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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22241 - pubb. 27/08/2019.

Applicabilità alle SGR delle norme sulla direzione e coordinamento di società


Tribunale di Milano, 04 Maggio 2017. Est. Mambriani.

Direzione e coordinamento di società – Responsabilità – SGR – Applicabilità


La disciplina di cui all'art. 2497 c.c. è applicabile anche alle SGR, le quali rispondono dell’attività di direzione e coordinamento anche nel caso in cui le partecipazioni attraverso le quali viene esercitato il controllo appartengano ad un fondo di investimento da loro gestito. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO

SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA B

 

Il Tribunale in composizione collegiale, nella persona dei seguenti magistrati:

Dott. Elena Riva Crugnola - Presidente

Dott. Marianna Galioto - Giudice

Dott. Angelo Mambriani - Giudice relatore

ha pronunciato, in nome del Popolo Italiano, la seguente

 

SENTENZA

I. Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato, i sig.ri A.M. (di seguito "M.") e N.R. (di seguito "R.") convenivano in giudizio:

- I.S. S.p.A. (di seguito "I."), di cui amministratori erano sig. S.T. (di seguito "T."), anche socio della stessa, ed il sig. S.B. (di seguito "B.");

- C. S.p.A. (di seguito "C."), società costituita nel 2006 da I. e G.B.L. S.p.A. (di seguito "B.L."), che la partecipavano in modo paritario;

- A. S.p.A., già I.D. S.p.A. (di seguito "A." o "I."), dal 29.12.2006 partecipata da C. al 77, 52%, C.H. S.p.A. al 7, 54%, S. S.p.A. al 7, 54%, A.Z. al 5, 03%, M. al 1, 38%, R. al 0, 63%, M.G. al 0, 28% e C.F. al 0, 08% (doc. att. 1),

per sentir accogliere da questo Tribunale le seguenti domande:

1. Accertare e dichiarare la chiamata in giudizio di A. "quale contraddittore della domanda di accertamento di responsabilità del socio di maggioranza";

2. accertare e dichiarare l'aver agito I. e C. ai sensi e per gli effetti dell'art. 2497 I e II comma c.c. nei confronti di A.;

3. accertare e dichiarare il danno patrimoniale causalmente arrecato per aver esercitato I. e C. azione di direzione e coordinamento di A. nel proprio esclusivo interesse imprenditoriale, "violando ripetutamente il principio di corretta gestione societaria ed imprenditoriale e causando un grave pregiudizio alla reddittività e al valore della partecipazione sociale di A. s.p.a. per tutti i fatti esposti in narrativa e conseguentemente:

4. Accertare e dichiarare ex art. 2497 III comma il danno patrimoniale causalmente arrecato da I. * e C. * ai soci di minoranza di A. s.p.a." ed in particolare agli odierni attori M. e R.;

5. condannare I. e C. in solido tra loro a risarcire tutti i danni diretti da loro causati agli attori pari al capitale inizialmente investito, e segnatamente equivalenti ad Euro 723.299, 22 in favore di M. e ad Euro 332.607, 10 in favore di R. e/o, per entrambi, nella minore o maggiore somma ritenuta di giustizia;

6. dichiarare non dovuto il debito scaduto di M. nei confronti di C. di cui alla scrittura privata del 21.09.2010, pari ad Euro 73.325, 36, e conseguentemente dichiarare tenuta C. a restituire a M. la cambiale emessa in suo favore dell'importo di Euro 73.325, 36, e/o in alternativa a restituire a M. la somma di pari ammontare;

7. dichiarare non dovuto il debito scaduto di R. nei confronti di C. di cui alla scrittura privata del 23.12.2010, pari ad Euro 33.720, 00, e conseguentemente dichiarare tenuta C. a restituire a R. la cambiale emessa in suo favore dell'importo di Euro 33.720, 00, e/o in alternativa a restituire a R. la somma di Euro 33.720, 00;

8. condannare C. e I. in solido tra loro a risarcire tutti i danni patrimoniali "potenzialmente causati" agli odierni attori, pari al mancato ritorno d'investimento del capitale iniziale di ciascuno, e segnatamente sino alla concorrenza di Euro 2.463, 988, 57 per M. e sino alla concorrenza di Euro 1.133.058, 18 per R., e/o, per entrambi, nella minore o maggiore somma ritenuta di giustizia;

9. in subordine, accertare e dichiarare che I. e C. con la loro attività gestoria di A. ex art. 2497 I e II comma cod. civ. condizionavano il perfezionamento degli accordi siglati inter partes e fra essi, in special modo il perfezionarsi del cd. piano bonus e per l'effetto condannare I. e C. in solido tra loro a risarcire tutti i danni patrimoniali potenzialmente causati agli odierni attori, pari al mancato ottenimento/guadagno dei bonus, pari ad Euro 3.052.160, 44 per M. ed Euro 2.107.444, 11 per R. e/o in ogni caso la maggior o minor somma ritenuta di giustizia.

