ilcaso.it
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24039 - pubb. 11/01/2020.

Insolvenza in assenza di protesti, pignoramenti e azioni di recupero dei crediti


Cassazione civile, sez. I, 28 Aprile 2006, n. 9856. Pres. Losavio. Est. Plenteda.

Insolvenza - Nozione - Assenza di protesti, pignoramenti e azioni di recupero di crediti - Configurabilità - Condizioni


Ai fini della dichiarazione di fallimento, lo stato di insolvenza dell'imprenditore è configurabile anche in assenza di protesti, pignoramenti e azioni di recupero dei crediti, i quali non costituiscono parametro esclusivo del giudizio sul dissesto, posto che invece è la situazione di incapacità del debitore a fronteggiare con mezzi ordinari le proprie obbligazioni a realizzare quello stato, secondo la previsione dell'art. 5 legge fall., quali che siano gli "inadempimenti" in cui si concretizza e i "fatti esteriori" con cui si manifesta. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOSAVIO Giovanni - Presidente -

Dott. PLENTEDA Donato - rel. Consigliere -

Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -

Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere -

Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

Svolgimento del processo

Con contratto 30.5.1985 la filiale londinese della soc. Caripio s.p.a. concesse alla soc. Fast Ferries s.r.l., che annoverava tra i suoi soci C. Vittorio ed Edoardo - di cui il primo era amministratore ed il secondo procuratore - un finanziamento di Ecu 3.000.000, garantito dalla soc. Ed. C. fu Camillo di Edoardo e Vittorio C., avente ad oggetto l'agenzia marittima raccomandataria, il commissariato e la liquidazione di avarie, il controllo e la sorveglianza dei noleggi, la mediazione marittima. Intervenuto il fallimento della mutuataria, la Cariplo tentò inutilmente di recuperare il credito dalla fideiubente e ne richiese poi il fallimento, che fu dichiarato unitamente a quello dei soci illimitatamente responsabili.

I falliti si opposero deducendo la inesistenza del credito il Tribunale di Genova respinse la opposizione e la pronunzia fu confermata con sent. 15.2.1994 dalla Corte di Appello di Genova, la quale ha ritenuto che, quand'anche inesistente fosse stato il credito della Cariplo, risultavano passività non contestate per oltre L. 500 milioni, di cui 456 circa vantati dalla Banca Popolare di Novara, a nulla rilevando che quest'ultima creditrice avesse rinunciato alla ammissione al passivo, dopo che era stato promosso giudizio di revocazione L. Fall. ex art. 102 da parte del curatore, in quanto si trattava pur sempre di passività maturate prima del fallimento e non esisteva prova dell'errore di tale banca, che fosse giustificativo del giudizio promosso.

La sentenza fu cassata da questa Corte con sent. 25.10.1996 n. 9345, perché carente di motivazione a causa del mancato esame della questione relativa alla inesistenza, invalidità o inefficacia della fideiussione fonte del credito della Cariplo, e della documentazione da cui desumere la prova della mancanza di credito diretto nei confronti della società; nonché della mancata valutazione della possibilità che i giudizi tributari - nei quali si discuteva di crediti ritenuti certi - avessero esito favorevole. Sia la Cariplo che la soc. C. e i suoi soci riassunsero il giudizio, in cui si costituì la curatela fallimentare. La Corte di Appello, dopo avere con ordinanza 29.6.2000 rilevato che la Suprema Corte aveva indicato tra i punti non trattati dal Giudice di appello, in relazione alla esistenza dello stato di decozione, quello della esistenza del credito della B.P.N. e dei tributi non pagati e quello del mancato accertamento delle attività che la società poteva realizzare con l'affitto dell'azienda - così implicitamente evidenziando la necessità di accertare la esistenza e la rilevanza degli altri debiti dalla Corte di merito ritenuti pacifici - ha ammesso la prova testimoniale richiesta dai falliti prima del giudizio di rinvio; quindi con sentenza 28.5.2002 ha respinto la opposizione alla dichiarazione di fallimento, ha estromesso dal giudizio la soc. intesa Bci s.p.a., che era succeduta alla Cariplo s.p.a. - e alla quale, a sua volta, era succeduta la soc. Intesa Gestione Crediti s.p.a. - ed ha condannato gli opponenti alle spese del processo.

Il Giudice di rinvio ha esaminato tutte le ragioni di credito fatte valere nei confronti della società ed ha concluso che, prescindendo dai crediti vantati dalla Banca Popolare di Novara e dalla Cariplo, contestati dai falliti, il passivo certo della società alla data della dichiarazione di fallimento era di L. 21.500.000, oltre a quello verso l'erario par tributi degli anni 1984 - 1986, condonati ma pur sempre impegnativi di esborsi par la esecuzione appunto dal condono; ed ha ritenuto che l'affitto annuale dell'azienda non fosse produttivo di risorse congrue a fronteggiare le esposizioni. Ha poi, con riguardo alla fideiussione della società in favore della Fast Ferries, rilevato che non fosse estranea all'oggetto sociale, entrambe le società appartenendo allo stesso gruppo e pertanto tese al vantaggio di esso; al di là del fatto che ai sensi dell'art. 2384 bis c.c. mancava la prova della malafede della Cariplo, necessaria perché fosse ad essa opponibile la eventuale estraneità della fideiussione all'oggetto sociale della C..

