Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23979 - pubb. 11/01/2020

Fallimento e iscrizione all'albo delle imprese artigiane

Cassazione civile, sez. I, 22 Settembre 2000, n. 12548. Pres., est. Panebianco.


Iscrizione all'Albo delle imprese artigiane - Natura costitutiva - Configurabilità - Limiti - Rilevanza ai fini della qualificazione come piccolo Esclusione



L'iscrizione all'albo di un'impresa artigiana, legittimamente effettuata ai sensi dell'art. 5 della legge n. 443 del 1985, pur avendo natura costitutiva, ai limitati fini dell'attribuzione delle provvidenze previste dalla legislazione (regionale) di sostegno, non spiega alcuna influenza, "ex se", con riferimento alla qualificazione dell'artigiano come piccolo imprenditore, come tale escluso dal fallimento, dovendosi, a tal fine, ricavare la relativa nozione alla luce dei criteri fissati dall'art. 2083 cod. civ.. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 22.2.1996 P. E. proponeva opposizione avverso la sentenza del 15.2.1996 del Tribunale di Cosenza che aveva dichiarato il fallimento dell'omonima ditta individuale.

Nel chiederne la revoca, sosteneva che difettavano i presupposti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla legge per dichiarare il fallimento in quanto egli era artigiano e non già imprenditore esercente attività commerciale stante il prevalente lavoro personale; era comunque decorso l'anno dalla cessazione dell'attività e non sussisteva lo stato d'insolvenza ma solo una temporanea carenza di liquidità.

Si costituivano la curatela fallimentare ed il creditore istante Avv. A. C. che chiedevano il rigetto dell'opposizione, mentre la G.M.A. s.r.l., altra creditrice istante, rimaneva contumace.

Il Tribunale di Cosenza con sentenza del 15-22.1.1997 rigettava l'opposizione.

Proponeva opposizione il P. ed, all'esito del giudizio nel quale si costituivano la curatela ed il C. chiedendone il rigetto, la Corte d'Appello di Catanzaro con sentenza del 6.10-26.11.1998 rigettava il gravame.

Dopo aver richiamato i principi in materia, sottolineando che il riconoscimento dello stato di imprenditore artigiano ai fini della non assoggettabilità al fallimento prescinde dall'iscrizione all'apposito albo in quanto basato sulla preminenza del lavoro sul capitale investito e su un'espansione tale dell'impresa da escludere nel guadagno il carattere del profitto, rilevava la Corte d'Appello che i documenti acquisiti al processo, relativi all'estensione dell'attività di costruzione e di vendite immobiliari nonché alla notevole consistenza del passivo, lasciavano supporre un ragguardevole giro di affari ed un cospicuo investimento di capitali.

Al riguardo sottolineava che fino al 1995 il P., come risultava dalle visure catastali, aveva costruito e venduto circa duecento appartamenti, di cui oltre cento erano stati riconosciuti nella comparsa conclusionale e che in ogni caso, anche senza voler considerare tale dato rilevante, l'avvenuta vendita degli immobili aveva concretizzato un'attività commerciale che, per il volume degli affari trattati, non poteva considerarsi propria di un piccolo imprenditore.

Evidenziava poi il notevole ammontare dei mutui bancari e dello stato passivo (quest'ultimo di circa quattro miliardi), incompatibile con l'attività di impresa artigiana nonché, a fronte della dedotta tesi circa la cessazione dell'attività nel Dicembre del 1994, l'avvenuta alienazione di immobili ed il rinnovo di ipoteche su porzioni di fabbricato, all'epoca in corso di costruzione, fino a tutto l'anno 1995.

In ordine alle doglianze relative alla mancata ammissione delle prove richieste sulla cessazione dell'attività al 31.12.1994, osservava infine che tali prove erano inammissibili in quanto, in parte non riproposte in sede di precisazione delle conclusioni dopo che il giudice istruttore le aveva dichiarate inammissibili, in parte relative a circostanze che non possono costituire oggetto di prove testimoniali perché riguardanti l'attività di artigiano muratore e la cessazione dell'attività entro il 1994 ed in parte introdotte nel processo altre il termine di cui all'art. 183 commi 4 e 5 C.P.C., riguardante però le domande e le eccezioni.