I fatti posti a fondamento delle domande attoree possono essere sintetizzati come segue:

- I. ha come oggetto sociale, tra l'altro, "la direzione ed il coordinamento di società svolgenti attività di vigilanza privata ed attività collaterali, con le quali sia stato stipulato un apposito contratto di prestazioni di servizi ...";

- M. era stato presidente del c.d.a. di I. dal 6 aprile 2006 al 1 aprile 2011, nonché amministratore delegato di I. dal 29 gennaio 2007 al 21 settembre 2010, mentre R. era stato direttore generale di I. dal 20 giugno 2007 al 22 febbraio 2011;

- in data 29 dicembre 2006 C. acquistava la maggioranza del capitale sociale di I. (77, 52%);

- lo stesso giorno (29 dicembre 2006) C. e i cd. managers di I. - tra cui M. e R. -, divenuti soci di I. nelle percentuali suddette, stipulavano un patto parasociale, ove erano previste clausole di tag along e clausole di drag along, nonché un P.S.O., poi emendato in date 27 dicembre 2007 e 30 luglio 2008 da un cd. piano bonus che prevedeva la corresponsione di benefici economici al raggiungimento di determinati valori di equity;

- il 29 gennaio 2007 divenivano consiglieri di amministrazione di I. T. - cui veniva conferita delega in materia di acquisizioni societarie - e B. (manager anch'esso legato a I.);

- le aspettative di remunerazione derivanti dal piano bonus mutavano quando la società leader nel settore della sicurezza spagnola P.C.S. S.A. (di seguito "P.") decideva di investire in Italia nel settore della vigilanza;

- in particolare, il 18 dicembre 2007 l'assemblea straordinaria di C. deliberava un aumento di capitale di nominali Euro 1.351.424, oltre sovrapprezzo per Euro 30.196.767, 00, riservato a P. e sospensivamente condizionato al perfezionamento dell'acquisizione da parte di I. di M. S.r.l. (di seguito "M."), società fino ad allora interamente detenuta da P. e che controllava a sua volta società operanti in Italia nel campo della vigilanza e sicurezza;

- in pari data (18 dicembre 2007) l'assemblea straordinaria di I. deliberava un aumento di capitale fino ad un massimo di 14 milioni circa di euro e con una prima tranche di aumento mediante emissione di n. 1.355.000 azioni del valore nominale di Euro 1, 00 ciascuna, oltre Euro 3, 43 per azione a titolo di sovrapprezzo (per un totale, a questo titolo, di Euro 4.647.650), offerto in opzione ai soci e sospensivamente condizionato al perfezionamento dell'acquisizione di M. da parte di I. (doc. 6 att.);

- con riferimento a questa prima tranche dell'aumento di capitale di I., M. sottoscriveva le azioni di nuova emissione in proporzione alle azioni sino a quel momento possedute, per un controvalore complessivo di Euro 101.765, 96 e R. sottoscriveva le azioni di nuova emissione in proporzione alle azioni sino a quel momento possedute, per un controvalore complessivo di Euro 46.794, 09;

- il giorno successivo (19 dicembre 2007) I. acquistava da P. per il prezzo di Euro 500.000 il 100% delle quote di M., operante sempre nel settore della vigilanza, così avverandosi la condizione cui era subordinata l'efficacia delle suddette delibere di aumento di capitale in C. e I. (doc. 5 att.);

- le trattative tra P. e C. erano condotte da T., socio e consigliere di amministrazione di I. e di I.;

- I., stante le necessità finanziarie maturate alla chiusura dell'esercizio 2008, in data 28 aprile 2009 deliberava un aumento di capitale per complessivi Euro 4.325.000, offerto in opzione ai soci e successivamente sottoscritto dagli attori;

- in data 21 maggio 2009 M. e R. stipulavano con C. due contratti di finanziamento, rispettivamente per le somme di Euro 73.325, 36 ed Euro 33.720, 00, a servizio della sottoscrizione delle rispettive tranches di aumento di capitale, con contestuale rilascio di cambiali di pari importo, modificandoli poi nel corso del 2010 con proroga dei termini di restituzione originariamente previsti (docc. att. 8, 9, 10 e 11);

- I., successivamente, sin dalla fine dell'anno 2010, entrava in stato di crisi dovuto alla difficoltà di restituire le rate del finanziamento di Euro 95.000.000 erogato da B.P.M. e U.C.B. nel 2006. Seguiva un aumento di capitale da 11 milioni di euro sottoscritto il 25 novembre 2011 da tutti i soci ad eccezione degli odierni attori, con contestuale rimodulazione del debito verso le banche e approvazione di un piano industriale. Alla fine dell'anno 2012 la Società registrava una "importante tensione finanziaria. Nel gennaio 2013 la Società dava atto che si erano verificate le condizioni per l'attivazione del "mandato M.", che (sempre secondo le prospettazioni attoree) dava alle banche il diritto di "vendere la società". A quel punto seguiva una strategia siffatta: - finanziamento "bridge" alla Società per 20, 5 milioni di euro, effettivamente fornita dalle banche (12 milioni), dalla famiglia Z. (5, 5 milioni) e da C. (3 milioni). La famiglia Z. versava i 5, 5 milioni avendoli ottenuti da C. che acquistava a quel prezzo il credito (postergato a quello delle banche) di detta famiglia verso la Società maturato a titolo di finanziamento erogato nel 2006 in occasione della vendita a C. medesima. C. acquistava il diritto a ripartire i proventi eventualmente derivanti dal Claim (eventuali pretese per violazione di dichiarazioni e garanzie rese in occasione della vendita di M. da parte di P.) e dell'Arbitrato (contenzioso eventualmente promovibile in sede arbitrale dalla Società verso P. in relazione ai Claims) con i Creditori Finanziari Senior). Seguiva infine un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.f., depositato il 18 marzo 2013 (doc. 24 att.) e discusso nell'assemblea straordinaria di A. del 4 aprile 2013 (doc. 23 att.). Seguiva ulteriormente ed infine, in data 27 febbraio 2014, la vendita di "tutti gli asset" di A. "ad una cifra importante". A fronte di tali fatti, in particolare, parti attrici deducevano che:

