento, consisterebbero nella medesima situazione oggettiva e vi sarebbe anche contraddittorietà di motivazione perché la Corte di merito avrebbe riconosciuto che nel caso dell'amministrazione controllata, a differenza del fallimento, la situazione di difficoltà di adempiere sarebbe reversibile, con ciò ammettendo che i presupposti delle due procedure sono differenti. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 195, 200, 202 l. fall. nonché contraddittorietà della motivazione.

L'affermazione della sentenza impugnata secondo la quale l'amministrazione controllata sarebbe stata superata dalla liquidazione coatta sarebbe irrilevante ove intesa in senso meramente temporale, restando quiescente la prima procedura in pendenza del giudizio d'impugnazione del provvedimento di liquidazione coatta. Per contro ove la corte di merito avesse inteso dire che dall'avvenuta apertura della liquidazione coatta si potrebbe trarre argomento in ordine alla sussistenza dello stato d'insolvenza, avrebbe errato perché l'accertamento dell'insolvenza è rimesso soltanto al giudice ordinario.

Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 5 l. fall. e dell'art. 7 legge 12.8.1982, n. 576, nonché difetto di

motivazione. Osserva che la Corte d'appello non avrebbe inteso correttamente il cd. "ciclo produttivo invertito" perché in un'impresa di assicurazione il flusso costante dei premi in entrata non consente di ipotizzare situazioni di illiquidità, salvo che il portafoglio polizze non si riduca in maniera così radicale da falcidiare il flusso. Non avrebbe valutato i debiti in rapporto alle poste attive, non avrebbe considerato che il ritardo nel pagamento dei sinistri era conseguenza dell'ammissione della società assicurativa alla procedura di amministrazione controllata e della necessità di chiedere l'autorizzazione del G.D. per procedere ai pagamenti dei debiti pregressi. Non avrebbe considerato il bilancio relativo al primo semestre del 1989, non acquisito agli atti del giudizio perché mai redatto, facendo affidamento sulle indagini della società di revisione incaricata dal commissario liquidatore e dell'ISVAP, senza considerare che la relazione della società di revisione non era frutto di indagine approfondita come risultava da una nota in atti e che anche la relazione ISVAP non era definitiva. 5. I primi tre motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente.

Va premesso che le Sezioni unite di questa Corte con la sentenza 4.2.1983, n. 1387, ebbero ad affermare l'inammissibilità del ricorso straordinario per Cassazione, proposto anche dal commissario liquidatore della Sanremo Assicurazioni in via adesiva, avverso il decreto del Tribunale di Velletri che aveva ammesso la società alla procedura di amministrazione controllata. Osservarono in motivazione le sezioni Unite che "la procedura (di amministrazione controllata n.d.r.) stava seguendo pacificamente il suo corso da più di un mese allorché sopravvenne il provvedimento ministeriale di assoggettamento alla liquidazione coatta, onde il ricorso del commissario liquidatore è sopravvenuto quando già era stata fatta acquiescenza al decreto del Tribunale e si era quindi realizzata la condizione ostativa prevista dall'art. 329, primo comma cod. proc. civ.. Nè può dirsi che il comportamento della Società quando era

