Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23185 - pubb. 11/01/2019

Sentenza 21 luglio 2000, n.319, della Corte costituzionale e decorrenza del termine per la dichiarazione di fallimento dalla cancellazione dal registro delle imprese

Cassazione civile, sez. I, 08 Novembre 2002, n. 15677. Pres. Delli Priscoli. Est. De Chiara.


Fallimento - Imprenditore ritirato - Cessazione dell'attività di impresa - Società - Dies "a quo" - Sentenza Corte cost. n. 319 del 2000 - Decorrenza dalla cancellazione dal registro delle imprese



A seguito della sentenza 21 luglio 2000, n.319, della Corte costituzionale, il termine annuale dalla cessazione dell'attività entro il quale, ai sensi dell'art. 10 della legge fallimentare, può essere dichiarato il fallimento dell'imprenditore, decorre, per la dichiarazione di fallimento delle società, non più dalla liquidazione effettiva di tutti i rapporti che fanno capo alla società stessa, ma dalla cancellazione di essa dal registro delle imprese. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARIO DELLI PRISCOLI - Presidente -

Dott. MARIA GABRIELLA LUCCIOLI - Consigliere -

Dott. GIUSEPPE SALMÈ - Consigliere -

Dott. SERGIO DI AMATO - Consigliere -

Dott. CARLO DE CHIARA - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente

 

S E N T E N Z A


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 29 novembre 1996 il Tribunale di Milano dichiarò, su istanza della Mercantile Leasing s.p.a., il fallimento della MAUPER s.a.s. di Fulvio M. & C. e del M. in proprio. L'opposizione dei falliti venne respinta con sentenza del 2 novembre 1998, appellata, sempre dai falliti, per quattro motivi:

incompetenza territoriale del Tribunale di Milano, essendo invece competente il Tribunale di Crema, luogo di residenza del M., rilevante in quanto la società era cessata per scioglimento anticipato nel 1991; applicabilità alle società di persone del termine annuale dalla cessazione dell'attività, di cui all'art. 10 legge fall., per la dichiarazione di fallimento; insussistenza dello stato di insolvenza, atteso il mancato esperimento di procedure esecutive individuali da parte del creditore istante prima dell'istanza di fallimento; qualità di piccola impresa della società fallita.

Con sentenza del 23 gennaio 2000 la Corte di appello di Milano ha respinto il gravame osservando: che la sede della società - l'unica rilevante, ai fini della competenza territoriale per la dichiarazione di fallimento, anche in caso di cessazione dell'attività - era in Milano; che, conformemente alla consolidata giurisprudenza di legittimità, l'art. 10 legge fall. non poteva trovare applicazione, decorrendo il termine annuale, da esso previsto, non dalla formale chiusura della liquidazione, bensì dalla liquidazione effettiva dei rapporti facenti capo alla società, nella specie da escludere, attesa l'accertata persistenza del credito della Mercantile Leasing s.p.a.; che lo stato di insolvenza era dimostrato dalla infruttuosità di azioni esecutive individuali già esperite dalla creditrice nel 1989, dallo scioglimento della società e dalle cattive condizioni economiche del socio accomandatario; che la MAUPER s.a.s. era, per il suo oggetto statutario, società commerciale in senso stretto, e dunque irrilevanti erano le dimensioni della stessa agli effetti dell'assoggettabilità alle procedure concorsuali. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione la MAUPER s.a.s. ed il sig. M., articolando quattro motivi, cui resiste la Mercantile Leasing s.p.a. con controricorso illustrato da memoria.


MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 9 legge fall. e 2312 e 2324 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., eccepiscono la incompetenza territoriale del Tribunale di Milano in favore del Tribunale di Crema, luogo di residenza del socio accomandatario sig. M., in quanto, essendo la società cessata anticipatamente per scioglimento senza liquidazione, in forza di atto notarile del 25 novembre 1991 con denuncia del 6 dicembre successivo, ed essendo quindi residuata la sola responsabilità del socio accomandatario, l'istanza di fallimento, come tutte le azioni esecutive, andava proposta davanti al tribunale del luogo di residenza del debitore.