- C. e di I., "esercitando una costante attività di direzione e coordinamento" avrebbero "agito nel proprio ed esclusivo interesse, violando ripetutamente il principio di corretta gestione societaria e imprenditoriale, causando in tal modo un grave pregiudizio alla redditività e al valore della partecipazione sociale di I.D. SpA, oltre ad una gravissima lesione dell'integrità del patrimonio della Società? (citaz., pag. 33), il che avrebbe generato responsabilità ai sensi degli artt. 2497 e ss. c.c. in capo alle predette società;

- più in particolare, sarebbe indubbio che sin dal dicembre del 2006, vale a dire nel momento in cui C. diveniva azionista di maggioranza di I., C. stessa ed ancor più I., per il 'tramite' dei loro rappresentanti, avrebbero esercitato in via esclusiva e diretta l'attività gestoria della I., andando ben oltre ai mandati loro formalmente conferiti ed agendo nell'esclusivo interesse delle società controllanti dagli stessi rappresentate anziché nell'interesse di I. ;

- sulla base della ricostruzione fattuale operata, risulterebbe evidente che, nel corso del periodo sopra descritto, I. e B.L., soci di C., avrebbero realizzato l'interesse unico della stessa C., tramite l'operazione con la quale la società spagnola P. è entrata a far parte del capitale sociale di C. (di seguito anche "Operazione P.") producendo quindi un'immissione di denaro liquido all'interno dell'azionista di maggioranza invece che direttamente in I.D. S.p.A. come sarebbe dovuto accadere anche in relazione al fatto che C. è società finanziaria che detiene come unica partecipazione quella in I.;

- in particolare con la predetta decisione si sarebbe privilegiato l'interesse della società C. causando contemporaneamente un danno ai soci di minoranza di I. che, nell'ipotesi in cui P. avesse sottoscritto l'aumento di capitale in I.: a) avrebbero evitato di dover partecipare all'aumento di capitale di I. di Euro 18.000.000 deliberato il 18 dicembre 2007 per l'acquisto di M. e Vigilanza Città di Milano; b) avrebbero visto aumentare il valore delle proprie partecipazioni, in virtù del sovrapprezzo applicato pari ad Euro 3, 41, del 341 %, con un ritorno sul capitale investito, di Euro 2.463.988, 57 per M. e Euro 1.133.058, 18 per R.; c) avrebbero visto maturare il diritto alla liquidazione del bonus, che "sarebbe maturato a partire dal raggiungimento di una soglia pari a due volte il capitale investito" (p. 19 citaz.) con conseguente attribuzione a M. di 5 3.052.160, 44 ed a R. di Euro 2.107.444, 11;

- che, di conseguenza - pur avendo ì signori M. e R. operato per creare valore aggiunto in I., tanto da renderla appetibile sul mercato in relazione all'Operazione P. - in realtà dei relativi benefici economici avrebbero goduto solo C. e i suoi soci I. e B.L., mentre ai soci minoritari di I. sarebbe rimasto solamente l'onere di fare fronte all'aumento di capitale finalizzato all'esecuzione dell'acquisto di M., operazione poi rivelatasi sconveniente per I.;

- che, se invece P. fosse entrata nel capitale sociale di I., la stessa avrebbe goduto di un importante polmone finanziano che avrebbe consentito di evitare alla società il conclamarsi della crisi che avrebbe poi condotto all'inevitabile ristrutturazione del debito della stessa nonché l'indebitamento degli esponenti nei confronti di C. a seguito della sottoscrizione dei contratti di finanziamento in data 21 maggio 2009 e di cui sopra si è detto;

- a seguito del sopravvenire della crisi sopra indicata, le società I. e C. avrebbero costantemente e totalmente escluso M. e R. da ogni decisione presa, comprese quelle riguardanti la ristrutturazione del debito di I., da cui avrebbero lucrato una "cifra importante" per la cessione degli asset di A., lasciando "a bocca asciutta" gli attori;

- risulterebbe perciò evidente che le società convenute avrebbero agito in spregio alle disposizioni codicistiche in materia di responsabilità da direzione e coordinamento agendo nel proprio esclusivo interesse e nel pieno pregiudizio della propria controllata e dei soci della medesima, violando ripetutamente il principio di corretta gestione societaria e imprenditoriale, causando in tal modo un grave pregiudizio alla redditività ed al valore della partecipazione sociale di I., oltre ad una gravissima lesione dell' integrità del patrimonio della Società.

- Si costituivano in giudizio I. e C., contestando tutte le deduzioni attoree, lamentando l'inesistenza dei presupposti per il riconoscimento della responsabilità da direzione e coordinamento e delle pretese creditorie fatte valere e formulando altresì domanda di condanna degli attori per lite temeraria ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.

In particolare, C. eccepiva:

1. l'insussistenza dell'esercizio di attività di direzione e coordinamento;

2. la mancata dimostrazione dell'antigiuridicità dell'Operazione P.;

3. l'inesistenza del nesso causale tra i comportamenti lamentati dagli attori e il danno in tesi loro arrecato;

4. la mancata dimostrazione della lesione del patrimonio sociale di I.;

Dal canto suo, I. eccepiva:

1. l'inapplicabilità alle società di gestione del risparmio della disciplina di cui all'art. 2497 c.c., dal momento che I. detiene la partecipazione in C. non in proprio, ma per conto e nell'esclusivo interesse dei fondi di investimento Giada Equity Fund e Idea Industria;

2. la prescrizione del diritto azionato dagli attori, decorrendo il relativo termine dal momento del verificarsi del presunto danno, identificato nel 18 dicembre 2007;

3. l'insussistenza di una attività di direzione e coordinamento di I.;

4. l'insussistenza e la mancata prova degli elementi costitutivi la responsabilità ex art. 2497 c.c., formulando altresì domanda subordinata volta ad accertare la cooperazione colposa del creditore nella causazione del danno ai sensi dell'art. 1227 c.c.

