Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23139 - pubb. 11/01/2019

Concordato preventivo entro l'anno dal decesso o dalla cessazione dell'esercizio dell'impresa

Cassazione civile, sez. I, 03 Novembre 2005, n. 21326. Pres. Olla. Est. Plenteda.


Concordato preventivo entro l'anno dal decesso o dalla cessazione dell'esercizio dell'impresa - Mancata omologazione, risoluzione o annullamento del concordato - Conseguente dichiarazione di fallimento - Osservanza del termine di cui agli artt. 10 e 11 legge fall. - Data di riferimento - Data di ammissione al concordato preventivo



Il principio di unitarietà delle procedure concorsuali - fondato sul rilievo che presupposto comune delle stesse è l'insolvenza, anche quando, come nell'amministrazione controllata, essa si traduca in una temporanea difficoltà che solo "ex post" risulti corrispondente ad un vero e proprio stato di decozione - attribuendo alla sentenza dichiarativa di fallimento la natura di atto terminale del procedimento, in alternativa al naturale sviluppo delle procedure minori, comporta che, ai fini della verifica in ordine al decorso del termine annuale di cui agli artt. 10 ed 11 della legge fallimentare, nel caso in cui la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore defunto o cessato faccia seguito alla mancata omologazione o alla risoluzione o all'annullamento del concordato preventivo, cui l'imprenditore sia stato ammesso, deve tenersi conto della data di ammissione alla procedura minore. Tale regola, tuttavia, non può trovare applicazione nell'ipotesi in cui si tratti di estendere il fallimento di una società, ammessa al concordato preventivo, ai soci illimitatamente responsabili che "medio tempore" siano receduti o deceduti, o siano stati esclusi dalla compagine sociale: gli effetti del concordato preventivo, infatti, riguardano esclusivamente l'impresa, comportando la parziale desbitazione del suo titolare e soltanto di lui, e, qualora si tratti di una società, non si estendono alle obbligazioni dei singoli soci, sicchè, rispetto a questi ultimi, ai quali il fallimento si estende in via eccezionale e come ripercussione dell'insolvenza della società, non può operare il principio di consecuzione che ne giustifica il coinvolgimento "ab imis" nella procedura concorsuale, ed il decorso del termine annuale dev'essere valutato con riguardo al momento in cui ha luogo l'estensione del fallimento. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLLA Giovanni - Presidente -

Dott. PLENTEDA Donato - Consigliere -

Dott. CELENTANO Walter - Consigliere -

Dott. RORDORF Renato - Consigliere -

Dott. CECCHERINI Aldo - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 14.12.1995 G. Emanuela, moglie ed erede di C. Francesco, propose opposizione alla sentenza 28.11.1995 del Tribunale di Rollano che aveva dichiarato il fallimento della società Sarem snc e dei soci illimitatamente responsabili, tra cui il marito defunto, dichiarato fallito oltre l'anno dal suo decesso, avvenuto il 2.4.1994.

Il curatore del fallimento ed alcuni dei creditori istanti si costituirono per resistere alla opposizione, che il tribunale respinse compensando le spese processuali.

La Guerriera propose impugnazione, ribadendo le ragioni della opposizione e appello incidentale propose il curatore con riferimento alla statuizione sulle spese.

La Corte di Appello di Catanzaro con sent. 14.6.2002 ha accolto l'appello principale, respinto l'incidentale e revocato il fallimento di C. Francesco.

Dopo avere richiamato la sent. N. 66/1999, ha ritenuto la corte di appello che, per quanto interpretativa, la sentenza predetta costituiva un precedente autorevole, al quale i giudici sono tenuti ad uniformarsi in mancanza di motivi contrari, mentre ha giudicato irrilevante la circostanza dedotta dalla curatela fallimentare secondo cui lo stato di insolvenza risaliva ala data di apertura del concordato preventivo, dalla cui risoluzione era derivato il fallimento, osservando che la situazione di insolvenza può sussistere anche nella ipotesi ordinaria, ossia il momento in cui il vincolo sociale era sussistente ed in assenza di procedure concordatarie.

Propone ricorso per Cassazione il curatore del fallimento della società fallita e dei singoli soci con un motivo; resiste con controricorso Guerriera Emanuela.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente denunzia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 10. 11, 12, e 147 l.f. e la omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.

