Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23138 - pubb. 11/01/2019

Estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili, litisconsorzio necessario

Cassazione civile, sez. I, 09 Novembre 2005, n. 21721. Pres. Olla. Est. Plenteda.


Estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili - Opposizione - Parti del giudizio - Curatore del fallimento della società - Curatore del fallimento del singolo socio - Litisconsorzio necessario - Sussistenza



Nel giudizio di opposizione alla sentenza con cui è stata disposta l'estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili è litisconsorte necessario, oltre al curatore del fallimento della società, quello del fallimento individuale che dal primo deriva, il quale ha titolo a resistere sia nell'ipotesi in cui si discuta dell'esistenza e della fallibilità della società, presupposto del singolo fallimento, sia nell'ipotesi in cui sia contestata la qualità di socio dell'opponente o la sua permanenza nella compagine sociale in tempo utile per l'estensione della procedura ai sensi del combinato disposto degli artt. 10, 11 e 147 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLLA Giovanni - Presidente -

Dott. PLENTEDA Donato - rel. Consigliere -

Dott. CELENTANO Walter - Consigliere -

Dott. RORDORF Renato - Consigliere -

Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Dopo avere dichiarato il 7.8.1995 il fallimento di B. Sergio, agente di cambio, il 10.12.1996 il Tribunale di Venezia lo estese alla società di fatto tra lui e i suoi promotori finanziari F. Sergio, P. Edy, B. Andrea, V. Roberto, M. Roberto e C. Lucio, dei quali pure dichiarò il fallimento quali soci illimitatamente responsabili.

Questi ultimi proposero separate opposizioni, che il tribunale accolse limitatamente a quelle di M. e di C.. Gli altri interposero appello, che la Corte di Appello di Venezia con sent. 13.8.2002 accolse, dopo avere riunito le impugnazioni, revocando il fallimento della società di fatto e quello personale degli appellanti.

Ha preliminarmente respinto la aorte territoriale la eccezione di inammissibilità della opposizione proposta dal fallimento in relazione alla circostanza che ad essere citato in giudizio era stato il curatore del fallimento personale e non quello della società di fatto; e ciò in particolare per le opposizioni di P. e di F..

Ha poi ritenuto che, versandosi in ipotesi di integrazione del contraddittorio, non fosse necessario procedervi perché in seguito alla riunione delle varie opposizioni proposte da B., V., M. e C. il fallimento della società di fatto era già in causa e parte del processo.

Nel merito la corte non ha condiviso le ragioni poste a base dell'accertamento della società, che il tribunale aveva rinvenuto nel fatto che il B., unico intermediario autorizzato ad operare all'esterno, allo scopo di sviluppare l'attività del suo studio, avesse reso compartecipi alcuni dei promotori finanziari, coinvolgendoli come soci, facendoli interagire con i vari rami di attività da lui gestiti o facenti capo agli altri, ma solo attraverso la sua opera di coordinamento, tant'e che i soci non avevano intrattenuto rapporti tra loro.

Ha infatti rilevato la sentenza impugnata che era mancata tra tutti i collaboratori la affectio societatis, pur riconoscendo che un vincolo in tal senso era esistito tra il B. e ciascun promotore, a nulla rilevando che ognuno di essi conoscesse l'altro e sapesse quale attività svolgeva per il B.; ne' potendosi ipotizzare multiple società di fatto tra quest'ultimo e ciascuno dei promotori, tanto integrando fattispecie diversa da quella di una società di fatto tra tutti.

Propone ricorso per Cassazione con cinque motivi il fallimento; resistono con controricorso B., F., P. e V., che hanno proposto ricorso incidentale con quattro motivi, di cui gli ultimi tre in via condizionale e il primo ed il terzo in realtà limitati alla posizione di F. e P..