Si costituiva in giudizio altresì A., nei confronti della quale non erano state proposte domande, contestando la ricostruzione attorea, sostanzialmente aderendo alla posizione delle altre società convenute e in via preliminare eccependo la carenza di legittimazione passiva e in ogni caso il difetto di interesse ad agire degli attori.

Concessi i termini per le memorie istruttorie all'udienza tenutasi in data 31 marzo 2015, con memoria ex art. 183 n.1 c.p.c. parti attrici aggiungevano alle conclusioni già rassegnate in citazione, la domanda volta ad accertare e dichiarare la chiamata in giudizio di A. quale contraddittore della domanda di accertamento di responsabilità del socio di maggioranza.

Dopo il deposito delle memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c., la causa veniva rimessa in decisione senza procedere ad istruttoria.

 

II. Il merito

- In primo luogo, deve essere disattesa l'eccezione, formulata preliminarmente da I., di inapplicabilità alle società di gestione del risparmio della disciplina di cui all'art. 2497 c.c.

Invero, il disposto del comma 1 dell'art. 2497 c.c., individua quali soggetti tipicamente responsabili, sussistendo gli altri presupposti ivi previsti, "le società o gli enti" che esercitano attività di direzione e coordinamento.

In tal modo, tra l'altro, il legislatore ha affermato il principio per il quale la responsabilità di cui si discute trova il suo presupposto nell'esercizio concreto ed effettivo dell'attività in questione.

Ne deriva, per un verso, che la I., in quanto società commerciale, è immediatamente inclusa nel novero degli enti ai quali è fisiologica l'imputazione di attività di direzione e coordinamento e, per altro verso, che la sua legittimazione passiva è collegata all'avere o meno effettivamente esercitato tale attività.

A quest'ultimo proposito, risulta del tutto irrilevante il fatto che la titolarità sostanziale delle partecipazioni in I. fosse in capo ai fondi di investimento gestiti da I. (Giada Equity Fund e Idea Industria), atteso che è pacifico ex art. 36 TUF che la capacità agire con riferimento ai beni incusi nel fondo e il potere di gestione dei fondi stessi stanno in capo alla SGR, talché è proprio nell'esercizio di questo potere che ben può manifestarsi ed essere esercitato quello, in esso incluso (eventualmente in quanto espressione dell'effettiva posizione di controllo), di esercitare direzione e coordinamento della società partecipata.

In particolare, appare altresì irrilevante, a questi fini, che le partecipazioni in C. gestite dalla SGR - qui in totale per il 50 % - fossero suddivise, quanto a titolarità sostanziale, in capo ai due predetti fondi, a fronte del fatto che i diritti amministrativi inerenti tali partecipazioni venivano gestite unitariamente da I., così essendo imputabile in astratto ad essa sia l'esistenza di un rapporto di controllo - intanto in quanto sussistenti le situazioni di cui all'art. 2359 c.c. (sull'inesistenza di queste nel caso di specie, v. postea) - sia la capacità di esercitare attività di direzione e coordinamento di I..

E' appena il caso di aggiungere che, a fronte dell'adozione, in sede normativa, del principio di imputazione di responsabilità in relazione all'esercizio effettivo dell'attività di direzione e coordinamento e a fronte della certa incapacità dei fondi di agire con riferimento alle partecipazioni di cui sono titolari e conseguentemente di adottare qualsiasi atto gestorio, è parimenti irrilevante, appunto, tale titolarità.

Essendo dunque l'applicabilità della disciplina di cui all'art. 2497 c.c., nel caso di specie, legata solo alla prova dell'esercizio, effettivo ed in concreto, dell'attività direttiva rispetto ad I., la circostanza, a questi fini, che essa società convenuta sia una SGR è inconferente, e, per questo, l'eccezione deve essere rigettata.

- Nel merito, in applicazione del criterio della ragione più liquida, reputa il Tribunale che possono essere trattate immediatamente le domande attoree concernenti la sussistenza della responsabilità da direzione e coordinamento delle società convenute e la condanna al risarcimento dei relativi danni, e dunque concernenti, anzitutto, la sussistenza dei presupposti della responsabilità stessa di cui all' art. 2497, comma 1, c.c.

Secondo la giurisprudenza di questo Tribunale, da cui non v'è ragione per discostarsi, detta responsabilità sussiste quando ricorrono: i) la condotta, vale a dire l'esercizio di attività di direzione e coordinamento da parte di una società nei confronti di altra; ii) l'antigiuridicità della condotta, cioè l'esercizio dell'attività nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui ed in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società sottoposte ad essa; iii) l'evento-danno, ovvero il pregiudizio arrecato al valore o alla redditività della partecipazione del socio della società eterodiretta; iv) il nesso di causalità tra condotta ed evento-danno.

