Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24032 - pubb. 11/01/2020

Sospensione ex art. 20 legge n. 44 del 1999 a favore delle vittime di richieste estorsive o di usura e accertamento dello stato d'insolvenza

Cassazione civile, sez. I, 12 Dicembre 2012, n. 22756. Pres. Fioretti. Est. Ferro.


Sospensione ex art. 20 legge n. 44 del 1999 - Portata - Rilevanza sulla esigibilità dei singoli crediti attinti dal reato - Accertamento dello stato d'insolvenza - Doverosità - Conseguenze



La sospensione prevista dall'art. 20 della legge 23 febbraio 1999, n. 44, in favore del soggetto vittima di richieste estorsive o di usura, riguarda la scadenza dei singoli crediti attinti dal reato denunciato e non pregiudica la doverosità del riscontro dell'insolvenza ai sensi dell'art. 5 legge fall., che attiene alla situazione generale dell'imprenditore, avendo riguardo alla risultanza di altri inadempimenti o debiti, con conseguente dichiarazione di fallimento. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


Fatto

Il fallimento Montagnola s.r.l. Fallimento impugna la sentenza App. Roma 30.5.2011 con cui, in riforma della sentenza Trib. Roma 21.7.2010, venne accolto il reclamo della società Montagnola s.r.l.

(Montagnola) avverso la dichiarazione del proprio fallimento, oggetto di pronuncia su istanza di Fratelli Di Bartolomeo s.n.c. e M. C., parti costituitesi in sede di gravame ed odierne intimate.

In particolare, nella sentenza qui avversata, sostenne invero la corte la fondatezza delle censure recate alla dichiarazione di fallimento avuto riguardo all'applicabilità dell'obbligo di sospensione di cui alla L. n. 44 del 1999, art. 20, comma 4, al procedimento per la dichiarazione di fallimento. Tale regola avrebbe dovuto condurre all'apprezzamento del solo giudice della sussistenza dei presupposti per la concessione di tale beneficio, mentre, nel merito, l'enunciato avvio dell'azione penale, per i reati di cui agli artt. 51, 81 cpv e 629 cod. pen. ed a carico di M.C. (uno dei due creditori istanti) nonchè in danno di Mo.Ez. (legale rappresentante della Montagnola s.r.l.), provava la fondatezza della predetta richiesta, apparendo essa coerente con le finalità della L. n. 44 del 1999 e gli scopi del citato beneficio, diretto alla tutela di imprenditori commerciali che subiscono un pregiudizio per effetto di delitti volti alla adesione delle vittime a richieste estorsive, com'era nella fattispecie. Ne discendeva che, acclarata al 20 maggio 2010 la richiesta di Mo. al fondo di solidarietà di cui alla L. n. 44 del 1999, non avrebbe potuto il Tribunale di Roma, come invece deciso, dichiarare il fallimento della società Montagnola già al 21 luglio 2010, essendo invece quel giudice tenuto al rispetto della sospensione, pari a trecento giorni, riferendosi a crediti temporaneamente inesigibili. Osservò la sentenza, ancora in punto di fatto, che la revoca del fallimento si imponeva in ragione della citata causa ostativa alla pronuncia, non rispettata, con accoglimento di una censura assorbente ogni altra contestazione.

Il ricorso, affidato a sette motivi, è resistito dalla società Montagnola, con controricorso; il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

 

Diritto

Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione ovvero falsa applicazione degli artt. 99, 101 e 112 cod. proc. civ. e L. n. 44 del 1999, art. 20, comma 4, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, avendo la corte di merito applicato al procedimento pre fallimentare una generalizzata moratoria - con fonte rinvenuta nella L. n. 44 del 1999, art. 20, comma 4, - andando però al di là dell'eccezione dedotta in reclamo dalla società fallita, che si era limitata ad invocare la medesima norma ma ai commi 2 e 3, di diversa portata e tuttavia al più limitato fine di far valere l'inesigibilità dei crediti avanzati dagli istanti per la dichiarazione di fallimento, con ciò consumando il proprio potere di impugnazione ai sensi dell'art. 18 L.Fall..

Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione ovvero falsa applicazione della L. n. 44 del 1999, art. 20, comma 4, e art. 15 L.Fall., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, avendo la sentenza riportato l'intero procedimento prefallimentare, in virtù di un'errata interpretazione estensiva della norma eccezionale predetta, ad una assimilazione alle tipologie di procedimento, quale quello esecutivo, tassativamente inquadrate quali passibili di tale condizionamento sospensivo per 300 giorni e con solo riguardo alle vendite ed assegnazioni dei beni, non alla loro trattazione ovvero instaurazione.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, avendo la corte d'appello assunto a parametro decisorio un principio di diritto applicato, in sede di legittimità, al diverso caso della sospensione dei termini di decadenza da un'impugnazione in materia fallimentare, vicenda confusa con la proroga dei termini di pagamento di un debito e conclusivamente refluita nel medesimo errore denunciato sub motivo n. 2).