Per quanto riguarda infine il riconoscimento dello stato d'insolvenza censurato dall'appellante, dopo aver osservato che le contestazioni mosse dal P. anche in sede penale, su sua denuncia, in ordine ai crediti rivendicati nei suoi confronti non avevano trovato alcun riscontro, rilevava la Corte d'Appello che esso era dimostrato dalla notevole esposizione debitoria risultante dalla verifica del passivo, dalla mancanza di qualsiasi bene nel suo patrimonio e dall'azione esecutiva intrapresa dall'Avv. C. prima del fallimento.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione P. E., deducendo quattro motivi di censura.

Resiste con controricorso l'Avv. C. A. che eccepisce preliminarmente la inammissibilità del ricorso sia per difetto, nella procura, del necessario riferimento alla sentenza impugnata e sia per intervenuta remissione, da parte sua, del debito del P..

 

Motivi della decisione

Pregiudizialmente deve essere esaminata la eccezione di inammissibilità del ricorso proposto dal controricorrente Avv. A. C. sotto il duplice profilo del difetto della procura speciale conferita dal P. al suo difensore, attesa la mancanza di riferimento alla sentenza che si intende impugnare, e della rinuncia al credito da lui operata nei confronti del P. medesimo con atto stragiudiziale notificatogli prima della notifica del ricorso.

Entrambi i profili sono infondati.

Quanto al primo, si osserva che il requisito di specialità richiesto dall'art. 365 C.P.C., ai fini della validità della procura conferita per la proposizione del ricorso per cassazione, si deduce inequivocabilmente, sia pure in presenza della generica formula a stampa usata ("in ogni fase e grado del presente giudizio") dalla stretta inerenza materiale di detta formula al ricorso medesimo, evidenziando tale inerenza il riferimento certo della procura all'atto, indipendentemente dalla genericità della formula adoperata.

Trattasi del resto di principio ormai consolidato in giurisprudenza (per tutte Cass. 7.4.1989 n. 1674).

Quanto al secondo profilo, e sufficiente considerare la qualità di litisconsorte necessario che assume il creditore istante ai sensi dell'art 18 L.F. nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento e la sua effettiva partecipazione nei precedenti gradi per negare rilevanza ai fini in esame alla successiva rinuncia al credito da parte del creditore istante in quanto l'interesse al giudizio persiste anche dopo tale rinuncia, potendo derivare una responsabilità del creditore istante in caso di revoca del fallimento.

Con il primo motivo di ricorso P. E. denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1 L.F., 2082, 2083 e 2195 C.C.. Lamenta che la Corte d'Appello abbia escluso la natura di impresa artigiana pur in presenza di elementi rilevanti in tal senso, quali la domanda di regolarizzazione contributiva dal 30.4.1993, l'iscrizione alla locale Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura nel periodo 20.12.1978-20.12.1994 e la prova testimoniale che non era stata ammessa dai giudice di merito nonostante riguardasse circostanze comprovanti l'effettivo esercizio dell' attività artigianale.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia "error in procedendo" per contraddittorietà della motivazione. Lamenta che non sia stato posto in condizione di assolvere all'onere della prova in ordine alla sua qualità di artigiano, pur ritenendosi contraddittoriamente che l'iscrizione all'albo degli artigiani costituisca una semplice presunzione.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 10 L.F., sostenendo che la circostanza relativa all'avvenuta cessazione dell'attività da oltre un anno doveva essere suffragata dalla prova testimoniale non ammessa.

Con il quarto motivo infine il ricorrente denuncia falsa applicazione dell'art. 183 C.P.C. e dell'art. 2724 C.C.. Lamenta, in ordine alla mancata ammissione della prova testimoniale, che la Corte d'Appello non abbia considerato che, trattandosi di elementi volti a dimostrare circostanze di fatto integrative di risultanze documentali, l'istanza di ammissione del mezzo istruttorio era stata tempestivamente proposta, non occorrendo la sua reiterazione all'atto della precisazione delle conclusioni e che nel giudizio di cognizione ordinaria non è necessario che le prove siano richieste nel limite temporale fissato dall'art. 183 commi 4 e 5 C.P.C..