Il vaglio di fondatezza delle domande attoree impone, in ragione delle stesse doglianze come dedotte e sopra sintetizzate, di distinguere vari aspetti/fasi della cd. Operazione P., ovvero: I) l'aumento di capitale deliberato da C. il 18.12.2007 con rinuncia al diritto di opzione da parte dei soci di C., rinuncia funzionale all'ingresso in società di P.; II) l'aumento di capitale deliberato da I. il 18.12.2007, operazione straordinaria funzionale anche all'acquisto della partecipazione totalitaria nel capitale di M. da parte di I.; III) l'acquisizione del 100% di M. da parte di I.; IV) la gestione di M. ed i suoi riflessi sulla situazione economica di I..

Occorre subito notare che, mentre gli aspetti sub I), II) e III) effettivamente costituiscono diverse fasi di una unitaria "operazione di gruppo" - come evidentemente dimostrato dalla sottoposizione degli aumenti di capitale alla condizione sospensiva dell'acquisto, da parte di I., delle quote di M. da P. -, l'aspetto sub IV) nulla ha a che fare con attività di direzione e coordinamento svolta da I. e C., posto che tale attività - in ragione della partecipazione totalitaria di I. in M. - è presumibile ex art. 2497 sexies c.c. in capo alla stessa I. e gli attori non hanno dedotto, né tanto meno provato, né che tale attività non sia stata esercitata da I. né che essa sia stata invece esercitata da I. o da C.. Ne consegue che ogni deduzione svolta dagli attori a questo riguardo risulta inconferente rispetto alle domande di accertamento di responsabilità rivolte dagli attori verso I. e C. ex art. 2497 comma 1 c.c.

Tanto premesso occorre verificare la fondatezza dell'assunto di base della prospettazione attorea: che l'aumento di capitale per oltre 30 milioni di euro riservato a P. in C. avrebbe dovuto essere effettuato in I..

Orbene, quanto alla fase I), osserva il Collegio che la sottoscrizione da parte di P. dell'aumento di capitale deliberato da C., pur non costituendo un atto gestionale di I. e pur non emergendo al riguardo l'esistenza di direttive gestorie indirizzate ad I. - e cioè alla società che, secondo la prospettazione degli attori, sarebbe soggetta all'altrui direzione e coordinamento e avrebbe subito un danno in ragione di quella attività -, tuttavia costituisce una fase della più ampia e complessa operazione che è stata coordinata con quelle (logicamente) successive - l'aumento di capitale di I. e l'acquisto di M. -, che hanno visto protagonista la stessa I..

Per altro verso si deve notare che questa fase consiste di fatto nell'ingresso di P. nella compagine sociale di C., ingresso che, nella sua schietta natura negoziale, vede quale elemento necessario (ma non sufficiente) la scelta imprenditoriale di una società terza - P. -, estranea tanto alla società in tesi eterodiretta, quanto alla società dirigente ed al gruppo alla stessa riferibile, sicché la delibera di aumento del capitale sociale si presenta come res inter alios acta, rispetto alla quale la società eterodiretta (I.) è soggetto terzo.

Tuttavia, considerato che la decisione imprenditoriale di una società (qui P.), estranea ad un gruppo societario, di investire in una subholding (qui C.), appartenente al gruppo societario cui appartiene anche la società partecipata dai soci attori (qui I.), è tuttavia imputabile in pari grado alla prima ed ai soci della seconda, perché la deduzione secondo la quale P. avrebbe dovuto entrare, mediante apposito aumento di capitale, in I. e non in C., intanto può superare un primo vaglio di fondatezza in quanto gli attori dimostrino che, per P., fosse indifferente operare in un modo o nell'altro e che I. e B.L., abusando del loro potere di coordinamento, non hanno strutturato l'operazione nel modo da essi prefigurato.

E' appena il caso di notare anzitutto che non solo gli attori non hanno provato la suddetta circostanza, ma nemmeno l'hanno allegata e poi che - poiché, già ai tempi di questa operazione, I. era indebitata verso B.P.U. per oltre 95 milioni di euro - è assai arduo assumere l' "indifferenza" di P. nell'operare il proprio investimento nel modo in cui è stato fatto (aumento di capitale in C.) ovvero nel modo prefigurato dagli attori (aumento di capitale diretto in I.).

Ne consegue che, non essendo stato provato che l'investimento di P. avrebbe potuto essere realizzato non con l'aumento di capitale di C., ma direttamente con l'aumento di capitale in I., rimane assorbita la questione dei vantaggi che, in tesi attorea, I., ampiamente indebitata, avrebbe avuto nel secondo caso.

Sol per questo, le domande attoree sub 2., 3., 4. e 8. di risarcimento del danno per mancato ritorno dell'investimento effettuato dai soci devono essere rigettate.

E' appena il caso di aggiungere che questa fase I) dell'operazione è risultata, per I., assolutamente "neutra" sul piano patrimoniale e finanziario, atteso che l'aumento di capitale in C. non ha determinato, per I., alcun pregiudizio patrimoniale, ed anzi, volendo, un vantaggio, costituito dal rafforzamento patrimoniale della sua controllante.

Riguardo alle fasi II) e III), che devono essere considerate unitariamente, è sufficiente osservare che, secondo la medesima prospettazione attorea, l'aumento di capitale deliberato da I. in data 18 dicembre 2007 sarebbe necessario per l'acquisizione della partecipazione totalitaria in M., nonché finalizzato al medesimo acquisto.

