Persone e Misure di Protezione


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23851 - pubb. 14/07/2020

Protezione internazionale e discriminazione sessuale: rilevanza del riflesso sociale come identificativo di un’appartenenza a un gruppo

Cassazione civile, sez. VI, 04 Febbraio 2020, n. 2458. Pres. Bisogni. Est. Dolmetta.


Protezione internazionale - Valutazione delle circostanze riferite dal richiedente - Riferimenti a tematiche legate a fattori sessuali - Discriminazione sessuale - Appartenenza del singolo a un gruppo sociale connotato da un dato orientamento sessuale



In materia di protezione internazionale, la valutazione di credibilità del narrato del richiedente asilo, sia in generale, sia e in via segnata nel caso vi siano riferimenti a tematiche legate a fattori sessuali, deve tenere conto delle peculiarità del caso, della estrazione sociale e delle esperienze di vita, del sesso e dell’età del richiedente, insomma del contesto sociale di provenienza e della caratteristiche individuali della persona esaminata, come anche dei pudori e delle remore ataviche che le tematiche sessuali, e più ancora quelle di tratto omosessuale, recano con sé.
 
Secondo le univoche indicazioni contenute nelle disposizioni dell’art. 8, comma 1 lett. d. e comma 2, d.lgs. n. 251/2007, in tema di discriminazione sessuale a risultare decisivo è l’appartenenza del singolo a un gruppo sociale connotato da un dato orientamento sessuale; non già, in sé e per sé, l’orientamento sessuale proprio del singolo. A contare in proposito, cioè, è il riflesso sociale, come identificativo di un’appartenenza a un gruppo e, dunque, come comunque ricomprensivo del singolo nell’ambito dello stesso. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


Fatto

1.- A.B., di origine senegalese (Doudame), ha presentato ricorso avanti al Tribunale di Perugia avverso il provvedimento della Commissione territoriale di questa città, di diniego del riconoscimento della protezione internazionale (diritto di rifugio; protezione sussidiaria), come pure del riconoscimento della protezione umanitaria.

2.- Con decreto depositato in data 19 dicembre 2019, il Tribunale umbro ha respinto il ricorso.

3.- Ha ritenuto in particolare il decreto "non provata e non credibile la vicenda dell'omosessualità" (dal richiedente narrata in termini di fitte "frequentazioni" e "amicizie" con omosessuali e non anche di orientamento proprio). Ha aggiunto che si trattava di una "vicenda privata", inidonea a rientrare nell'ambito delle persecuzioni rilevanti ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2.

Con riferimento alla protezione sussidiaria, ha osservato, poi, che "le fonti non documentano, nella zona di provenienza della parte istante, Senegal, situazioni di violenza indiscriminata".

Ribadita la "natura privata" della vicenda di omosessualità narrata dal ricorrente, il Tribunale ha rilevato che non erano stati "prospettati ulteriori motivi di vulnerabilità soggettiva/oggettiva, che consentano di riconoscere la protezione umanitaria".

4.- Avverso questo provvedimento ricorre A.B., proponendo tre motivi di cassazione.

Il Ministero dell'Interno non ha svolto difese nel presente grado del giudizio.

5.- Il ricorrente ha anche depositato memoria.

 

Diritto

6.- Il ricorso censura la decisione del Tribunale umbro: (i) col primo motivo, per violazione degli artt. 2 e 10 Cost., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; (ii) col secondo motivo, per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; (iii) col terzo motivo, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

7.- In ordine logico, va esaminato prima degli altri il terzo motivo di ricorso. Che si sostanzia nell'assumere vizio di mancata fissazione della udienza di comparazione nell'ambito dello svolgimento del giudizio di merito.

8.- Il motivo è inammissibile.

Lo stesso, in effetti, difetta del necessario requisito di specificità, limitandosi ad allegare in termini generici la mancata fissazione dell'udienza di comparazione.

9.- Il primo motivo di ricorso censura la decisione negativa, che il Tribunale ha assunto in tema di diritto di rifugio, sotto due distinti profili.

Il primo investe la valutazione di (non) credibilità che è stata effettuata dal decreto. "Il ricorrente - con tutto il disagio che si può immaginare possa provare un migrante che, con il proprio bagaglio culturale, religioso, sociale - davanti all'Autorità di uno Stato straniero (la Commissione territoriale), ha cercato di manifestare le ragioni che lo hanno portato ad abbandonare il proprio mondo, in modo molto imbarazzato e pudico, ma comunque segnalando il fatto di essere discriminato".

Il secondo riscontra che la decisione del Tribunale pretermette il "diritto alla propria identità sessuale e la libertà di poterla manifestare". Ad avviso del ricorrente, "non poter dichiarare e vivere pubblicamente il proprio orientamento sessuale, o comunque la propria vicinanza e il proprio supporto a un certo orientamento sessuale" dà vita a una situazione persecutoria, senz'altro rilevante per l'ordinamento vigente, sin dal livello dei principi costituzionali.