Il fallimento ha resistito al ricorso incidentale; le parti hanno depositato memorie.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il fallimento denuncia la violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. e 147 2^ comma l.f., nonché la omessa o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Rileva che, in luogo di revocare il fallimento della società, la corte di merito avrebbe dovuto confermare il fallimento di plurime società tra il B. e ciascun promotore, costituendo la unica società un quid pluris rispetto ai singoli rapporti tra soci. Con il secondo denunzia il vizio di motivazione contraddittoria laddove la sentenza, pur ammettendo che F. e P. avessero lavorato insieme, ha escluso la esistenza del rapporto sociale esistente, quanto meno con riguardo ad essi e al B.. Con il terzo mezzo si denunzia la insufficienza della motivazione laddove la sentenza impugnata ha giudicato mancante la prova del patto sociale tra tutti i promotori finanziari. Lamenta il fallimento che con siffatta affermazione la corte territoriale abbia trascurato le argomentazioni che il tribunale aveva sviluppato in ordine ai rapporti tra F. e P. e tra i due e B., in particolare con riguardo alle operazioni di swap fuori dai margini legali di garanzia, intercorse tra F. e B. con il beneplacito del B.; sicché, quanto meno con riferimento al gruppo B. - F. - P. - B. la prova era stata data del patto sociale.

Con il 4^ sono denunziati la violazione dell'art. 2247 c.c. e l'omesso esame di un punto decisivo della controversia. Addebita il ricorrente alla corte veneziana di avere dato dell'art. 2247 C.C. una interpretazione errata con riguardo al concetto di esercizio in comune di una attività economica. Afferma che allo scopo di ricostruire il fenomeno societario sia necessario guardare alla attività e alle modalità del suo svolgimene e che una volta affermata la centralità dell'attività come punto di riferimento della costruzione societaria era risultato provato che i promotori avevano concorso ciascuno per le proprie competenze di autonoma gestione alla realizzazione della stessa, consapevole di avere partecipato a renderla possibile.

Sicché unica era stata l'attività ed unica l'impresa, unico essendo stato il fondo comune.

Con il 5^ motivo il fallimento denunzia la violazione dagli artt. 101 e 18 3^ comma c.p.c., 147 l.f. e l'omesso esame di un punto decisivo della controversia, con riferimento specifico alle posizioni di F. e P..

Assume che dovendosi il soggetto passivo nel giudizio di opposizione a dichiarazione di fallimento identificare con il curatore del fallimento sociale e non con quello dei fallimenti dei singoli soci, e dovendosi prescindere dalla circostanza di fatto che il curatore fosse lo stesso in ogni procedura, non sussisteva la possibilità di integrare il contraddittorio, in quanto, essendo la opposizione soggetta a termini perentori, una volta risultata proposta nei confronti di soggetti non legittimati, la successiva riunione dalle diverse opposizioni non aveva avuto alcuna utilità, non potendo giovare ad integrare un contraddittorio mai instaurato neppure parzialmente, non essendo state le opposizioni di F. e P. proposte nei confronti del fallimento della società. Con il primo motivo di ricorso incidentale F. Sergio Florindo e P. Edy denunciano la omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia relativo all'eccepito e non esaminato difetto di legittimazione del P.M. a chiedere la estensione del fallimento dichiarato in capo a B. Sergio.

Con il secondo, condizionato, nell'interesse di tutti i controricorrenti, si denuncia la omessa motivazione su punto decisivo della controversia, relativo alla ritenuta affectio societatis tra il B. ed i singoli promotori finanziari.

Con il terzo mezzo, nel solo interasse di F. e P., ma anch'esso condizionato, sono denunciate la violazione e la falsa applicazione dell'art. 654 c.p.p. e la omessa motivazione su un punto decisivo della controversia.

Lamentano i ricorrenti che sia stato disconosciuto il giudicato formatosi sulla sentenza penale del Tribunale di Venezia del 2.4/9.10.2000, resa in contraddittorio con il fallimento, che aveva escluso qualunque loro coinvolgimento nell'illecito del B. e la loro consapevolezza dell'utilizzo che egli faceva del danaro raccolto; e che sia rimasta immotivata la affermazione in ordine alla affectio societatis tra costoro ed il B..