Risulta in atti, tuttavia, che l'aumento di capitale di I. è stato deliberato fino ad un massimo di 14 milioni circa di euro e con una prima tranche pari a Euro 1.355.000, oltre Euro 4.647.650 a titolo di sovrapprezzo, e che l'acquisto di M. si è perfezionato per la minor somma di Euro 500.000, talché la differenza patrimoniale tra l'importo del capitale deliberato e sottoscritto e quello corrisposto a titolo di prezzo per l'acquisto del capitale di M. indica, ad avviso del Collegio, che l'aumento di capitale di cui si discute non era esclusivamente destinato all'acquisto di M., ma, più in generale, ad un rafforzamento patrimoniale di I.. E ciò per la non indifferente somma di oltre 5, 5 milioni di euro.

Passando a valutare nel loro complesso sia le fasi I), II) e III) dell'Operazione P., risulta altresì del tutto insussistente la prova, ed ancor prima la allegazione, della violazione, da parte di I. e C., dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale.

Invero, gli attori, al di là della genericissima ed apodittica affermazione di tale violazione, non hanno allegato alcunché di preciso al riguardo.

In particolare - al di là di ogni considerazione, già sopra svolta, riguardo la concreta praticabilità dell'alternativa da loro prospettata (ingresso di P. in I. invece che in C.) - non è stato chiarito dagli attori né in forza di quale specifico principio gestorio l'operazione avrebbe dovuto essere configurata come da loro divisato invece che come è stata effettivamente realizzata, né soprattutto, quale diverso e migliore equilibrio degli interessi in gioco - rispettivamente facenti capo a I., C. e I. - avrebbe potuto altrimenti essere realizzato (salvo peraltro, il rispetto della business judgment rule, pur nella versione affievolita che connota la sua operatività rispetto ad operazioni di gruppo).

A tal proposito deve essere notato che, dell'aumento di capitale di oltre 30 milioni di euro di cui è stata beneficiaria C., oltre 13 milioni sono stati utilizzati per l'aumento di capitale della controllata I. e di questi solo Euro 500.000 sono stati utilizzati per l'acquisto di M.. Ne consegue che, a seguito della ricapitalizzazione della società controllante, anche la società controllata, come si è già notato, è stata ampiamente ricapitalizzata.

Si deve aggiungere che questo Tribunale ha già affermato che, in linea generale, la società controllata non ha diritto a reclamare finanziamenti dalla società controllante, la quale, in linea di principio, è libera di determinare le proprie scelte di investimento come meglio ritiene, salve situazioni peculiari ed i limiti eventualmente posti da principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale che possano rilevare nel caso specifico.

Ebbene, a fronte di tale quadro fattuale e giuridico, per altro verso, i soci minoritari attori nemmeno si sono curati di dedurre in base a quale principio di corretta gestione societaria ed imprenditoriale I. avrebbe dovuto beneficiare di tutto l'investimento effettuato da P. per fare ingresso in C. (o, come si è pure detto, perché mai P. avrebbe dovuto acconsentire a strutturare diversamente l'operazione entrando direttamente in una società ampiamente indebitata) e, cioè, per quale motivo l'interesse della controllante avrebbe dovuto essere integralmente sacrificato a beneficio della società controllata.

Le considerazioni sin qui svolte rilevano anche rispetto all'interesse perseguito da I. e C. nella realizzazione dell'operazione di cui si discute che non può essere ritenuto, per quel che si è detto, esclusivamente proprio né avere trascurato l'interesse di I..

Infine, non risultano profili di danno - riconducibili alla dedotta attività di direzione e coordinamento - né in capo a I. né in capo ai soci attori, in quanto - a fronte dell'utilizzo, da parte della società controllante, di una parte considerevole di quanto ottenuto dall'aumento di capitale riservato a P. per la contestuale delibera di aumento di capitale di I. - per un verso solo una minima parte era utilizzata per l'acquisto di M., e, per altro verso, nemmeno gli attori hanno dedotto che il valore di M. fosse inferiore al prezzo di acquisto.

Infine, sempre in punto di determinazione del danno, si devono considerare destituite di ogni fondamento le allegazioni di parti attrici in ordine alla circostanza che, se P. aveva pagato, per l'acquisto delle azioni di C., un sovrapprezzo di Euro 3, 41 ad azione del valore nominale di un euro, allora essa (nell'ipotesi, come si è detto, non verificabile né dotata di fondamento probabilistico, di un ingresso diretto nel capitale di I.) sarebbe stata disposta a pagare un identico sovrapprezzo per le azioni di I.. Tale deduzione, non fornita di alcun supporto probatorio, non attinge qualità probatoria diversa dalla mera congettura. Ed è forse il caso di aggiungere che in nulla rileva, rispetto a domande risarcitorie quali quelle proposte dagli attori, che, a seguire l' infondata ipotesi attorea, si possa in tesi affermare che in un determinato momento le azioni di I. avrebbero potuto raggiungere un determinato valore, atteso che il danno avrebbe potuto concretarsi solo qualora detto ipotetico valore avesse potuto concretarsi attraverso una vendita, ipotesi questa nemmeno ventilata dagli attori.

Ne consegue che, anche per questa ragione, le domande attoree sub 8. devono essere rigettate. Quanto alle doglianze concernenti in genere lo stato di crisi di I. e il successivo Accordo di

ristrutturazione del debito del 18 marzo 2013 - cui in tesi attorea sarebbe conseguita la vendita del G.I. ed il rimborso dell'investimento iniziale ai soli soci di maggioranza in danno degli attori -, esse si sono concretate nella contestazione di una esclusione degli attori dalle relative trattative e da effetti, in tesi benéfici solo per altri (le banche finanziatrici, C., la famiglia Z.), dell'Accordo di ristrutturazione del debito.