in funzione il commissario nominato dal Tribunale è inopponibile al commissario liquidatore come "res inter alios acta". Che la s.p.a. Sanremo sia stata prima sottoposta ad amministrazione controllata e poi a liquidazione coatta amministrativa implica, ovviamente, non già che si tratti di due distinte entità, susseguitesi l'una all'altra nel tempo, ma solo che la stessa persona giuridica è passata attraverso due diverse procedure concorsuali, le quali ne hanno provocato il mutamento dell'organo rappresentativo". Dalla corretta conclusione affermata dalle Sezioni Unite in ordine al difetto di legittimazione del commissario liquidatore ad impugnare con il ricorso straordinario per Cassazione il decreto di ammissione della società assicurativa alla procedura di amministrazione controllata, non può peraltro discendere il difetto di legittimazione dello stesso commissario e dunque della società Sanremo Assicurazioni, da questi rappresentata, a domandare l'accertamento dello stato d'insolvenza. Come ha osservato la sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 192 l. fall. se in qualunque momento risulta che l'amministrazione controllata non può utilmente essere continuata, il giudice delegato promuove dal tribunale la dichiarazione di fallimento. Nel caso di specie il Ministro dell'Industria aveva disposto, per motivi che qui non rileva esaminare, la liquidazione coatta amministrativa dell'impresa assicurativa, il procedimento in parola è diretto alla liquidazione dell'impresa ed è pertanto incompatibile con il risanamento, le cui comprovate possibilità costituiscono presupposto dell'amministrazione controllata ai sensi dell'art. 187 l. fall.. In questo senso va intesa l'affermazione della corte di merito che l'amministrazione controllata era stata "superata" dalla liquidazione coatta, nel senso cioè che si era avviata una procedura totalmente incompatibile con le finalità ed i presupposti della procedura originariamente aperta dal Tribunale di Velletri. Ai sensi dell'art. 202 l. fall. se l'impresa, al tempo in cui è stata ordinata la

liquidazione, si trova in stato d'insolvenza e questa non è stata preventivamente dichiarata a norma dell'art. 195 l. fall., il tribunale del luogo ove l'impresa ha la sede principale, su ricorso del commissario liquidatore o su istanza del pubblico ministero, accerta tale stato. Sulla base di tale norma il commissario liquidatore ha presentato istanza al Tribunale di Roma, ritenuto competente perché ivi si trovava la sede effettiva dell'impresa, per la dichiarazione dello stato d'insolvenza. Nè può ritenersi che egli fosse privo di legittimazione posto che l'acquiescenza cui hanno fatto riferimento le Sezioni Unite con la già ricordata sentenza è l'acquiescenza regolata dall'art. 329 c.p.c. preclusiva dell'impugnazione, mentre nel caso di specie era questione della richiesta di un nuovo provvedimento, fondata sul fatto sopravvenuto rappresentato dalla messa in liquidazione coatta della società. Correttamente poi la Corte di merito ha ritenuto che sussistesse lo stato d'insolvenza ricordando la giurisprudenza di questa Corte che ha riconosciuto la consecuzione tra la procedura di amministrazione controllata ed il successivo fallimento, in ragione della sostanziale identità del presupposto oggettivo dell'una e dell'altra procedura, differenziati soltanto nella circostanza che la temporanea difficoltà di adempiere considerata dall'art. 187 l. fall. consiste in una situazione d'insolvenza reversibile secondo la prognosi, fausta, che viene effettuata dal giudice al momento dell'ammissione dell'imprenditore alla procedura, mentre lo stato d'insolvenza preso in considerazione quale presupposto oggettivo del fallimento e della liquidazione coatta amministrativa consiste in una situazione d'insolvenza irreversibile (cfr. da ultimo Sez. 1^, 16.4.2003, n. 6019, rv. 562192; Sez. 1^, 23.1.1997, n. 699, rv. 501972). Nel caso di specie il risanamento era escluso sulla base del provvedimento amministrativo che aveva disposto la liquidazione coatta, sì che la reversibilità dello stato d'insolvenza, legata come s'è detto, alla prognosi favorevole in ordine all'esito positivo della procedura di amministrazione controllata, veniva certamente meno, con riferimento, va sottolineato, non alla data di apertura di quest'ultima procedura, ma alla successiva data del decreto che disponeva la liquidazione. Anche il quarto motivo di ricorso non è fondato. La Corte di merito ha premesso che lo stato d'insolvenza è caratterizzata dal venir meno delle condizioni di liquidità e di credito, risultando irrilevante l'eventuale supero dell'attivo sul passivo. Ha poi argomentato dall'esistenza di debiti per circa 15 miliardi di lire, tutti relativi a partite correnti, e soprattutto dai debiti per circa 3 miliardi e mezzo relativi a sinistri liquidati e non pagati, a dimostrazione che la società non riusciva più a far fronte ai debiti se non intaccando le riserve tecniche, senza più rispettare la regola, propria del cd. ciclo produttivo invertito, proprio delle società assicurative, per cui i premi incassati sono destinati a far fronte ai rischi futuri, relativi alle polizze in corso. Ciò in una situazione in cui dalle indagini esperite dal commissario giudiziale e dall'Isvap (il primo tramite società di revisione) emergeva l'inattendibilità dei bilanci, in quanto numerose poste non corrispondevano alla realtà.