Con l'ultimo motivo, nell'interesse di tutti i ricorrenti incidentali, è denunziata la omessa motivazione sulla questiona dedotta in primo grado della cessazione ultrannuale dell'attività della pretesa società, verificatasi nel 1993 per il B. e il 7.8.1995, in cui era stato dichiarato il fallimento del B., per gli altri promotori.

Dei ricorsi va disposta la riunione ai sensi dell'art. 335 c.p.c. Preliminare è l'esame del primo motivo della impugnazione incidentale, la cui doglianza suppone la decisività del punto della controversia sul quale è mancata la motivazione.

L'assunto non è fondato.

Vero è che l'art. 147 l.f. prevede che sia il curatore legittimato a richiedere la estensione del fallimento della società ai soci illimitatamente responsabili di cui risulti l'esistenza, una volta che nel corso dell'indagine a lui assegnata dall'art. 33 l.f. sulle cause e circostanze del fallimento e sulla responsabilità del fallito e di altri emerga la presenza di altri soci.

Tale legittimazione, tuttavia, dopo la pronunzia della Corte Costituzionale, che con sentenze 16.7.1970 n. 142 e 26.5.1975 n. 127 ha, rispettivamente, dichiarato illegittima la norma, laddove nega al creditore interessato la legittimazione a richiedere il fallimento di altri soci illimitatamente responsabili, nonché nella parte in cui esclude la legittimazione del fallito a chiedere il fallimento dei suoi soci, la categoria dei soggetti abilitati a proporre la estensione si è sostanzialmente ricomposta nei termini dell'art. 6 l.f., salvo che per il PM, la cui funzione di attivare il potere ufficioso del tribunale, riconosciuto dall'art. 147 2^ comma, al pari dell'art. 6, sebbene non prevista perché assorbita dal ruolo assunto dal curatore, che a norma dell'art. 30 l.f. è pubblico ufficiale nell'esercizio delle pubbliche funzioni, è tuttavia consentita. Infatti la circostanza che non gli sia stata dalla legge assegnata la titolarità dell'azione non determina la invalidazione della pronunzia, dal momento che la decisione assunta dal tribunale rientra pur sempre nei suoi poteri di ufficio (Cass. 9864/1995), che è autorizzato ad esercitare ogni volta che gli elementi utili abbia acquisito aliunde, al di fuori delle fonti qualificate contemplate dalla legge, diversa essendo dalla legittimazione all'esercizio dell'azione la mera segnalazione di dati informativi di provenienza esterna rispetto a quelle fonti, la quale impegna l'organo decidente a pronunziare solo in quanto ne ravvisi gli estremi.

È conseguentemente infondata la censura in ordine all'implicito rigetto della deduzione relativa a tale difetto di legittimazione attiva, attesa la non decisività del punto controverso. Il ricorso principale è, come si è visto, articolato su cinque motivi.

Quanto ai primi quattro, l'esame può essere compiuto in modo unitario, essi costituendo la prospettazione progressiva di fattispecie societarie di fatto, in forza della quale alla corte territoriale si muove l'addebito di avere mancato di pronunciare e comunque di motivare in relazione alla domanda con la quale si erano configurate in alternativa ad una unica società di fatto, tra tutti i soggetti coinvolti, plurime società tra ciascun promotore ed il B. (primo motivo), ovvero di avere motivato in modo contraddittorio laddove, pur ammettendo che F. e P. avevano lavorato insieme, aveva poi escluso la esistenza del rapporto sociale tra loro ed il B. (secondo motivo); o ancora (terzo motivo) di avere motivato in modo insufficiente nel giudicare mancante la prova dal patto sociale fra tutti i promotori finanziari. Con il quarto, invece, si è denunciata la errata interpretazione dell'art. 2247 c.c., avendo la sentenza impugnata affermato che non era stato dimostrato l'esercizio in comune dell'attività economica, così mancando di considerare che ciascuno dai promotori, per le proprie competenze di autonoma gestione, aveva concorso a realizzare l'attività sociale, il cui punto di riferimento era B. Sergio, in quanto ciascuno aveva partecipato consapevolmente a renderla possibile "attraverso l'incremento di un fondo comune a tutti". La Corte di appello ha, in contrario a quanto dedotto, rilevato che nessuna prova era stata dal fallimento fornita sulla esistenza di un patto che avesse legato tutti i promotori tra loro e che tutti avessero saputo di lavorare per uno scopo ad essi comune; sicché, essendo mancata la dimostrazione della affectio societatis e cioè di creare "quel particolare vincolo tale da volere compiere insieme l'attività imprenditoriale per dividere utili e perdite, con la costituzione di un fondo comune", ha escluso la possibilità di identificare una società tra tutti.