In proposito non si può non rimarcare una assoluta genericità di allegazione e prova, anzitutto in ordine al titolo in forza del quale i due attori - che in I. non avevano più alcun ruolo di amministrazione - avrebbero dovuto essere coinvolti in scelte gestorie, specie dopo la mancata partecipazione all'aumento di capitale del 28 aprile 2009, a seguito del quale le loro già esigue partecipazioni ebbero a subire una consistente diluizione. E' appena il caso di ricordare che I. era una società per azioni, con conseguente limitatissimo potere dei singoli soci di intervenire direttamente sul piano del controllo o, addirittura, della gestione.

Anche i fatti in tesi rilevanti sono dedotti in maniera assolutamente generica o contraddittoria ed i termini dell' Accordo di ristrutturazione non sono stati adeguatamente e precisamente evidenziati.

Anzitutto colpisce che gli attori - a fondamento della loro prospettazione - abbiano dedotto che non già le partecipazioni in I., ma gli "asset" di I. sono stati oggetto di cessione nell'ambito dell' Accordo di ristrutturazione (in effetti: cfr. Premessa K e art. 4 dell'Accordo di ristrutturazione), con la conseguente acquisizione del corrispettivo da parte della Società, dunque a vantaggio di tutti i soci, salvo ovviamente il doveroso previo pagamento dei creditori (cfr. art. 7 Accordo di ristrutturazione). Non si comprende - sempre a seguire le prospettazioni attoree - come considerare beneficiati componenti della famiglia Z. o società a loro riconducibili, a fronte della perdita di valore del residuo investimento mantenuto nella Società, delle somme immesse a titolo di aumento di capitale, della cessione a C. di un credito verso la Società di circa 15 milioni (poi divenuto di oltre 18 milioni: cfr. Accordo di ristrutturazione) per un corrispettivo inferiore al 30 %, peraltro utilizzato per rifinanziare la Società. Nemmeno il presunto vantaggio delle banche finanziatrici è stato adeguatamente illustrato, posto che gli attori si sono ben guardati sinanco dal dedurre quanta parte del finanziamento di 95 milioni di euro ricevuto da I. (poi divenuti oltre 97 milioni) - cui sono da aggiungere i finanziamenti effettuati per rendere possibile l'attuazione dell'Accordo di ristrutturazione (art. 4 Accordo di ristrutturazione) - sia stato restituito e quanti interessi siano stati pagati, in assoluto e rispetto all'originario contratto di finanziamento.

Quanto alle richieste di dichiarare non dovuto il debito assunto da ciascuno degli attori a titolo di finanziamento per la sottoscrizione dell'aumento di capitale di I. del 2009 (domande attoree nn. 6. e 7.), è appena il caso di aggiungere alle osservazioni già svolte che il relativo indebitamento è stato liberamente assunto da M. e R., essendo i medesimi del tutto liberi di determinarsi diversamente e, in ogni caso, essendo le loro scelte individuali del tutto indipendenti dall'esercizio, in tesi, dell'attività di direzione e coordinamento di I. e C. su I.. In ogni caso risulta del tutto carente l'indicazione e la prova del titolo giuridico in forza del quale i debiti di cui si discute non dovrebbero essere pagati dagli attori.

Infine, alla stregua delle superiori considerazioni, appaiono destituite di ogni fondamento anche le domande attoree sub n. (*), anch'esse, peraltro, sfornite di adeguata illustrazione del relativo titolo giuridico.

- Deve essere infine rigettata la domanda subordinata formulata dagli attori, volta ad ottenere il risarcimento di danni "potenzialmente arrecati" pari al mancato ottenimento dei bonus.

Anzitutto va rimarcato che la domanda risarcitoria è formulata sulla base di un titolo giuridico - la responsabilità da direzione e coordinamento di I. e C. - rispetto al quale la domanda di risarcimento nella specie formulata è estranea: l'unico collegamento rinvenibile nelle deduzioni attoree concerne il mancato ingresso di P. nel capitale di I., ma, come si è detto, tale evenienza non risulta connotata da illiceità né è generativa di responsabilità in capo a parti convenute I. e C.. Ciò sarebbe sufficiente a determinare il rigetto delle domande attoree sub n. (*).

Si può aggiungere che, anche in questo caso, le allegazioni attoree sono del tutto generiche e carenti, non individuando né quale sarebbe la disposizione del "piano bonus" ritenuta rilevante né quali fatti e circostanze dovrebbero integrare la relativa fattispecie.

In ogni caso, secondo prospettazione attorea, l'invocato "Piano bonus" - di cui la doc. 27 e ss. att. - sarebbe stato stato stipulato, in sostituzione del precedente "P.S.O.", in data 30-31 luglio 2008.

L'art. 7.02 del Piano bonus, prevedeva due condizioni alternative per l'attribuzione del bonus stesso e, segnatamente:

i) la sottoscrizione da parte di uno o più azionisti di I. di un contratto, anche preliminare, di cessione ad un terzo acquirente di un numero di azioni I. rappresentative almeno del 50 % + 1 del suo capitale sociale;

ii) la "sottoscrizione da parte di uno o più degli attuali azionisti di C. di un accordo, anche preliminare, che preveda l'impegno a cedere la propria Partecipazione di Controllo in C. ad un terzo acquirente ...".

Lo stesso art. 7.02 del piano bonus, all'ultimo comma, esplicitava poi che "qualora, entro il 31 dicembre 2011, non si dovessero verificare le Condizioni di Esercizio, il presente Piano cesserà di avere validità e i Beneficiari non avranno alcun diritto di ricevere i bonus o altri indennizzi o risarcimenti di sorta".

