Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23625 - pubb. 23/05/2020

Concordato fallimentare e illegittimità costituzionale della disciplina che consente la cessione delle azioni di massa

Cassazione civile, sez. I, 15 Aprile 2019, n. 10533. Pres. Di Virgilio. Est. Federico.


Concordato fallimentare – Cessione delle azioni di massa – Illegittimità costituzionale – Esclusione



Deve ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della disciplina del concordato fallimentare, con riferimento al disposto della L. Fall., art. 124, nella parte in cui prevede la cessione delle azioni della massa, posto che dall'accoglimento della domanda revocatoria (con sentenza passata in giudicato) discende il diritto, che trova fondamento nella previsione della L. Fall., art. 71, per il soggetto condannato alla restituzione delle somme oggetto di detta domanda di far valere il relativo credito, nei soli limiti della percentuale attribuita nel concordato ai crediti chirografari, nei confronti dell'assuntore. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato in data 20.06.2002, la curatela del fallimento (*) sas. conveniva innanzi al Tribunale di Catania la società A.B. & s.a.s. esponendo che:

la società debitrice era stata ammessa con decreto del Tribunale di Catania del 18.3.1997 alla procedura di amministrazione controllata ed era stata successivamente dichiarata fallita con sentenza del 17.7.1997;

nell'anno anteriore al decreto di ammissione all'amministrazione controllata la debitrice aveva effettuato in favore della convenuta, saldo di varie forniture di merci, pagamenti per complessive Lire 203.367.725, pari a 105.030,66 Euro.

Tanto premesso e rilevato che la convenuta aveva piena consapevolezza dello stato di insolvenza della debitrice, ne chiedeva la condanna alla restituzione di 105.030,66 Euro, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria.

Si costituiva in giudizio la società convenuta contestando la domanda e chiedendone il rigetto.

All'udienza di cui all'art. 183 c.p.c., la procedura attrice limitava la domanda all'importo di 94.525,98 Euro.

Il Tribunale di Catania accoglieva la domanda e condannava la società convenuta alla restituzione della somma di 94.525,98 Euro, oltre ad interessi legali.

Avverso detta sentenza proponeva appello la A.B. & C. s.a.s..

Si costituiva in giudizio la curatela fallimentare che contestava la fondatezza dell'appello e ne chiedeva il rigetto. Successivamente si costituiva in giudizio la società Patrimonia s.r.l. in qualità di assuntrice del concordato fallimentare di (*) s.a.s, facendo proprie le domande, eccezioni e deduzioni da questa proposte e chiedeva la conferma della sentenza di primo grado.

All'udienza del 5.5.2013 il procedimento veniva interrotto per la sopraggiunta estinzione della società Patrimonia s.r.l., che era stata cancellata dal registro delle Imprese.

Il procedimento veniva riassunto dall'appellante nei confronti dei soci della Patrimonia s.r.l..

Si costituivano pertanto in giudizio la Ennegi srl ed il signor C.D..

La Ennegi srl, alla quale, giusto atto di assegnazione di immobili e crediti a seguito di scioglimento di srl del 7.11.2012, erano state trasferite tutte le azioni già spettanti alla Patrimonia s.r.l., faceva proprie tutte le posizioni difensive della Curatela fallimentare.

C.D. eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva.

La Corte d'Appello di Catania, con sentenza n. 507/2014, rigettava l'appello e confermava la decisione di primo grado.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, articolato in sette motivi, la A.B. & C. s.a.s..

Resistono con controricorso la Iniziative Immobiliari srl, subentrata alla società Ennegi srl e il signor C.D..

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce la violazione della disciplina delle preclusioni processuali, la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4; la violazione e falsa applicazione degli artt. 111,115 e 345 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente la legittimazione passiva della Patrimonia srl, facendo riferimento alla produzione documentale tardivamente depositata in giudizio il 25.02.2013.

Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza per violazione della disciplina della rimessione in termini in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè violazione e falsa applicazione dell'art. 153 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 per avere la Corte territoriale posto a fondamento del proprio convincimento i documenti prodotti dalla Patrimonia srl quando era già maturata la preclusione istruttoria.

Con il terzo motivo di ricorso si censura la nullità della sentenza per violazione della disciplina sulla rimessione in termini ex art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 153 e 294 c.p.c. e art. 24 Cost., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione del diritto di difesa per avere la Corte territoriale rimesso in termini la Patrimonia srl solo con la sentenza che ha definito il giudizio, non consentendo alla ricorrente di contraddire alle risultanze dei documenti.

I motivi, che, in quanto connessi, possono essere trattati congiuntamente, sono infondati, pur dovendo correggersi ex art. 384 c.p.c., la motivazione della sentenza impugnata.

La Corte territoriale, ha infatti ritenuto che la successione a titolo particolare dell'assuntore nel diritto controverso, afferendo alla legittimazione ad agire, costituisca una condizione dell'azione, con la conseguente irrilevanza del momento processuale in cui veniva fornita la relativa prova, non operando le ordinarie preclusioni istruttorie.

