Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24024 - pubb. 11/01/2020

Lo stato di insolvenza non è escluso dalla circostanza che l'attivo superi il passivo

Cassazione civile, sez. I, 27 Marzo 2014, n. 7252. Pres. Salvago. Est. Genovese.


Stato d’insolvenza - Nozione - Attivo superiore al passivo - Irrilevanza - Significato oggettivo dell'insolvenza - Valutazione incensurabile del giudice di merito



Lo stato di insolvenza richiesto ai fini della pronunzia dichiarativa del fallimento dell'imprenditore non è escluso dalla circostanza che l'attivo superi il passivo e che non esistano conclamati inadempimenti esteriormente apprezzabili. In particolare, il significato oggettivo dell'insolvenza, che è quello rilevante agli effetti dell'art. 5 legge fall., deriva da una valutazione circa le condizioni economiche necessarie (secondo un criterio di normalità) all'esercizio di attività economiche, si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all'impresa e si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell'esperienza economica, nell'incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l'estinzione dei debiti), nonché nell'impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio. Il convincimento espresso dal giudice di merito circa la sussistenza dello stato di insolvenza costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in cassazione, ove sorretto da motivazione esauriente e giuridicamente corretta. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


Fatto

1. A seguito dell'istanza, depositata dal P.M. in data 12 novembre 2010, ex art. 7, comma 1, n. 1, l.f., il Tribunale di Busto Arsizio ha dichiarato il fallimento della società E. s.r.l., con sede in (*) e avverso tale decisione ha proposto reclamo il signor A.B., amministratore unico della società fallita, chiedendo la dichiarazione di incompetenza del Tribunale adito dal PM e la revoca del fallimento, per difetto dei presupposti di cui all'art. 5 l.f..

La Corte d'appello di Milano ha respinto il reclamo, rigettando dapprima l'eccezione d'incompetenza ed affermando la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento.

2. Secondo la Corte territoriale, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe corretta perchè il primo giudice avrebbe motivato in ordine: a) alla "cospicua esposizione debitoria verso fornitori e professionisti, oltre al possibile ingente debito fiscale, cui la società non potrà far fronte con la sua esigua liquidità"; b) alla "scarsa liquidità della società, rappresentata da un saldo di Euro 2.077,40, del tutto inadeguato a soddisfare i consistenti debiti accertati"; c) e alla difficoltà di una immediata realizzazione della liquidità risultante dalla vendita degli immobili esistenti nel patrimonio sociale. La sussistenza dello stato d'insolvenza, secondo il provvedimento reclamato, era anche "desumibile dalla sostanziale inattività della società,conseguente all'avvenuto licenziamento, nell'agosto 2009, di tutti i dipendenti".

Quanto al debito erariale, sarebbero stati ipotetici e non attuali sia un'eventuale opposizione, sia un ipotizzato accordo transattivo, sia le lamentate doglianze da proporre contro l'accertamento, con specifico riferimento alla lesione del diritto di difesa e alla violazione del principio del contraddittorio, consumatesi nel corso delle verifiche fiscali.

3. Contro tale decisione il signor C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati anche da memoria ex art. 387 c.p.c..

4. La curatela intimata e il Pubblico ministero, dichiarati contumaci nel giudizio di appello, non hanno svolto difese neppure in questa fase.

 

MOTIVI

1. Il ricorso è sviluppato per mezzo di quattro motivi:

1.1. Con il primo, il quale lamenta (in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) la violazione e falsa applicazione dell'art. 5 l.f., il ricorrente deduce l'errore commesso dal giudice dell'appello che avrebbe concluso per la sussistenza dello stato d'insolvenza della società, computando, nello stato dei debiti, quello ipotetico verso l'Erario, anche in assenza di un'iscrizione a ruolo o di un avviso di accertamento da parte dell'Agenzia delle Entrate (ma solo di un processo verbale di verifica della Guardia di Finanza) e in violazione dei principi di attualità dell'insolvenza, del suo carattere manifesto, dell'esistenza di almeno un inadempimento o, comunque, del suo carattere univocamente presumibile (considerando elementi diversi dall'inadempimento di almeno una obbligazione);

1.2. Con il secondo, per mezzo del quale lamenta (in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 15 l.f., il ricorrente deduce l'errore commesso dal giudice dell'appello il quale non avrebbe tenuto conto del principio di diritto secondo cui non si potrebbe procedere alla dichiarazione di fallimento senza la presenza di almeno un inadempimento (ciò che nel caso sarebbe mancato, essendosi dato rilievo a debiti nè scaduti nè impagati);

A tale conclusione si dovrebbe pervenire sulla base dell'interpretazione dell'art. 15, comma 9, della l.f. ove si richiede, per procedere alla dichiarazione di fallimento, che constino debiti "scaduti e non pagati" per almeno 30.000,00 Euro, da intendersi quali somme non solo dovute ma anche richieste in pagamento senza buon fine.