10. Il motivo merita di essere accolto.

11.- Secondo quanto è stato rilevato, tra le altre pronunce, da Cass., 21 luglio 2017, n. 18128, la valutazione di credibilità del narrato del richiedente asilo - in generale e certo non meno nel caso vi siano riferimenti a tematiche legate a fattori sessuali deve tenere conto "delle peculiarità del caso, della estrazione sociale e delle esperienze di vita, del sesso e dell'età del richiedente, insomma del contesto sociale di provenienza e della caratteristiche individuali della persona esaminata"; come anche dei pudori e delle remore ataviche che le tematiche sessuali - e, più ancora, quelle di tratto omosessuale - recano con sè.

Non si è per nulla conformata a quest'ordine di indicazioni, per contro, la pronuncia emessa dal Tribunale di Perugia. Che sulla questione della credibilità ha espresso, anzi, una motivazione propriamente perplessa, quando non meramente apparente (cfr., per la rilevanza di questo vizio nel contesto delle valutazioni di credibilità, Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340).

Dapprima la pronuncia ha dichiarato di tenere "a parte" l'elemento delle frequentazioni omosessuali. Di poi ha dichiarato invece un'incerta, "scarsa", credibilità di tutte le circostanze comunque riferite nel racconto (per il rilievo che il caso del dubbio sulla credibilità delle enunciazioni espresse dal richiedente asilo va comunque risolto sulla base del criterio del c.d. "beneficio del dubbio" cfr. le pronunce della Corte EDU, JK e altri/Svezia, 23 agosto 2016, d. 59166/12, punto 53 e della Corte EDU, RH/Svezia, 10 settembre 2015, d. 4601/4, punto 58). Infine, la pronuncia è transitata - e senza alcuna soluzione di continuità - al giudizio di compiuta non credibilità della vicenda, pure asserendo la stessa essere "non provata": così pure tradendo, tra l'altro, proprio la funzione di base della valutazione di credibilità, che se può certo nutrirsi di indizi anche proposti dal richiedente, tende per sua propria natura a "supplire" a percorsi probatori dal legislatore stimati di difficoltà estrema, quando non propriamente impossibile (e sul punto si veda - per una fattispecie più versi prossima a quella qui specificamente in esame - i rilievi svolti da Cass., 21 ottobre 2019, n. 26822).

12.- Neppure può essere ritenuto corretto - alla luce del sistema costituzionale e di legge ordinaria - l'altro assunto e ratio decidendi contenuti in proposito nel decreto impugnato, come inteso a escludere l'applicazione della normativa del diritto di rifugio alla fattispecie concreta, sostanzialmente considerata come una "vicenda omosessuale di natura privata".

Come ha puntualmente rilevato la pronuncia di Cass., 29 dicembre 2016, n. 27437, "quella derivante dall'orientamento sessuale del richiedente è una ragione di persecuzione idonea a giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato"; secondo quanto viene del resto a certificare in modo esplicito e formale il disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 1, lett. d) (diretta emanazione del principio di asilo, di cui all'art. 10 del testo costituzionale), "che espressamente contempla anche tale orientamento quale fattore di individuazione di un "particolare gruppo sociale", che costituisce appunto ragione di persecuzione idonea a giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato" (per l'esclusione che l'assunzione di un orientamento sessuale possa essere elemento discriminativo, per un soggetto o per un gruppo sociale, v., tra le altre, Cass., 22 giugno 2016, n. 12962).

Posta questa regola di base, appare ancora opportuno precisare che, secondo la chiara struttura della norma appena richiamata, a risultare elemento decisivo al riguardo è l'appartenenza del singolo a un gruppo sociale connotato da un dato orientamento sessuale; non già, in sè e per sè, l'orientamento sessuale proprio del singolo. A contare in proposito, cioè, è il riflesso sociale, come identificativo di un'appartenenza a un gruppo e, dunque, come comunque ricomprensivo del singolo nell'ambito dello stesso.

Secondo quanto conferma appieno la norma del medesimo D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 2, là dove stabilisce che è "irrilevante che il richiedente possegga effettivamente le caratteristiche razziali, religiose, nazionali, sociali o politiche che provocano gli atti i persecuzione, purchè una siffatta caratteristica gli venga attribuita dall'autore delle persecuzioni".

Non potrebbe seriamente dubitarsi, per altro ma convergente verso, che segmento costitutivo dei diritti fondamentali della persona sia quello inerente alla c.d. socializzazione dell'individuo, di frequentare - riunirsi, associarsi, scambiarsi pensieri e sentimenti - le altre persone, secondo le proprie libere scelte e preferenze (cfr., oltre la norma costituzionale guida dell'art. 3, tra le altre le norma degli artt. 17,18,19 e 21 Cost.).

13.- L'accoglimento del primo motivo di ricorso comporta assorbimento del secondo, che richiama gli stessi concetti del primo sotto il profilo della protezione umanitaria.

14.- Il ricorso va dunque accolto e il decreto cassato. Con rinvio della controversia al Tribunale di Perugia che, in diversa composizione, provvederà a una nuova valutazione delle domande di protezione internazionale e umanitaria, in conformità ai parametri e criteri sopra indicati. In sede di rinvio, il Tribunale provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo; dichiara inammissibile il terzo motivo di ricorso. Cassa il decreto impugnato e rinvia la controversia al Tribunale di Perugia che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile - 1, il 3 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 4 febbraio 2020.