Rileva che la sent. N. 66/1999 della Corte costituzionale, posta a base della sentenza impugnata, "quanto interpretativa, non ha efficacia vincolante e comunque ha riferimento alla fattispecie del fallimento del socio conseguente a quella della società in dipendenza dello stato di insolvenza; e addebita alla corte di appello di non avere considerato che e diversa la dichiarazione di fallimento ai sensi degli artt. 5 e 147 l.f. rispetto al fallimento che segue al concordato preventivo non adempiuto.

Il ricorso non può essere accolto.

La questione che la vicenda processuale propone trova solo in parte, nell'art. 186 l.f., la disciplina di riferimento, laddove è stabilito che, con la sentenza che risolve o annulla il concordato preventivo f il tribunale dichiara il fallimento.

La giurisprudenza di legittimità al pari di quella di merito, condivisa da parte della dottrina, ha da tempo affermato il principio secondo cui, in caso di fallimento susseguente al concordato preventivo (Cass. 11216/1995; 5285/1994; 12573/1991; 5025/1991; 5821/1987) 2983/1979; 1624/1966; 3981/1956) ovvero ad amministrazione controllata (Cass. 6019/2003; 699/1997; 7994/1996; 189/1995; 6154/1994; 9591/1993; 12804/1991; 5025/1991; 3557/1985; 4216/1976; 1938/1972) la decorrenza del periodo sospetto di cui all'art. 67 l.f., va riferita alla data di ammissione alla procedura minore; ed il giudice delle leggi ha escluso che siffatto consolidato orientamento giurisprudenziale contrasti con gli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione (Corte Cost. 23.1.1997 26.4.1995 n. 110 e 1.6.1995 n. 224) in quanto le situazioni comparate, della procedura minore e di quella fallimentare, presentano un innegabile nucleo fondamentale comune, che rende non irragionevole l'equiparazione agli effetti in questione.

E se è il principio di unitarietà delle procedure concorsuali, che nel caso di loro consecuzione fa risalire alla apertura della prima gli effetti di quella finale - posto che presupposto di tutte e pur sempre l'insolvenza, anche laddove è la temporanea difficoltà a giustificare la procedura minore (come nella amministrazione controllata), la quale ex post si appalesi corrispondere piuttosto ad un vero e proprio stato di decozione - esso giova, altresì, a ritenere che anche ai fini del decorso del termine di cui agli artt. 10 e 11. l.f. debba avere rilievo il momento dell'ammissione alla procedura minore, piuttosto che quello della dichiarazione di fallimento, avuto riguardo al disposto degli artt. 181 2^ c. e 186 3^ c., secondo cui, rispettivamente, in mancanza delle condizioni previste per la omologazione del concordato preventivo, ovvero in caso di risoluzione o annullamento del concordato, il tribunale dichiara il fallimento, norme che costituiscono - al pari degli artt. 188 3^ c. e 192 3^ c. per l'amministrazione controllata - insieme agli artt. 162 2^ c. e 173 la base testuale del principio di unitarietà, dal momento che alla sentenza dichiarativa attribuiscono natura di atto terminale del procedimento, in alternativa fin un caso come nell'altro, al naturale sviluppo delle procedure minori. B', dunque, pienamente conforme a legge l'indirizzo di questa Corte, secondo cui, ammesso l'imprenditore al concordato preventivo, la sua dichiarazione di fallimento può sopravvenire anche quando aia decorso il termine previsto dall'art. 10 o dall'art. 11 l.f. (Cass. 24.6.2002, n. 16415). La specificità della vicenda processuale che ne occupa non consente tuttavia di pervenire alla medesima conclusione nel senso prospettato dal ricorrente fallimento, pur se l'impianto argomentativo della sentenza impugnata non risulti immune da censure e meriti pertanto di essere corretto nella motivazione, affinché risulti congruo alla finale statuizione, cui il collegio ritiene di aderire. La corte calabrese ha invocato la sentenza n. 66/1999 della Corte Costituzionale, che aveva indicato la linea interpretativa del coordinato disposto degli artt. 147, 10 e 11 l.f. utili ad escludere la illegittimità costituzionale del primo di essi, in riferimento all'art. 3 Cost.. A tale decisione è seguita la sentenza 319/2000, che ha dichiarato illegittimi gli artt. 10 e 147 primo comma l.f. nella parte in cui prevedono che il termine di un anno dalla cessazione dell'impresa decorra, per quella collettiva, dalla liquidazione effettiva dei rapporti facenti capo alla società e che il suo fallimento produca il fallimento dei soci illimitatamente responsabili anche dopo che sia decorso l'anno dalla perdita, regolarmente pubblicizzata, da parte di costoro, della qualità di soci illimitatamente responsabili.