1.3. Con il terzo mezzo, con il quale lamenta (in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) la violazione e falsa applicazione dell'art. 5 l.f., nonchè l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, il ricorrente deduce l'errore commesso dal giudice dell'appello il quale, in violazione dell'art. 5 l.f., non avrebbe correttamente rilevato che la situazione economico-patrimoniale dell'impresa, in sostanziale equilibrio, priva di inadempimenti ed azioni esecutive, era, al più, da porre in stato di liquidazione e ciò senza neppure considerare (e motivare) in ordine a tutti i dati contrastanti quelli unilateralmente presi in considerazione nel ricorso del PM, e ciò nonostante essi fossero stati adeguatamente evidenziati nel reclamo proposto alla Corte territoriale.

1.4. Con il quarto, con il quale lamenta (in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, il ricorrente rimprovera alla Corte territoriale di aver illogicamente e contraddittoriamente motivato (e quantomeno in modo insufficiente) circa la diversa valenza delle principali poste attive e passive: da un lato, la non immediata realizzabilità degli immobili dell'impresa e, da un altro, considerando già attuale (e non invece solo ipotetica) l'esistenza del rilevante credito erariale, scaturito dall'accertamento della Guardia di Finanza (oltre che coperti dal valore dei beni posseduti tutte le poste passive di bilancio).

2.11 primo motivo di ricorso è inammissibile perchè esso non censura adeguatamente la ratio decidendi contenuta nella sentenza impugnata. Infatti, la Corte territoriale, diversamente da quanto assume il ricorrente, ha respinto il reclamo ed affermato che lo stato d'insolvenza era stato, motivatamente accertato, in ragione di uno sbilancio tra i debiti (la "cospicua esposizione debitoria verso fornitori e professionisti, oltre al possibile ingente debito fiscale") e i valori attivi, "cui la società non potrà far fronte con la sua esigua liquidità" (costituiti, appunto dalla "scarsa liquidità della società, rappresentata da un saldo di Euro 2.077,40, del tutto inadeguato a soddisfare i consistenti debiti accertati", oltre che dalla difficoltà di una immediata realizzazione risultante dalla vendita degli immobili esistenti nel patrimonio sociale) nonchè desunto anche "dalla sostanziale inattività della società, conseguente all'avvenuto licenziamento, nell'agosto 2009, di tutti i dipendenti".

Di conseguenza, la contestazione di un credito, per quanto assai rilevante, secondo quanto assume il ricorrente, non elimina lo sbilancio segnalato in rapporto all'esiguità dell'attivo liquido e alla difficoltà di realizzazione dei valori immobilizzati (non essendo, tra l'altro, segnalati - fin dall'appello - in quale modo essi avrebbero potuto esserlo in tempi apprezzabili) nè farebbero fronte agli altri indici (inattività e licenziamento dei dipendenti).

3. Il secondo motivo di ricorso, pur recando un serio problema di diritto, è inammissibile.

Esso censura la decisione asserendo che la motivazione della sentenza di appello, nella parte in cui afferma che "la società non potrà far fronte con la sua esigua liquidità" alla "cospicua esposizione debitoria verso fornitori e professionisti, oltre al possibile ingente debito fiscale", porrebbe a presupposto della sua decisione la mancanza attuale (al momento della dichiarazione) dell'inadempimento accertato di alcuni debiti scaduti. In tal modo essa intenderebbe sollevare la questione della compatibilità e coerenza logico sistematica tra la previsione dell'art. 15, comma 9, l.f., laddove è previsto che non si faccia luogo alla dichiarazione di fallimento se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati, risultanti dagli atti dell'istruttoria prefallimentare, sia stato complessivamente inferiore ad Euro 30.000,00 e la previsione dell'art. 5, comma 2, l.f., che non ha formato oggetto di revisione legislativa e che, ancora oggi, recita: "Lo stato d'insolvenza si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni", il quale sembrerebbe consentire la possibilità di dichiarare il fallimento anche senza che sia stata accertato anche un solo effettivo inadempimento.

3.1. La questione, tuttavia, non può formare oggetto di scrutinio in questa sede in quanto il presupposto fattuale da cui muove il ricorrente non è fondato, dovendosi intendere la sopra richiamata affermazione, contenuta nella sentenza e da cui muove le mosse il presente mezzo di doglianza, al contrario, proprio nel senso che il giudice di merito ha presupposto che vi sia stato un inadempimento delle obbligazioni della fallita per la somma complessiva di almeno 30.000,00 Euro, avverso la quale asserzione l'odierno ricorso nulla deduce, richiamando quanto eventualmente allegato e dedotto in sede di reclamo, avanti alla Corte d'appello.