1.1. Il motivo è infondato. Anche nel caso di società di persone la titolarità dell'impresa e la qualifica di imprenditore competono alla società, e non ai soci illimitatamente responsabili, i quali sono soggetti a fallimento, ai sensi dell'art. 147 legge fall., in quanto tali e non in quanto imprenditori. Ne consegue che l'unica sede rilevante quale sede dell'impresa ai sensi dell'art. 9 legge fall., ai fini della competenza territoriale per la dichiarazione di fallimento, è quella della società, restando privo di rilievo il luogo di residenza dei soci, mentre l'avvenuta estinzione della società stessa può rilevare ai fini del merito, non della competenza.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 480 e 491 sgg. c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., lamentano che la Mercantile Leasing s.p.a. avesse proposto l'istanza di fallimento senza il previo esperimento di azione esecutiva individuale, mentre "la domanda di fallimento è l'ultima richiesta che il creditore può proporre contro il debitore, risultate infruttuose le azioni previste e regolate dalle norme relative alla esecuzione individuale". 2.1. Il motivo è manifestamente infondato, non derivando, ne' dalle norme citate dai ricorrenti, ne' da alcun'altra norma o principio giuridico, l'invocata subordinazione dell'istanza di fallimento al previo esperimento delle azioni esecutive individuali. 3. Con il terzo motivo di ricorso, denunciando violazione o falsa applicazione dell'art. 5 legge fall., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., i ricorrenti lamentano che la creditrice istante non avesse offerto la prova della sussistenza dello stato di insolvenza, in quanto: si era limitata a richiamare un vecchio pignoramento, ormai perento, parzialmente positivo; vantava un credito essenzialmente per interessi; non aveva proceduto ad esecuzione individuale, con la quale, invece, avrebbe potuto recuperare almeno parte del suo preteso credito; aveva evitato di procedere per la restituzione dei beni concessi in locazione finanziaria.

3.1. Il motivo è manifestamente inammissibile, limitandosi a prospettare, sotto l'apparenza della violazione di legge, mere questioni di merito.

4. Con il quarto motivo, denunciando violazione o falsa applicazione dell'art. 10 legge fall., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., i ricorrenti lamentano che il fallimento sia stato dichiarato (il 29 novembre 1996) ben oltre il termine annuale previsto dall'art. 10 cit., avendo la società cessato ogni attività commerciale sin dal 25 novembre 1991.

4.1. Il motivo è fondato, a seguito della sentenza 21 luglio 2000, n. 319 della Corte costituzionale, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 10 legge fall., nella parte in cui non prevede che il termine di un anno dalla cessazione dell'esercizio dell'impresa collettiva per la dichiarazione di fallimento della società decorra dalla cancellazione della società stessa dal registro delle imprese.

La sentenza impugnata, infatti, emessa anteriormente alla pronuncia del giudice delle leggi, ha respinto il gravame dell'appellante sul punto, facendo applicazione dell'opposto - all'epoca consolidato - principio giurisprudenziale in base al quale la cessazione dell'esercizio dell'impresa, dalla quale decorre il periodo di un anno entro cui può essere dichiarato il fallimento, va individuata, per le società, non già nella cessazione dell'attività o nello scioglimento della società medesima, bensì nel compimento della fase liquidatoria, che non coincide con la chiusura formale della liquidazione, ma con la liquidazione effettiva dei rapporti che fanno capo alla società, per cui l'esistenza di questa permane finché vi siano rapporti, attivi o passivi, da definire.

In accoglimento del motivo in esame, pertanto, - la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, ad altro giudice, individuato in altra sezione della Corte di appello di Milano, la quale si uniformerà al principio di diritto sopra enunciato, derivante dalla pronuncia della Corte costituzionale.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta e, per quanto di ragione, dichiara inammissibili i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte di cassazione, il 29 aprile 2002. Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2002