Ha quindi negato che fosse idoneo ad individuare quel vincolo il fatto che "B. era conosciuto da F. e per conseguenza da P.; F. sapeva che B. lavorava a Cortina e che era stato procuratore di B., a sua volta l'agente di cambio avesse consigliato F. e P. di operare nel valutario"; comunque aggiungendo che l'esistenza di singole e molteplici società di fatto tra B.-B., tra B. - P. - F., tra B. - V. e cosa completamente diversa dalla esistenza di un'unica società che comprenda tutti i soci".

A fronte di tali affermazioni che da un lato muovono da accertamenti in fatto insindacabili in sede di legittimità, laddove escludono l'esistenza di elementi probatori di patti sociali tra tutti e persino tra ciascuno o più di uno con il B. e dall'altro enunciano fondamentali principi di diritto in merito agli elementi indispensabili alla configurazione del vincolo societario - dal fondo comune, allo scopo sociale e alla attività di ciascuno diretta a realizzarlo, alla partecipazione in modo collettivo agli utili e alle perdite - il ricorrente si limita a contrapporre una contraria opinione, non suffragata da circostanze ma fondata su asserti teorici, quali quello che "ciascuno di essi ha consapevolmente partecipato ad essere possibile detta attività con una serie di operazioni - compiute sia in contrasto con la disciplina imposta dalla legge agli intermediari finanziari, sia consentendo una accertata alterazione della contabilità diretta ad occultarne i risultati" (f. 14/15 ricorso) affermazioni che - al di là dei riscontri, che nei gradi di merito avrebbero dovuto essere forniti, sembrano individuare complicità nella violazione di norme penali, piuttosto che attività finalizzate ad uno scopo sociale, rimasti le une quanto l'altro inesplicitati.

Come del resto inesplicitato è rimasto l'assunto che la partecipazione dai promotori abbia determinato "l'incremento di un fondo comune a tutti e con irregolarità che non riguardano singoli rapporti ma il fondo comune" (f. 15 ricorso) che costituisce una petizione di principio, peraltro ancora una volta riferita a condotte mirate a favorire attività illecite del B. e non a realizzare un organismo societario.

Se, dunque, sono infondati il terzo motivo, che è persino inammissibile perché carente di autosufficienza, nel momento in cui, addebitando alla sentenza impugnata la insufficienza della motivazione, manca di indicare gli elementi processuali trascurati, quanto il quarto, con cui e stata posta in discussione la interpretazione dell'art. 2247 c.c., con una argomentazione astratta e priva di riferimenti concreti alla fattispecie esaminata dai giudici di merito, senza alcun pregio sono le prime due censure, che prospettano società plurime tra ciascun promotore ed il B. (primo motivo) o quanto meno (secondo) tra F., P. e B..

La corte veneziana ha svolto a riguardo una serie di considerazioni. Premesso che la società suppone l'affectio societatis e la costituzione di un fondo comune, ha prima rilevato che nel caso di F. e P. (che lavoravano insieme) fosse possibile individuare un legame con il B. "per avere acconsentito di operare in spregio alla normativa onde procurare a sè e al B. denaro, per evitare che il cliente, accorgendosi delle perdite abbandonasse il legame con lo studio" ma ha poi escluso che fosse stata fornita la prova che tale patto avesse legato i promotori tra loro e che tutti avessero saputo di lavorare per uno scopo comune; ed infine ha osservato che l'esistenza di singole e molteplici società di fatto e cosa completamente diversa dalla esistenza di una unica società che comprenda tutti i soci.