Con il quarto motivo si deduce violazione ovvero falsa applicazione della L. n. 44 del 1999, art. 20, comma 7, in rapporto all'art. 360 c.p.c., n. 3 per avere la corte dichiarato l'irrilevanza del parere del Prefetto - invero non acquisito - ai fini concessivi della sospensione, così confondendo la perdita di vincolatività dello stesso anche ove favorevole (qualità rimossa da Corte cost. n. 457/2005) con la consultazione di tale P.A. (non oggetto di alcuna abrogazione ed avuto riguardo alla disciplina vigente).

Con il quinto motivo il ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè violazione ovvero falsa applicazione dell'art. 115 cod. proc. civ. avendo la corte d'appello ritenuto doverosa la citata sospensione come conseguenza di azioni penali, di prossimo esercizio da parte del P.M., promuovende (e dunque come tali non in grado di provare le accuse del denunciante al creditore) per fatti di reato per i quali Mo.Ez. non risultava però con assoluta univocità parte offesa nella qualità di legale rappresentante della società Montagnola, mai menzionata nella nota della Procura diretta al Prefetto di Roma. Il che autorizzava a ritenere che vittima del fatto estorsivo fosse Mo. in proprio, tra l'altro legale rappresentante di altre due società di capitali.

Con il sesto motivo si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè violazione ovvero falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 115 cod. proc. civ. e art. 15 L.Fall., avendo, da un lato, la corte pronunciato sulla ritenuta sospensione dell'intero procedimento prefallimentare come esito generale ed indefettibile della domanda di elargizione dei citati benefici e, dall'altro, omesso di considerare l'origine dell'insolvenza commerciale, ben compatibile - come nel caso - con l'immunità di altri, cospicui, crediti dalla segnalata zona di contesto estorsivo. Ne consegue che la sospensione di uno o più termini di esigibilità dei crediti verso il fallendo non può escludere in via programmatica il più generale stato di insolvenza, dovendosi contemperare l'esclusione dei primi da tale apprezzamento ed invece il rilievo e l'epoca di ogni posizione debitoria ai sensi dell'art. 5 L.Fall., attività non espletata dalla corte d'appello.

Con il settimo motivo il ricorrente deduce violazione ovvero falsa applicazione dell'art. 18 L.Fall., artt. 101, 115 e 157 cod. proc. civ., artt. 74 e 87 disp. att. cod. proc. civ. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, avendo violato la corte il diritto di difesa del reclamato Fallimento allorchè, a cospetto di una produzione documentale di controparte effettuata solo all'udienza di discussione (e ritenuta ammissibile per la nascita dell'atto posteriore al reclamo stesso), ha poi negato un termine per controdedurre, tanto più che a verbale nemmeno comparve un elenco di quanto così tardivamente prodotto e non scambiato in udienza. Nonostante l'opposizione al siffatto ingresso processuale, tali documenti assunsero decisiva importanza nella decisione, violandosi così ogni regola codificata del contraddittorio.

A sua volta la società controricorrente, nell'avversare il ricorso, ne enuncia la preliminare inammissibilità, per carenza di legittimazione attiva del curatore proponente (da ritenersi parte in senso solo formale) e per via dell'immediata esecutività della sentenza di revoca (che sottrarrebbe ogni potere all'organo concorsuale).

1. Le due eccezioni sono infondate. Risponde alla pregiudiziale censura della società fallita il principio, che il Collegio ribadisce, per cui "è ammissibile il ricorso per cassazione proposto dal curatore fallimentare avverso la sentenza di revoca della dichiarazione di fallimento, non essendo configurabile una carenza di legittimazione del curatore, nonostante l'intervenuta chiusura del fallimento e la cessazione del ricorrente dalla carica, atteso che il fallimento viene meno, con decadenza dei suoi organi, solo con il passaggio in giudicato della sentenza di revoca" (Cass. 4632/2009), cui si affianca la puntualizzazione, originata da un'eccezionale carenza di interesse del curatore, fissata da Cass. 4707/2001 a tenore della quale "la legittimazione alla relativa impugnazione compete anche al curatore fallimentare, nonostante l'intervenuta chiusura del fallimento e la cessazione del ricorrente dalla carica, atteso che il fallimento viene meno, con decadenza dei suoi organi, solo con il passaggio in giudicato della sentenza di revoca e tuttavia, come per ogni altra azione, occorre altresì verificare in concreto l'esistenza dell'interesse ad agire e a contraddire ex art. 100 cod. proc. civ.. Ne consegue che, in caso di chiusura del fallimento disposta, come nella specie, per integrale pagamento dei crediti e restituzione al fallito ritornato in bonis del residuo attivo, non sussiste il predetto interesse ed, è, pertanto, inammissibile il ricorso in cassazione, proposto dal curatore, avverso la predetta sentenza di revoca, essendo priva di giustificazione un'eventuale conferma della sentenza di fallimento in assenza di creditori insoddisfatti". Si osserva che, nel procedimento in trattazione, alcuna allegazione indica uno stato della procedura concorsuale omologo o anche solo suscettibile di trasposizione equivalente alla chiusura con integrale soddisfacimento ovvero al passaggio in giudicato della revoca, senza considerare che la più generica eccezione della parte nemmeno ha affrontato la questione del difetto di interesse dell'organo, solo collocando la ratto della pretesa carenza di legittimazione ad un errato livello istituzionale, del tutto privo di fondamento, circa la qualità di parte del curatore e la portata della sentenza di revoca (già espressa, nel regime previgente, da Cass. 16505/2003, 4362/1998 e Cass. 10792/2003, anticipatoria della disciplina odierna in punto di sospensione selettiva della sola liquidazione).