Orbene, nel caso di specie, nessuna delle due condizioni risulta essersi verificata, in base alle deduzioni attoree.

Non la condizione sub i), poiché gli attori non hanno nemmeno allegato che sia avvenuta una cessione a terzi, da parte dei soci di I., di più del 50 % del suo capitale entro il 31 dicembre 2011, dovendosi ricordare, tra l'altro, che l' Accordo di ristrutturazione (nel cui ambito comunque gli attori non hanno allegato essersi verificata una cessione a terzi della maggioranza del capitale sociale di I.) risale all'anno 2013.

Non la condizione sub ii), poiché gli attori non hanno nemmeno allegato che si sia verificata una cessione a terzi, da parte dei soci di C. al momento della stipula del Piano Bonus (30-31.07.2008), di più del 50 % del capitale di tale società entro il 31 dicembre 2011, dovendosi ricordare, tra l'altro, che l'ingresso di P. in C. (avvenuto mediante aumento di capitale e non mediante cessione di partecipazioni) è antecedente alla stipula dello stesso Piano bonus, risalendo al dicembre 2007.

Segue il rigetto della domanda n. 9. svolta in subordine da M. e R..

- La domanda avanzata da I. e da C., volta a ottenere la condanna degli attori per lite temeraria ai sensi dell'art. 96 c.p.c., deve essere accolta.

L'accoglimento è giustificato, ad avviso del Collegio, dal fatto che le domande attoree (fondate su un'azione ex art. 2497 c.c.) sono state proposte nonostante la palese carenza dei loro presupposti, carenza resa manifesta sia dal giudizio meramente ipotetico e congetturale - i.e. cosa sarebbe accaduto se P. avesse investito in C. piuttosto che in I. - su cui esse sono fondate, sia dalla mancanza finanche di allegazioni relative all'illiceità dell'attività di direzione e coordinamento e, più in generale, dalla assoluta genericità, a volte contraddittorietà, delle allegazioni poste a base delle domande, genericità indicativa del colpevole scarso approfondimento preventivo dei presupposti fattuali e giuridici delle domande proposte, approfondimento che, se intervenuto, avrebbe sconsigliato l'instaurazione del presente giudizio.

In conclusione, risulta che gli attori hanno promosso il presente giudizio, se non nella consapevolezza dell'infondatezza della propria pretesa, nel difetto della minima diligenza richiesta per l'acquisizione di detta consapevolezza e dunque con grave colpa.

Spetta dunque ai convenuti I. e C. il risarcimento dei danni da lite temeraria ex art. 96 c.p.c., danni da commisurarsi equitativamente sia in relazione al tempo ed alle energie profuse per contrastare le infondate pretese dell'attore (reperimento di documenti, contatti con i difensori, ecc.), sia al disagio costituito dall'aver dovuto resistere in giudizio ad un'iniziativa destituita di ogni fondamento. Per giurisprudenza costante di questo Tribunale tale danno è liquidato equitativamente in misura pari all'ammontare delle spese processuali.

III. Il regime delle spese

Le spese di lite seguono il principio di soccombenza, talché parti attrici devono essere condannate, in solido tra loro, a rifondere a parti convenute C. e I. le spese di lite, che - considerato il valore della causa - si liquidano in Euro 36.000, 00 per compensi professionali, oltre spese forfettarie (15 %), IVA e CPA come per legge.

A diversa liquidazione delle spese si deve addivenire nei confronti di A.. Invero, da un lato, parti attrici non hanno svolto domande nei confronti di tale società, e, dall'altro, essa è intervenuta nel processo prendendo posizione in favore delle società convenute. Se ne desume che parti attrici sono da ritenere soccombenti nei suoi confronti, essendo la posizione assunta da A. in questo processo assimilabile a quella di chi spiega intervento adesivo dipendente in favore della parte vittoriosa, e, tuttavia, proprio tale posizione consente di addivenire ad una liquidazione delle spese meno onerosa, per parti attrici soccombenti, come del resto riconosciuto dalla stessa A. in nota spese.

Tali considerazioni sono assorbenti rispetto alla domanda proposta da parti attrici sub n. (*).

Appare perciò conforme a giustizia liquidare le spese di lite in favore di A. nella somma di Euro 13.000, 00 per compensi professionali, oltre spese forfettarie (15 %), IVA e CPA come per legge.

 

P.Q.M.

Il Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa B, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando nella causa civile di cui in epigrafe, ogni altra domanda, eccezione o deduzione rigettata o assorbita, così decide:

I) RIGETTA le domande di parti attrici.

II) CONDANNA parti attrici A.M. e N.R., in solido tra loro, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 96 c.p.c., a rifondere a parti convenute C. S.p.a. e I.S. S.p.a. i danni da lite temeraria, danni che si liquidano in Euro 36.000, 00 per ciascuna di esse.

III) CONDANNA parti attrici A.M. e N.R., in solido tra loro, al pagamento in favore di parti convenute C. S.p.a. e I.S. S.p.a. delle spese di lite che si liquidano, per ciascuna di esse, in Euro 36.000, 00 per compensi professionali, oltre spese forfettarie (15%), IVA e CPA come per legge.

IV) CONDANNA parti attrici A.M. e N.R., in solido tra loro, al pagamento in favore di A. S.p.a. in liquidazione delle spese di lite, che si liquidano in Euro 13.000, 00 per compensi professionali, oltre spese forfettarie (15%), IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Milano, il 4 maggio 2017.

Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2017.