ilcaso.it
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24021 - pubb. 11/01/2020.

L’accertamento dello stato di insolvenza prescinde dalle cause che lo hanno determinato


Cassazione civile, sez. VI, 14 Gennaio 2016, n. 441. Pres. Dogliotti. Est. Magda Cristiano.

Fallimento - Stato d’insolvenza - Accertamento - Rilevanza delle cause - Esclusione - Fattispecie


Ai fini della dichiarazione di fallimento, l'accertamento dello stato di insolvenza prescinde dalle cause che lo hanno determinato, anche se non imputabili all'imprenditore. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di fallimento di una società a responsabilità limitata reputando irrilevante che la relativa insolvenza fosse stata determinata dall'inagibilità, imputabile a terzi, del capannone dove sarebbe dovuta avvenire la produzione). (massima ufficiale)

 

Fatto

E' stata depositata la seguente relazione:

1) La corte d'appello di Trento, con sentenza del 27 maggio 2013, ha respinto il reclamo proposto da H&  H Ma. s.r.l. avverso la sentenza del tribunale dichiarativa del suo fallimento.

La corte territoriale ha ritenuto infondati entrambi i motivi del reclamo, con i quali H&  H aveva dedotto che la crisi in cui versava era stata determinata dall'inadempimento della società che le aveva concesso in leasing il capannone nel quale sarebbe dovuta avvenire la produzione, risultato inagibile a causa delle continue infiltrazioni d'acqua, ed aveva inoltre contestato che nell'attivo patrimoniale, rilevante ai fini della verifica del superamento del requisito di fallibilità di cui all'art. 1, comma 2, lett. a) L. Fall., potessero essere compresi i ratei e risconti attivi relativi al leasing, attesa la pendenza di numerose controversie, una delle quali aveva ad oggetto la risoluzione del contratto, che escludevano che il valore del capannone costituisse una posta dell'attivo patrimoniale.

In ordine al primo punto il giudice del merito ha rilevato che l'accertamento dello stato di insolvenza dell'imprenditore commerciale, quale presupposto per la dichiarazione di fallimento, prescinde dall'indagine inerente alle cause che l'hanno determinato;

quanto al secondo, ha ritenuto che il requisito di fallibilità di cui al cit. art. 1, lett. a) debba verificarsi alla stregua delle emergenze contabili risultanti dai bilanci, senza che possa rilevare la pendenza di giudizi atti a determinare future ed ipotetiche svalutazioni delle poste attive.

2) La sentenza è stata impugnata da H &   H Ma. s.r.l. con ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Il Fallimento e la creditrice istante, Banca Popolare di Vicenza s.c.p.a., non hanno spiegato difese.

3) Con il primo motivo, H&  H, denunciando violazione dell'art. 1218 c.c., art. 116 c.p.c. e D.P.R. n. 267 del 1942, art. 5, oltre che vizio di motivazione, contesta che l'inadempimento del terzo alle obbligazioni di cui è gravato nei confronti del debitore insolvente non assuma rilievo ai fini della dichiarazione di fallimento di quest'ultimo. Sostiene, in particolare, che essa non poteva essere chiamata a rispondere dell'inadempimento, ai sensi dell'art. 1218 c.c., versando in una situazione di crisi determinata dall'inutilizzabilità del capannone, interessato da continue ed abbondanti infiltrazioni d'acqua che, oltre a danneggiare quanto vi era contenuto, rendevano l'ambiente insalubre al punto da impedirvi qualsiasi attività lavorativa.

Il motivo appare manifestamente infondato.

Infatti, al di là del rilievo che l'assunto della ricorrente risulta del tutto indimostrato, costituisce principio costante e consolidato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità che lo stato di insolvenza giustifica di per sè la dichiarazione di fallimento, anche se le cause che lo hanno determinato non sono imputabili all'imprenditore (fra moltissime, e per tutte, Cass. S.U. n. 115/01).

4) Col secondo motivo H&  H deduce che il superamento del limite contabile di cui all'art. 1 L. Fall., era essenzialmente dovuto all'attivo patrimoniale costituito per il 30% dai ratei del contratto di leasing, il quale, tuttavia, era stato risolto con raccomandata del 10.12.012, per inadempimento della concedente, anteriormente alla pronuncia della sentenza dichiarativa. A dire della ricorrente, pertanto, il valore del capannone non poteva essere ricompreso nell'attivo patrimoniale ai fini della verifica della sussistenza del requisito di fallibilità di cui alla lett. a) dell'art. 1 cit.

Il motivo appare inammissibile.

Al fine della verifica della rilevanza nel presente giudizio - volto esclusivamente all'accertamento della ricorrenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento - della questione dedotta nel motivo la ricorrente avrebbe infatti in primo luogo dovuto specificare che, secondo quanto documentato in sede di merito, essa non aveva superato le soglie di fallibilità di cui alle lett. b) e c) dell'art. 1 L. Fall., atteso che non sono assoggettabili a fallimento i soli imprenditori che dimostrino il possesso congiunto (e non alternativo) dei requisiti dimensionali previsti dalla norma.

Inoltre, sempre ai fini della rilevanza della questione, H&  H avrebbe dovuto indicare l'esatta composizione dell'attivo risultante dal bilancio ed il suo effettivo ammontare, atteso che, in difetto di tali elementi, non risulta possibile accertare l'effettiva incidenza delle poste in contestazione sul limite dimensionale di cui alla lett. a).

La generica affermazione della ricorrente, secondo cui il superamento del limite (e non già dei limiti) di cui all'art. 1 L. Fall. è dovuto "essenzialmente" all'attivo patrimoniale, il quale è costituito dall'immobilizzazione immateriale, materiale, dalle rimanenze e "in misura rilevante, circa il 30%", dai ratei e risconti, non consente dunque di scendere all'esame del merito della censura. Si dovrebbe pertanto concludere per il rigetto del ricorso, con decisione che potrebbe essere assunta in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c..

Il collegio ha esaminato gli atti, ha letto la relazione e ne condivide le conclusioni, non utilmente contrastate da H &   H nella memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

Va in primo luogo rilevato che non può tenersi conto dei documenti tardivamente ed inammissibilmente prodotti dalla ricorrente con la memoria, (i quali, ai sensi dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, avrebbero dovuto essere allegati al ricorso), nè degli elementi istruttori asseritamente ricavabili da una ctu espletata nel corso di un giudizio di impugnazione di lodo arbitrale, che solo nella memoria (e dunque altrettanto tardivamente) risulta specificamente richiamata attraverso l'indicazione dell'esatta sede processuale in cui sarebbe stata prodotta nel procedimento di "appello" (sempre che per appello debba intendersi reclamo).

Va in ogni caso ribadito che, quand'anche potesse ritenersi dimostrata l'imputabilità del dissesto all'inadempimento del terzo concedente, troverebbe ugualmente applicazione il principio, costante e consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, dell'indifferenza causale dell'insolvenza concorsuale, che non conosce eccezioni (neppure nel caso, peraltro privo di attinenza a quello di specie, in cui l'insolvenza sia provocata da un evento esterno, imprevisto ed imprevedibile, che renda impossibile la prosecuzione dell'attività di impresa).

Il ricorso deve pertanto essere respinto.

Non v'è luogo alla liquidazione delle spese in favore delle parti intimate, che non hanno svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2016.