Con tali passaggi, sicuramente non perspicui, laddove si afferma che nel caso particolare di F. e P. "che lavoravano insieme" vi era un legame con il B. in termini di affectio societatis, la corte territoriale non ha affatto inteso affermare che tra ciascun promotore e nemmeno tra F., P. e B. vi fosse un vincolo societario, posto che la esplicitazione del legame individuato e stata concretizzata nell'avere "consentito di operare in spregio alla normativa, onde procurare a sè e al B. denaro, per evitare che il cliente..." affermazione che è significativa esclusivamente di una intesa, impropriamente definita affectio societatis, carente del substrato del fondo comune e della volontà di dividere utili e perdite e materializzata, secondo il giudice di merito, attraverso coperture illecite e dannose per i clienti, che quei promotori assicuravano per potere continuare nella attività di intermediazione finanziaria collaborativa con quella del B., ma autonoma e priva degli elementi necessari a configurare la società, mancante del fondo comune e persine contraddetta dal progetto di "procurare a sè e al B. del danaro", in cui è chiaramente espressa la autonomia delle attività e dei ricavi, che il promotore conseguiva in relazione agli affari che a lui facevano capo e per le intermediazioni che era in grado di compiere, senza che i risultati economici globali potessero affluire su un fondo unico e potessero poi essere distribuiti secondo quote di partecipazione. Se, dunque, in tali termini si esaurivano, come la Corte di merito ha accertato e come lo stesso ricorrente finisce per confermare, le attività del B. e dei promotori, la mera collaborazione che questi svolgevano non ha la dignità di partecipazione societaria, per cui si appalesa irrilevante la discussione in ordine alla compatibilità del fallimento dichiarato con quello di molteplici società o quanto meno di una sola società, a compagine ridotta rispetto alla originaria identificazione nella quale dovrebbe convertirsi la finale pronunzia dei giudici di merito. Infondato è infine il quinto motivo.

Correttamente la sentenza impugnata ha rilevato che la opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento proposta da P. e F. non fosse inammissibile per il fatto che era stato convenuto solo il curatore dei fallimenti individuali, ma semmai necessitasse della integrazione del contraddittorio nei confronti del curatore del fallimento sociale; e poiché quest'ultimo, una volta riunite tutte le opposizioni risultava già costituito, la integrazione non aveva ragione di essere disposta.

La doglianza del fallimento è palesemente pretestuosa. Se è vero, infatti, che il curatore del fallimento sociale è litisconsorte necessario, non lo è di meno quello del fallimento individuale che dal primo deriva e ne è conseguenza, il quale ha titolo a resistere, sia laddove si discuta della esistenza e fallibilità della società, presupposto del singolo fallimento, sia laddove si contesta la qualità di socio, ovvero la permanenza di esso nella compagine sociale, in tempo utile per la estensione della procedura a lui in relazione al combinato disposto degli artt. 10, 11 e 147 l.f., dopo gli interventi negli ultimi cinque anni della Corte Costituzionale. (sent. n. 66/1999; 319/2000; ord. 321/2002). Se, dunque, la partecipazione al giudizio del curatore del fallimento individuale e indispensabile ed anzi e prioritaria rispetto a quella del curatore del fallimento sociale - peraltro l'uno e l'altro identificabili in una sola persona, ai sensi dell'art. 148 l.f. - ponendosi in discussione la permanenza della prima procedura anche quando della seconda non si dubiti, è apodittica l'affermazione del ricorrente fallimento che unico soggetto passivo del giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa sia il curatore dal fallimento sociale, venga essa riferita alla ipotesi che la contestazione attenga alla esistenza della società di fatto, ovvero riguardi il singolo rapporto sociale, come è nella specie, pur sempre in discussione essendo la permanenza del fallimento del singolo, dalla quale riceve titolo ad esistere il suo curatore.

Il secondo, terzo e quarto motivo della impugnazione incidentale - che quanto al primo è stata respinta - restano assorbiti dal rigetto della principale.

La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese processuali.

 

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il primo motivo del ricorso incidentale e il ricorso principale, dichiara assorbiti gli altri motivi dell'incidentale e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2005.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2005