Ritiene il collegio che tale assunto non sia condivisibile, dovendo piuttosto farsi applicazione del consolidato principio secondo cui il successore a titolo particolare nel diritto controverso - quale pacificamente è l'assuntore del concordato fallimentare con cessione delle azioni revocatorie - è legittimato ad intervenire nel giudizio instaurato dal suo dante causa allegando il titolo che gli consenta di sostituire quest'ultimo, essendo a tal fine sufficiente la specifica indicazione di tale atto nell'intestazione dell'impugnazione, qualora il titolo sia di natura pubblica e, quindi, di contenuto accertabile, e sia rimasto del tutto incontestato o non idoneamente contestato dalla controparte (Cass. 9250/2017).

Non è dunque configurabile alcuna decadenza in capo al successore a titolo particolare per mancato deposito, all'atto della costituzione in giudizio, della documentazione comprovante la propria posizione, fermo restando che nel caso di specie la documentazione è stata successivamente depositata e da essa risulta la qualifica di assuntrice del concordato fallimentare della (*) sas, concordato che al punto 7 prevedeva espressamente "la cessione alla proponente di tutte le azioni fallimentari in corso, già precedentemente intraprese dal curatore fallimentare".

In relazione alla produzione di tale documentazione, in quanto del tutto conforme a quanto allegato dal ricorrente, non appare ravvisabile nè necessità di rimessione in termini, nè alcuna lesione del diritto di difesa dell'odierno ricorrente.

Il quarto mezzo denuncia la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 12 preleggi, L. Fall., artt. 67 e 71 e artt. 3 e 24 Cost., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la corte territoriale erroneamente rigettato l'eccezione di cessazione della materia del contendere ed aver omesso di rilevare il divieto di cessione dell'azione revocatoria fallimentare all'assuntore del concordato che ha escluso la ripetizione delle somme che i soggetti soccombenti nell'azione revocatoria fallimentare esperita dalla curatela fallimentare siano stati condannati a restituire.

La ricorrente deduce la configurabilità di abuso del diritto ed, in subordine, l'illegittimità costituzionale delle norme applicate.

Il motivo, perplesso nel suo contemporaneo riferimento alla cessazione della materia del contendere ed alla improcedibilità del giudizio, è infondato.

Non è evidentemente configurabile un'ipotesi di cessazione della materia del contendere nè di improcedibilità delle azioni revocatorie già pendenti, quando la chiusura della procedura fallimentare sia stata determinata dalla omologazione di un concordato fallimentare con cessione delle azioni revocatorie (Cass. 15793/2018). L'improcedibilità dell'azione revocatoria è invero esclusa quando, come nella specie, vi sia stata cessione dell'azione revocatoria all'assuntore del concordato fallimentare (Cass. 9 maggio 1983, n. 3186) e la successione di questi alla curatela fallimentare.

Deve al riguardo escludersi l'evocato abuso del diritto, che secondo la ricorrente consisterebbe nell'impossibilità di insinuarsi al passivo in caso di accoglimento della domanda di condanna a suo carico, a differenza di quanto previsto in via generale in favore dell'accipiens nell'ambito della procedura fallimentare.

La deduzione non ha pregio.

Il carattere abusivo della cessione delle azioni revocatorie va in generale escluso in conseguenza della stessa previsione legislativa che tale cessione prevede proprio al fine di favorire il ricorso all'istituto concordatario, quale strumento diretto a favorire l'anticipata soluzione della crisi. Quanto al credito derivante dalla ripetizione delle somme cui il convenuto in revocatoria sia stato eventualmente condannato, tale credito, in quanto futuro e condizionato, alla stregua di ogni altro credito della medesima natura, deve trovare adeguata disciplina in sede di proposta concordataria e nel successivo giudizio di omologazione.

In ogni caso, la cessione dell'azione, in virtù dell'espressa previsione della L. Fall., art. 124 (nella formulazione vigente ratione temporis) che tale cessione consente, non può certo riverberarsi sulla legittimità dell'intervento ex art. 111 c.p.c., dell'assuntore nel processo già instaurato dalla curatela fallimentare e sulla validità del relativo giudizio.

Deve pertanto ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della disciplina del concordato fallimentare, con riferimento al disposto della L. Fall., art. 124, posto che dall'accoglimento della domanda revocatoria (con sentenza passata in giudicato) discende il diritto, che trova fondamento nella previsione della L. Fall., art. 71, per il soggetto condannato alla restituzione delle somme oggetto di detta domanda di far valere il relativo credito, nei soli limiti della percentuale attribuita nel concordato ai crediti chirografari, nei confronti dell'assuntore.

Con il quinto motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2, artt. 2697,2727 e 2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto provati i pagamenti revocabili.

Con il sesto motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza per violazione del diritto alla prova in relazione alla L. Fall., art. 67, comma 2, art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la Corte territoriale violato il diritto alla prova della società ricorrente in ordine al presupposto oggettivo dell'azione revocatoria.

Con il settimo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2, artt. 2697,2727 e 2729 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente la conoscenza dello stato di insolvenza sulla base di presunzioni semplici.

