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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24028 - pubb. 11/01/2020.

Stato d'insolvenza di impresa assicurativa


Cassazione civile, sez. I, 04 Luglio 2013, n. 16746. Pres. Vitrone. Est. Scaldaferri.

Stato d’insolvenza - Impresa assicurativa - Pagamento degli indennizzi utilizzando i premi raccolti a causa dell'inadeguatezza delle riserve - Indice di incapacità ad adempiere regolarmente o con mezzi normali alle proprie obbligazioni - Fondamento


Ai fini dell'accertamento dello stato d'insolvenza di una impresa assicurativa, non è irrilevante il rapporto tra risorse finanziarie e riserve accantonate, con la conseguenza che il pagamento degli indennizzi effettuato utilizzando la liquidità dei premi raccolti, da destinarsi alla copertura di rischi non ancora maturati, costituisce un chiaro indice di incapacità di adempiere regolarmente, o con mezzi normali, alle proprie obbligazioni. (massima ufficiale)

 

Fatto

La Compagnia Tirrena di Assicurazioni s.p.a., già sottoposta (con D.M. 15 aprile 1992) a gestione commissariale straordinaria a norma della L. n. 576 del 1982, venne ammessa poi (con D.M. 31 maggio 1993) alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, ed il commissario liquidatore chiese al Tribunale di Roma, a norma della L. Fall., art. 202, la dichiarazione di insolvenza della società. Il ricorso, notificato sia al dottor A.G., quale presidente e legale rappresentante della società prima del commissariamento, sia al commissario straordinario, venne accolto dal Tribunale con sentenza depositata il 22 giugno 1994.

L'opposizione proposta da A.G., A.L. e T.R. - rispettivamente presidente e membri del Consiglio di Amministrazione in carica fino al commissariamento della società - venne accolta dal tribunale con sentenza del 29 ottobre 2002, che dichiarò la nullità della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza affermando che, nella specie, la società non era stata posta in grado di difendersi - a norma della L. Fall., art. 195, comma 2, come modificato dalla sentenza della Corte Cost. n. 110/1972 -, essendo le persone delle quali era stata disposta la comparizione prive di legittimazione a rappresentare l'ente: l' A. perchè con il commissariamento gli organi sociali erano stati sciolti, ed i commissari perchè, decorso il periodo di gestione straordinaria, erano cessate le loro funzioni, si che sarebbe stato necessario provocare la nomina di un curatore speciale ex art.78 c.p.c..

La Corte d'appello di Roma, investita del gravame proposto dal Commissario Liquidatore, cui resistevano l' A. l' A.L. ed il T. ribadendo le ragioni di fondatezza dell'opposizione anche nel merito, ha, in riforma della sentenza di primo grado, rigettato l'opposizione, ritenendo: a) che, alla luce dell'orientamento espresso da questa Corte di legittimità (Sez. 1 n. 17014/2004) secondo cui il contraddittorio per la dichiarazione di insolvenza deve essere instaurato nei confronti degli organi esterni della società ancorchè già cessati per effetto dello scioglimento disposto per legge, il procedimento camerale si è nella specie svolto regolarmente con la partecipazione di tutti i soggetti legittimati a parteciparvi; b) che, nel merito, l'opposizione è priva di fondamento, atteso che, tenendo presente la peculiare caratteristica delle imprese assicurative - le quali, acquisendo l'utile con la raccolta premi prima dell'esborso dei corrispettivi con il pagamento degli indennizzi (c.d. ciclo invertito), sono obbligate dalla normativa regolante la loro attività a costituire adeguate riserve per il pagamento dei sinistri relativi ai contratti per i quali il premio è già stato incassato -, rettamente la sentenza dichiarativa aveva ritenuto che l'insolvenza di tali imprese può sussistere anche in assenza di debiti insoluti, quando risulti che le risorse finanziarie utilizzate per pagare le indennità assicurative maturate siano superiori a quelle accantonate per ciascun periodo di rischio nelle riserve obbligatorie e provengano dalle somme accantonate per rischi diversi e cronologicamente successivi a quelli ai quali i pagamenti si riferiscono; c) che, nella specie, tale era la situazione della Tirrena nell'aprile 1992:

da un lato, la società non era stata in grado di dar corso in alcun modo alla urgente necessità - più volte evidenziata da oltre un anno dallo stesso Consiglio di Amministrazione in sintonia con i rilievi sollevati dall'I.S.V.A.P. - di forte ricapitalizzazione (per 300 miliardi di lire) onde assicurare la copertura del fabbisogno del margine di solvibilità e degli impegni tecnici a fronte delle ingentissime perdite manifestatesi sin dall'esercizio 1990 e progressivamente aggravatesi, dall'altro la entità sottostimata della riserva sinistri, risultante dalla analisi condotta dai periti nominati in sede penale, implica che la situazione patrimoniale era ancor più grave di quella considerata dal consiglio di amministrazione.

