Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24033 - pubb. 11/01/2020

Inadempimento dei debiti tributari ai fini della dichiarazione dello stato di insolvenza

Cassazione civile, sez. I, 24 Luglio 2012, n. 12972. Pres. Fioretti. Est. De Chiara.


Liquidazione coatta amministrativa - Stato d’insolvenza - Successivo - Inadempimento di debiti tributari inerenti a periodi d'imposta anteriori alla messa in liquidazione - Omissione della dichiarazione fiscale - Irrilevanza - Posteriorità degli atti di accertamento definitivi - Irrilevanza - Fondamento



In tema di liquidazione coatta amministrativa, ai fini della dichiarazione dello stato di insolvenza dell'impresa, ai sensi dell'art. 202 legge fall., è rilevante l'inadempimento dei debiti tributari (nella specie, IRPEG e IVA) inerenti a periodi d'imposta anteriori alla messa in liquidazione, anche qualora sia stata omessa la dichiarazione fiscale e i conseguenti atti di accertamento siano divenuti definitivi solo dopo il provvedimento amministrativo che dispone la liquidazione stessa, atteso che i debiti in questione sorgono già col verificarsi dei presupposti di legge e che l'omissione della dichiarazione fiscale non dispensa l'impresa dall'iscriverli in bilancio, allo stato patrimoniale, fra le passività certe e determinate, anziché nel fondo rischi ed oneri. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


Fatto

La Corte d'appello di Firenze ha respinto il reclamo proposto dalla sig.ra L.L., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della C.E.A.M. Uno Cooperativa Edificatrice Area Metropolitana s.c.r.l., avverso la sentenza 9 dicembre 2009 con cui il Tribunale della medesima città aveva dichiarato lo stato di insolvenza della cooperativa, già posta in liquidazione coatta amministrativa con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico 25 settembre 2007.

La Corte ha ritenuto, in risposta ai motivi di gravame:

- che lo stato di insolvenza derivava dall'accertamento di passività, essenzialmente di natura fiscale, per circa Euro 1.700.000,00, a fronte di un attivo costituito soltanto da un appartamento del presumibile valore di Euro 215.000,00, sicchè vi era un enorme deficit patrimoniale, non colmabile, trattandosi di società in liquidazione, in base a prospettive reddituali future;

- che tale stato risaliva indubbiamente ad epoca anteriore alla messa in liquidazione coatta amministrativa, scaturendo da fatti di evasione fiscale commessi negli anni dal 2003 al 2006, ancorchè accertati in via definitiva solo in epoca successiva per effetto della mancata impugnazione dei relativi atti di accertamento da parte del commissario liquidatore;

- che tali fatti erano stati accertati dalla Guardia di Finanza mediante verifica svoltasi dal 17 ottobre 2007 al 16 aprile 2008, da cui era risultato che la cooperativa, nonostante la cancellazione dallo schedario generale della cooperazione fin dal 13 ottobre 2003, aveva continuato ad esercitare la propria attività fruendo indebitamente delle agevolazioni fiscali che presupponevano invece l'iscrizione allo schedario, non aveva regolarmente tenuto le scritture contabili obbligatorie dal 2003 al 2007 e aveva omesso le dichiarazioni annuali dei redditi e la registrazione delle operazioni imponibili IVA, in tal modo evadendo imposte per oltre Euro 700.000,00 (di cui Euro 530.000,00 per IRPEG e circa Euro 122.000,00 per IVA) al netto delle sanzioni;

- che per le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa non trovano applicazione i limiti dimensionali stabiliti dalla L. Fall., art. 1, comma 2, (come modificato dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169), e comunque nella specie era ampiamente superato il limite di cui alla lett. c) della predetta norma, considerata l'entità dello stato passivo.

La sig.ra L., nella duplice qualità sopra indicata, ha quindi proposto ricorso per cassazione articolando cinque motivi di censura, cui il commissario liquidatore ha resistito con controricorso. La ricorrente ha anche presentato memoria.