I presenti motivi, i quali attengono alla contestazione dei presupposti soggettivi ed oggettivi dell'azione revocatoria fallimentare, possono essere trattati congiuntamente e sono infondati.

Conviene premettere che secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, in tema di elemento soggettivo dell'azione revocatoria proposta L. Fall., ex art. 67, comma 2, la "scientia decoctionis" in capo al terzo, come effettiva conoscenza dello stato di insolvenza, è oggetto di apprezzamento del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivato, potendosi formare il relativo convincimento anche attraverso il ricorso alla presunzione, alla luce del parametro della comune prudenza ed avvedutezza e della normale ed ordinaria diligenza, con rilevanza peculiare della condizione professionale dell'accipiens "e del contesto nel quale gli atti solutori si sono realizzati" (Cass. 8827/2011).

Orbene, nel caso di specie la Corte territoriale, esaminando molteplici elementi probatori, con apprezzamento adeguato, ha ritenuto sussistente la prova della scientia decoctionis in capo alla società odierna ricorrente.

In particolare, ha fondato il proprio convincimento, sulla base dei seguenti elementi:

- L'intervenuta pubblicazione di protesti su titoli bancari in tempi ravvicinati e per somme di non modesta entità;

- Le iscrizioni pregiudizievoli quali un pignoramento immobiliare del 18.11.1995 ed un sequestro conservativo del 09.02.1996;

La trasformazione con atto del 10.07.1996 della società fallita da società per azioni a società in accomandita semplice, indice sintomatico di una compromissione del capitale sociale e quindi di uno stato di dissesto dell'impresa.

La Corte territoriale ha inoltre escluso che la mancata revoca della convenzione di assegno fosse di per sè idonea a fornire prova della fiducia del sistema bancario nella debitrice.

Tale valutazione appare pienamente conforme ai parametri di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c..

Come questa Corte ha già affermato, infatti, in materia di revocatoria fallimentare, i protesti di titoli di credito, in forza del loro carattere di anomalia rispetto al normale adempimento dei debiti d'impresa, potendo cagionare all'imprenditore la perdita del credito commerciale, s'inseriscono nel novero degli elementi rilevanti, in via indiziaria, agli effetti della prova presuntiva della "scientia decoctionis" da parte del terzo acquirente, sebbene si tratti di una presunzione semplice che, in quanto tale, deve formare oggetto di valutazione concreta e puntuale da parte del giudice di merito, da compiersi in applicazione del disposto degli artt. 2727 e 2729 c.c.. Pertanto, l'avvenuta pubblicazione di una pluralità di protesti a carico del fallito può costituire presunzione tale da esimere il curatore dall'onere della prova che gli stessi fossero concretamente noti al convenuto in revocatoria, su quest'ultimo risultando, in tal caso, traslato l'onere di dimostrare il contrario e senza che, tuttavia, ciò esima il giudicante dalla considerazione di rilevanza, caso per caso, del loro numero, qualità, ammontare, collocazione cronologica, luogo di pubblicazione, oltre che dello "status" professionale della parte che avrebbe dovuto averne conoscenza (Cass. 391/2010).

Tale valutazione risulta essere stata adeguatamente effettuata dalla Corte di merito, la quale ha dato atto, da un lato della qualifica professionale dell'accipiens, dall'altro della pubblicazione di una pluralità di protesti di titoli bancari per somme rilevanti in tempi ravvicinati, evidenziando come la consultazione del bollettino dei protesti costituisca un utile e diffuso accertamento dell'affidabilità commerciale degli imprenditori, cui ogni imprenditore di media diligenza, dovrebbe fare ricorso.

La Corte ha altresì rilevato l'esistenza di iscrizioni pregiudizievoli contro la società fallita, quali un pignoramento immobiliare ed un sequestro conservativo, realizzate in epoca non distante dai pagamenti impugnati e facilmente conoscibili mediante accesso ai registri immobiliari.

La Corte ha infine messo in rilievo come la titolarità di convenzione di assegno non costituisce in sè indice significativo, a differenza della concessione, ad esempio, di nuove linee di credito, della fiducia del sistema bancario, nè, a fortiori, puo ritenersi rilevante ai fini della prova della inscientia decoctionis, non attestando alcunchè in relazione alla capacità di ripianare le esposizioni debitorie gravi ed assai consistenti della debitrice, costituite dai titoli protestati, dalle azioni cautelari e dalle procedure esecutive instaurate nei confronti della debitrice, "nel periodo sospettò da istituti bancari della zona.

Il ricorso va dunque respinto ed il ricorrente va condannato, ex art. 91 c.p.c., alla refusione delle spese sostenute da Iniziative Immobiliari srl.

Va invece disposta l'integrale compensazione delle spese di lite nei confronti di C.D., parte del giudizio di appello, ma estraneo alla materia del contendere del presente giudizio, come determinata dai motivi di ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contribuito unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio alla Iniziative Immobiliari srl, che liquida in complessivi 5.800,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre a rimborso forfettario spese generali, in misura del 15% per spese generali ed accessori di legge. Dichiara interamente compensate le spese del giudizio tra il ricorrente e C.D..

Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contribuito unificato pari a quale dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2019.