Propongono ricorso per Cassazione con tre motivi la soc. C. e i due soci illimitatamente responsabili; resistono con controricorsi e successive memorie il fallimento e la soc. Intesa Bci Gestione Crediti s.p.a., già Intesa Gestione Crediti, che ha anche proposto ricorso incidentale condizionato con un motivo.

 

Motivi della decisione

Dei ricorsi è stata disposta la riunione nella udienza pubblica di discussione.

I ricorrenti principali denunciano con il primo motivo la violazione e la falsa applicazione della L. Fall. art. 5 e la insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Deducono che contrariamente alla premessa, conforme alle indicazioni della Suprema Corte, secondo cui il solo fatto della ammissione al passivo non è elemento significativo dello stato di decozione, dovendosi accertare quando i crediti sono sorti e ne e stato richiesto il pagamento, la sentenza impugnata ha operato un mero raffronto tra passività ed attività ritenute esistenti alla data di dichiarazione di fallimento.

Aggiungono che lo stato di insolvenza suppone inadempimenti o fatti esteriori che dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare le proprie obbligazioni, mentre nella specie, al di là della istanza di fallimento presentata dalla Cariplo, non vi era altro, ne' protesti, ne' pignoramenti, ne' azioni di recupero di crediti.

Con il secondo mezzo si denunziano ancora la violazione e la falsa applicazione della L. Fall., art. 5 in relazione agli artt. 1394 e 2298 c.c.; nonché la insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla validità della fideiussione.

Rilevano i ricorrenti che essa fu rilasciata a nome della società dai soci Edoardo e Vittorio C., che erano anche soci della Fast ferries e rispettivamente procuratore e amministratore. Per tale ragione, mentre i due soci erano doppiamente coinvolti nella Fast Ferries e quindi interessati alla fideiussione, che avrebbe agevolato la concessione dei finanziamenti richiesti, la soc. C. aveva l'interesse opposto, di non assumere cioè rischiose obbligazioni, oltretutto senza contropartita; e tale situazione andava a costituire un conflitto di interessi tra rappresentante - i soci - ed il rappresentato (la s.n.c.), che aveva invalidato il negozio a norma dell'art. 1394 c.c., essendo esso riconoscibile da chiunque avesse saputo della doppia veste di soci e gestori di Edoardo e Vittorio C. rispetto alla società mutuataria. Nè, aggiungono, è prospettabile la ipotesi di operazione di gruppo, non essendo esistito alcun gruppo C. di cui fossero parte le due società e che avesse giustificato un interesse della C. s.n.c. alla fideiussione in questione; al di là del fatto che, quand'anche ammesso, la fideiussione risulterebbe pur sempre non conforme all'interesse di chi l'aveva prestata, mancando qualunque nesso tra attività e oggetto sociale e qualunque disegno unitario o coordinato tra le due società, con la conseguenza della sua inefficacia nei confronti della C. e della conseguente inesistenza del credito della Cariplo.

Con il terzo motivo si denunciano ancora la violazione e la falsa applicazione della L. Fall., art. 5, in rapporto agli artt. 1325 e 1418 c.c., nonché la omessa motivazione sulla carenza della fideiussione degli elementi essenziali quali l'oggetto e la causa negoziale, prospettata ed ignorata dal Giudice di rinvio. Affermano i ricorrenti che nel momento in cui il documento di garanzia fu sottoscritto il mutuo non era stato stipulato, essendo intervenuto dieci giorni dopo; quel documento mancava pertanto della indicazione del contratto garantito ne' era stato riprodotto dopo di esso un altro atto e risultava privo di causa perché finalizzato a soddisfare un interesse diverso da quello societario, con la conseguenza voluta dall'art. 1418 c.c., a nulla rilevando l'adesione di tutti i soci ad atti in conflitto di interessi con la società, giacché la causa del contratto di società è di dividere gli utili, mentre la fideiussione si poneva in senso diverso da quella finalità.

Con il ricorso incidentale condizionato la soc. intasa Bci Gestione Crediti denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 392 e 394 c.p.c. e la insufficiente e contraddittoria motivazione. Rileva - per la ipotesi che si ritenga che la Corte di appello non abbia valutato correttamente tutte le risultanze istruttorie, al punto da porre ancora in discussione lo stato di decozione della soc. C. al momento della apertura del fallimento - che questa Corte aveva demandato al Giudice di rinvio di esaminare le questioni della validità del credito della Cariplo e della esistenza dei crediti tributaria nonché della rilevanza dell'affitto dell'azienda sociale;

sicché errata era stata la decisione di allargare l'indagine istruttoria con l'ammissione di prove orali e l'acquisizione di documenti all'intero stato passivo del fallimento, anziché dare per pacifica la esistenza di crediti per L. 32.216.550, considerato che la Cassazione della precedente decisione della Corte Territoriale era avvenuta per un mero vizio di motivazione e non per un errore di diritto.