Obietta il ricorrente che in un'impresa di assicurazioni normalmente attiva il cd. ciclo invertito consente di escludere situazioni di illiquidità, salvo una riduzione radicale del portafoglio polizze;

contesta la valutazione della Corte d'appello in ordine all'inesistenza di liquidità di pronta realizzazione con cui far fronte ai debiti a breve; afferma che il ritardato pagamento dei sinistri dipendeva dalla mancata autorizzazione del giudice delegato dell'amministrazione controllata, cui si stava ponendo rimedio, ad effettuare il pagamento dei debiti pregressi; che la riserva sinistri era a tal fine sufficiente; che le valutazioni della società di revisione incaricata dal commissario liquidatore e dell'ISVAP sulla situazione della società non erano attendibili perché si sarebbero dovuti effettuare ulteriori accertamenti.

Va anzitutto osservato che le censure del ricorrente prescindono dal fondamentale rilievo contenuto nella sentenza impugnata che la procedura di liquidazione coatta amministrativa, disposta nei confronti della Sanremo Assicurazioni dopo l'ammissione alla procedura di amministrazione controllata, in ragione del suo carattere spossessatorio e liquidatorio, era incompatibile con il perseguimento dell'obiettivo del risanamento dell'impresa proprio della seconda procedura.

Già si è osservato, a questo proposito, che il presupposto dell'amministrazione controllata - la temporanea difficoltà di adempiere - e lo stato d'insolvenza, ritenuto sussistente dalla Corte d'appello ai sensi dell'art. 202 l. fall. con riferimento al tempo in cui era stata disposta la liquidazione coatta, non differiscono dal punto di vista ontologico, posto che in entrambi i casi l'imprenditore non è in condizione di adempiere alle proprie obbligazioni con mezzi ordinari (per tale motivo nell'amministrazione controllata vige il divieto di far luogo a pagamenti di debiti pregressi ex artt. 188 e 168 l. fall.), ma per il fatto che nell'amministrazione controllata l'impresa si trova in una situazione d'insolvenza reversibile, mentre la dichiarazione dello stato d'insolvenza ai sensi dell'art. 202 l. fall. presuppone che tale situazione sia divenuta irreversibile.

Orbene, una volta che sia divenuto impossibile perseguire il piano di risanamento diretto a conseguire i fini propri dell'amministrazione controllata, in ragione dell'intervenuta liquidazione coatta della società assicurativa, non può più ritenersi sussistente una situazione d'insolvenza reversibile. La reversibilità dell'insolvenza presuppone infatti che possa essere attuato e realizzato il piano di risanamento, senza di che non resta che prendere atto dell'impossibilità per l'imprenditore di adempiere alle proprie obbligazioni con mezzi ordinari, già riconosciuta con la presentazione dell'istanza di ammissione alla procedura di amministrazione controllata, situazione che non può che essere sussunta nella previsione dell'art. 5 legge fall. Lo stato d'insolvenza va tuttavia accertato nel contraddittorio dell'imprenditore, nelle forme previste dagli artt. 202 e 195 l.fall., nel testo integrato dalla sentenza 110/1972 della Corte