2. In ragione della loro pregiudizialità logica vanno in primo luogo esaminati congiuntamente i motivi riportati come secondo e sesto, il cui esame conduce alla rispettiva pari fondatezza, con assorbimento dei restanti. Il procedimento per la dichiarazione di fallimento non implica alcun effetto segregativo diretto sul patrimonio del debitore, nel senso che dalla relativa e necessaria domanda non scaturiscono, di per se, conseguenze anticipate e generali di tipo esecutivo rispetto alla successiva procedura concorsuale se non in casi nominati e per effetti minori (come per le misure cautelari o conservative di cui all'art. 15, comma 8, L.Fall.) ovvero con modalità indirette (come nel caso della ritenuta incompetenza del primo tribunale dichiarante e la prosecuzione del fallimento in capo al secondo, senza soluzione di continuità salvo i provvedimenti organizzativi, Cass. 22544/2010). Tale inquadramento, coerente con una visione di tendenziale autonomia del giudizio di cui all'art. 15 (e art. 22 L.Fall.) da quello che può succedervi con la pronuncia di cui all'art. 16 L.Fall., impone di considerare che quanto meno "aprendosi con la sentenza dichiarativa di fallimento una nuova fase del processo concorsuale" (Cass. 7471/2008), dotata di sicura vocazione liquidatoria, solo ad essa può essere ricondotta la nozione esecutiva cui ha riguardo la L. n. 44 del 1999, art. 20, comma 4, in ciò il Collegio intendendo ribadire che "la procedura prefallimentare non ha natura esecutiva, ma cognitiva, in quanto, prima della dichiarazione di fallimento, non può dirsi iniziata l'esecuzione collettiva, così come, prima del pignoramento, non può dirsi iniziata l'esecuzione individuale; ne consegue che il procedimento per la dichiarazione di fallimento non è soggetto alla sospensione dei procedimenti esecutivi contemplata ... in favore delle vittime di richieste estorsive e dell'usura" (Cass. 8432/2012), potendo invece e semmai la portata inibente di tale titolo, ove riconosciuto nei suoi presupposti, operare per la fase appunto successiva, con altri rimedi ed a seguito di distinte iniziative, del tutto estranee al giudizio critico sulla mera pronuncia in sè dei requisiti di fallibilità (Cass. 8434/2012).

Merita peraltro rilevare che, all'epoca della pronuncia, nessun precedente di legittimità appariva declinare in senso diverso, come invece ritenuto dalla Corte d'appello di Roma, la efficacia sospensiva connessa alla presentazione della domanda di elargizione dei benefici di cui alla L. n. 44 del 1999. Il suo art. 20, nei commi da 1 a 4, mira ad offrire tutela alla vittima del reato di usura e di altri ad esso assimilati, intendendo bilanciare l'interesse del creditore all'adempimento con l'apprestamento delle condizioni di un'eccezionale verifica di nesso eziologico tra la difficoltà solutoria e la genesi criminale del debito, così da assicurare agevolazioni e provvidenze alle vittime. Questo essendo il significato del blocco per 300 giorni dei termini sostanziali di scadenza da un lato e di quelli processuali d'altro, appare evidente che la tutela pubblicistica che lo Stato aggiunge in siffatto modo all'elargizione economica verso le vittime introduce un'alterazione nelle ordinarie relazioni civili, intermediate anche con il processo, dunque collocandosi - al di là della legislazione sociale di sostegno - in un quadro di prevalenza dell'interesse pubblico alla protezione di ogni situazione debitoria, d'impresa o meno, incisa anche indirettamente da tali reati. La sopportazione a valle di tali misure da parte dei creditori non può pertanto, per tale ragione, che essere circoscritta ad ipotesi tassative, la cui base giustificativa, nel rinvenimento della loro portata, si correli per quanto possibile a limitazioni selettive del diritto di difesa e del diritto di credito. Non casualmente, invero e contrariamente all'invocazione fattane dalla controricorrente, la stessa S.C. aveva solo lambito il tema - l'applicabilità della sospensione in generale all'istruttoria prefallimentare - esplicitando tuttavia la descritta relazione esclusivamente con riguardo alla sospensione, in via teorica ammessa, del termine per impugnare quello, allora, annuale per impugnare con l'appello la sentenza di rigetto dell'opposizione alla sentenza di fallimento, per Cass. 1613/2009.