I tre motivi di ricorso principale vanno trattati congiuntamente, ciascuno ponendo in discussione, sotto profili diversi, la medesima questione dello stato di insolvenza della società.

Il primo è palesemente privo di fondamento. Contrariamente a quanto assumono i ricorrenti, la Corte di rinvio, dopo avere affermato il principio che non è significativa dello stato di insolvenza la massa passiva accertata, in difetto di verifica del momento in cui i crediti sono sorti e ne è stato chiesto il pagamento, ha analizzato ciascuna delle posizioni creditorie ed ha accertato che ognuna di esse non solo risultava fondata e non era stata contestata dalla società e dai C. - fatta eccezione per quelle di Cariplo e di Banca Popolare di Novara - ma era già scaduta prima della dichiarazione di fallimento, in qualche caso molti anni prima (otto, quattro, due) e plurime erano state le richieste ed i solleciti di pagamento, oltre alla iniziativa giudiziale, come per il credito a scadenza più remota, conclusa con la condanna a pagare. Del pari scaduti un anno prima erano i debiti tributari per oltre nove milioni di lire, ai quali avrebbero dovuto sommarsene altri per oltre trenta per gli anni 1984 - 1986, le cui pendenze si erano chiuse con condono, che aveva ovviamente comportato una passività per la società.

La sola posta attiva, a fronte di tali passività - ha rilevato la Corte di merito - era costituita dall'affitto dell'azienda, il cui modesto canone, di L. 12.000.000 annue (v. sent. 9345/1996 di questa Corte, p. 8) era peraltro di dubbia esigibilità, per essere il contratto intervenuto appena quattro giorni prima del fallimento, con una società dall'omonimia sospetta, quando il dissesto aveva interessato anche le altre società del gruppo C., al punto da rivelare l'assenza assoluta di risorse; e tanto ha giustificato il convincimento della impossibilità, per la società, di provvedere ai pagamenti dovuti.

Le ragioni della decisione resistono, dunque, alle critiche mosse con tale censura, infondate in fatto e in diritto, laddove lamentano inesistenti vizi di motivazione - nemmeno circostanziati nei passaggi della sentenza che li avrebbero evidenziati - a contestano il criterio di valutazione dello stato di insolvenza, che la decisione impugnata ha applicato in linea con il principio enunciato; ed erroneamente pretendono di valorizzare come parametro esclusivo del giudizio del dissesto i protesti, i pignoramenti e le azioni di recupero dei crediti, che nella specie sarebbero mancati, posto che invece è la situazione di incapacità del debitore a fronteggiare con meni ordinar le proprie obbligazioni a realizzare quello stato, secondo la previsione della L. Fall., art. 5 quali che siano gli "inadempimenti" in cui si concretizza e "i fatti esteriori" con cui si manifesta, e tale situazione la Corte ha accertato con giudizio di fatto, immune da censure in sede di legittimità, per essere stato sostenuto da motivazione congrua sul piano logico e giuridico. Il secondo ed il terso motivo pongono in discussione la validità della fideiussione e addebitano al Giudice di rinvio la violazione degli artt. 1394 e 2298; 1325 e 1418 c.c.; L. Fall., art. 5, nonché vizi di motivazione.

La doglianza perde tuttavia consistenza una volta respinto il primo motivo, per essere lo stato di dissesto risultato da fatti diversi dalla obbligazione fideiussoria della soc. C., che la sentenza impugnata ha esaminato - pervenendo a conclusioni confermative della sua validità - in considerazione che la pronunzia di questa Corte, che aveva cassato con rinvio la sentenza di appello, aveva interessato anche tale profilo, ma solo per il fatto che le censure dei falliti avevano riguardato crediti diversi - quello della Banca Popolare di Novara; quelli tributari - di cui era stata omessa la adeguata valutazione, al pari di quella dell'affitto dell'azienda sociale, che invece si imponeva nel senso cioè di verificare "nel caso di risposta positiva anche solo ad usa di tali questioni, se ricorresse egualmente lo stato di insolvenza"(L. 10 sent. 9345/1996). Insolvenza che si è visto essere risultata conclamata, anche al di là della obbligazione fideiussoria verso Cariplo.

Resta assorbito il ricorso incidentale condizionato. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano in Euro 8.100,00 in favore di ciascuno dei controricorrenti, di cui Euro 8.000,00 per onorari e 100,00 per esborsi; oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito l'incidentale condizionato; condanna i ricorrenti principali alle spese processuali in Euro 8.100,00 in favore di ciascuno dei controricorrenti, di cui Euro 8.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2005.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2006