costituzionale. Pertanto correttamente la Corte d'appello ha proceduto alla verifica della sussistenza dello stato d'insolvenza alla data del decreto che ha disposto la liquidazione coatta. La motivazione della Corte territoriale, tuttavia, va considerata alla luce delle considerazioni ora esposte, sì che vanno esclusi ad un tempo la lamentata violazione di legge ed il difetto di motivazione. Come s'è detto, infatti, la Corte di merito ha argomentato da una serie di elementi indicativi del venir meno delle ordinarie condizioni di liquidità e credito, in particolare dall'esistenza di debiti per il complessivo ammontare di circa 15 miliardi di lire per partite correnti nei confronti di INA, Direzione Provinciale del Tesoro, Ufficio del Registro, Fondo di Garanzia vittime della Strada, tra cui particolarmente significativo il mancato pagamento di sinistri per oltre 3 miliardi di lire (dopo l'emissione delle quietanze), il cui pagamento comportava il ricorso alle riserve. Ha poi sottolineato che i bilanci non erano attendibili sulla base degli accertamenti compiuti dalla società di revisione KPMG Peat Marwick e dall'ISVAP. In particolare emergeva, secondo la Corte territoriale, che i sinistri a riserva erano sottostimati per un importo compreso tra i 22 ed i 42 miliardi di lire; che erano carenti le riserve sinistri R.C. auto tra un minimo di 28 miliardi ed un massimo di 47, 8 miliardi; che i beni immobili erano sopravvalutati per oltre 6 miliardi; che i crediti dovevano essere svalutati per circa 7 miliardi.

Il ricorrente lamenta che i dati relativi all'esposizione debitoria non siano stati raffrontati dalla corte d'appello con le poste attive di bilancio. Aggiunge che la Corte di merito ha tratto argomento dalla necessità della Sanremo Assicurazioni di attingere alle riserve per far fronte al pagamento dei sinistri già liquidati e quindi dalla "rottura" del cd. ciclo produttivo invertito, di cui s'è già accennato, rottura che non sarebbe significativa di uno stato di illiquidità e tantomeno d'insolvenza, perché vi sarebbero state comunque le risorse per far fronte ai debiti.

È indubbio che l'incapacità di adempiere alle proprie obbligazioni con mezzi ordinari, ai sensi dell'art. 5 legge fall., comporta che l'imprenditore non possa disporre di liquidità a breve, derivante da mezzi propri o dal credito di terzi, con cui far fronte ai debiti scaduti. Di per se stessa la "rottura" del ciclo produttivo invertito non può essere considerata indice dello stato d'insolvenza perché le riserve tecniche consentono all'impresa assicurativa di far fronte ai debiti, ancorché la necessità di utilizzare tali riserve, sotto il controllo dell'ente di vigilanza, sia eloquente dimostrazione dello stato di cattiva salute dell'impresa.

Nel caso in esame peraltro la Corte di merito ha correttamente considerato una serie di elementi indiziari che dimostravano:

a) l'esistenza di debiti a breve per rilevante importo non pagati;

b) l'inattendibilità delle poste di bilancio relative ai sinistri a riserva e delle riserve sinistri R.C. auto per ingentissimi importi. c) una sovrastima dell'attivo (immobili e crediti) a fronte di una sottostima del passivo (riserve sinistri);

d) la rottura del ciclo produttivo invertito e la necessità di far fronte ai sinistri già liquidati con il ricorso alle riserve tecniche;

e) l'ammontare dei debiti risultanti dallo stato passivo della procedura di liquidazione coatta, depositato il 28.7.1995, da cui emergevano crediti privilegiati per circa 42 miliardi e crediti chirografari per circa 98 miliardi, comprese le insinuazioni tardive. Correttamente la Corte d'appello ha ritenuto che tali elementi, complessivamente valutati dimostrino, in unione con la circostanza che la società di assicurazioni non era in grado di attuare il piano di risanamento in virtù del quale era stata ammessa alla procedura di amministrazione controllata in ragione della disposta liquidazione coatta, l'incapacità di adempiere alle proprie obbligazioni con mezzi ordinari. Il ricorrente svolge ulteriori considerazioni osservando che la Sanremo Assicurazioni aveva liquidità per oltre 590. milioni di lire e un flusso mensile per premi incassati di circa 4 miliardi. Vantava crediti per oltre 16 miliardi. Lo stesso ricorrente peraltro mostra di rendersi conto che si tratta di deduzioni di merito, inammissibili in questa sede, al pari del rilievo con cui si afferma che il mancato pagamento dei sinistri quietanzati sarebbe dipeso dalla necessità di ottenere l'autorizzazione in tal senso del G.D. della procedura di amministrazione controllata o che il flusso di liquidità derivante dai premi pagati dai clienti generava risorse bastevoli per far fronte ai sinistri impagati (tesi quest'ultima che costituisce addirittura valutazione in fatto in diretto contrasto con le conclusioni cui è pervenuta sul punto la sentenza impugnata). Ancora il ricorrente argomenta dal fatto che le relazioni sui bilanci redatte da KPMG Peat Marwick e dall'isvap sarebbero incomplete e che la Corte d'appello non avrebbe risposto alle censure in tal senso mosse dal ricorrente nelle sue difese. La Corte di merito tuttavia ha esaminato le censure del ricorrente, affermando che i dati ricavati dalle ricordate relazioni erano stati acquisiti da "enti particolarmente qualificati (società di revisione), nonché da un soggetto pubblico (ISVAP) istituzionalmente preposto per la vigilanza sulle assicurazioni private, fornito di specifica competenza tecnica, le cui conclusioni, proprio perché provenienti da soggetti estranei al giudizio e confortate da specifici riscontri documentali e corretti criteri di valutazione, sono particolarmente attendibili". Di qui la conclusione che il "fumus persecutionis" lamentato dal D. non sussiste.