3. La fondatela altresì del sesto motivo consegue alla premessa delimitativa già esposta dal Collegio: nel riformare la sentenza del tribunale, avendo il primo giudice omesso di sospendere il procedimento per il solo rilievo della domanda di elargizione delle provvidenze richiamate all'art. 20 L.cit., la corte d'appello ha erroneamente evitato di selezionare - come avrebbe dovuto - la portata causale dei vari debiti di Montagnola rispetto all'insolvenza, eventualmente e solo discriminando in tale giudizio, da condurre in generale e con riguardo a tutte le risultanze recate al suo esame, quei crediti che fossero fondatamente apparsi meritevole della citata tutela. In materia, opera infatti il principio per cui, chiesta dal debitore fallendo l'ammissione ai benefici di cui alla L. n. 44 del 1999, il giudice, ferme restando le altre condizioni, applica e riconosce la sospensione di cui al citato art. 20 con riguardo ai singoli crediti, ma senza pregiudizio per la doverosità del riscontro della situazione di insolvenza di cui all'art. 5 L.Fall., che attiene alla situazione generale dell'imprenditore, se a carico del medesimo risultino altri inadempimenti o debiti. Per i primi crediti, attinti dal segnalato rapporto con un reato, esclusa perciò l'applicazione del comma 4 ed invece ricorrendo gli estremi per sussumere la relativa fattispecie nei commi 1 e 2, occorre una specifica disamina coerente con il necessario orizzonte temporale di trecento giorni (o tre anni per gli adempimenti fiscali) in rapporto alle rispettive epoche di scadenza, incidendo la citata sospensione ad essi applicabile sulla mera scadenza delle obbligazioni e dunque attenendo al profilo di incsigibilità dei crediti stessi; per gli altri, vale il principio per cui il complesso delle obbligazioni già scadute si connette all'ordinario giudizio sull'insolvenza tendenzialmente indifferente alle sue cause: Cass. 9253/2012, eventualmente temperato dalla considerazione prognostica dell'incidenza positiva - per epoche di incasso ed entità - che l'elargizione economica conseguibile rispetto ai debiti critici rispetto al reato potrebbe avere sul risanamento finanziario complessivo e certo dei debiti d'impresa.

Ritiene conclusivamente il Collegio che la predetta moratoria prevista dalla L. n. 44 del 1999, art. 20 in favore del soggetto che, in quanto vittima delle richieste estorsive, abbia chiesto la speciale elargizione prevista dagli artt. 3, 5, 6 ed 8 della menzionata legge, riguardi anche i termini di pagamento dei debiti pecuniari di natura civilistica e non solo i ratei dei mutui bancari e ipotecari espressamente considerati dall'art. 20, comma 1. La avvenuta scadenza di tali debiti importa invero la decadenza del debitore, anche nell'istruttoria pre fallimentare, dal potere di eccepire al creditore che richieda il pagamento la circostanza che il debito non è ancora scaduto; mentre l'ottenimento della sospensione, pur nei limiti in cui riguardi i termini scaduti o scadenti nell'anno successivo alla data dell'evento lesivo, diviene un fatto temporaneamente incompatibile con la scadenza nominale di tali termini, che va però eccepito dalla vittima dell'evento, allegando e provando la sussistenza dei presupposti, ivi compresi gli atti amministrativi puntualmente elencati al comma 7 del cit. art., rivisto dalla L. n. 3 del 2012 (inapplicabile ratione temporis) ma immutato con riguardo al necessario e previo intervento di un pubblico potere diverso dall'autorità giurisdizionale.

Il ricorso va pertanto accolto, con cassazione della sentenza e rimessione al primo giudice che si atterrà, nel giudizio di rinvio, ai principi di diritto sopra esposti, demandandosi al medesimo altresì la liquidazione delle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

La Corte, in accoglimento dei motivi di cui ai numeri 2 e 6, assorbiti gli altri, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e per l'effetto rinvia le parti avanti alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, rimettendo alla stessa altresì la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 31 ottobre 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2012.