La mancanza di tali richiami, pertanto, rende il motivo del tutto nuovo e, perciò, del tutto inammissibile.

4. Il terzo motivo di ricorso è complessivamente infondato perchè, in disparte le doglianze di mancata considerazione di fatti e dati rilevanti, colpevolmente trascurati dalla Corte territoriale, che si assumono genericamente indicati nel reclamo senza che tuttavia si richiami specificamente quali, quando, come e dove lo siano stati e con quale prospettazione causalmente incidente sulla decisione auspicata, esso reca una duplice censura di vizio motivazionale e di violazione di legge che meritano una risposta diversificata.

4.1. Il vizio motivazionale è inammissibile perchè non censura compiutamente ed adeguatamente la ratio decidendi contenuta nella sentenza impugnata. Come si è già ricordato, infatti, la Corte territoriale, diversamente da quanto assume il ricorrente, ha respinto il reclamo ed affermato che lo stato d'insolvenza era stato, motivatamente accertato, non solo in ragione di uno sbilancio tra i debiti (la "cospicua esposizione debitoria verso fornitori e professionisti, oltre al possibile ingente debito fiscale") e i valori attivi, "cui la società non potrà far fronte con la sua esigua liquidità" (costituiti, appunto dalla "scarsa liquidità della società, rappresentata da un saldo di Euro 2.077,40, del tutto inadeguato a soddisfare i consistenti debiti accertati", oltre che dalla difficoltà di una immediata realizzazione risultante dalla vendita degli immobili esistenti nel patrimonio sociale) ma per la "sostanziale inattività della società,conseguente all'avvenuto licenziamento, nell'agosto 2009, di tutti i dipendenti". Tale ultimo aspetto della motivazione del giudice di appello (pur convalidato anche dal ricorrente, che testualmente attribuisce lo "stato di inattività" alla "custodia cautelare del suo socio unico nonchè amministratore signor C.": p. 17, ricorso) è del tutto trascurato nella censura che non spiega come e con quale valenza tali emergenze dovevano essere valutate dal giudice del reclamo.

4.2. Il vizio di violazione di legge è infondato poichè, in disparte la valutazione operata dal giudice di merito in ordine all'esistenza di un effettivo sbilancio tra la parte attiva e quella passiva della situazione economico-patrimoniale dell'impresa (su cui: cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 26217 del 2005) va ricordato che questa Corte ha da lungo tempo (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4351 del 1980, nn. 1118 del 1978 e 3371 del 1977) stabilito il principio di diritto secondo cui lo stato di insolvenza del debitore "non richiede la totale cessazione dei pagamenti, ma sussiste quando l'imprenditore non è in grado di adempiere regolarmente, tempestivamente e con mezzi normali alle proprie obbligazioni, per essere venute meno le condizioni di liquidità e di credito nelle quali deve trovarsi un'impresa commerciale, anche se l'attivo superi eventualmente il passivo e non esistano conclamati in adempimenti esteriormente apprezzabili".

5. Anche il quarto motivo deve essere disatteso, risultando in parte inammissibile, per le già richiamate ragioni attinenti alla mancata compiuta ed adeguata censura della ratio deciderteli contenuta nella sentenza impugnata, ed in parte infondato, in quanto, trattandosi della diversificata valutazione di diverse poste della situazione economico-patrimoniale dell'azienda esse possono essere diversamente svolte dal giudice di merito.

In ogni caso, la censura incorre negli stessi errori sopra richiamati e si pone in contrasto con il principio di diritto (posto da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3371 del 1977), a cui occorre dare continuità in questa sede, essendo pienamente condiviso dal collegio, e secondo il quale "lo stato di insolvenza richiesto ai fini della pronunzia dichiarativa del fallimento dell'imprenditore non è esclusa dalla circostanza che l'attivo superi il passivo e che non esistano conclamati inadempimenti esteriormente apprezzabili. In particolare, il significato oggettivo dell'insolvenza, che è quello rilevante agli effetti dell'art. 5 della legge fallimentare, deriva da una valutazione circa le condizioni economiche necessarie (secondo un criterio di normalità) all'esercizio di attività economiche, si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all'impresa e si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell'esperienza economica, nell'incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l'estinzione dei debiti), nonchè nell'impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio. Il convincimento espresso dal giudice di merito circa la sussistenza dello stato di insolvenza costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in Cassazione, se ove sorretto da motivazione esauriente e giuridicamente corretta".

6. Conclusivamente, il ricorso (per essere in parte inammissibile ed in parte infondato) deve essere respinto, senza che sia necessario provvedere sulle spese di questo giudizio, per non avere gli intimati svolto alcuna attività difensiva.

 

P.Q.M.

Respinge il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 1 sezione civile della Corte di cassazione, dai magistrati sopra indicati, il 18 febbraio 2014.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2014.