B' poi intervenuta l'ordinanza 321/2002, Che ha, invece, ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147 2^ comma, nella parte in cui non prevede un limite temporale, decorrente dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento principale, per la dichiarazione del fallimento in estensione del socio occulto illimitatamente responsabile, sul rilievo che tutto il sistema normativo ed in particolare le disposizioni del libro quinto del codice civile in tema di responsabilità personale del socio distinguono tra società regolari ed irregolari (tra cui le occulte), potendo essere opposte ai creditori che non ne abbiano avuto comunque conoscenza solo le vicende conoscibili attraverso la regolare iscrizione nel registro delle imprese; con l'effetto che non possono ricevere uguale trattamento situazioni diverse tra loro.

È lecito pertanto affermare che le norme degli artt. 10 e 11 hanno, come la impugnata sentenza rileva, una portata generale, riferibile a tutte le ipotesi di dichiarazione di fallimento dell'imprenditore, individuale o collettivo, palesa, regolare o nano, che sopravvenga un anno dopo la cessazione dell'impresa o il decesso del suo titolare (ove si tratti di imprenditore individuale); e del socio non occulto che sia receduto, sia stato escluso o sia deceduto oltre un anno prima.

Tuttavia nel caso di specie a rendere inapplicabile la giurisprudenza costituzionale e il richiamato principio di consecuzione delle procedure concorsuali, in forza del quale va operata la retrodatazione della situazione giuridica al "omento dell'apertura della procedura minore.

Non giova pertanto la argomentazione della corte territoriale - secondo cui "a nulla rileva il tempus della situazione di insolvenza" - a superare la obiezione della curatela fallimentare che, nel resistere all'appello della G., aveva osservato che la sentenza 66/1999 della Corte Costituzionale non riguarda il caso della risoluzione del concordato preventivo, risalendo lo stato di insolvenza alla data di apertura della procedura; rilievo che può essere condiviso in quanto volto a significare la assoluta inconferenza della vicende soggettive dell'imprenditore o oggettive della sua impresa nel periodo successivo all'apertura del concordato. Ma la obiezione non 6 pertinente, laddove considera la ipotesi della estensione del fallimento della società ai soci illimitatamente responsabili che medio tempore siano receduti, deceduti o siano stati esclusi dalla compagine sociale.

Se, infatti, il concordato preventivo, quanto l'amministrazione controllata, e procedimento che incide esclusivamente sull'impresa, producendo la esdebitazione parziale del suo titolare e solo di lui, che 6 l'unico legittimato a chiedere l'ammissione al beneficio, oltre al suo erede; ove a versare in stato di insolvenza sia la società di persone, l'effetto esdebitativo A circoscritto alle obbligazioni sociali e non anche a quelle del singolo socio, a differenza di quanto prevede l'art. 54 l.f. per il concordato fallimentare. La limitazione degli effetti del concordato preventivo alla sola situazione economico - patrimoniale non può, conseguentemente, non riflettersi nel momento in cui opera il principio di consecuzione, posto che, essendo il concordato circoscritto all'impresa, la retrodatazione in questione non può che riguardare l'ente e non anche i soggetti ai quali il fallimento si estende in via eccezionale e come ripercussione dell'insolvenza della società ed il cui coinvolgimelo la legge prevede esclusivamente nel caso di fallimento (art. 147 l.f.), tanto che il beneficio del concordato fallimentare e riconosciuto proprio in conseguenza della loro soggezione a quella procedura.

E se è solo la procedura maggiore ad incidere sulla situazione debitoria del socio, la situazione pregressa resta a lui estranea e manca della possibilità di essergli riferita, in difetto di collegamenti normativi che ne giustifichino il coinvolgimento ab imis sicché la sua condizione giuridica deve essere valutata con riguardo al momento in cui A possibile la estensione della procedura fallimentare, nel quale vanno verificate tutte le ipotesi, di recesso, decesso, esclusione, trasformazione di società di persone in società di capitali, eventualmente maturate in tempo utile a liberare il socio dall'effetto estensivo predetto. Nè avrebbe ragione di essere invocata l'applicazione analogica dell'art. 147 l.f., essa trovando espressa limitazione nell'art. 14 preleggi, a causa appunto della natura eccezionale della norma, che è diretta a rafforzare la garanzia dei creditori insoddisfatti dell'impresa decotta.

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese del processo, attesa la novità della questione e tenuto, dunque, conto della disputabilità della controversia, possono essere compensate.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2005.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2005