Avverso tale sentenza A.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resiste con controricorso il Commissario liquidatore. T.R. non ha svolto attività difensiva, mentre A.L. ha, a sua volta, proposto ricorso incidentale per cinque motivi, cui resiste con controricorso il Commissario liquidatore. Quest'ultimo e A.L. hanno depositato memorie illustrative.

 

Motivi

1. Deve innanzitutto, a norma dell'art. 335 c.p.c., provvedersi alla riunione dei due ricorsi proposti avverso la stessa sentenza.

2. Il ricorso principale si basa su quattro motivi.

2.1. Con i primi due si censura la ritenuta legittimazione dell' A., quale titolare dell'organo amministrativo sciolto e sostituito dal commissario straordinario nominato dall'I.S.V.A.P. a norma della legge n.576/1982, a resistere al ricorso L. Fall., ex art. 202, deducendo: - con il primo motivo, il difetto di motivazione in ordine alla soluzione di continuità che si sarebbe, nel caso in esame (a differenza del caso dell'E.F.I.M., nel quale era intervenuta la sentenza richiamata dalla Corte territoriale) realizzata tra la cessazione degli organi sociali di gestione (e di controllo) e l'apertura della liquidazione coatta, e quindi la violazione o falsa applicazione del combinato disposto della L. Fall., artt. 15, 195 e 202, e dell'art. 78 c.p.c.; - con il secondo motivo, la falsa applicazione della L. Fall., art. 202, avendo la Corte di merito verificato lo stato di insolvenza con riferimento alla data di scioglimento del consiglio di amministrazione della società anzichè a quella della messa in liquidazione coatta, come prescritto dall'art. 202.

2.2. Con il terzo ed il quarto motivo si censura l'accertamento circa lo stato di insolvenza, deducendo: - con il terzo, la falsa applicazione della L. Fall., artt. 5 e 202, ed il vizio motivazionale per essersi la Corte territoriale - senza nemmeno valutare la richiesta di ammissione di c.t.u. - basata su elementi che non sarebbero rivelatori di tale stato potendo giustificare solo la sottoposizione della impresa assicurativa a liquidazione coatta amministrativa; - con il quarto motivo, il vizio motivazionale consistente nel non aver considerato il cospicuo valore di avviamento realizzabile, in tesi, attraverso la cessione del portafoglio clienti.

