Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22583 - pubb. 25/10/2019

Nelle associazioni non riconosciute gli organi legittimati ad esprimere la volontà dell'ente permangono in carica fino alla sostituzione dei loro componenti

Cassazione civile, sez. III, 30 Settembre 2019, n. 24214. Pres. Roberta Vivaldi. Est. Lina Rubino.


Associazioni e fondazioni - Organi legittimati ad esprimere la volontà dell'associazione non riconosciuta - Scadenza dei relativi componenti dall'incarico - Permanenza in carica fino alla loro sostituzione - Sussistenza - Limiti - Fondamento - Fattispecie



In tema di associazioni non riconosciute, gli organi legittimati ad esprimere la volontà dell'ente permangono in carica, in applicazione analogica dell'art. 2385 c.c. e salvo che sia diversamente stabilito dallo statuto o dall'assemblea, fino alla sostituzione dei loro componenti, dovendosi presumere che tale "perpetuatio" sia conforme all'interesse dei membri di dette associazioni perché volta a consentire il normale funzionamento delle stesse. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il soggetto al quale era stato conferito il potere di agire in giudizio in nome di un'associazione sindacale non decadesse automaticamente dall'incarico allo scadere del periodo per il quale era stato nominato, in assenza di norme statutarie o delibere assembleari che disponessero in maniera differente). (massima ufficiale)


 


Svolgimento del processo

La Organizzazione Sindacale DIRSAN, in persona del suo segretario generale sig. D.P.G., otteneva nel 2006 dal Tribunale di Napoli un decreto ingiuntivo per circa 100.000,00 Euro nei confronti della Dott.ssa B.S., per la restituzione da parte della B., a capo della segreteria regionale di area medica della organizzazione sindacale dal 1993 al 2004, delle quote associative versate dai medici iscritti all'associazione stessa, confluite sul conto corrente personale della B. e non su quello dell'associazione e dalla stessa non utilizzate a fini istituzionali.

La B. proponeva opposizione, deducendo il difetto di legittimazione attiva della Dirsan, e il difetto di legittimazione processuale del Dott. D.P.G., segretario generale dell'associazione, a richiedere il d.i., nonchè la sua esenzione per accordi interni dall'obbligo di rendiconto.

Il Tribunale di Napoli rigettava l'opposizione.

La Corte d'Appello di Napoli, con la sentenza qui impugnata, sovvertendo l'esito del giudizio di primo grado, accoglieva l'impugnazione, ritenendo che l'associazione sindacale non avesse fornito la prova della legittimazione ad agire del D.P. quale rappresentante della associazione non riconosciuta, rinvenendosi in atti solo la prova della nomina di questi a segretario generale (al quale era conferita statutariamente la rappresentanza legale dell'ente) nel 1988 e non anche della sua permanenza nella carica al momento in cui era stato richiesto il decreto.

Richiama il principio della vicinanza alla prova per affermare che sarebbe stato onere del D.P., quale parte più vicina al fatto da provare, produrre la Delib. assembleare o la modifica dell'accordo associativo, da cui evincere l'effettiva rappresentanza processuale dell'Ente. L'Organizzazione Sindacale DIRSAN propone ricorso, articolato in cinque motivi, notificato il 12.1.2018, nei confronti di B.S., per la cassazione della sentenza n. 4653/2017, emessa in data 14 novembre 2017 dalla Corte d'Appello di Napoli, notificata il 15.11.2017.

Resiste con controricorso la B..

La Dirsan ha depositato memoria.

 

Motivi della decisione

1. Il ricorso.

Con il primo motivo, l'associazione sindacale denuncia la sussistenza di un vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consistente nell'aver ignorato la documentazione prodotta in primo grado, in particolare i verbali delle varie assemblee congressuali in cui risultava confermato il fatto della nomina del D.P. a segretario generale, in particolare i verbali dell'assemblea del 1993, del 2000 e poi del 2013, in cui il D.P. veniva confermato costantemente segretario generale dell'associazione sindacale.

Puntualizza che lo statuto non prevedeva alcuna immediata decadenza del segretario generale per scadenza del mandato quadriennale, e ne deduce che il soggetto che ricopriva l'incarico sarebbe rimasto in carica finchè non sostituito da un altro con nuova Delib. assembleare.

Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell'art. 36 c.c. in combinato disposto con l'art. 2385 c.c. (che attiene alla cessazione dalla carica degli amministratori delle società per azioni) per non aver tenuto conto dello statuto dell'associazione, che prevedeva la rappresentanza legale in capo al segretario generale. Afferma che fosse deducibile per implicito la vigenza del principio della prorogati, per cui il D.P., una volta nominato, è rimasto in carica continuativamente, anche oltre al termine di quattro anni di durata dell'incarico, finchè non è stato poi riconfermato in sede assembleare nel 2000 (e poi ancora nel 2013, come risulta da documenti prodotti in appello).

Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell'art. 2385 c.c., da applicare analogicamente all'associazione non riconosciuta.

Con il quarto, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. in ordine alla ripartizione dell'onere della prova, laddove il giudice d'appello ha ritenuto, a fronte della eccezione sollevata da parte dell'opponente di difetto di legittimazione processuale della persona che aveva agito per l'associazione opposta, che fosse l'opposta a doverne dimostrare la legittimazione, in virtù del principio di vicinanza alla prova e non che gravasse su chi solleva l'eccezione l'onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni per il suo accoglimento.

Afferma che, in ogni caso, l'associazione sindacale aveva fornito la prova della legittimazione del D.P., dando la prova della sua nomina, i cui effetti perduravano non essendo previste decadenze e in applicazione analogica dell'art. 2385 c.c., per cui era l'opponente che avrebbe dovuto fornire la prova del fatto estintivo.