 

MOTIVI

1. - Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione della L. Fall., art. 202, in relazione agli artt. 2423 bis, 2424 e 2424 bis c.c. e al principio contabile OIC 19, secondo cui vanno iscritte nella voce D12 del passivo dello stato patrimoniale le passività per imposte certe e determinate, quali i debiti per imposte dirette e indirette dovute in base a dichiarazioni, per accertamenti o contenziosi definiti ed in genere per ogni tributo iscritto a ruolo, mentre le passività per imposte probabili o incerte nell'ammontare o nella data di sopravvenienza sono iscritte alla voce B2 - Fondo rischi ed oneri per imposte. La ricorrente deduce che nella specie i crediti tributari erano divenuti certi e determinati, ossia liquidi ed esigibili, solo allorchè gli atti di accertamento erano divenuti definitivi, dunque dopo il 25 settembre 2007, data del decreto di liquidazione coatta amministrativa, considerato che gli atti erano stati emessi solo dopo tale data. Conseguentemente non poteva dirsi che lo stato di insolvenza, derivante appunto dai crediti tributari, fosse precedente alla sottoposizione della cooperativa alla liquidazione coatta amministrativa.

1.1. - Il motivo è infondato.

I debiti tributari per IRPEG e IVA, quali quelli di cui qui si discute, sorgono con il verificarsi dei presupposti previsti dalla legge, sono autoliquidati dal contribuente mediante la dichiarazione annuale e diventano esigibili alla scadenza dei termini stabiliti per il pagamento. L'omissione della dichiarazione, cui consegue l'attività di accertamento da parte dell'amministrazione finanziaria, costituisce inadempimento da parte del contribuente e non esclude certo l'esistenza dell'obbligazione tributaria.

Sotto il profilo contabile, i requisiti della certezza e determinatezza, richiamati dalla ricorrente, si riferiscono alla esistenza e consistenza del debito tributario in sè, ossia ai suoi presupposti, non già al compimento di atti ricognitivi o di accertamento. L'omissione della dichiarazione fiscale di redditi che la società abbia conseguito con certezza non vale a dispensare la medesima società dall'iscrivere al passivo di bilancio l'ammontare delle corrispondenti imposte, altrettanto certe, fra le passività appunto certe e determinate (dunque alla voce D12) e non nel fondo rischi ed oneri. Nulla di diverso si legge, peraltro, nei principi contabili OIC, in cui il riferimento alle dichiarazioni, accertamenti, contenziosi definiti e iscrizioni a ruolo è solo esemplificativo e non esaustivo.

L'omesso pagamento delle imposte relative agli anni dal 2003 al 2006, cui fa riferimento la sentenza impugnata, è dunque idoneo a collocare in quegli stessi anni, ossia in epoca anteriore alla sottoposizione della cooperativa a liquidazione coatta amministrativa, il sorgere delle obbligazioni e i relativi inadempimenti a base dello stato di insolvenza, dunque lo stato di insolvenza stesso.

2. - Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione quanto alla sussistenza dei debiti tributari, lamentando che la Corte d'appello, una volta deciso di entrare nel merito delle contestazioni mosse alla cooperativa con il verbale della Guardia di Finanza, avrebbe dovuto tener conto di tutte le risultanze di quel verbale e quindi, in particolare, dei costi di costruzione - per Euro 1.919.939,00, secondo lo stesso verbale - degli immobili venduti, che andavano ad abbattere corrispondentemente il reddito tassato.

2.1. - Il motivo è inammissibile perchè non corrisponde alla ratio della decisione sul punto, la quale consiste nella indiscutibilità dei debiti tributari come definitivamente accertati dall'amministrazione finanziaria. La sentenza impugnata non entra affatto nel merito delle contestazioni della Guardia di Finanza, ma si limita a prenderne atto, evidenziando come le risultanze degli accertamenti tributari siano "ormai divenute definitive" per effetto della mancata impugnazione, sicchè "non si vede come negare i presupposti per la dichiarazione giudiziale dell'insolvenza".

3. - Con il terzo motivo si denuncia violazione del combinato disposto della L. Fall., artt. 5 e 209, in relazione agli artt. 3, 24, 97 e 111 Cost..