3. Con il ricorso incidentale, A.L. pone sostanzialmente le stesse questioni sollevate nel ricorso principale.

4. Le doglianze dei ricorrenti non meritano accoglimento.

5. Quanto alla dedotta invalidità del procedimento per difetto di legittimazione delle persone chiamate a parteciparvi in rappresentanza della società dichiarata insolvente, la sentenza d'appello, evidenziato che il ricorso era stato notificato sia all' A. sia al commissario straordinario, ha statuito che (non solo il presidente del consiglio di amministrazione ma) "tutti i soggetti legittimati sono stati chiamati a partecipare al procedimento", ed ha quindi implicitamente ritenuto non necessaria la nomina di un curatore speciale. Tale statuizione resiste alle critiche esposte dai ricorrenti, incentrate sulla differenza intercorrente tra il caso regolato dalla sentenza richiamata dalla Corte territoriale (Cass. Sez. 1^ n. 17014/04, che ha indicato come legittimati, nel caso dell'EFIM, gli organi sociali esterni in carica al momento del commissariamento e non il commissario in carica al momento del decreto di sottoposizione alla L.C.A.) e quello qui in esame. Le pur prospettabili differenze tra la soppressione dell'E.F.I.M. disposta con L. n. 487 del 1992, e il commissariamento a norma della L. n. 576 del 1982, art. 7, (come modificato dalla L. n. 20 del 1991, art. 2), cui nel caso della Tirrena si era dato corso, non sono invero idonee ad incidere sulla ratio indicata dalla richiamata pronuncia, in continuità con un precedente significativo arresto (Cass. Sez. 1^ n. 9881/1997), peraltro intervenuto a regolare una fattispecie che - ancor più della vicenda dell'E.F.I.M. - si mostra in tutto analoga a quella qui in esame, giacchè anche lì la liquidazione coatta era stata preceduta dal commissariamento della Compagnia assicurativa, poi dichiarata insolvente. Ratio che poggia fondamentalmente sul rilievo secondo cui, poichè lo stato di insolvenza non può che riferirsi alla attività di gestione anteriore alla nomina del commissario liquidatore e quindi alla stessa società quale conseguenza dell'attività gestoria dei suoi organi, il contraddittorio sul relativo accertamento deve costituirsi nei confronti degli ultimi titolari dell'organo esterno della società prima della sottoposizione alla liquidazione coatta, indipendentemente dal fatto che, alla data del relativo decreto ministeriale, le loro funzioni ordinarie, anche di rappresentanza, fossero già cessate - o meglio sospese - perchè la legittimazione a interloquire su vicende che attengono alla gestione sociale anteriore alla liquidazione stessa non può che attribuirsi a coloro che hanno posto in essere tale gestione, essendo peraltro (oltre che sottoposti alle responsabilità che possono derivare dall'accertamento della insolvenza) in grado di validamente interloquire su tali vicende. Si fa leva cioè su una duplicità di argomenti concorrenti, uno inerente all'oggetto dell'accertamento, l'altro basato sulla considerazione che il subentro del commissario liquidatore agli organi statutari della società comporta non la cessazione di tali organi bensì la sospensione delle funzioni da essi esercitate (L. Fall., art. 200), che non preclude il riconoscimento in loro favore, per le concorrenti ragioni indicate, della legittimazione ad audiendum, a norma della L. Fall., art. 195, comma 2, (nel testo all'epoca vigente come modificato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 110/1972), quali rappresentanti dell'imprenditore collettivo. Ciò ancor più vale nel caso, qui ricorrente, in cui la sottoposizione della società a liquidazione coatta sia stata preceduta (nella specie poco più di un anno prima) dal commissariamento della società stessa a norma della L. n. 576 del 1982, art. 7: la gestione straordinaria che, in virtù di tale norma, venne disposta ha comportato l'attribuzione al commissario di nomina pubblica, per un periodo di tempo limitato e con il precipuo scopo di eliminare le irregolarità riscontrate, le funzioni proprie degli organi di gestione ordinaria, e non vi è ragione - nè invero è stata indicata - per ritenere che a tale gestione straordinaria siano conseguiti effetti più incisivi rispetto a quelli derivanti dalla successiva sottoposizione della società a liquidazione coatta, tali da escludere la persistenza - al limitato fine sopra indicato - dell'organo ordinario di gestione. Vero è che quest'ultimo non può interloquire - nè vi ha interesse - su quanto avvenuto durante il periodo di gestione straordinaria; ma ciò, piuttosto che condurre alla attribuzione della legittimazione ad un soggetto estraneo quale il curatore speciale ex art. 78 c.p.c., (il cui intervento costituisce del resto l'extrema ratio di chiusura del sistema), giustifica semmai la scelta, operata nella specie, di estendere il contraddittorio al commissario straordinario, in relazione alle vicende che hanno riguardato il periodo del commissariamento.

In tale contesto, anche la questione relativa alla data in relazione alla quale va verificato lo stato di insolvenza si mostra priva di rilevanza decisiva. Il fatto che la Corte di merito abbia accertato che lo stato di insolvenza sussisteva già al momento del commissariamento della Tirrena, tredici mesi prima della apertura della liquidazione coatta (alla quale fa riferimento la L. Fall., art. 202), non solo non inficia di per sè tale accertamento in assenza di qualsivoglia allegazione di dati o circostanze dai quali possa desumersi che tale stato fosse eventualmente (ipotesi peraltro non risultante neppure prospettata) venuto meno nell'intervallo tra il commissariamento e la messa in liquidazione coatta (cfr. Cass. n. 9881/97 cit.), ma soprattutto non conduce a ritenere che il contraddittorio sia stato irregolarmente instaurato nei confronti della società, proprio perchè sono stati chiamati a partecipare al procedimento sia il titolare dell'organo amministrativo al momento del commissariamento sia il commissario per il periodo successivo fino alla messa in liquidazione coatta. Non mancando dunque nella specie i soggetti legittimati a contraddire all'istanza, non era necessaria la nomina del curatore speciale, che peraltro sarebbe ben arduo ritenere - come sostenuto dall' A. e dall' A.L. (la cui iniziativa di opporsi, anche nel merito, all'accertamento dello stato di insolvenza compiuto dal Tribunale mostra del resto l'intrinseca contraddittorietà con le loro tesi) - idonea a garantire la piena effettività del diritto di difesa della società.