Infine, con il quinto ed ultimo motivo, l'associazione sindacale deduce la violazione dell'art. 36 c.c. e art. 182 c.p.c., per non aver il giudice, rilevato il contestato difetto di rappresentanza, concesso un termine per la regolarizzazione degli atti.

3. Il controricorso B..

La controricorrente evidenzia che il giudice di appello ha deciso allo stato degli atti non essendo presenti al momento della decisione nel fascicolo della controparte le delibere attestanti i conferimenti di incarichi al D.P.. Osserva che sarebbe stato onere della sua controparte verificare la completezza del fascicolo nel momento in cui la causa veniva trattenuta in decisione e chiederne caso se del caso la totale o parziale ricostruzione.

Nel merito, fa presente che l'incarico di segretario generale rivestito dal D.P., conferitegli dall'assemblea congressuale del 2000, ha durata quadriennale, come previsto dallo statuto, e che pertanto lo stesso, che ha omesso di convocare per tempo una nuova assemblea generale, che lo rinnovasse o procedesse alla nomina di un'altra persona, è cessato dall'incarico dal gennaio 2004, e quindi non era legittimato nel 2006, quando è stato chiesto il decreto ingiuntivo, ad agire processualmente in nome e per conto della associazione.

3. Il secondo e il terzo motivo sono fondati e devono essere accolti, assorbiti gli altri.

Non è in discussione che il D.P. sia stato nominato, al più tardi nel 2000 segretario generale dell'associazione sindacale Dirsan (figura alla quale, per attribuzione statutaria, l'associazione sindacale aveva conferito il potere di agire in giudizio per l'ente e di rappresentarlo).

Non è in contestazione il fatto che il D.P. avrebbe avuto la possibilità di proseguire, in base alle regole statutarie, a ricoprire l'incarico per il successivo quadriennio, non ostando a ciò alcuna previsione statutaria.

La corte d'appello ha escluso che fossero in atti i verbali assembleari successivi ala prima nomina ed ha ritenuto, a fronte dell'avversaria eccezione di difetto di legittimazione attiva, che non fosse provato che lo stesso soggetto permanesse nella sua legittimazione anche nel momento in cui è stato richiesto il decreto ingiuntivo. Ritiene quindi che, non essendosi tenuta alcuna assemblea dopo la scadenza dei mandato quadriennale e prima che il D.P., quale legale rappresentante dell'associazione, conferisse ad un legale l'incarico di richiedere l'emissione del decreto ingiuntivo, egli fosse in quel momento privo della legittimazione ad impegnare la volontà dell'ente.

Deve per contro ritenersi, valorizzando un principio già espresso da Cass. n. 583 del 1967 e riaffermato, in tempi più recenti, da Cass. n. 1476 del 2007, che nelle associazioni non riconosciute, in mancanza di norme più dettagliate o una diversa volontà espressa dagli associati, è possibile fare ricorso, in via analogica, alle disposizioni che regolano casi simili in materia di associazioni riconosciute o di società, compatibilmente con la struttura di ogni singolo rapporto (principio richiamato nella sentenza del 2007 a proposito della fusione di due associazioni professionali).

Per le associazioni non riconosciute come per le società, quindi, in applicazione dell'art. 2385 c.c., salvo diversa volontà dell'ente fissata dallo statuto o espressa dall'assemblea degli associati, gli organi legittimati ad esprimere la volontà dell'ente permangono in carica finchè le persone che li incarnano non sono sostituite da altre, sulla base di una presunzione di conformità di una siffatta "perpetuatio" all'interesse ed alla volontà degli associati, in quanto volta a consentire il normale funzionamento della associazione.

L'operatività degli organi delle associazioni non riconosciute in regime di prorogatio è già stata affermata da questa Corte in riferimento alla fase di scioglimento dell'associazione non riconosciuta (v. Cass. n. 5738 del 2009), per la quale si è affermato tra l'altro che non è necessario, in relazione a questa ipotesi, procedere alla applicazione analogica delle norme dettate per le associazioni riconosciute (e non è necessario, quindi procedere alla richiesta di nomina di un liquidatore), in quanto l'associazione non riconosciuta può procedere alle attività di liquidazione tramite i suoi stessi rappresentanti legali in carica alla data dello scioglimento, operanti in regime di proroga dei loro poteri. Il medesimo principio deve ritenersi regoli la vita ordinaria della associazione, per consentire la realizzazione delle esigenze di continuità nelle sue attività istituzionali.

Medesimo principio è stato affermato, in virtù delle analoghe esigenze di continuità gestionale, a proposito del condominio (Cass. n. 12120 del 2018; Cass. n. 15858 del 2002).

Ne consegue che il soggetto cui sia conferito il potere di agire in giudizio a nome dell'ente associativo (nel caso di specie, il segretario generale) in mancanza di norma statutaria o Delib. assembleare contraria o che regolamenti diversamente il trasferimento di poteri alla scadenza dell'incarico conferitogli, non decade automaticamente dall'incarico e non perde i poteri da esso discendenti allo scadere del periodo per il quale è stato nominato, ma al contrario rimane in carica fino alla sua sostituzione.

Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza impugnata cassata e la causa rinviata alla Corte d'Appello di Napoli in diversa composizione che deciderà, facendo applicazione del sopra indicato principio di diritto, anche sulle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

Accoglie il secondo e il terzo motivo, assorbiti gli altri, cassa e rinvia alla Corte d'Appello di Napoli in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019.