Va aggiunto che dai dati esposti nella sentenza impugnata risulta che gli accertamenti compiuti dalla società di revisione e dall'ISVAP non erano ancora definitivi, nel senso però che la situazione riscontrata poteva essere anche più grave. Nè appare più fondata la doglianza del ricorrente, sviluppata soprattutto nella memoria 30.6.2005, secondo la quale la Corte di merito avrebbe dovuto disporre c.t.u. al fine di verificare la correttezza dei dati risultanti dalle relazioni della società di revisione e dell'Isvap, perché non si sarebbe trattato di soggetti terzi ed imparziali. In proposito è sufficiente rilevare che questa Corte ha più volte affermato che il giudizio sulla necessità ed utilità di disporre una consulenza tecnica d'ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile in Cassazione, tanto più allorché il giudice disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza, sufficienti a dar conto della soluzione adottata (cfr. da ultimo Sez. 3, 16/07/2003, n. 11143 Rv. 565148). Il ricorrente ha insistito ancora sull'inattendibilità delle risultanze dello stato passivo perché esso indicherebbe una situazione di molti anni posteriore a quella esistente alla data della pronuncia del decreto che ha disposto la liquidazione coatta, perché esso sarebbe influenzato dalla mala gestio delle pratiche sinistri successiva alla liquidazione coatta da parte degli organi della procedura e delle imprese designate, perché ancora sarebbe falsato dall'inserimento di crediti derivanti da pratiche truffaldine, perché infine sarebbero stati ammessi al passivo i crediti del Fondo Vittime della Strada, gestito da Consap, che non avrebbe azione di rivalsa nei confronti dell'impresa posta in liquidazione coatta.

Tali rilievi, sviluppati dal ricorrente anche con la produzione di documenti inammissibile in questa sede non rientrando tali documenti nella previsione dell'art. 372 c.p.c., comportano valutazioni di fatto dirette a dimostrare l'effettiva entità del passivo della procedura di l.c.a. che sono evidentemente precluse in questa sede. Va aggiunto che la Corte di merito ha considerato i rilievi svolti dal ricorrente, perché ha sottolineato che occorreva comunque tener conto della lievitazione di costi imputabile alla procedura. Soprattutto lo stato passivo è stato preso in esame dalla Corte d'appello tra gli elementi - certo non l'unico - dai quali con valutazione complessiva poteva ricavarsi la prova della sussistenza dello stato d'insolvenza alla data di apertura della liquidazione coatta. Proprio perché si tratta di uno tra i vari elementi da considerare in una valutazione unitaria, nell'ambito della determinante rilevanza dell'impossibilità di portare a buon fine l'amministrazione controllata, deve escludersi che la Corte di merito non abbia offerto sul punto motivazione adeguata.

7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado, liquidate in euro 15.200 di cui euro 15.000 per onorari.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in euro 15.200 di cui euro 15.000 per onorari, oltre spese generali ed accessorie come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 luglio 2005. Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2005