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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24037 - pubb. 11/01/2020.

Società in stato di liquidazione e accertamento dello stato di insolvenza


Cassazione civile, sez. I, 06 Settembre 2006, n. 19141. Pres. Losavio. Est. Nappi.

Società in stato di liquidazione - Accertamento dello stato di insolvenza - Modalità


Quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell'applicazione dell'art. 5 legge fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l'eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto - non proponendosi l'impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali, previa realizzazione delle attività sociali, ed alla distribuzione dell'eventuale residuo tra i soci - non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOSAVIO Giovanni - Presidente -

Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -

Dott. DI AMATO Sergio - Consigliere -

Dott. PANZANI Luciano - Consigliere -

Dott. SCHIRÒ Stefano - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

 

 

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Palermo ha confermato il rigetto dell'opposizione proposta da Girolamo S., in proprio e quale liquidatore della Nuova Ceramica s.n.c., e da Ferdinando S. avverso la dichiarazione del loro fallimento pronunciata il 7 luglio 1994.

Hanno ritenuto i Giudici del merito che lo stato di insolvenza della società opponente risulta incontestabilmente dal disavanzo tra un passivo accertato in L. 419 milioni e un attivo stimato in L. 165 milioni, certamente incompatibile con la sola prospettiva propria dello stato di liquidazione della società, quella dell'integrale pagamento dei creditori.

Ricorrono per Cassazione Girolamo S. in proprio e quale liquidatore della Nuova Ceramica s.n.c. e Ferdinando S., che propongono quattro motivi d'impugnazione, illustrati anche da memoria. Resistono con controricorso il curatore fallimentare e i creditori istanti Finref s.r.l. e Ceramiche V. Candia s.p.a..

 

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione degli art. 24 Cost., art. 101 c.p.c. e L. Fall. art. 15, lamentando che in

violazione del diritto di difesa il fallimento sia stato dichiarato anche in relazione all'istanza presentata dalla creditrice Top Ceramica, proposta successivamente all'audizione dei debitori in camera di consiglio. Ripropongono pertanto l'eccezione di nullità della sentenza dichiarativa del fallimento.

Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, "nel procedimento camerale e sommario che precede la dichiarazione di fallimento non occorre che il debitore - una volta che sia stato convocato in camera di consiglio, o comunque informato dell'iniziativa a suo carico e posto in grado di svolgere le sue difese - sia nuovamente convocato e sentito in seguito ad ogni successiva istanza di fallimento che si inserisca nel procedimento, avendo egli l'onere di seguire l'ulteriore (sviluppo della procedura e di assumere ogni opportuna iniziativa in ordine ad essa, a tutela dei propri diritti" (Cass., sez. 1^, 23 settembre 2004, n. 19072, m. 578425, Cass., sez. 1^, 2 agosto 1990, n. 7757, m. 468502). 2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione della L. Fall. art. 5, e vizio di motivazione della decisione impugnata sull'esistenza dello stato di insolvenza, lamentando che i Giudici del merito non abbiano adeguatamente considerato lo stato di liquidazione della società e abbiano erroneamente valutato passività inesistenti.

Con il terzo motivo i ricorrenti deducono violazione della L. Fall. art. 5, lamentando che i Giudici del merito abbiano erroneamente

preso in considerazione le risultanze dello stato passivo, anziché valutare lo stato di insolvenza con riferimento al momento della dichiarazione del fallimento e abbiano per di più erroneamente indicato in L. 419.000.000 l'entità di un passivo che invece ammontava a sole L. 116.592.018. Aggiungono che i Giudici del merito hanno tenuto conto dell'attivo stimato in L. 165.000.000, anziché del valore di acquisto delle merci, e hanno omesso di considerare l'entità dei pagamenti per oltre un miliardo e duecento milioni di lire eseguiti nei primi sei mesi del 1994.