Le dedotte censure, da esaminarsi congiuntamente per la loro sostanziale identità di contenuto almeno in ordine alle richieste prove testimoniali non ammesse, sono infondate.

L'artigiano può essere considerato piccolo imprenditore e, come tale, escluso da fallimento ai sensi dell'art. 1 comma 1 L.F. solo se ricorrano le condizioni previste dall'art. 2083 C.C., la cui disciplina continua ad applicarsi nei rapporti fra privati e quindi pure in materia fallimentare anche dopo l'entrata in vigore della legge quadro per l'artigianato (Legge 5.8.1985 n. 443) la quale fissa i criteri cui le regioni devono attenersi nell'adozione di provvedimenti per la tutela e lo sviluppo dell'artigianato in relazione ai benefici fiscali, creditizi ecc. previste per le imprese iscritte, ma non assume da sola alcun rilievo ai fini civilistici (in tal senso da ultimo Cass. 7366-98 conforme al prevalente indirizzo dottrinario e giurisprudenziale).

Pertanto le circostanze evidenziate dal ricorrente - quali l'iscrizione alla Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura e la domanda di regolarizzazione contributiva presentata all' INPS - non escludono, in presenza del requisito dell'insolvenza, il fallimento dell'artigiano qualora non risulti che esso sia piccolo imprenditore e cioè che, per le modeste dimensioni della sua attività, manchi l'intento speculativo e che il suo guadagno non assuma i connotati del profitto.

La Corte d'Appello, nell'adeguarsi in sostanza a tali principi, ha evidenziato una serie numerosa di elementi comprovanti un cospicuo investimento di capitali, una notevole consistenza del passivo ed un ragguardevole giro d'affari nella sua attività di costruzione e vendita di immobili, la cui concreta valutazione si sottrae al sindacato di legittimità.

Per quanto riguarda poi le censure in ordine alla mancata ammissione di alcune prove testimoniali volte a dimostrare la qualità di artigiano e la cessazione dell'attività da oltre un anno, si osserva che l'impugnata sentenza ne ha fornito una corretta ed esauriente motivazione, precisando che una parte dei capitoli di prova non era stata riproposta in sede di precisazione delle conclusioni dopo l'ordinanza di inammissibilità del giudice istruttore e doveva quindi ritenersi rinunciata, che le circostanze relative alla sua attività di artigiano presupponevano delle valutazioni anche di carattere tecnico e come tali non potevano essere provate per testimoni ed infine che tutti gli altri capitoli di prova erano stati introdotti oltre il limite temporale previsto a pena di decadenza.

Su tale ultimo punto il ricorrente deduce altresì che il richiamo all'art. 183 commi 4 e 5 C.P.C. è errato, riguardando tale norma le preclusioni relative alle domande ed alle eccezioni, ma la doglianza è irrilevante in quanto, al di là di ogni considerazione sulla correttezza del riferimento normativo, i termini perentori per la richiesta e l'ammissione delle prove sono in ogni caso pur sempre previsti, sia pure dal successivo art. 184 C.P.C..

Del resto non vengono dedotte in ricorso osservazioni di carattere giuridico per contestare la validità delle considerazioni sopra esposte, in base alle quali la Corte d'Appello ha rigettato le richieste istruttorie.

In ogni caso, al di là di un generico accenno al fatto che le prove richieste riguardavano la qualità di artigiano del P. e la cessazione dell'attività entro il 31.12.1994, non è stato precisato nemmeno il loro contenuto al fine di verificare la loro rilevanza ed ammissibilità, nè sono state smentite o contestate le prove documentali su cui l'impugnata sentenza ha fondato il proprio convincimento.

Il ricorso va pertanto integralmente rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

p.q.m.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell'onorario che liquida in L 4.000.000 oltre alle spese liquidate in L. 130.000.

Roma, 3.4.2000.

Sentenza n. 12548 del 22/09/2000