La ricorrente, premesso che nella specie erano trascorsi circa due anni dall'emissione decreto ministeriale di liquidazione coatta amministrativa della cooperativa alla pronuncia della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza della medesima, sostiene che una interpretazione costituzionalmente orientata del predetto combinato disposto imponga invece di individuare un termine massimo, stimato in un anno dal decreto ministeriale, per la pronuncia della sentenza.

In caso contrario si verificherebbe, secondo la ricorrente, una violazione del principio di ragionevole durata del processo, nonchè una disparità di trattamento fra terzi che abbiano avuto rapporti con una società commerciale, esposti al rischio di essere convenuti in revocatoria entro un termine di prescrizione decorrente dalla data certa della dichiarazione di fallimento, e terzi che abbiano avuto rapporti con una cooperativa, esposti invece al medesimo rischio sine die, dato che il termine di prescrizione dell'azione decorre solo dalla data della dichiarazione dello stato di insolvenza.

3.1. - Il motivo è infondato.

La legge non prevede alcun termine per la dichiarazione dello stato di insolvenza di impresa sottoposta a liquidazione coatta amministrativa. Del termine annuale indicato dalla ricorrente può discutersi soltanto de iure condendo, non in sede di interpretazione della legge esistente, nemmeno invocando una interpretazione costituzionalmente orientata, la quale non consentirebbe certo operazioni integrative del dettato legislativo riservate al legislatore.

4. - Con il quarto motivo, denunciando violazione della L. Fall., art. 1, in relazione all'art. 3 Cost., si sostiene che i limiti dimensionali individuanti la soglia di fallibilità si applicano, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello, anche ai fini della dichiarazione dello stato di insolvenza delle imprese sottoposte a liquidazione coatta amministrativa.

4.1. - Il motivo è inammissibile.

La Corte d'appello, oltre a sostenere l'inapplicabilità di tali limiti, ha anche statuito che comunque nella specie era stato superato quello di cui alla lett. c) dell'art. 1 cit., attesa l'entità del passivo. Questa seconda ratio decidendi, autonoma rispetto alla prima e tale da giustificare da sola il rigetto del reclamo, è definitivamente confermata dall'esito negativo del secondo motivo di ricorso. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte è pertanto inutile prendere in esame le censure ora rivolte alla prima ratio.

5. - Con il quinto motivo, denunciando violazione della L. Fall., art. 5, si deduce che non sussisteva lo stato di insolvenza alla data del decreto di liquidazione coatta amministrativa, in quanto (a) il debito tributario è sorto dopo quel decreto e (b) mancavano segni esteriori dell'insolvenza, quali protesti, decreti ingiuntivi, risoluzioni di contratti per inadempimento, iscrizioni di ipoteche giudiziali, procedure esecutive, ecc. 5.1. - Neanche questo motivo può trovare accoglimento.

In relazione al primo rilievo, basterà richiamare quanto sopra osservato nel respingere il primo motivo di ricorso.

Quanto al secondo rilievo, va detto che l'esistenza dei segni esteriori indicati dalla ricorrente può rilevare ai fini della prova della conoscenza dello stato di insolvenza del fallito da parte del terzo convenuto in revocatoria, non certo ai fini della dichiarazione del fallimento o dell'accertamento dello stato di insolvenza ai sensi della L. Fall., artt. 196 e 202. In tali sedi ciò che rileva è la mera sussistenza dell'insolvenza stessa, ossia dell'incapacità dell'imprenditore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, che si manifesta già con i soli inadempimenti, a mente della L. Fall., art. 5, comma 2.

6. - Il ricorso va in conclusione respinto.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese processuali attesa la tardività del controricorso (nel quale si esaurisce l'attività difensiva del commissario liquidatore), notificato il 29 settembre 2010, oltre il doppio termine di venti giorni dalla notifica del ricorso - avvenuta l'8 luglio 2010 - di cui agli artt. 369 e 370 c.p.c., considerato che nei giudizi relativi alla dichiarazione dello stato di insolvenza di imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa, così come nei giudizi relativi alla dichiarazione del fallimento, non trova applicazione la sospensione feriale dei termini processuali (cfr., per tutte, Cass. Sez. Un. 12156/1993 e, più di recente, Cass. 28561/2011).

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2012.