6. Quanto all'accertamento dello stato di insolvenza, le critiche dei ricorrenti - a prescindere dalla inammissibilmente generica doglianza sulla mancata adozione dello strumento della c.t.u. - si risolvono, da un lato, in richieste inapprezzabili di riesame nel merito delle valutazioni espresse dalla Corte territoriale (cfr. ad esempio le considerazioni sul carattere nella specie fisiologico della sottostima della riserva sinistri, o sulla inattendibilità delle stime operate nella specie per determinare il valore adeguato di tale riserva), dall'altro nella prospettazione della tesi infondata secondo la quale, in sostanza, le peculiarità del ciclo produttivo della impresa assicurativa, che ispirano la normativa che ne regola l'attività, non potrebbero incidere sulla rilevazione dei sintomi della sua insolvenza a norma della L. Fall., art. 5, per la quale - secondo i criteri generali - non sarebbe sufficiente la presenza di un deficit patrimoniale.

Tesi infondata sotto più profili. In primo luogo, un assai marcato sbilanciamento tra attivo e passivo patrimoniale non può certo considerarsi privo di rilevanza ai fini dell'accertamento in questione: esso costituisce piuttosto uno dei tipici fatti esteriori da valutare attentamente in quanto, a norma della L. Fall., art. 5, si mostrano rivelatori dell'impotenza dell'imprenditore a soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, anche se di per sè solo non fornisce la prova dell'insolvenza, potendo essere superato da circostanze obiettive che giustifichino la prospettiva di un futuro andamento favorevole in un contesto di persistente fiducia della quale goda l'impresa sul mercato (cfr. tra molte: Sez. 1^ n. 4727/04; n. 26217/05; n. 9408/06; n. 5215/08). Ipotesi, questa, che la Corte di merito ha escluso con motivazione più che congrua oltre che immune da vizi logici, osservando puntualmente come non abbiano avuto alcun esito i molteplici tentativi della Tirrena di procurarsi, mediante ricapitalizzazione, le risorse finanziarie indispensabili per assicurare la continuazione dell'attività entro i margini di solvibilità che lo stesso Consiglio di amministrazione, pur tenendo conto di dati di bilancio erroneamente sottostimati, aveva ritenuto necessario ed urgente ripristinare. D'altra parte, neppure può convenirsi sulla irrilevanza, ai fini dell'accertamento in questione, delle peculiarità dell'impresa assicurativa, con particolare riferimento alla relazione che deve sussistere tra le risorse finanziarie che vengono utilizzate per il pagamento degli indennizzi e le risorse accantonate per ciascun periodo di rischio nelle riserve obbligatorie: il fatto che una impresa assicurativa, per l'inadeguatezza delle riserve accantonate, si trovi costretta a pagare gli indennizzi utilizzando la liquidità riveniente dai premi raccolti, che deve essere destinata a coprire rischi non ancora maturati, ben può costituire - a prescindere dalla qualificazione come grave irregolarità di gestione per violazione delle norme regolatrici - un chiaro indice di incapacità di adempiere regolarmente, o con mezzi normali, alle proprie obbligazioni, non potendosi ritenere normale che dall'adempimento derivi uno squilibrio nella situazione economica dell'impresa tale da precludere il rispetto degli impegni presi nei confronti dei creditori.

Quanto infine alla doglianza circa la mancata considerazione del (in tesi) cospicuo valore di avviamento della Tirrena, deve escludersi che tale valore possa essere considerato come componente attiva del patrimonio della società sino a che la società resti titolare dell'azienda. Tale principio vale non solo ai fini della redazione del bilancio di esercizio (art. 2426 c.c., n. 6, che fa salva la sola ipotesi della capitalizzazione del corrispettivo pagato per l'acquisto dell'azienda), perchè il valore di avviamento è realizzabile solo a condizione di vendere l'azienda, e tale alienazione, essendo incompatibile con la continuazione dell'impresa collettiva, presuppone la sua messa in liquidazione. Poichè, come si è detto, nella specie l'accertamento sulla insolvenza della Tirrena deve essere riferito alla situazione esistente nel periodo anteriore al decreto che ne ha disposto la liquidazione coatta, non può che concludersi per la irrilevanza del valore di avviamento ai fini di tale giudizio.

7. Il rigetto del ricorso si impone dunque, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese, che si liquidano come in dispositivo tenendo conto (cfr. S.U. n. 17406/12) di quanto stabilito dal D.M. 20 luglio 2012 in attuazione del D.L. n. 1 del 2012, art. 9, comma 2, conv. in L. n. 271 del 2012.

 

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, in Euro 15.200,00 - di cui Euro 15.000 per compenso - oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 marzo 2013.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2013.