I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente, attenendo entrambi all'esistenza dello stato di insolvenza, sono infondati. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in realtà, "quando la società è in liquidazione, la valutazione del Giudice, ai fini dell'applicazione della L. Fall. art. 5, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l'eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto - non proponendosi l'impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali, previa realizzazione delle attività sociali, ed alla distribuzione dell'eventuale residuo tra i soci - non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte" (Cass., sez. 1^, 17 aprile 2003, n. 6170, m. 562250, Cass., sez. 1^, 11 maggio 2001, n. 6550, m. 546593).

Infatti "il principio secondo il quale l'insolvenza della società non può necessariamente desumersi da uno squilibrio patrimoniale, il quale può essere eliminato dal favorevole andamento degli affari o da eventuali ricapitalizzazioni, non è invocabile quando la società è in liquidazione, ossia quando l'impresa non si propone di restare sul mercato, ma ha come unico suo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali, previa realizzazione delle attività sociali ed alla distribuzione dell'eventuale residuo attivo tra i soci. In tale ipotesi, pertanto, la valutazione del Giudice, ai fini dell'accertamento delle condizioni richieste per l'applicazione della L. Fall. art. 5, non può essere rivolta a stimare, in una prospettiva di continuazione dell'attività sociale, l'attitudine dell'impresa a disporre economicamente della liquidità necessaria per far fronte ai costi determinati dallo svolgimento della gestione aziendale, ma deve essere diretta, invece, ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l'eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali" (Cass., sez. 1^, 10 aprile 1996, n. 3321, m. 496899). Tuttavia è pure indiscusso in giurisprudenza che, nel procedimento di opposizione alla dichiarazione di fallimento, la sussistenza dello stato di insolvenza può essere correttamente desunta anche dalle risultanze non contestate dello stato passivo (Cass., sez. 1^, 18 giugno 2004, n. 11393, m. 573716, Cass., sez. 1^, 6 marzo 1996, n. 1771, m. 496156), oltre che in genere dagli atti del fascicolo fallimentare (Cass., sez. 1^, 2 giugno 1997, n. 4886, m. 504861). Sicché correttamente i Giudici del merito hanno deciso sulla base di quanto risultante dalla procedura fallimentare e con riferimento al rapporto tra il passivo accertato e l'attivo stimato. I ricorrenti sostengono che l'entità dell'attivo andrebbe determinato con riferimento ai prezzi d'acquisto delle merci in magazzino. Ma si tratta evidentemente di deduzione infondata, perché ciò che rileva ai fini della prospettiva di soddisfacimento dei creditori è il valore commerciale delle merci, non il loro costo. Mentre attengono al merito della decisione impugnata le censure, peraltro prive di specifica giustificazione, relative all'effettivo ammontare dei crediti ammessi al passivo fallimentare. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, l'accertamento dallo stato di insolvenza è incensurabile in Cassazione, quando, come nel caso in esame, sia sorretto da motivazione adeguata, immune da vizi logici e ispirata ad esatti criteri giuridici (Cass., sez. 1^, 1 dicembre 2005, n. 26217, m. 586575). 3. Con il quarto motivo infine i ricorrenti deducono violazione dell'art. 2043 c.c. e art. 96 c.p.c., per la mancata condanna dei creditori istanti alle spese. Ma si tratta di censura che evidentemente presupporrebbe l'accoglimento dell'opposizione alla dichiarazione di fallimento, risultata invece infondata. 4. Si deve pertanto concludere con il rigetto del ricorso, e la condanna dei ricorrenti alle spese.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese in favore dei resistenti, liquidando quelle anticipate dall'amministrazione fallimentare in complessivi Euro 7.100,00 di cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge; quelle anticipate dalla Finref s.r.l., in complessivi Euro 6.100,00 di cui Euro 6.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge; quelle anticipate dalla ceramiche V. Candia s.p.a. in complessivi Euro 6.100,00 di cui Euro 6.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2006.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2006